Il Condominio può nascere a seguito di una divisione ereditaria degli appartamenti di uno stabile, se vi sono parti comuni

Al fine di usucapire un bene immobile, la parte deve fornire prova di avere avuto un possesso ininterrotto dello stesso per un periodo almeno pari a venti anni. Tale possesso, corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, è definito possessio ad usucapionem, e deve essere provato in giudizio dalla parte.

Il caso. Una proprietaria di un appartamento sito in uno stabile conveniva in giudizio i proprietari dell'unità abitativa soprastante. La domanda giudiziale dell'attrice era volta ad ottenere la dichiarazione della comproprietà del pianerottolo sito tra le proprietà delle parti, sentire dichiarare il diritto di passaggio della stessa sul manufatto e rimuovere ogni ostacolo posto dai convenuti che impediva alla stessa di raggiungere le soffitte di sua proprietà. Il Tribunale accoglieva la domanda dell'attrice e dichiarava la comproprietà del pianerottolo, condannava i convenuti alla rimozione dei manufatti posti per impedire l'accesso all'attrice e dichiarava altresì che la proprietà privata dei convenuti era parzialmente gravata da una servitù di passaggio, esercitata dall'attrice mediante una scala utilizzata per raggiungere le soffitte. Tale decisione veniva impugnata in appello. All'esito del processo la Corte, in parziale riforma della precedente sentenza, modificava la prima sentenza eliminando però solamente la declaratoria della servitù di passaggio sulle scale dei convenuti. Quanto al pianerottolo, la Corte d'Appello evidenziava come nel testamento del dante causa della proprietà sia degli appellanti che dell'appellata, emergeva già la considerazione che il pianerottolo fosse in comproprietà tra le parti e conseguentemente la parte citata era caduta in comunione. Ma v'è di più essendo lo stabile una costruzione formata da proprietà private e parti comuni poste in asservimento per l'utilizzo delle prime, secondo la Corte d'Appello al momento del decesso del de cuius, e del passaggio delle proprietà in via ereditaria, era sorto un Condominio. Il pianerottolo oggetto di causa, quindi, era pacificamente un bene comune ai sensi dell'articolo 1117 c.c. Tale norma riporta un elenco esemplificativo e non esaustivo dei beni che costituiscono parti comuni nel Condominio, tra i quali – funzionalmente – figurano altresì le scale e i pianerottoli. La sentenza di appello, quindi, veniva nuovamente impugnata dai due proprietari, che contestavano la decisione della Corte in sede di giudizio di Cassazione. Il ricorso viene rigettato e la Cassazione precisa alcuni concetti in materia di presunzione di condominialità. Alla luce della duplice soccombenza nei gradi di merito, ai proprietari non restava che impugnare la sentenza e agire in Cassazione. Per fare ciò, la parte affidava le proprie doglianze ad un ricorso strutturato su due motivi. In primo luogo, i ricorrenti contestavano la decisione della Corte d'Appello di ricondurre il pianerottolo oggetto di causa ad un bene condominiale. Secondo i ricorrenti, infatti, non vi sarebbe stata una correlazione tra la creazione del Condominio per successione ereditaria e la qualità di parte comune del pianerottolo. L'articolo 1117 c.c., sempre secondo i proprietari, avrebbe avuto solo carattere esemplificativo, ma la presunzione di condominialità di un manufatto avrebbe potuto essere vinta mediante la prova contraria dell'uso esclusivo del bene. Il pianerottolo, essendo stato utilizzato in via esclusiva dai ricorrenti, non avrebbe avuto quindi natura condominiale, ma privata. Con il secondo motivo, poi, i ricorrenti contestavano la decisione della Corte d'Appello di considerare come non provata la loro domanda di usucapione del bene oggetto di causa, non risultando provato il possesso ininterrotto per un periodo superiore a venti anni. Con la sentenza Cassazione Civile sezione III, 28 luglio 2021, numero 21622 la Suprema Corte rigettava integralmente il ricorso. Quanto al primo motivo, la Cassazione sottolineava come, in ordine logico, la successione ereditaria avesse dato luogo alla nascita del condominio, con tutte le conseguenze del caso. Nello specifico, nell'assegnare le proprietà, il de cuius aveva descritto i rispettivi appartamenti specificando come questi fossero confinanti con altre proprietà e con “pianerottolo frammezzo”. A parere della Cassazione tale dicitura stava a sottolineare come il pianerottolo non fosse parte della proprietà ceduta in eredità, ma già considerata dal testatore come una parte accessoria, funzionale e necessaria per l'uso comune. Sorgendo il Condominio, quindi, il pianerottolo rientrava nelle parti condominiali di cui all'articolo 1117 c.c. principio confermato dalla sentenza Cass. numero 4372/2015 . A differenza di quanto affermato dai ricorrenti, quindi, sussisteva una presunzione di condominialità che esentava il Condominio o gli altri condomini dal provare come il manufatto in questione fosse di uso comune. Tale presunzione anche secondo la sentenza Cassazione a Sezioni Unite, numero 7449/1993, tra le molte poteva essere superata dal singolo proprietario portando prova di un titolo contrario. In assenza di tale prova il manufatto era presunto condominiale e di uso comune si veda anche le decisioni Cass. numero 3852/2020 e Cass. numero 20693/2018 , in applicazione del principio della c.d. “presunzione di condominialità”. Secondo la Cassazione la Corte d'Appello aveva correttamente valutato tali circostanze in fatto e diritto e disposto la liberazione del pianerottolo dai manufatti istallati dai ricorrenti, riportando lo stesso all'uso comune. Quanto al secondo motivo, invece, anche questo veniva rigettato. Al fine di usucapire un bene immobile, infatti, la parte che avanza la domanda deve fornire prova di avere avuto un possesso ininterrotto dello stesso per un periodo almeno pari a venti anni. Tale possesso, una attività di fatto corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, è definito possessio ad usucapionem, e deve essere provata in giudizio dalla parte. Nel caso in questione, nuovamente, secondo la Cassazione la Corte d'Appello aveva correttamente valutato gli elementi probatori offerti in giudizio dai ricorrenti, e aveva giustamente deciso per il rigetto della domanda, non ritenendo sufficientemente dimostrata la possessio. Alla luce dell'integrale rigetto delle argomentazioni dei ricorrenti, la Cassazione non accoglieva il ricorso e dichiarava tenuta la parte soccombente al pagamento del contributo unificato in misura aumentata ai sensi dell'articolo 13 comma 1-quater, d.P.R. numero 115/2002.

Presidente Gorjan – Relatore Criscuolo Ragioni in fatto ed in diritto della decisione 1. Con sentenza numero 89/2015 dell'11 febbraio 2015, il Tribunale di Tempio Pausania dichiarava la comproprietà tra le parti del pianerottolo posto all'ultimo piano del fabbricato in omissis , nonché sull'adiacente balcone, condannando i convenuti, T.M. e G.C. , alla rimozione dei manufatti che impedivano l'accesso all'attrice M. Una dichiarava altresì che la proprietà dei convenuti era gravata da servitù di passaggio, esercitata a mezzo scala, per consentire l'accesso dal pianerottolo comune, tramite transito nella soffitta dei convenuti, al tetto dello stesso stabile. Avverso tale sentenza proponevano appello i convenuti cui resisteva la M. . La Corte d'Appello di Cagliari - sezione distaccata di Sassari, con la sentenza numero 242 del 20 maggio 2016 ha parzialmente accolto l'appello, rigettando la domanda confessorìa della servitù di passaggio per l'accesso al tetto attraverso la soffitta degli appellanti, rigettando per il resto il gravame. Quanto alla domanda volta ad accertare la comproprietà del pianerottolo posto al secondo piano, i giudici di appello osservavano che dal testamento del 1953 di G.G. , che era il titolo vantato dagli appellanti, emergeva che già alla data di redazione di tale atto, il fabbricato oggetto di causa vedeva la comproprietà tra il de cuius, M. rectlus G. M. e M.M. , dovendosi quindi ritenere già sorto il condominio, con la comunione ex articolo 1117 c.c., dei beni dalla legge contemplati, tra i quali rientrano anche le scale ed i pianerottoli, funzionali al transito lungo le scale. La natura comune poi non è correlata al fatto che le rampe di una scala sarebbero comuni solo ai proprietari esclusivi delle unità immobiliari che si servano delle stesse per raggiungere le loro unità, in quanto per escludere la comunione è necessaria l'esistenza di un titolo contrario. L'omesso riferimento da parte del testatore anche al pianerottolo non sì giustificava per l'inutilità di tale menzione essendo G.M. divenuto, per effetto del lascito, proprietario di tutte le proprietà esclusive poste al secondo piano oltre che della soffitta , ma per la consapevolezza da parte del testatore dell'impossibilità di trasferire un bene che non gli apparteneva in esclusiva, e che quindi non aveva carattere ereditario. Analogamente l'appello andava rigettato, quanto al rigetto della domanda di usucapione del pianerottolo e del balcone, attesa l'incensurata ed autonoma motivazione del Tribunale che aveva escluso l'esercizio di un possesso da parte degli appellanti per il periodo dagli anni ‘80 al 2000, con la mancata prova del possesso ventennale continuato ed esclusivo. Era invece meritevole di accoglimento la censura concernente il riconoscimento della servitù di passaggio attraverso la soffitta degli appellanti, a mezzo di una scala fissa, servitù costituita per destinazione del padre di famiglia. Infatti, l'attrice non aveva fornito alcuna prova di quella che era la situazione di fatto nel momento in cui G.G. aveva cessato di essere l'unico proprietario dello stabile, momento che precedeva la data di redazione del testamento inoltre non vi era prova nè delle modalità di accesso dalla soffitta al tetto comune, nè che la scala, poi rimossa, fosse stata ab origine destinata dal testatore esclusivamente all'accesso al tetto, emergendo invece che fosse funzionale a permettere di accedere alla soffitta. Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso T.M. e G.C. sulla base di due motivi. M.L. resiste con controricorso. 2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1117 c.c., in tema di presunzione legale di comunione. Si deduce che la sentenza impugnata ha tratto dal rilievo secondo cui già alla data del testamento esisteva un condominio, la conclusione per cui anche il pianerottolo oggetto di causa deve ritenersi bene comune. La sentenza non ha però tenuto conto del carattere esemplificativo dell'elencazione dei beni contenuta nell'articolo 1117 c.c., la cui presunzione può essere vinta se il bene, per le sue caratteristiche strutturali, serva in modo esclusivo all'uso o al godimento di una parte dell'immobile. La sentenza gravata non ha compiuto tale indagine che, se operata, avrebbe permesso di verificare che il pianerottolo era asservito solo al proprietario del secondo piano. Inoltre, la Corte d'Appello non ha correttamente valutato il contenuto del testamento, il quale ha in realtà inteso includere tra i beni attribuiti mortis causa anche il pianerottolo. Il motivo è infondato. Questa Corte, nella sua più autorevole composizione, ha affermato che Cass. S.U. numero 7449/1993 in tema di condominio negli edifici, l'individuazione delle parti comuni, come nel caso di specie le terrazze di copertura, risultante dall'articolo 1117 c.c., - il quale non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria - può essere superata soltanto dalle opposte risultanze di un determinato titolo e non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari cfr. da ultimo Cass. numero 3852/2020, che ha ribadito come l'individuazione delle parti comuni operata dall'articolo 1117 c.c., non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria, potendo essere superata soltanto dalle opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell'edificio in più proprietà individuali . Per l'effetto deve ritenersi che la ricomprensione del bene tra quelli comuni dispensa il condominio dalla prova del suo diritto, ed in particolare dalla cosiddetta probatio diabolica , così che quando un condomino pretenda l'appartenenza esclusiva di uno dei beni indicati nell'articolo 1117 c.c., poiché la prova della proprietà esclusiva dimostra, al contempo, la comproprietà dei beni che detta norma contempla, onde vincere tale ultima presunzione è onere dello stesso condomino rivendicante dare la prova della sua asserita proprietà esclusiva, senza che a tal fine sia rilevante il titolo di acquisto proprio o del suo dante causa, ove non si tratti dell'atto costitutivo del condominio, ma di alienazione compiuta dall'iniziale unico proprietario che non si era riservato l'esclusiva titolarità del bene Cass. numero 3852/2020 per la necessità di dover guardare al primo atto di trasferimento della proprietà di un bene da parte dell'originario ed unico proprietario, al fine di verificare l'esistenza di una valida riserva di un bene potenzialmente comune in capo allo stesso unico proprietario, si veda da ultimo Cass. numero 20693/2018 . La giurisprudenza di questa Corte ha poi reiteratamente affermato che le scale ed i pianerottoli rientrano tra i beni comuni come individuati dall'articolo 1117 c.c., e che pertanto restano comuni, anche laddove siano stati realizzati da uno solo degli originari comproprietari così Cass. numero 4372/2015 , ed ha confermato la natura comune del bene, anche nel caso in cui Cass. numero 4664/2016 , analogamente alla vicenda in esame, le rampe di scala, con il pianerottolo, integranti l'ultima parte della scala condominiale, erano poste fra l'ultimo piano dell'edificio e le relative soffitte sottotetto, appartenenti ad un unico proprietario, e ciò sulla base della considerazione per cui le scale sono, in sé, una struttura essenziale del fabbricato e servono a tutti i condomini di questo come strumento indispensabile per l'esercizio del godimento della relativa copertura. In tal senso è stato affermato che Cass. numero 15444/2007 le scale, essendo elementi strutturali necessari alla edificazione di uno stabile condominiale e mezzo indispensabile per accedere al tetto e al terrazzo di copertura, conservano la qualità di parti comuni, così come indicato nell'articolo 1117 c.c., anche relativamente ai condomini proprietari di negozi con accesso dalla strada, in assenza di titolo contrario, poiché anche tali condomini ne fruiscono quanto meno in ordine alla conservazione e manutenzione della copertura dell'edificio. È stato quindi più volte ribadito che Cass. numero 11405/1998 la presunzione impropria di proprietà comune di un bene compreso nell'elenco di cui all'articolo 1117 c.c., nella specie pianerottolo può essere vinta quando vi sia un titolo contrario e si tratti di beni, di fatto, destinati al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari, e ciò anche quando cfr. Cass. numero 1498/1998 alcune rampe sono poste in concreto al servizio di singole proprietà. Ritiene la Corte che la sentenza gravata abbia fatto incensurabile applicazione di tali principi. Con accertamento in fatto, ha rilevato che alla data del testamento era già sorto un condominio, attesa l'esistenza di una pluralità di proprietari delle unità presenti nello stabile, e che quindi era già destinata ad operare la previsione di cui all'articolo 1117 c.c. Ha quindi rilevato che il pianerottolo oggetto di causa rientrava tra i beni comuni, come da elencazione normativa, e che quindi non poteva attribuirsi alcuna rilevanza alla eventuale diversa volontà del testatore, che in ogni caso non avrebbe potuto disporre di beni che non gli erano appartenenti in maniera esclusiva, in quanto gìà divenuti comuni all'atto della nascita del condominio. Ad abundantiam ha poi reputato che in base alla corretta interpretazione del testamento, le disposizioni fatte in favore del dante causa dei convenuti le due camere con soffitta, al secondo piano della mia casa in omissis , confinante con vani di sua proprietà, pianerottolo frammezzo , lungi dal sottendere un intento di trasferire anche il pianerottolo, intendevano indicare quest'ultimo come limite all'individuazione dei beni assegnati per testamento, e ciò nella consapevolezza da parte dello stesso de cuius che si trattava di bene comune e quindi non disponibile per i diritti di proprietà esclusiva. Trattasi di interpretazione delle volontà testamentarie che, oltre a non essere specificamente censurata con puntuale riferimento alla violazione delle regole di ermeneutica in cui sarebbe incorso il giudice di merito, non si connota per essere implausibile, ma che piuttosto trova un conforto proprio nella circostanza che il richiamo al pianerottolo non risulta fatto nella parte in cui il de cuius ha inteso individuare i beni immobili concretamente assegnati a G.M. , ma allorché ha individuato i confini di questi ultimi, indicandoli con i vani già appartenenti al beneficiato e nel pianerottolo framezzo , inteso quindi come bene diverso da quelli invece attribuiti mortis causa per un precedente nel quale, e proprio con specifico riferimento all'attribuzione di beni per testamento, è stato affermato che si imponga la verifica di una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente ad uno dei condomini la proprietà delle parti comuni, si veda Cass. numero 16292/20025 . Nè la regola proprietaria dettata dall'articolo 1117 c.c., può nella specie ritenersi superata per le obiettive caratteristiche strutturali del pianerottolo, come appunto ammesso dal citato precedente delle Sezioni Unite in termini si veda anche Cass. numero 7889/2000 Cass. numero 11391/2002 , in quanto tali caratteristiche devono porsi in maniera obiettiva, in quanto correlate alla destinazione del bene già ab origine all'uso ed al godimento di una parte solo dell'immobile. La finalità delle scale e del pianerottolo, come sopra evidenziato, escludono che possa ravvisarsi la possibilità di rinvenire il connotato idoneo ad escludere l'applicazione dell'articolo 1117 c.c., non potendosi peraltro invocare una situazione contingente, come la concentrazione della proprietà delle unità immobiliari al secondo piano e delle soffitte in capo ad un unico soggetto, al fine di ravvisare quelle caratteristiche strutturali che derogano alla previsione di cui all'articolo 1117 c.c Il motivo deve quindi essere rigettato. 3. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell'articolo 132 c.p.c., comma 2, numero 4, con la nullità della sentenza ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, nnumero 4 e 5. Si evidenzia che quanto alla domanda riconvenzionale di usucapione, la sentenza di appello ha confermato il rigetto del Tribunale, rilevando la incensurata ed autonoma motivazione del primo giudice che aveva escluso l'esercizio di un qualsiasi possesso per il periodo dagli anni ‘80 al 2000. Si deduce che in tal modo la Corte distrettuale è incorsa in una grave anomalia della motivazione, in quanto non avrebbe dato conto del fatto che con l'appello erano state illustrate le critiche in merito all'istruttoria ed alle deposizioni testimoniali. La censura è sicuramente inammissibile nella parte in cui denuncia il vizio di cui all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5, attesa l'applicabilità alla fattispecie della previsione di cui all'articolo 348 ter c.p.c., u.c Del pari è inammissibile è la censura quanto alla denuncia del vizio di cui all'articolo 360 c.p.c., numero 4, atteso il difetto di specificità di cui all'articolo 366 c.p.c., comma 1, numero 6, requisito imposto anche nel caso in cui venga denunciato un error in procedendo in cui la Corte sia giudice del fatto processuale Cass. S.U. numero 8077/2012 . Infatti, la Corte d'Appello, oltre a mostrare di condividere la valutazione delle prove come operata dal giudice di primo grado, ha in particolare sottolineato come il rigetto della domanda di usucapione scaturiva dalla mancata prova di una continuità nel possesso utile ad usucapire, non essendo stata fornita la prova che tale possesso fosse stato esercitato per il periodo dagli anni ‘80 al 2000. Il motivo di ricorso si limita però ed affermare che con il motivo di appello erano state sollevate delle precise doglianze quanto alla rilevanza, concludenza, precisione ed esattezza delle circostanze narrate dai testimoni, senza però riportare con precisione il contenuto del motivo di appello e soprattutto senza evidenziare in quale parte di esso fosse stata contestata la valutazione circa l'assenza di continuità del possesso per un così ampio periodo di tempo. 4. Il ricorso deve quindi essere rigettato dovendosi regolare le spese in base al principio della soccombenza, come da dispositivo. 5. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, numero 228, articolo 1, comma 17 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto l'articolo 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese del presente giudizio in favore della controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dell'articolo 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.