Contestazione «in fatto» della circostanza aggravante in caso di furto di cose destinate a pubblico servizio

In tema di furto, non può ritenersi legittimamente contestata la fattispecie aggravata di cui all’articolo 625, comma 1, numero 7, c.p., configurata dall’essere le cose oggetto di furto destinate a pubblico servizio, qualora nel capo di imputazione non sia esposta esplicitamente tale natura dei beni sottratti, o direttamente, o mediante l’impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l’indicazione della relativa norma, in quanto detta aggravante implica necessariamente l’esercizio di un’opzione valutativa che si radica su elementi di fatto, ma impone una verifica di ordine giuridico sui caratteri della res e, quindi, sulla sua specifica destinazione.

La Corte d'Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rideterminava la pena nei confronti dell'imputato in relazione al reato di furto aggravato, avente ad oggetto cavi elettrici dell'illuminazione pubblica e, dunque, cose destinate al pubblico servizio. L'imputato ricorre in Cassazione, lamentandosi, tra i vari motivi, del fatto che la Corte d'Appello avesse ritenuto sussistente l'aggravante di cui all'articolo 625, comma 1, numero 7, c.p., e che tale circostanza non fosse mai stata contestata formalmente, nonostante si tratti di una circostanza a contenuto valutativo. Il ricorso è fondato. La Corte di Cassazione, infatti, afferma che in tema di furto, non può ritenersi legittimamente contestata la fattispecie aggravata di cui all'articolo 625, comma 1, numero 7, c.p., configurata dall'essere le cose oggetto di furto destinate a pubblico servizio, qualora nel capo di imputazione non sia esposta esplicitamente tale natura dei beni sottratti, o direttamente, o mediante l'impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l'indicazione della relativa norma, in quanto detta aggravante implica necessariamente l'esercizio di un'opzione valutativa che si radica su elementi di fatto, ma impone una verifica di ordine giuridico sui caratteri della res e, quindi, sulla sua specifica destinazione. Sul punto, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno già avuto modo di affermare che «la mera indicazione dell'atto, in relazione al quale la condotta di falso è contestata, non è sufficiente al fine di ritenere adeguatamente garantita la necessità che l'imputato conosca compiutamente l'imputazione elevata nei suoi confronti» Cass. penumero , Sez. Unumero , 19 aprile 2019, numero 24906 . Risulta evidente, pertanto, come nel caso di specie siano risultate fortemente affievolite le garanzie per l'esercizio dei diritti di difesa che fondano la necessità di un'adeguata e corretta esplicitazione nell'imputazione di qualsiasi aggravante. Per questi motivi, la Corte di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata.

Presidente Zaza - Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. Con la decisione in epigrafe, la Corte d'Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Palermo del 26.4.2018, emessa con rito abbreviato, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di S.S. e St.Ma.Anumero per i reati di porto senza licenza di armi da taglio capi b e c dell'imputazione, aventi ad oggetto taglierini a scorrimento , dichiarandone la prescrizione, ed ha rideterminato la pena nei confronti di entrambi, quanto al reato di furto aggravato, avente ad oggetto cavi elettrici dell'illuminazione pubblica e, dunque, cose destinate a pubblico servizio così riqualificata, già all'esito del giudizio di primo grado, l'imputazione di ricettazione inizialmente loro contestata al capo A - riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla citata aggravante. La misura della sanzione finale inflitta si è così attestata in mesi tre, giorni dieci di reclusione ed Euro 100 di multa. S. , insieme ad altro complice, era stato arrestato in flagranza St. era stato individuato come concorrente solo in un momento successivo. 2. Ha proposto ricorso l'imputato S. , tramite il difensore, avv. Gallo, deducendo due distinti motivi. 2.1. Con il primo si duole della violazione di legge riferita all'articolo 521 c.p.p. e articolo 648 e 624 c.p., articolo 625 c.p., comma 1, numero 7, che sarebbe stata determinata dalla violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata inizialmente e sentenza si censura, altresì, vizio di motivazione avuto riguardo agli stessi aspetti di mutamento della qualificazione giuridica del fatto. La tesi del ricorrente è che la Corte d'Appello abbia errato nell'avallare la riqualificazione dei fatti ascritti all'imputato, compiuta in primo grado, nel reato di furto aggravato ai sensi dell'articolo 625 c.p., comma 1, numero 7, a fronte dell'originaria contestazione di ricettazione. Una simile operazione, giustificata sotto il profilo della corrispondenza tra accusa e sentenza e della mancata lesione del diritto di difesa con l'argomento che la diversa configurazione giuridica fosse stata richiesta dallo stesso imputato, è violativa dell'articolo 521 c.p.p., per come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità. Inoltre, la difesa evidenzia anche l'illegittimità della ritenuta sussistenza dell'aggravante suddetta, nella specie selezionata dal provvedimento impugnato nell'aver perpetrato il furto su cosa destinata a pubblica utilità, mai contestata formalmente, nonostante si tratti di circostanza a contenuto valutativo, secondo le indicazioni delle Sezioni Unite da ultimo stabilite con la pronuncia Sez. U, numero 24906 del 19/4/2019, Sorge, Rv. 275436. 2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione manifestamente illogica per non avere la Corte aderito quantomeno alla richiesta di riqualificazione della condotta nel reato di furto solo tentato, travisando la prova costituita dalle denunce dell'amministratore e del tecnico della società concessionaria del servizio pubblico di illuminazione, dalla consistenza e provenienza dei cavi elettrici nonché la ricostruzione della condotta degli imputati come di impossessamento, laddove, invece, alcuna signoria autonoma sulle cose sottratte era stata raggiunta. 3. Il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto, con requisitoria scritta, l'inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è parzialmente fondato, quanto al motivo riferito alla ritenuta sussistenza dell'aggravante prevista dall'articolo 625 c.p., comma 1, numero 7, mentre è inammissibile nel resto. 2. La riqualificazione del fatto da ricettazione in furto è stata legittimamente disposta dal Tribunale, che ha valutato tale possibilità coerente con gli obblighi del rispetto dei diritti di difesa dell'imputato, in un contesto processuale, peraltro, in cui essa stessa aveva concluso nel senso di detta riqualificazione. Del resto, costituisce orientamento non controverso sostenere che, in caso di riqualificazione del fatto da furto in ricettazione o viceversa, non sussista violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza nel caso in cui nel capo di imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l'imputato in condizioni di difendersi dal fatto poi ritenuto in sentenza Sez. 5, numero 36157 del 30/4/2019, Gugliotta, Rv. 277403 . Nel caso di specie, certa la contestualizzazione di fatto del reato riqualificato, l'assenza di qualsivoglia lesione delle prerogative difensive - che costituisce la finalità ultima dell'esigenza di garantire costantemente la correlazione tra accusa e sentenza - è resa icasticamente evidente dall'aver la difesa concluso proprio nel senso della riqualificazione poi statuita e tale circostanza è stata evidenziata dalla motivazione della sentenza d'appello. L'imputato, peraltro, ha avuto modo di contestare l'asserita violazione del principio generale suddetto in occasione sia del giudizio d'appello che di quello di cassazione e ciò consente di escludere qualsiasi compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, anche alla luce dei principi affermati dalla Corte EDU nella sentenza 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia cfr. sul tema Sez. 6, numero 422 del 19/11/2019, dep. 2020, Petittoni, Rv. 278093 in una fattispecie in cui questa Corte ha messo in risalto l'importanza della sollecitazione sulla diversa qualificazione giuridica che era già emersa nel processo attraverso i motivi di impugnazione del pubblico ministero analogamente, pertanto, è possibile argomentare nel caso in esame, in cui la sollecitazione proveniva dalla stessa difesa dell'imputato . 2.1. Deduce, invece, una censura fondata il ricorrente, quando evidenzia che non poteva essergli ascritta, e, conseguentemente, non poteva essere ritenuta, l'aggravante dell'aver perpetrato il furto su cosa destinata a pubblico servizio, prevista dall'articolo 625 c.p., comma 1, numero 7, mai contestata formalmente, così come invece richiesto necessariamente, per le circostanze aggravanti a contenuto valutativo , dalle Sezioni Unite, con la pronuncia Sez. U, numero 24906 del 19/4/2019, Sorge, Rv. 275436. L'aggravante è stata ritenuta equivalente alle attenuanti generiche dalla sentenza di primo grado, poi confermata in appello ed il provvedimento impugnato si esprime esplicitamente nel senso di ritenere l'aggravante configurabile poiché contestata in fatto nella formulazione del capo d'accusa così pag. 3 della decisione di secondo grado . Orbene, il massimo collegio di legittimità, nella citata sentenza Sorge ed esprimendosi in tema di falso in atto pubblico, ha affermato che non può ritenersi legittimamente contestata, sì che non può essere ritenuta in sentenza dal giudice, la fattispecie aggravata di cui all'articolo 476 c.p., comma 2, qualora nel capo d'imputazione non sia esposta la natura fidefacente dell'atto, o direttamente, o mediante l'impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l'indicazione della relativa norma. Le Sezioni unite hanno escluso che la mera indicazione dell'atto, in relazione al quale la condotta di falso è contestata, sia sufficiente al fine di ritenere adeguatamente garantita la necessità che l'imputato conosca compiutamente dell'imputazione elevata nei suoi confronti, in quanto l'attribuzione ad esso della qualità di documento fidefacente costituisce il risultato di una valutazione. La sentenza Sorge ha, altresì, chiarito che la necessaria contestazione formale di un aggravante a contenuto valutativo deriva dalla considerazione del diritto dell'imputato a vedersi correttamente contestato il fatto di reato e le sue circostanze - e non attiene alla questione della diversa qualificazione giuridica del fatto -, desumibile dal sistema processuale penale interno e dai principi dettati dalla stessa Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo che, all'articolo 6, comma 3, lett. a , dispone che ogni accusato ha diritto soprattutto ad essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico , da cui deriva la necessità, perché l'esercizio dei diritti di difesa possa dirsi pienamente garantito, che la natura fidefacente dell'atto, oggetto del falso, sia adeguatamente e correttamente esplicitata nell'imputazione. I principi dettati dalle Sezioni Unite devono essere calati nella fattispecie odierna, che vede la contestazione di un'aggravante sì differente da quella prevista dall'articolo 476 c.p., comma 2, ma comunque omogenea nella natura valutativa che la caratterizza. Invero, la considerazione circa l'essere le cose oggetto di furto destinate a pubblico servizio implica necessariamente l'esercizio di un'opzione valutativa che si radica su elementi di fatto, ma impone una verifica di ordine giuridico sulla natura della res e, appunto, sulla sua specifica destinazione. Inoltre, data la tipologia dei beni sottratti - cavi elettrici, con le loro guaine di copertura, rimossi da due tratti della pubblica illuminazione cittadina di Palermo - avrebbe potuto crearsi anche incertezza sulla tipologia di aggravante ipotizzabile come contestata in fatto , potendo eventualmente ritenersi anche l'esposizione alla pubblica fede, egualmente prevista dalla disposizione di cui al numero 7 dell'articolo 625, comma 1 equivoco che, infatti, si è verificato, come dimostra la sentenza impugnata che ha dovuto segnalare, in risposta allo specifico motivo formulato dal ricorrente, che non erano state ritenute sussistenti, e contestate in fatto, entrambe le aggravanti ma soltanto quella della destinazione delle cose a pubblico servizio. Ulteriore fattore di complicazione è rappresentato dalla compresenza, all'interno della disposizione normativa di cui all'articolo 625, di due diverse ipotesi di aggravanti, quelle previste dal numero 7 e dal numero 7-bis, che già questa Corte regolatrice ha ritenuto legate da rapporto di specialità, entrambe, in astratto, ipotizzabili in un'ipotesi come quella di specie, verificate e valutate le condizioni di configurabilità richieste sul tema dell'aggravante di cui all'articolo 625, numero 7-bis cfr. Sez. 5, numero 40027 del 18/6/2019, Menestrina, Rv. 277602 . Di recente è stato chiarito, infatti, che la disposizione di cui all'articolo 625, numero 7, configura plurime fattispecie, che, per consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, possono concorrere tra loro, essendo in grado di integrare autonomamente l'aggravante configurata ex multis Sez. 4, numero 16894 del 22/01/2004, P.M. in proc. Tassone ed altro, Rv. 228570 e che, tra le diverse ipotesi contemplate dalla norma, vi sono sia quella dell'esposizione della cosa alla pubblica fede, che quella della sua destinazione a pubblico servizio o a pubblica utilità. Ebbene, il numero 7-bis dello stesso articolo non prevede che le specifiche componenti o i materiali ivi descritti siano esposti alla pubblica fede, ma solo che gli stessi vantino un preciso vincolo di destinazione all'erogazione di un servizio pubblico. Si è, pertanto, ritenuto che, in caso di sottrazione delle cose descritte nel numero 7-bis, qualora le stesse siano state esposte alla pubblica fede ed al contempo destinate all'erogazione di un servizio pubblico nel senso che fanno parte di un'infrastruttura effettivamente destinata a tale funzione , è configurabile, sotto il primo profilo, l'aggravante di cui al numero 7 e, sotto il secondo, quella di cui alla successiva disposizione, che risulta speciale con riguardo all'autonoma ipotesi caratterizzata dal vincolo di destinazione pure prevista dal citato numero 7 in ragione della peculiarità dell'oggetto materiale del reato cfr. Sez. 5, numero 8002 del 13/1/2021, Livera, Rv. 280744 , sicché non può concorrere con essa a differenza di quella prevista dal numero 7 . Dunque, la contestazione specifica, nel caso di specie, emerge come ancor più necessaria per individuare quale contenuto di fatto e valutativo intendesse ritenere l'imputazione come fattore di aggravamento del disvalore penale di cui è rappresentativo il reato, alla luce della prova in atti. Risulta evidente, pertanto, come, in concreto, siano risultate fortemente affievolite le garanzie per l'esercizio dei diritti di difesa che fondano la necessità di un'adeguata e corretta esplicitazione nell'imputazione di qualsiasi aggravante che comporti una valutazione da parte dell'autorità giudiziaria. Nè può ricorrersi, nel caso di specie, alla variabile del consenso prestato dall'imputato alla riqualificazione, poiché la richiesta della difesa, avanzata in tal senso in primo grado, era diretta alla rimodulazione giuridica della condotta nella fattispecie di furto semplice e non già di furto aggravato nei termini anzidetti. In conclusione, deve affermarsi che, in tema di furto, non può ritenersi legittimamente contestata, sì che non può essere ritenuta in sentenza dal giudice, la fattispecie aggravata di cui all'articolo 625 c.p., comma 1, numero 7, configurata dall'essere le cose oggetto di furto destinate a pubblico servizio, qualora nel capo d'imputazione non sia esposta esplicitamente tale natura dei beni sottratti o direttamente, o mediante l'impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l'indicazione della relativa norma, poiché detta aggravante implica necessariamente l'esercizio di un'opzione valutativa che si radica su elementi di fatto, ma impone una verifica di ordine giuridico sui caratteri della res e, appunto, sulla sua specifica destinazione. 2.2. Generico e manifestamente infondato è, infine, il secondo motivo di ricorso, dedicato ad ipotizzare la fattispecie tentata piuttosto che consumata a carico del ricorrente. La tesi difensiva sembra essere, data la poca chiarezza espositiva del motivo, che i cavi elettrici dei quali è stato trovato in possesso l'imputato non fossero gli stessi sottratti dall'illuminazione pubblica. La censura, dedotta con non brillante coerenza argomentativa, in realtà non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata che ha chiarito l'infondatezza in fatto delle ragioni del ricorrente i cavi elettrici sottratti non provenivano da impianti presenti nel luogo in cui i concorrenti nel reato sono stati sorpresi dalla polizia - un arengo condominiale in via XXXXX -, bensì da impianti di due diversi tratti di strade pubbliche comunali, sicché è evidente che, al momento del fermo, essi avevano conseguito piena signoria sulle cose sottratte, di talché non è possibile ragionare in termini di tentativo ma di delitto consumato cfr. Sez. U, numero 52117 del 17/7/2014, Prevete, Rv. 261186 Sez. 5, numero 48880 del 17/9/2018, S., Rv. 274016 . 3. All'esito dell'analisi sin qui condotta, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla parte in cui ha ritenuto sussistente l'aggravante prevista dall'articolo 625 c.p., comma 1, numero 7, la cui quota sanzionatoria deve essere eliminata. Si può procedere direttamente, ai sensi dell'articolo 620 c.p.p., comma 1, lett. I , alla rideterminazione della pena, riducendo di un terzo la sanzione base per effetto delle generiche che erano state riconosciute equivalenti all'aggravante eliminata e di un ulteriore terzo, in adesione al rito la pena base in primo grado era stata indicata in mesi 5 di reclusione ed Euro 150 di multa . Di conseguenza, la pena finale deve essere rimodulata in mesi due e giorni sette di reclusione, nonché Euro 67 di multa. Il ricorso deve essere, infine, dichiarato inammissibile nel resto. P.Q.M. Esclusa la ritenuta aggravante di cui all'articolo 625 c.p., numero 7, annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente al trattamento sanzionatorio, che ridetermina in mesi due e giorni sette di reclusione ed Euro 67 di multa. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.