Scoppia la coppia, casa da dividere: necessario tenere conto del maggiore contributo economico offerto da uno dei partner

Casa assegnata all’uomo, che deve versare un conguaglio alla ex compagna. Necessario però valutare con attenzione il maggiore esborso economico da lui sostenuto per l’acquisto dell’immobile. Impossibile, difatti, catalogarlo automaticamente, alla luce della relazione e della convivenza, come gesto di generosità verso la ex partner.

Il legame sentimentale e la convivenza non possono bastare per catalogare come galante gesto di generosità i maggiori versamenti effettuati dall'uomo, a fronte di quanto sborsato dalla compagna, nell'operazione di acquisto di una casa. Perciò, una volta scoppiata la coppia e attribuito l'appartamento all'uomo, nel calcolo del conguaglio che egli dovrà versare alla ex partner bisognerà tenere conto anche del maggiore apporto economico da lui fornito per l'operazione immobiliare Cass. civ., sez. II, 14 luglio 2021, numero 20062 . Terreno di scontro è l'immobile acquistato dalla coppia, facendo ricorso ad un mutuo, prima della rottura. In Tribunale la questione della « divisione dell'immobile comune » viene risolta così la casa andrà all'uomo «dietro pagamento» alla donna di «un conguaglio determinato tenendo conto del mutuo gravante su entrambi come comproprietari ». In Appello però la donna ottiene una ulteriore soddisfazione economica difatti, i Giudici «modificano il valore del bene e la misura del conguaglio, adottando un diverso criterio di conteggio del mutuo residuo». Respinta, invece, la richiesta avanzata dall'uomo e mirata a «una rideterminazione delle quote » tenendo conto del «maggiore apporto da lui fornito per l'acquisto». Su questo fronte, in particolare, i Giudici di secondo grado spiegano che «l'acquisizione dell'immobile è avvenuta per quote indivise e paritarie », e, quindi, «in assenza di elementi contrari dichiarazione delle parti nell'atto di acquisto al momento della stipula, del pagamento delle rate, etc. si deve presumere che, quand'anche si ritenesse che gli oneri dell'acquisto anticipi e rate di mutuo, quantomeno sino al termine della convivenza siano stati sostenuti in modo maggiore da uno degli acquirenti, per la parte eccedente la sua quota essi siano stati compiuti a titolo di liberalità nei confronti della co-acquirente, intento liberale che trova giustificazione nella stessa situazione di convivenza more uxorio , in questo caso ». La visione tracciata in Appello viene fortemente contestata dall'uomo, che pone in evidenza anche in Cassazione «il maggiore esborso » da lui sostenuto, ritenendo ciò sufficiente per «superare la presunzione di parità delle quote» nell'acquisto della casa. I magistrati però ribattono che « la presunzione di parità delle quote dei partecipanti alla comunione opera solo in difetto di indicazione del titolo », mentre in questa vicenda «si assume che l'acquisto dell'immobile, oggetto di divisione, è avvenuto per quote indivise e paritarie» e «n forza di tale espressa previsione del titolo, la comunione è a parti uguali , qualunque sia stata la misura del rispettivo esborso». Di conseguenza, «in presenza di una simile precisazione del titolo, quand'anche dal negozio risultasse che uno dei partecipanti ha sborsato una somma maggiore, chi ha pagato di più avrebbe soltanto un diritto di credito verso gli altri comproprietari». A cogliere nel segno, invece, è l'ulteriore osservazione proposta dall'uomo e mirata a mettere in discussione la validità della tesi secondo cui «nel maggiore apporto da lui fornito all'acquisto dell'immobile» va visto «l' adempimento di una obbligazione naturale ». Su questo tema i Giudici della Cassazione danno ragione all'uomo. In Appello «è stato negato il rimborso, supponendo che il maggiore apporto all'acquisto fosse stato fatto a titolo di liberalità da un convivente in favore dell'altro». Ma, osservano dalla Cassazione, non si è considerato che « l' animus donandi deve essere provato ». Certo, aggiungono i magistrati di terzo grado, «la prova può essere data per presunzioni , ma deve trattarsi di presunzioni serie, in base a un rigoroso esame di tutte le circostanze del singolo caso», mentre, invece, in questa vicenda i Giudici d'Appello «hanno ritenuto la convivenza , per sé stessa, quale elemento idoneo a giustificare il maggiore apporto dell'uomo per spirito di liberalità ». E in conseguenza di tale sbrigativo approccio si è finito per ritenere «superflua a priori una verifica» sul «maggiore apporto» offerto dall'uomo «al momento dell'acquisto e persino al momento del pagamento delle rate di mutuo». In questo quadro si inserisce il riferimento alla cosiddetta « obbligazione solidale che, se non risulta diversamente, si divide nei rapporti interni fra condebitori in parti eguali ». Ciò significa che « il coobbligato che abbia pagato l'intero, è titolare , salvo prova contraria a carico dell'altro condebitore, del diritto di ripetere da quest'ultimo la metà di quanto pagato al comune creditore ». Tirando le somme, riprende vigore la richiesta avanzata dall'uomo e su cui dovranno ora soffermarsi i Giudici d'Appello, tenendo presenti le indicazioni fornite dai magistrati della Cassazione.

Presidente Gorjan – Relatore Tedesco Fatti di causa Nella presente causa si discute della divisione di un immobile comune fra gli ex conviventi C.G. e R.R., attribuito dal giudice di primo grado al C., dietro pagamento del conguaglio, determinato tenuto conto del mutuo gravante su ambedue i comproprietari. La Corte d'appello di Milano, adita dalla R., ha modificato il valore del bene e la misura del conguaglio, adottando un diverso criterio di conteggio del mutuo residuo. La corte di merito ha rigettato il motivo di appello incidentale, con il quale il C. pretendeva che, nella determinazione delle quote, si tenesse conto del diverso e maggiore apporto da lui fornito per l'acquisto. La corte d'appello ha così argomentato Invero l'acquisto è avvenuto per quota indivise e paritarie cfr. sentenza impugnata nel corso della lunga convivenza tra le parti pertanto, in assenza di elementi contrari dichiarazione delle parti nell'atto di acquisto al momento della stipula, del pagamento delle rate, etc. si deve presumere che, quand'anche si ritenesse che gli oneri dell'acquisto anticipi e rate di mutuo, quantomeno sino al termine della convivenza siano stati sostenuti in modo maggiore da uno degli acquirenti, per la parte eccedente la sua quota siano stati compiuti a titolo di liberalità nei confronti della co-acquirente, intento liberale che trova giustificazione nella stessa situazione di convivenza in tal caso, more uxorio, della R. . Per la cassazione della sentenza C.G. ha proposto ricorso affidato a due motivi. R.R. è rimasta intimata. Ragioni della decisione Con il primo motivo, proposto in relazione all' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 3, si sostiene che era stata acquisita la prova del maggiore esborso sostenuto dal ricorrente per l'acquisto, idonea a superare la presunzione di parità delle quote stabilita dall' articolo 1298 c.c. , in tema di solidarietà passiva. Il motivo è infondato. In primo luogo, si deve rilevare l'improprietà del riferimento normativo all' articolo 1298 c.c. . La presunzione che viene in considerazione è quella posta dall' articolo 1101 c.c. . A sua volta tale presunzione, di parità delle quote dei partecipanti alla comunione, opera solo in difetto di indicazione del titolo. Nella sentenza impugnata ai assume che l'acquisto dell'immobile, oggetto di divisione, era avvenuto per quota indivise e paritarie. In forza di tale espressa previsione del titolo, il cui richiamo da parte della corte d'appello non ha costituito oggetto di censura, la comunione è a parti uguali, qualunque sia stata la misura del rispettivo esborso. In presenza di un una simile precisazione del titolo, quand'anche dal negozio risultasse dal negozio che uno dei partecipanti ha sborsato una somma maggiore, chi ha pagato di più avrebbe soltanto un diritto di credito verso gli altri. Il secondo motivo, proposto in relazione all' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 3, propone due diverse censure. Con la prima si sostiene che la Corte d'appello non ha considerato che la liberalità, qualora sussistente, richiedeva la forma scritta. La censura è infondata. Lo stesso ricorrente riconosce che il denaro utilizzato per l'acquisto e quanto occorrente per il pagamento delle rate di mutuo non fu dato al coniuge, ma al creditore quindi la fattispecie in ipotesi riscontrabile sarebbe quella dell'adempimento del terzo fatto per spirito di liberalità. Si avrebbe quindi, secondo la stessa prospettazione di parte, una donazione indiretta posta in essere con un negozio per il quale non si richiede la forma scritta Cass. numero 14197/2013 numero 5333/2004 . Con la seconda censura si rimprovera alla Corte d'appello di avere erroneamente ravvisato, nel maggiore apporto fornito dall'attuale ricorrente all'acquisto dell'immobile, l'adempimento di una obbligazione naturale. La censura è fondata anche se per una ragione non perfettamente coincidente con quella indicata nel ricorso. La corte d'appello non ha ravvisato l'esistenza di una obbligazione naturale cfr. Cass. numero 14732/2018 , ma ha negato il rimborso, supponendo che il maggiore apporto all'acquisto fosse stato fatto a titolo di liberalità di un convivente in favore dell'altro. La Corte d'appello, però, non ha considerato che l'animus donandi deve essere provato. Si può ammettere che la prova possa essere data per presunzioni, ma deve trattarsi di presunzioni serie , in base a un rigoroso esame di tutte le circostanze del singolo caso Cass. numero 9379/2020 . In contrasto con tale necessità, la corte milanese ha ritenuto la convivenza, per sé stessa, quale elemento idoneo a giustificare il maggiore apporto per spirito di liberalità. In conseguenza di tale sbrigativo approccio ha finito per ritenere a priori superflua la verifica dei fatti dedotti, e cioè del maggiore apporto al momento dell'acquisto e persino del pagamento delle rate di mutuo. E tornano qui appropriati la pluralità dei riferimenti, operati nel ricorso, ai principi in tema di solidarietà passiva. Infatti, l'obbligazione solidale, se non risulta diversamente, si divide nei rapporti interni fra condebitori in parti eguali pertanto, il coobbligato che abbia pagato l'intero, è titolare, salvo prova contraria a carico dell'altro condebitore, del diritto di ripetere da quest'ultimo la meta di quanto pagato al comune creditore Cass. numero 188/1966 . Conclusivamente, è infondato il primo motivo, è fondato, nei limiti di cui sopra, il secondo motivo. La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano, che provvederà a nuovo esame attenendosi a quanto sopra. La corte di rinvio liquiderà le spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. rigetta il primo motivo accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il secondo motivo cassa la sentenza in relazione al motivo accolto rinvia ad altra sezione della Corte d'appello di Milano anche per le spese.