Cartelli informativi e controlli esterni non salvano il titolare del bar che ha una clientela troppo rumorosa

Confermati i tre verbali consegnati alla persona che gestisce il locale. Fatali i controlli effettuati dalla polizia municipale. Accertati gli schiamazzi degli avventori.

Gli avvisi, con tanto di cartello, all'esterno del bar e la presenza dei dipendenti a fare da sorveglianti non bastano ad escludere la responsabilità del titolare del locale per gli schiamazzi molesti dei clienti Cass. civ., sez. VI, ord., 22 luglio 2021, numero 21097 . All'origine della vicenda c'è il monitoraggio del territorio cittadino compiuto dalla Polizia municipale. A finire nel mirino è il titolare di un bar, sanzionato in tre occasioni diverse perché, a tarda sera, «non ha adottato tutte le misure idonee a contenere il disturbo della quiete pubblica arrecato dagli avventori che, stazionando all'uscita del locale e nelle immediate vicinanze, emettevano urla e schiamazzi». In primo grado vengono ritenute illegittime le ingiunzioni del Comune in relazione ai «verbali di accertata violazione del regolamento comunale di polizia urbana». In secondo grado, invece, i Giudici ritengono sacrosante le sanzioni applicate al titolare del bar, colpevole, in sostanza, di non avere fatto tutto il possibile per fermare i propri clienti. Nel contesto della Cassazione il titolare del bar prova a mettere in discussione gli addebiti a lui mossi, e sostiene, in sintesi, di avere provveduto per quanto possibile al controllo della clientela , facendo ricorso a cartelli informativi all'esterno del locale e alla presenza di alcuni dipendenti come controllori. Questa visione viene però respinta dai Giudici di terzo grado, i quali mostrano invece di condividere il ragionamento compiuto in Tribunale. Il regolamento comunale di polizia prevede un duplice obbligo a carico del gestore dell'esercizio commerciale, riconoscono i magistrati, e cioè da un lato quello di « sensibilizzare gli avventori » e dall'altro quello di « svolgere adeguata azione informativa all'interno ed all'esterno » del locale . Ma in questa ottica «l'accertata esposizione di cartelli informativi» nello spazio esterno al bar «non è sufficiente ad assolvere all'obbligo di adottare tutte le misure idonee a contenere il disturbo della quiete», chiariscono i Giudici, i quali poi aggiungono che «neppure l'eventuale presenza di collaboratori con funzione di controllo è sufficiente». Per escludere la responsabilità del titolare del locale, invece, sono necessari altri comportamenti quali «l' aver chiamato le forze dell'ordine e l'essersi avvalso dello ius excludendi nei confronti dei clienti che non si attengono alla condotta richiesta dalla tutela della pubblica quiete».

Presidente Cosentino – Relatore Casadonte Rilevato che - il sig. P.R. impugna per cassazione la sentenza del Tribunale di Bologna con la quale in totale riforma della sentenza del Giudice di pace è stato accolto l'appello presentato dal Comune di Bologna e sono state confermate le ordinanze-ingiunzione emesse dal Comune appellante in relazione ai verbali di accertata violazione del Reg. comunale di polizia urbana, articolo 15, comma 2, poiché il ricorrente, in qualità di titolare di pubblico esercizio di somministrazione di alimenti e bevande, non aveva adottato tutte le misure idonee a contenere il fenomeno del disturbo della quiete pubblica, arrecato dagli avventori che stazionando all'uscita dello stesso e nelle immediate vicinanze emettevano urla e schiamazzi - la cassazione della sentenza d'appello è chiesta sulla base di due motivi, cui resiste il Comune di Bologna con controricorso - la relatrice ha formulato proposta ex articolo 380 bis c.p.c., di rigetto del ricorso. Considerato che - con il primo motivo si deduce, in relazione all' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 3, la violazione e falsa applicazione delle norme a tutela della quiete pubblica e cioè l' articolo 659 c.p. , comma 1, il Reg. di polizia urbana del comune di Bologna, articolo 15, comma 2, e articolo 12, comma 1, lett. a - assume il ricorrente con riguardo al primo profilo che il tribunale bolognese aveva escluso che il ricorrente abbia esercitato il potere di controllo sulla clientela sulla scorta del richiamo a precedenti giurisprudenziali sull' articolo 659 c.p. , inconferenti - aggiunge il ricorrente che, con riguardo al Reg. di polizia urbana del Comune di Bologna, articolo 15, comma 2, il comportamento posto in essere dal gestore dell'esercizio di somministrazione di cibo e bevande nei confronti degli avventori, al fine di evitare il disturbo, sarebbe conforme a quello previsto dalla disposizione richiamata - osserva ancora il ricorrente che l'interpretazione della normativa sostenuta dal tribunale finiva per imputare al gestore dell'esercizio di somministrazione di cibo e bevande la responsabilità per la condotta degli avventori e non la propria - la censura è, sotto tutti i profili, inammissibile perché, sebbene formalmente articolata come violazione di legge, propone, in realtà, una diversa interpretazione delle circostanze valorizzate dal giudice d'appello - il tribunale ha, infatti, fondato l'accoglimento del gravame sulla ricostruzione del duplice obbligo sancito dal regolamento comunale di polizia a carico del gestore dell'esercizio commerciale e consistente nel sensibilizzare gli avventori e nello svolgere adeguata azione informativa all'interno ed all'esterno - alla luce di tale ricostruzione ha poi ritenuto che l'accertata esposizione di cartelli informativi all'esterno non fosse sufficiente ad assolvere all'obbligo in capo al gestore del pubblico esercizio di adottare tutte le misure idonee a contenere il disturbo della quiete e che neppure l'eventuale presenza di collaboratori con funzione di controllo, ove provata, diversamente dal caso de quo in cui tale prova non era stata raggiunta, fosse sufficiente, richiedendo, al fine di escludere la responsabilità del titolare, comportamenti quali l'aver chiamato le Forze dell'Ordine e l'essersi avvalso dello ius excludendi nei confronti dei clienti che non si attengono alla condotta richiesta dalla tutela della pubblica quiete alle ore 00.55 del 17/3/2016, alle ore 00,20 del 10/4/2016 ed alle ore 00,30 del 19/5/2016 in cui i tre separati verbali erano stati elevati - l'interpretazione dell'obbligo posto a carico del gestore dell'esercente così ricostruita dal giudice di appello non appare contraria a principi di diritto, che peraltro, il ricorrente non ha indicato e la censura mira a contestarla senza specificare quale errore di diritto avrebbe commesso il giudice nella sentenza impugnata, finendo per attingere, come già anticipato, l'apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito - con il secondo motivo si deduce l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 5 - ad avviso del ricorrente, il provvedimento impugnato avrebbe configurato la responsabilità del sig. P. senza considerare che egli aveva incaricato alcuni suoi collaboratori di svolgere i controlli per evitare i comportamenti dei clienti lesivi della quiete pubblica - la censura è inammissibile perché non considera la ratio decidendi atteso che il giudice d'appello ha affermato che la suddetta circostanza non era provata e che, ove anche confermata, la stessa non era decisiva aì finì di escludere la responsabilità del ricorrente, non risultando nè la chiamata, da parte del P. delle Forze dell'Ordine, nè lo ius excludendi nei confronti degli avventori irrispettosi della pubblica quiete - in definitiva ed avuto riguardo all'inammissibilità di entrambi i motivi, il ricorso è inammissibile e, in applicazione del principio della soccombenza, il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese di lite a favore del Comune controricorrente nella misura liquidata in dispositivo - ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente e liquidate in Euro 510,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13 , comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.