In tema di concussione e in presenza del cosiddetto abuso soggettivo, l’analisi del giudice non può limitarsi alla descrizione della condotta costrittiva, ma deve verificarne l'efficacia coartante esaminando il processo causale volitivo e il conseguente stato psicologico e di costrizione del privato.
La Corte d'Appello, applicata la circostanza attenuante di cui all'articolo 323-bis c.p., rideterminava la pena inflitta all'imputato in relazione ai reati di concussione e tentata concussione. Il difensore dell'imputato ricorre in Cassazione per denunciare mancanza di motivazione in ordine ai reati suddetti per quanto riguarda l'elemento materiale dei fatti. La Suprema Corte sul punto sottolinea che, in tema di concussione e in presenza del cosiddetto abuso soggettivo, quindi nei casi di strumentalizzazione da parte dell'agente non di una sua attribuzione specifica ma della propria qualifica soggettiva, ossia dei casi in cui non venga in rilievo la correlazione tra atti d'ufficio o di servizio, come nel caso in esame, l'analisi del giudice non può limitarsi alla descrizione della condotta costrittiva, «ma deve verificarne la efficacia coartante esaminando il processo causale volitivo e il conseguente stato psicologico e di costrizione del privato, valorizzando in tale attività ricostruttiva tutte le specificità del caso concreto e i rapporti pregressi e contaminati tra agente pubblico e privato e fornendo di tale ricostruzione logica ed adeguata motivazione», cosa che la sentenza impugnata non ha eseguito e che deve essere effettuata dai giudici del rinvio.
Presidente Fidelbo/Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di L'Aquila, con sentenza del 21 settembre 2020, applicata la circostanza attenuante di cui all'articolo 323 bis c.p., ha rideterminato in anni tre di reclusione la pena inflitta a B.F. per i reati di concussione articolo 317 c.p. in danno dei fratelli A.D. e A. e tentata concussione articolo 56 - 317 c.p. in danno di I.A. , reati rispettivamente commessi in omissis , a far data dall'anno 2008 sino al mese di dicembre 2013 e in omissis , in un giorno imprecisato dell'anno 2010. La Corte territoriale ha confermato, altresì, la interdizione in perpetuo dai pubblici uffici dell'imputato, ai sensi dell'articolo 317 bis c.p 2. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p. il difensore di B.F. denuncia 2.1. contraddittorietà della motivazione nella ricostruzione dell'elemento materiale del reato di concussione stante il travisamento della prova dichiarativa costituita dalle dichiarazioni rese da A.A. . La motivazione della sentenza di appello si risolve in un collage delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in carenza, nonostante le sollecitazioni rivoltegli durante l'esame, della precisazione e contestualizzazione dell'atteggiamento spavaldo e arrogante dell'imputato 2.2. erronea applicazione della legge penale in relazione alla mancata qualificazione dei fatti contestati come delitto di concussione nell'ipotesi di cui all'articolo 319 quater c.p Osserva il ricorrente che in presenza del prevalente movente opportunistico della persona offesa, evitare multe per eccesso di velocità ai propri furgoni incaricati della consegna di merci, deve ritenersi integrata la tipicità della fattispecie induttiva 2.3. mancanza della motivazione, in relazione al delitto di tentata concussione contestato al capo D , sul punto dell'attendibilità intrinseca delle dichiarazioni rese dai testi G. , spinto da risentimento verso l'imputato, e D.M. , condizionato da un precedente episodio e della genesi e attendibilità intrinseca delle dichiarazioni rese dalla persona offesa I.A. che dichiarava di avere comunque eseguito i lavori presso l'immobile del ricorrente, dopo essere stato vittima di coartazione. La Corte non ha esaminato le argomentazioni difensive sul punto svolte con i motivi di appello limitandosi a frasi stereotipate sul giudizio di attendibilità delle dichiarazioni acquisite 2.4. contraddittorietà delle sentenze di merito nella valutazione del compendio dichiarativo tra il reato di tentata concussione in danno di I.A. , per il quale si è pervenuti a condanna, e quello sub capo B , poiché le medesime espressioni pronunciate dall'imputato sono state ritenute, in relazione a tale ultimo reato, inidonee a minare l'autodeterminazione della persona offesa. La motivazione della sentenza è, inoltre, contraddittoria sul collegamento strumentale tra la minaccia e la qualifica di pubblico ufficiale non essendo stata valutate a questo riguardo le dichiarazioni rese da I.A. che aveva escluso di essere stato contravvenzionato dall'imputato nell'occasione in cui questi gli aveva fatto rilevare l'illegittimo parcheggio dell'autovettura 2.5. mancanza di motivazione, a fronte di specifica deduzione difensiva, sulla misura dell'aumento di pena per la continuazione interna fra reati di cui al capo A e per quella esterna con riguardo al reato sub capo D . Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato in relazione ai motivi di ricorso che attengono, per entrambe le vicende oggetto di contestazione, alla ricostruzione dell'elemento materiale dei reati di concussione e tentata concussione, e, in particolare, alla individuazione della condotta di abuso costrittivo in presenza di abuso della qualità, cd. abuso soggettivo, consistente nella strumentalizzazione, da parte dell'agente, non di una sua attribuzione specifica, bensì della propria qualifica soggettiva nei casi in cui non ci sia correlazione della condotta stessa con atti dell'ufficio o del servizio. 2.A partire dalla sentenza Maldera Sez. U, Sentenza numero 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, Rv. 258470 , la giurisprudenza di legittimità ha descritto l'elemento strutturale della condotta di concussione individuandolo nell'abuso costrittivo del pubblico agente, abuso che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all'alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita. Il concetto di costrizione è, dunque, essenziale nella ricostruzione dell'elemento materiale costitutivo del delitto di concussione e la giurisprudenza si è preoccupata di delinearne i contenuti soprattutto per distinzione rispetto alla fattispecie di induzione indebita, prevista dall'articolo 319 quater c.p., nella quale la condotta dell'agente si configura come persuasione, suggestione, inganno sempre che quest'ultimo non si risolva in un'induzione in errore , e, dunque, in una forma di pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario. La condotta di abuso costrittivo evoca necessariamente, secondo il tenore letterale della fattispecie incriminatrice e la ricostruzione giurisprudenziale, una condotta di violenza non assoluta o di minaccia, intesa quale vis compulsiva che ingenera ab extrinseco il timore di un male antigiuridico, a scongiurare il quale il destinatario finisce con l'aderire alla richiesta dell'indebita dazione o promessa fondamentale è, dunque, la ricostruzione degli aspetti contenutistici di quanto il pubblico ufficiale prospetta al soggetto privato e degli effetti che a quest'ultimo derivano o possono derivare in termini di danno o di vantaggio, ove l'extraneus non aderisca alla richiesta, con la conseguenza che la maggiore o minore gravità della pressione deve essere apprezzata in funzione, più che della forma in cui viene espressa, del suo contenuto sostanziale, il solo idoneo ad evidenziarne la natura costrittiva o induttiva. Alla chiarezza del principio non corrisponde nella prassi, a fronte della molteplicità dei comportamenti e della loro valenza sul piano delle relazioni intersoggettive, l'agevole operazione dell'interprete nella individuazione del nucleo essenziale della condotta di abuso costrittivo operazione vieppiù difficile quando ci si trovi in presenza di abuso della qualità. Nel caso di abuso di qualità, cioè della posizione giuridica soggettiva che costituisce situazione riscontrabile tanto nel delitto di concussione quanto in quello di induzione indebita, il pubblico funzionario, per conseguire la dazione o promessa, fa leva sullo spessore della sua posizione soggettiva, senza alcun riferimento ad uno specifico atto del proprio servizio. L'abuso soggettivo, pertanto, rivelando indici di ambiguità, si presta ad una duplice plausibile lettura in quanto può porre una persona in condizione di pressoché totale soggezione, determinata dal timore di possibili ritorsioni antigiuridiche, ovvero può indurre il privato a dare o promettere l'indebito, per acquisire la benevolenza dell'agente, foriera di potenziali futuri favori. Elemento indefettibile della ricostruzione alla quale l'interprete è chiamato è dunque una indagine in chiave oggettiva della condotta dell'agente pubblico attraverso l'analisi di tutte le evidenze possibili e senza automatismi, ricostruzione dalla quale non può mancare sia l'analisi del registro comunicativo intercorso tra l'extraneus e l'intraneus, al fine di verificare l'idoneità causale dell'abuso ad incidere, per effetto della costrizione o dell'induzione, sulla volontà dell'extraneus che l'analisi della incidenza dell'agente pubblico sul processo volitivo del privato che, parimenti, va esaminato per accertare se il privato sia stato vittima della prevaricazione dell'agente pubblico o se, avendo un margine di scelta, e, quindi, potendo opporsi all'indebita richiesta, sia stato semplicemente indotto alla promessa o dazione. La Corte di merito, nella valutazione delle vicende oggetto di giudizio, non si è attenuta a tali criteri. 3.Secondo le sentenze di merito, con riferimento al delitto di concussione contestatogli al capo A , l'imputato, abusando della qualità di brigadiere dei Carabinieri e facendo valere il peso della sua posizione soggettiva , aveva costretto i fratelli A. , titolari di un panificio, a consegnargli prodotti da forno, del peso di svariati chilogrammi, senza corrispondere il relativo prezzo, a volte di centinaia di Euro e pagando, occasionalmente, la somma di dieci Euro, notevolmente inferiore al prezzo praticato al pubblico. Ai fini della condanna i giudici del merito hanno ritenuto acquisita la prova della colpevolezza dell'imputato valorizzando l'abuso di qualità dell'imputato, solito recarsi in orario notturno con l'auto di servizio e indossando la relativa divisa, presso il forno dei fratelli A. pretendendo con comportamento spavaldo e arrogante la consegna di prodotti da forno. Un contegno, si osserva in sentenza, idoneo ad integrare il delitto di concussione essendo state le vittime volontariamente intimidite mediante l'implicito riferimento alla propria posizione di pubblico ufficiale ed alle conseguenze negative, in caso di mancata adesione alle esorbitanti richieste di approvvigionamento. Rileva il Collegio che, a fronte di precise deduzioni difensive poste con i motivi di appello, la Corte territoriale si è limitata, al fine di ritenere sussistente la condotta costrittiva, la circostanza che l'imputato si presentasse presso il forno dei fratelli A. in divisa e con l'auto di servizio e che tenesse un comportamento spavaldo e arrogante , contegno, si osserva in sentenza, idoneo ad integrare il delitto di concussione essendo state le vittime volontariamente intimidite mediante l'implicito riferimento alla propria posizione di pubblico ufficiale ed alle conseguenze negative in caso di mancata adesione alle esorbitanti richieste di approvvigionamento. Non solo i delineati elementi descrittivi sono tipici del delitto di concussione e di quello di indebita induzione ma si tratta, all'evidenza, di una motivazione nella quale la valenza costrittiva neppure viene precisata attraverso il riferimento alle possibili conseguenze negative che ne sarebbero derivate ai fratelli A. e che costoro hanno, del tutto genericamente, ricondotto alla opportunità di ingraziarsi i favori dell'imputato per mettersi al riparo dal pericolo di controlli stradali, e possibili contravvenzioni, ai loro automezzi impegnati nelle consegne. La ricostruzione della condotta di concussione - quale delineata nella fattispecie di cui all'articolo 317 c.p. - esige la individuazione della condotta costrittiva, quindi di una minaccia, anche solo implicita, ma che non può consistere nel mero avvalersi, da parte dell'agente pubblico, della veste pubblica quale presentarsi, in divisa e con l'auto di servizio nelle ore notturne presso il forno degli A. , dove, evidentemente, non veniva effettuato alcun controllo pretestuoso o altro atto dell'ufficio pena la evaporazione del concetto stesso di costrizione, la minaccia non può non risolversi in un minimum di comportamenti minatori, esteriorizzati in concreto e che configurano un atteggiamento idoneo ad intimidire la vittima. La richiesta illegittima dell'agente pubblico - nel caso le forniture di prodotti da forno, per le quali l'imputato non corrispondeva il prezzo di acquisto - non è sufficiente ad integrare l'abuso costrittivo nè rileva lo status di timore autoindotto dei destinatari, intimiditi dalla posizione pubblica dell'agente e dalla mera possibilità dell'esercizio dei poteri pubblicistici dell'imputato nel corso di futuri e solo temuti controlli ai propri automezzi. 4.Con riferimento al delitto di tentata concussione di cui al capo D , i giudici di merito hanno ritenuto accertato che l'imputato, abusando della sua qualità e dei suoi poteri e, segnatamente, facendo valere il peso della sua qualifica soggettiva, aveva tentato di conseguire da I.A. , titolare di un'impresa di impiantistica, la esecuzione gratuita dei lavori di completamento dell'impianto di condizionamento e di realizzazione dell'impianto di allarme della propria abitazione, minacciando future ritorsioni in occasione di controlli su strada. Il giudizio di colpevolezza si fonda sulle dichiarazioni rese da I.A. che ha confermato come, a fronte della sua proposta di preparare un preventivo per il completamento dei lavori elettrici in corso nell'immobile e che gli erano stati commissionati dall'impresa che aveva costruito l'immobile, l'imputato gli aveva risposto che non era affatto interessato ad ottenere un preventivo e che l'imputato, dopo avergli chiesto se sapeva quale fosse il suo lavoro, aveva aggiunto che avrebbe potuto fargli passare un brutto quarto d'ora incontrandolo per strada. Tali circostanze erano state confermate sia dal colonnello dei carabinieri, G. , che da un amico dell'I. ai quali questi aveva raccontato il fatto e che ne aveva ricevuto conferma per bocca dell'imputato. Il delitto tentato, com'è noto, richiede che gli atti compiuti dall'agente siano idonei a realizzarlo e che essi siano diretti in modo non equivoco a tal fine. In applicazione di tali presupposti alla fattispecie della concussione, perché possa ritenersi sussistente un tentativo penalmente rilevante, occorre, allora, una specifica condotta costrittiva dell'agente pubblico, condotta che possieda un'efficacia psicologicamente motivante in presenza di un atto intimidatorio credibile e idoneo a costringere il soggetto passivo all'indebita promessa o dazione, così da far sorgere nel privato la previsione di una possibile o probabile estrinsecazione funzionale dei poteri del pubblico ufficiale dannosa per sé o per i suoi interessi. È necessario, cioè, un immediato e specifico nesso funzionale e teleologico tra la condotta del funzionario e quella che questi pretende dal privato e, per lui, produttiva di utilità. Premesso che anche la minaccia di un male indeterminato, che non deve necessariamente essere esplicita, può integrare il delitto di concussione Sez. 6, Sentenza numero 44720 del 6/11/2013, S., Rv. 257265 , la motivazione della sentenza impugnata si è esaurita nella descrizione di un atteggiamento minaccioso dell'imputato ma non ne ha verificato la credibilità e idoneità a costringere il soggetto passivo all'indebita dazione o promessa, e, quindi, l'efficacia psicologicamente motivante necessaria per ritenere integrato l'abuso soggettivo per effetto di una probabile o possibile estrinsecazione funzionale dei poteri del pubblico ufficiale dannosa per il privato che si trovava in una situazione di assoluta parità con il pubblico ufficiale, essendo stato incaricato dei lavori in corso da un soggetto terzo e rispetto alla posizione di mero eventuale cliente dell'imputato, e che nulla ha promesso o si è indotto a promettere essendosi limitato a completare i lavori in corso di esecuzione, e che, nel prosieguo, non ha subito accertamenti o controlli dell'imputato che fino a quel momento neppure conosceva. In tema di concussione e in presenza di cd abuso soggettivo, dunque nei casi di strumentalizzazione da parte dell'agente non di una sua attribuzione specifica bensì della propria qualifica soggettiva, cioè dei casi in cui, come nella presente vicenda, non venga in rilievo la correlazione con atti dell'ufficio o del servizio, l'analisi del giudice non può esaurirsi nella descrizione della condotta costrittiva ma deve verificarne la efficacia coartante esaminando il processo causale volitivo e il conseguente stato psicologico di costrizione del privato, valorizzando in tale attività ricostruttiva tutte le specificità del caso concreto e i rapporti pregressi e concomitanti tra agente pubblico e privato e fornendo di tale ricostruzione logica ed adeguata motivazione, operazione che la sentenza impugnata non ha compiuto e che deve essere effettuata dai giudici del rinvio. 5.Sono, invece, del tutto generici i motivi di ricorso che investono il giudizio di attendibilità delle dichiarazioni rese dai testi G. e D.M. , che convergono nella ricostruzione della condotta di cui al capo D con quelle del teste diretto e così la richiesta di comparazione tra la motivazione di condanna, pur inficiata dalle descritte carenze, e quella di assoluzione, per una distinta fattispecie di concussione ascritta all'imputato al capo B , rilievi che sono oggetto del motivo di ricorso sub 2.4. 6.Manifestamente infondato è anche il motivo di ricorso sulla misura dell'aumento di pena, che la Corte ha determinato in mesi due di reclusione per la continuazione interna al reato sub A e in mesi due di reclusione quella per la continuazione con il reato sub capo D , partendo dalla pena base di anni sei, diminuita ad anni quattro per le generiche e ad anni due e mesi otto di reclusione per l'attenuante di cui all'articolo 323 bis c.p., stante la omogeneità dei reati posti in continuazione e il modesto aumento di pena per la continuazione fra reati che non richiedeva specifica motivazione sul punto rispetto al complessivo giudizio di gravità del fatto posto a giustificazione della determinazione della pena base in misura non coincidente con il minimo edittale. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia.