Procedura di ripresa in carico e impugnazione

In tema di protezione internazionale, il ricorso effettivo previsto dall’articolo 27, par. 1, del Regolamento 604/2013, avverso una decisione di trasferimento adottata nei confronti del richiedente asilo all’esito di una richiesta di “ripresa in carico”, può investire anche il rispetto dei termini indicati dall’articolo 23, par. 2 del medesimo Regolamento, concernendo un siffatto accertamento la verifica della sua corretta applicazione. In tali ipotesi, spetta al tribunale ex articolo 3, comma 3-bis, del d.lgs. numero 25/2008, verificare se, per come concretamente motivato, il provvedimento rechi, o non, gli elementi e/o i riferimenti essenziali al fine di riscontrare la tempestività della menzionata richiesta in rapporto ai termini predetti.

Un cittadino straniero impugnava il provvedimento con cui l'Unità di Dublino presso il Ministero dell'Interno aveva disposto la “ripresa in carico” ai sensi dell'articolo 23 Regolamento UE numero 604/2013 c.d. Regolamento “Dublino” con trasferimento in Germania. Per quanto qui d'interesse, lo straniero invocava la nullità del provvedimento per mancanza di un elemento essenziale nella motivazione. La richiesta di ripresa in carico rivolta dalla Germania avrebbe infatti dovuto essere mandata entro 2 mesi dal ricevimento dei riscontri forniti dal sistema Eurodac, ma tale data non era stata indicata nel provvedimento, pur costituendone elemento essenziale. Il Tribunale ha respinto la richiesta, la questione è dunque dinanzi alla Corte di Cassazione. Con l'ordinanza numero 19518/21, depositata l'8 luglio, il Collegio ha affermato che «in tema di protezione internazionale, il ricorso effettivo previsto dall'articolo 27, par. 1, del Regolamento 604/2013, avverso una decisione di trasferimento adottata nei confronti del richiedente asilo all'esito di una richiesta di “ripresa in carico”, può investire anche il rispetto dei termini indicati dall'articolo 23, par. 2 del medesimo Regolamento, concernendo un siffatto accertamento la verifica della sua corretta applicazione. In tali ipotesi, spetta al tribunale ex articolo 3, comma 3-bis, del d.lgs. numero 25/2008, verificare se, per come concretamente motivato, il provvedimento rechi, o non, gli elementi e/o i riferimenti essenziali al fine di riscontrare la tempestività della menzionata richiesta in rapporto ai termini predetti». Il ricorso è stato dunque dichiarato inammissibile.

Presidente Genovese – Relatore Campese Fatti di causa 1. Con ricorso tempestivamente depositato il 31 marzo 2018 presso il Tribunale di Roma, M.I., nativo del Pakistan, impugnò il provvedimento, emesso il 20 febbraio 2018 e notificatogli il 2 marzo 2018, con cui l'Unità Dublino costituita presso il Ministero dell'Interno, Dipartimento per le libertà civili e per l'Immigrazione, Direzione Centrale dei Servizi civili per l'immigrazione e l'asilo per il prosieguo, breviter, Unità Dublino , ne aveva disposto la ripresa in carico , ex articolo 23 del Reg. UE numero 604/2013 cd. Regolamento Dublino , concernente i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide . D'ora in avanti, più semplicemente Regolamento , ed il trasferimento in Germania, Stato membro competente ai sensi dell'articolo 18 del medesimo regolamento, che, il precedente 19 febbraio 2018, aveva comunicato di accettare la relativa richiesta. Chiese, previa istanza cautelare di sospensione dell'esecuzione i in via pregiudiziale, accogliersi la sollevata eccezione di incompetenza territoriale, per violazione del D.L. numero 13 del 2017, articolo 4, comma 3, convertito, con modificazioni, dalla L. numero 46 del 2017 , essendo egli ospitato in un appartamento del Comune di Grottazzolina FM , fornito dall'Associazione G.U.S. avente sede nel Comune di Macerata dichiararsi la nullità del provvedimento impugnato per la mancanza di un elemento essenziale nella sua motivazione, sostenendo che, nel caso di specie, la richiesta di ripresa in carico rivolta dallo Stato italiano alla Germania risultava chiaramente basata sui riscontri forniti dal sistema Eurodac posto che in detto provvedimento era affermato che l'interessato ha presentato in Germania, in data 24.5.2016, analoga istanza, come risulta da riscontro delle impronte digitali nel sistema Eurodac , sicché avrebbe dovuto essere presentata entro due mesi dal ricevimento della risposta pertinente Eurodac, ai sensi dell'articolo 9, parag. 5, del Reg. UE numero 603/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio. Dunque, l'indicazione della data di ricevimento di detta risposta costituiva un elemento essenziale del provvedimento in quanto proprio da tale data sarebbe risultato possibile verificare il rispetto del termine di legge di due mesi posto dall'articolo 23 del Regolamento in funzione della presentazione della domanda di ripresa in carico la violazione del D.L. 17 febbraio 2017, articolo 4, comma 3, articolo 4 del Regolamento e L. numero 241 del 1990, articolo 7, comma 1. 1.1. Disposta la sospensione del provvedimento impugnato, e costituitosi il Ministero dell'Interno, l'adito tribunale dichiarò la propria incompetenza territoriale a conoscere della controversia, indicando come competente il Tribunale di Ancona. 1.2. Quest'ultimo, innanzi al quale il M. ha riassunto il giudizio insistendo nella originaria richiesta di annullamento, con decreto del 17 aprile 2019, notificato il successivo 30 aprile, ha respinto il ricorso. 1.2.1. Per quanto qui di residuo interesse, quel tribunale ha così opinato quanto al secondo motivo di ricorso relativo alla violazione dell'articolo 23 del regolamento citato il riferimento è al Regolamento UE numero 604/2013. Ndr , si osserva che il rispetto di detto termine previsto per la presentazione di una richiesta di ripresa in carico non può essere invocato dal ricorrente, trattandosi di un termine previsto nell'interesse dello Stato ricevente, il quale ne potrebbe eccepire la scadenza. Premesso, infatti, che il ricorrente non può scegliere in quale Stato presentare la domanda di protezione e quale Stato la debba esaminare, è del tutto evidente che l'articolo in argomento ha il solo fine di disciplinare eventuali conflitti tra Stati membri e che il decorso del termine può essere eccepito solo dallo Stato ricevente e non dal ricorrente, al solo fine di radicare la competenza in capo allo Stato in cui la nuova domanda di protezione è stata presentata v. articolo 23, terzo paragrafo, reg. cit. . Lo Stato che ha chiesto il trasferimento potrebbe eccepire che il termine non è decorso oppure che si verte in un'ipotesi di proroga dello stesso, oppure lo Stato ricevente - in applicazione della clausola di sovranità di cui all'articolo 17 Reg. UE - potrebbe comunque rinunziare ad eccepire il decorso del termine e ritenersi competente a decidere la domanda in conformità alla richiesta dell'altro Stato. Il ricorrente potrebbe avere un'astratta legittimazione ad interloquire sul decorso o meno del termine in questione solo nell'ipotesi in cui possa far valere una situazione giuridica od un fatto che gli è riferibile ad esempio, a fronte della richiesta di proroga del termine fino ad un anno in caso di fuga articolo 29, comma 2, reg. cit. , il ricorrente potrebbe sostenere e dimostrare che non è fuggito e che pertanto si deve applicare il termine ordinario oppure potrebbe opporsi alla proroga dello stesso termine facendo valere l'ingiustizia dello stato detentivo che, a norma dello stesso articolo 29, comma 2, cit., è un'ulteriore ed autonoma ipotesi di proroga del termine. In tal senso deve essere interpretata la sentenza della Corte di Giustizia Europea Grande Sezione del 26 luglio 2017 che ha illustrato l'ampiezza delle garanzie che devono essere riconosciute al richiedente asilo, anche in tema di competenza a decidere la sua domanda, e tra queste ha fatto specifico riferimento al termine previsto dall'articolo 21 del reg. cit. e, solo con riferimento ad esso, ha sostenuto che il richiedente asilo deve avere la possibilità di invocare la scadenza del termine e ciò anche se lo Stato membro richiesto è disposto a prendere in carico il richiedente. E' evidente che il termine di cui all'articolo 21, primo paragrafo, non può essere confuso, con quello qui in esame, atteso che il termine perentorio previsto nell'articolo 21 presiede al più celere avvio della procedura di esame della domanda, mentre l'articolo in esame disciplina solo le modalità pratiche del trasferimento e presuppone che tutti i restanti termini perentori siano stati rispettati . 2. Avverso questo provvedimento ricorre per cassazione il M., affidandosi ad un motivo. Il Ministero dell'Interno è rimasto solo intimato. Ragioni della decisione 1. Il formulato motivo, rubricato Violazione ed errata applicazione delle seguenti norme di legge articolo 23 e 27 del Regolamento UE numero 604 del 2013 , censura la decisione impugnata per avere erroneamente ritenuto la non invocabilità, da parte del richiedente protezione, dei termini inderogabili previsti dalla procedura di ripresa in carico , non applicando i criteri ed i principi espressi dalla pur richiamata sentenza della Corte di Giustizia Europea Grande Sezione del 26 luglio 2017. Si assume, in particolare cfr. pag. 6-8 del ricorso , che i anzitutto, la Corte Europea, nella citata sentenza, rammenta che l'articolo 27 del regolamento attribuisce ad ogni richiedente il diritto ad un ricorso effettivo contro una decisione di trasferimento o ad una revisione della stessa in fatto e in diritto davanti ad un organo giurisdizionale. Richiamando la giurisprudenza Ghezelbash, la Corte aggiunge che, per assicurare la conformità agli standards del diritto internazionale, il controllo giurisdizionale del giudice del ricorso può riguardare sia la corretta applicazione del regolamento, sia l'esame della situazione giuridica fattuale dello Stato di destinazione. . Difatti, nel regolamento Dublino III, il legislatore dell'Unione ha voluto coinvolgere i richiedenti asilo nella procedura di determinazione dello Stato membro competente, informandoli sui criteri previsti dal regolamento e consentendo loro di fornire qualsiasi elemento pertinente per l'applicazione di tali criteri. La Corte ricorda, al riguardo, che il legislatore dell'Unione, nell'ambito del regolamento Dublino III, non si è limitato a fissare regole organizzative che disciplinano i rapporti tra gli Stati membri al fine di determinare lo Stato membro competente, ma ha deciso di coinvolgere in tale procedura i richiedenti asilo, garantendo loro, tra l'altro, un diritto di ricorso effettivo avverso qualsiasi decisione di trasferimento eventualmente adottata nei loro confronti. Sulla base di queste considerazioni, la Corte ritiene impossibile effettuare un'interpretazione restrittiva dell'articolo 27, che nella sua formulazione non fa alcuna distinzione tra norme sostanziali e procedurali. Questa disposizione deve essere dunque interpretata nel senso che il richiedente, che ha presentato ricorso contro un provvedimento di trasferimento, ha diritto di far valere anche la violazione delle norme procedurali previste dal regolamento Dublino III e pertanto, si ritiene fermamente, anche le norme dettate dall'articolo 23 l'avvenuto richiamo all'articolo 29 del Regolamento, come effettuato da tribunale, non era pertinente, trattandosi di una norma dettata esclusivamente per prorogare il termine di sei mesi entro il quale dovrebbe avvenire il trasferimento iii il giudice di merito sarebbe incorso in un errore di carattere interpretativo, avendo ritenuto che la sentenza della Corte di Giustizia Europea Grande Sezione del 26 luglio 2017 abbia sancito la sola possibilità di invocare le norme dettate dall'articolo 21 del Regolamento Dublino , mentre, invece, detta sentenza, in realtà, aveva affermato un concetto ben diverso e segnatamente che anche se le disposizioni dell'articolo 21, paragrafo 1, di tale regolamento mirano a disciplinare la procedura di presa in carico, esse contribuiscono altresì, alla pari dei criteri indicati al capo III di detto regolamento, a determinare lo Stato membro competente, ai sensi del medesimo regolamento. Pertanto, una decisione di trasferimento verso uno Stato membro diverso da quello presso cui la domanda di protezione internazionale è stata presentata non può essere validamente adottata una volta scaduti i termini che figurano in tali disposizioni . Ne deriva che tra le norme procedurali invocabili rientra certamente anche l'articolo 21, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, che pone i termini massimi per la presentazione di una richiesta di presa in carico di un richiedente asilo e che allo scadere di questi termini, la normativa comunitaria prevede il trasferimento automatico della competenza in capo allo Stato richiedente, ma non certo, come affermato dal Tribunale di Ancona, nel senso che solo le norme dell'articolo 21 possono essere invocate alla pari dei criteri indicati al capo III di detto regolamento iv proprio tenuto conto di quanto affermato nella descritta sentenza della Corte di Giustizia Europea Grande Sezione del 26 luglio 2017, allora, non vi è motivo per cui non ritenere che anche le regole dettate dall'articolo 23 del Regolamento Dublino, volte a disciplinare la procedura di ripresa in carico, contribuiscono al pari delle norme dettate dall'articolo 21, a determinare la competenza dello Stato membro. Pertanto, trattandosi in entrambi i casi di norme procedurali, non vi è motivo per cui non ritenere che il richiedente asilo non abbia la facoltà di invocare l'eventuale scadenza del termine di cui all'articolo 23, in ossequio dell'articolo 27 del regolamento di Dublino . 2. In via pregiudiziale rispetto all'esame della descritta doglianza, deve essere valutata la validità, o non, per questo giudizio di legittimità, della procura ad litem conferita all'Avv. Renzo Interlenghi ed allegata in calce al ricorso. 2.1. In proposito, è opportuno ricordare che, il D.Lgs. 28 gennaio 2008, numero 25, articolo 3, comma 3-septies, Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato , - introdotto dal D.L. 17 febbraio 2017, numero 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 aprile 2017, numero 46 Disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale ed applicabile ai procedimenti, come quello in esame, introdotti dopo il centottantesimo giorno dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto-legge cfr. articolo 21, comma 1, del menzionato D.L. nel sancire la ricorribilità per cassazione, nel termine ivi previsto, del decreto reso dal tribunale innanzi al quale sia stato proposto il ricorso ex articolo 3, comma 3-bis, del medesimo decreto legislativo, contro la decisione di trasferimento resa dalla cd. Unità Dublino, dispone, tra l'altro, che La procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima norma di contenuto affatto identico, sul punto, a quanto stabilito, per i ricorsi in Cassazione in materia di protezione internazionale, dall'articolo 35-bis, comma 13, del menzionato D.Lgs., anch'esso introdotto dal D.L. numero 13 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 numero 46 del 2017 ed applicabile ai procedimenti introdotti dopo il centottantesimo giorno dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto-legge . 2.1.1. Trattasi, come è evidente, di previsione come quella di cui al riportato D.Lgs. numero 25 del 2008, articolo 35-bis, comma 13 che incide significativamente, ampliandola, sulla portata del potere di certificazione dell'autografia della sottoscrizione della parte riconosciuto al difensore dall'articolo 83 c.p.c., comma 3. Invero, l'attribuzione dello specifico onere di certificare la data dell'apposizione della firma da parte del richiedente la protezione internazionale implica l'ulteriore prescrizione della contestualità spazio-temporale dell'atto di conferimento della procura e dell'atto di autenticazione. La data del rilascio, che, alla stregua della disciplina generale, non costituisce un elemento di forma-contenuto dell'atto di procura, né una condizione di efficacia della certificazione del difensore, nella suddetta disposizione assurge a requisito condizionante l'ammissibilità stessa del ricorso per cassazione. La potestà asseverativa del difensore, come ridefinita per il processo in materia di protezione internazionale, rivela, dunque, un'evidente vocazione probatoria, essendo demandato al primo di attestare il preciso momento in cui il conferente - necessariamente al suo cospetto - la sottoscrive. 2.2. Le Sezioni Unite di questa Corte, investite cfr. ordinanze interlocutorie nnumero 28208-28209 del 2020 e nnumero 29250-29251 del 2020 della risoluzione del contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità in ordine al se la procura speciale per il ricorso in Cassazione in materia di protezione internazionale necessiti di una doppia certificazione del difensore riferita sia alla data dell'atto - necessariamente posteriore alla decisione impugnata - che all'autenticità della firma del ricorrente altresì ricordandosi che le successive ordinanze interlocutorie nnumero 5213-5214 del 2021, nel rimettere alle Sezioni Unite la medesima questione di massima di particolare importanza oggetto di contrasto, avevano sollecitato, in particolare, una interpretazione conforme ai parametri costituzionali e unionali del D.Lgs. numero 25 del 2008, articolo 35-bis, comma 13, avuto riguardo alle concrete modalità di certificazione da parte del difensore, a pena di inammissibilità, della data di rilascio della procura speciale per la proposizione del ricorso per cassazione , con la recentissima sentenza dell'1 giugno 2021, numero 15177, hanno sancito che i il D.Lgs. numero 25 del 2008, articolo 35-bis, comma 13, nella parte in cui prevede che La procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima , ha richiesto, quale elemento di specialità rispetto alle ordinarie ipotesi di rilascio della procura speciale regolate dagli articolo 83 e 365 c.p.c., il requisito della posteriorità della data rispetto alla comunicazione del provvedimento impugnato, prevedendo una speciale ipotesi di inammissibilità del ricorso , nel caso di mancata certificazione della data di rilascio della procura in suo favore da parte del difensore La procura speciale per il ricorso per cassazione per le materie regolate dal D.Lgs. numero 25 del 2008, articolo 35-bis, comma 13, e dalle disposizioni di legge successive che ad esse rimandano deve contenere in modo esplicito l'indicazione della data successiva alla comunicazione del provvedimento impugnato e richiede che il difensore certifichi, anche solo con una unica sottoscrizione, sia la data della procura successiva alla comunicazione che l'autenticità della firma del conferente . 2.2.1. Non vi è dubbio, peraltro, che una siffatta conclusione debba valere anche per la già indicata procura speciale ad litem di cui al D.Lgs. numero 25 del 2008, articolo 3, comma 3-septies, atteso l'identico tenore letterale di quest'ultima norma rispetto a quella specificamente oggetto della pronuncia delle Sezioni Unite. 2.3. Pertanto, applicandosi il riportato principio pienamente condiviso dal Collegio e le cui ragioni giustificatrici, come ampiamente esposte nella menzionata decisione, devono intendersi, per brevità, interamente richiamate in questa sede all'odierno procedimento, ne consegue la nullità della procura speciale conferita dal ricorrente all'Avv. Renzo Interlenghi, apposta in calce al ricorso per cassazione su foglio congiunto. Essa, infatti, benché dettagliata nel contenuto con indicazione del decreto di rigetto adottato dalla sezione specializzata in materia di immigrazione del Tribunale di Ancona - e della sua data decreto numero 5549/2019, emesso il 27.4.2019 e notificato il 30.4.2019 - contro il quale si intendeva proporre ricorso per cassazione e pur recando, accanto alla firma del conferente, la data di rilascio della procura successiva a quella del decreto impugnato - 17.5.2019 -, non contiene alcuna espressione dalla quale risulti che il difensore abbia inteso certificare che la data di conferimento della procura sia stata successiva alla comunicazione provvedimento impugnato recando unicamente l'autenticazione della firma con la seguente dicitura V per autentica . 3. Il presente ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, atteso che il Ministero dell'Interno è rimasto solo intimato, altresì dandosi atto - in assenza di ogni discrezionalità al riguardo cfr. Cass. numero 5955 del 2014 Cass., S.U., numero 24245 del 2015 Cass., S.U., numero 15279 del 2017 e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, numero 4315 del 2020 - che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente e non del suo difensore, avendo quest'ultimo agito sulla base di una procura nulla, ma non inesistente. Cfr., specificamente, Cass., SU, numero 15177 del 2021 , di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto, mentre spetterà all'amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento . 4. Tanto premesso, il Collegio ritiene che, ferma restando l'inammissibilità del ricorso, la particolare importanza della questione giuridica posta dal motivo in esso formulato - soprattutto in considerazione della notoria esistenza di numerosissime controversie analoghe a quella giunta all'esame della Corte - rende opportuna la pronuncia di un principio di diritto nell'interesse della legge, ai sensi dell'articolo 363 c.p.c., comma 3. 4.1. Ancor prima, peraltro, è utile ricordare che l'ammissibilità di una siffatta pronuncia la cui possibilità è stata stabilita dal D.Lgs. numero 40 del 2006, che sostituendo il previgente articolo 363 c.p.c., ha introdotto l'istituto del principio di diritto nell'interesse della legge in luogo del preesistente ricorso nell'interesse della legge esperibile dal solo Procuratore Generale presso la Corte di cassazione è stata già affermata con riguardo al caso in cui le Sezioni Unite debbano pronunciare l'estinzione del giudizio di cassazione sulla base della rinuncia al ricorso sopravvenuta alla emissione del decreto di fissazione della adunanza in camera di consiglio cfr. Cass., SU, numero 19051 del 2010 ed è stata poi ribadita con riferimento al giudizio di cassazione trattato avanti alle sezioni semplici. In particolare, secondo Cass. numero 11185 del 2011 anteriore, dunque, alla riforma apportata al giudizio di cassazione dal D.L. numero 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. numero 197 del 2016 , le sezioni semplici della Corte di cassazione, anche in sede camerale, possono enunciare il principio di diritto nell'interesse della legge ai sensi dell'articolo 363 c.p.c., comma 3, su una questione ritenuta di particolare importanza, non necessariamente circoscritta alle ragioni per le quali il ricorso è stato dichiarato inammissibile, potendo, invece, investire tutte le rationes, di merito o processuali, che sono state fatte oggetto del giudizio di legittimità. Hanno, invece, pronunciato ex articolo 363 c.p.c., comma 3, all'esito del procedimento camerale di cui all'articolo 380-bis.1 c.p.c. introdotto dalla riforma di cui al menzionato D.L. numero 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. numero 197 del 2016 , ex aliis, Cass. numero 10396 del 2021 e Cass. numero 34105 del 2019. 4.1.1. Non è mancata, però, con riguardo a queste ultime due ipotesi, l'opinione contraria, come testimoniato, prima, da Cass. numero 28327 del 2009 anteriore alla menzionata riforma del 2016 , secondo cui l'esercizio del potere officioso della Corte di Cassazione di pronunciare, ai sensi dell'articolo 363 c.p.c., comma 3, il principio di diritto quando il ricorso è inammissibile non si concilia con il rito camerale di cui agli articolo 375 e 380-bis c.p.c., atteso che tale rito costituisce uno strumento accelera torio del giudizio per l'esercizio di ben definite tipologie decisionali, tra le quali non rientra l'enunciazione del principio di diritto nell'interesse della legge , e, più recentemente successivamente alla citata riforma , da Cass. numero 5665 del 2018, a tenore della quale in tema di giudizio di cassazione, la pronuncia in camera di consiglio conseguente all'adunanza non partecipata di cui all'articolo 380-bis.1 c.p.c. - funzionale alla decisione di questioni di diritto di rapida trattazione e prive di peculiare rilevanza o complessità ex articolo 375 c.p.c., comma 2, - non è compatibile con l'enunciazione del principio di diritto nell'interesse della legge a norma dell'articolo 363 c.p.c., comma 3, presupponendo quest'ultima la particolare importanza della questione giuridica esaminata . 4.2. Orbene, ad avviso di questo Collegio, la prima di tali contrastanti opinioni risulta preferibile. 4.2.1. Invero, ed innanzitutto, in favore della configurabilità di un siffatto potere pure per le Sezioni semplici e non solo per le Sezioni Unite , se la questione decisa è di particolare importanza , milita la circostanza che l'articolo 363 c.p.c., comma 3, menziona genericamente la Corte , senza prevedere affatto che il Collegio debba necessariamente innescare il meccanismo di cui all'articolo 374 c.p.c. per la rimessione alle Sezioni Unite diversamente, per la differente fattispecie di cui ai commi 1 e 2 del medesimo articolo, il Primo Presidente può disporre che, sulla richiesta di enunciazione del principio di diritto formulata dal Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, la Corte si pronunci a sezioni unite se ritiene che la questione è di particolare importanza . 4.2.2. Ferma, dunque, la possibilità di rimettere la causa al Primo Presidente, perché ne investa le Sezioni Unite, in presenza di questione di diritto già decisa in modo contrastato dalle sezioni semplici o che presenti questione di massima di particolare importanza cfr. articolo 374 c.p.c., comma 2 , al Collegio giudicante è consentito, tuttavia, ove debba dichiarare inammissibile il ricorso, di affrontare la questione giuridica per enunciare un principio di diritto che sia comunque particolarmente importante. 4.2.3. Tale facoltà risponde, evidentemente i all'esigenza di decidere più sollecitamente la questione, verosimilmente già studiata funditus almeno da presidente e relatore, tanto se la ragione di inammissibilità sia emersa in corso di adunanza, quanto in presenza di declaratoria di inammissibilità agevolmente prospettabile, ictu oculi, fin dal momento del deposito del ricorso ii all'opportunità, laddove si tratti di questioni comunque non tali da meritare l'attenzione delle Sezioni Unite ii-a di consentire che si dispieghi al più presto, sulle stesse, l'esame delle sezioni semplici, il confronto di opinioni, il dialogo con la dottrina ii-b di verificare sollecitamente le ricadute anche sulla giurisprudenza di merito ii-c di avviare quel reticolo sedimentato di giudizi che dà forma al diritto vivente, il quale non è articolato solo dalla voce privilegiata del consesso apicale. 4.3. Ne' si deve trascurare che la sede camerale è sempre stata quella propriamente chiamata a sancire l'inammissibilità di un ricorso, come dimostra l'evoluzione dell'articolo 375 c.p.c., comma 1, numero 1, che ha mantenuto tale puntuale previsione anche successivamente alle modifiche apportate al menzionato articolo prima dalla riforma di cui al D.Lgs. numero 40 del 2006, poi, da quella di cui alla L. numero 69 del 2009, e, da ultimo, da quella di cui al D.L. numero 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. numero 197 del 2016 quest'ultima qui applicabile ratione temporis . 4.3.1. Se, pertanto, il legislatore del 2006 ha inteso rivedere innegabilmente ampliandone la portata l'istituto di cui all'articolo 363 c.p.c. rispetto alla sua conformazione iniziale, che lo ancorava alle sollecitazioni del Procuratore Generale presso la Suprema Corte, ciò ha fatto ben conoscendo che l'occasione di dichiarare l'inammissibilità del ricorso - e, nel contempo, di voler pronunciare il principio di diritto nell'interesse della legge - sarebbe sorta, principalmente, in sede di camera di consiglio. Ed analoga consapevolezza neppure è mancata allorquando, con l'ultima riforma del giudizio di cassazione di cui al citato D.L. numero 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. numero 197 del 2016, si è sostanzialmente disegnato un giudizio di legittimità a doppio binario da un lato, quello delle controversie a valenza nomofilattica, destinate alla trattazione in pubblica udienza ed alla definizione con sentenza d'altro lato, quello tendenzialmente destinato a ricevere la maggior parte del contenzioso delle liti prive di una siffatta valenza, da avviarsi alla trattazione camerale ed alla definizione con ordinanza, da motivare secondo più snelle tecniche redazionali. Si vuol dire, alteris verbis, che l'avere il legislatore del 2016 mantenuto immutata la previsione di cui all'articolo 363 c.p.c., comma 3, pur avendo distinto tra controversie da trattarsi in pubblica udienza e da definirsi in sede camerale modalità, quest'ultima, prestabilita, ex articolo 375 c.p.c., comma 1, numero 1, proprio per le declaratorie di inammissibilità dei ricorsi , altro significato non possa avere che quello di aver voluto confermare alla Corte il potere, ufficioso ed ampiamente discrezionale, di selezionare, pure nel grande mare dei ricorsi inammissibili generalmente definibili in sede camerale, quelli che le consentono di affrontare, in funzione nomofilattica e senza effetto per le parti, questioni di particolare importanza, così da rendere la tutela dello ius constitutionis formalmente autonoma da quella dello ius litigatoris. 4.4. Una tale conclusione, peraltro, non suscita sorpresa, poiché la composizione della Corte in adunanza camerale è identica a quella che essa ha in pubblica udienza, essendo il Collegio formato sempre da cinque magistrati della Sezione. La concreta organizzazione della Corte, poi, consente di aggiungere che, in ogni sezione, tutti i magistrati ad essa assegnati sono chiamati a partecipare ad adunanze camerali e ad udienze pubbliche, restando così escluso che in sede camerale siano impiegati soltanto consiglieri meno esperti o autorevoli cfr., in questo senso, la già citata Cass. numero 11185 del 2011 . 4.5. Neppure rileva che i motivi che inducano la Corte a dichiarare l'inammissibilità del ricorso abbiano, o meno, a che fare con la questione di particolare importanza , sulla quale la Corte stessa ritenga opportuno enunciare il principio di diritto. D'altronde, per poco che si rifletta, è agevole comprendere che la questione sulla quale la Cassazione ritiene opportuno pronunciare d'ufficio il principio di diritto non può che essere diversa da quella vagliata ai fini della declaratoria d'inammissibilità del ricorso. Opinando diversamente, infatti, la norma non avrebbe senso, posto che, se il ricorso è dichiarato inammissibile, occorre che la Corte, così pronunciandosi, comunque ne espliciti le ragioni, sicché non vi sarebbe spazio per l'enunciazione di alcun principio di diritto nell'interesse della legge. 4.5.1. Va ritenuto, quindi, che il chiaro intento del legislatore, che traspare dall'articolo 363 c.p.c., comma 3, è quello di favorire l'emergere, nonostante l'inammissibilità del ricorso, del principio di diritto cui il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi nel decidere la questione - di merito o processuale - che era stata fatta oggetto del giudizio di legittimità. 4.6. Ad una siffatta conclusione non è ostativa la previsione di cui al vigente articolo 375 c.p.c., comma 2 introdotto dal già citato D.L. numero 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. numero 197 del 2016 , riguardante la concreta individuazione dei ricorsi da trattare in pubblica udienza, sotto il duplice profilo del riscontro della particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale la Corte è chiamata a pronunciare e della opportunità di una sua siffatta trattazione. 4.6.1., Invero, anche volendosi sminuire la differenza terminologica tra la particolare rilevanza della questione ex articolo 375 c.p.c., comma 2, e la questione di particolare importanza , di cui all'articolo 363 c.p.c., comma 3, non può essere dimenticato, che, per poter disporre la trattazione in pubblica udienza, non è sufficiente che la questione di diritto sia di particolare rilevanza , occorrendo, infatti, anche l'ulteriore presupposto, espressamente richiesto dalla legge, che una siffatta trattazione risulti opportuna , nel senso, cioè che la discussione pubblica del caso possa - grazie al contraddittorio orale tra le parti ed il Procuratore Generale - risultare utile all'approfondimento delle questioni di diritto da decidere ed in funzione della migliore decisione della Corte. Nel caso in cui non si possa prevedere o, addirittura, debba escludersi, tale utilità - come, appunto, nella fattispecie oggi in esame, dove il contraddittorio tra il Procuratore Generale e la parte ricorrente, unica costituita, si è già pienamente esplicato con il tempestivo deposito, ad opera del primo, della sua requisitoria scritta cui la seconda ha fatto seguire alcuna memoria ex articolo 380-bis c.p.c. - va senz'altro preferita la decisione camerale. 4.7. In definitiva, posto che l'inammissibilità del ricorso trova luogo, oltre che nei casi di non ricorribilità in Cassazione del provvedimento impugnato, anche in altre ipotesi, e, segnatamente, in presenza di tardività dello stesso o di suoi determinati difetti procedurali si pensi, a mero titolo esemplificativo, alla carenza dei requisiti di cui all'articolo 366 c.p.c. , spesso pure agevolmente riscontrabili, e tenuto conto, altresì, che, dopo la già menzionata novella del 2016, la regola circa le modalità di trattazione e di decisione dei ricorsi presso le Sezioni semplici e', ormai, la pronuncia di una ordinanza in esito ad un procedimento da svolgersi in camera di consiglio essendo relegato ad ruolo affatto residuale il loro esame in pubblica udienza , si deve concludere che, alla luce della generica formulazione dell'articolo 363 c.p.c., comma 3, non vi sono ragioni per le quali, laddove la riscontrata e dichiarata causa di inammissibilità non sia tale da impedire di cogliere i termini della questione di diritto originariamente posta dal ricorso, la Cassazione, pure in sede camerale, non possa procedere all'enunciazione d'ufficio del principio di diritto anche in questo tipo di ipotesi. Diversamente, rischierebbe di rimanere appesantito il compito della Corte, perché il Collegio, pur potendo agevolmente decidere un ricorso in camera di consiglio, dichiarandone la inammissibilità, dovrebbe rinviarne la trattazione alla pubblica udienza, magari pure in assenza di una concreta opportunità di tale ulteriore sviluppo procedimentale, solo perché ritenga di enunciare un principio di diritto ex articolo 363 c.p.c., comma 3, così determinando, di fatto, un ostacolo alla sollecita definizione della lite. 5. Fermo quanto precede, è doveroso premettere, quanto alla vicenda descritta in ricorso, che la stessa è caratterizzata dal rilievo che, a seguito di riscontro Eurodac sistema istituito dal Regolamento UE numero 603/2014, secondo il cui articolo 1 esso è stato creato allo scopo di concorrere alla determinazione dello Stato membro competente, ai sensi del regolamento UE numero 604/2013, per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, e di facilitare inoltre l'applicazione del regolamento UE numero 604/2013 secondo le condizioni stabilite dal presente regolamento , era emerso che il M. aveva già presentato domanda di protezione internazionale in Germania, in data 24 maggio 2016, sicché l'Unità Dublino italiana aveva inoltrato a tale Stato, individuato come competente ai sensi dell'articolo 18 del Regolamento UE numero 604/2013, richiesta di ripresa in carico ai sensi dell'articolo 23 del medesimo Regolamento. La Germania, a sua volta, aveva accettato la richiesta il 19 febbraio 2018. Da qui, la decisione italiana di ripresa in carico e trasferimento in Germania dell'odierno ricorrente resa con il provvedimento notificato a quest'ultimo il 2 marzo 2018 e la cui impugnazione è stata disattesa dal Tribunale di Ancona. 5.1. Giova ricordare, poi, che il sistema comune Europeo di asilo, che trova suo diretto fondamento nell'articolo 78 del T.F.U.E., comprende un complesso di regole per determinare con sicurezza lo Stato membro competente ad esaminare qualsiasi domanda di protezione internazionale presentata nel territorio dell'Unione Europea. Tali regole sono contenute nel già menzionato Regolamento, che innanzitutto sancisce, all'articolo 3, par. 3, che una domanda di protezione internazionale, ovunque presentata, e' esaminata da un solo Stato membro, che è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III . Siffatti criteri, che rivestono carattere cogente, sono stabiliti dagli articolo 7-17, e la loro applicazione è rimessa allo Stato in cui la domanda è presentata articolo 20, par. 2 per la prima volta, momento che costituisce l'avvio della procedura di determinazione della competenza articolo 20, par. 1 . Contestualmente sono previste delle clausole di deroga attivabili dagli Stati membri o su base prettamente discrezionale la cd. clausola di sovranità prevista dall'articolo 17, par. 1 o per esigenze umanitarie, in particolare di natura familiare o culturale articolo 17, par. 2 . Il primo caso rappresenta un'avocazione di competenza posta in essere dallo Stato che decida di esaminare una domanda anche se tale esame non gli compete in base ai criteri stabiliti dal capo III del Regolamento il secondo, al contrario, riguarda una devoluzione di competenza in favore di un altro Stato al fine di procedere al ricongiungimento di persone legate da qualsiasi vincolo di parentela, per ragioni umanitarie fondate in particolare su motivi familiari o culturali . Qualora l'applicazione dei criteri di cui agli articolo 7-17 non abbia consentito la determinazione della competenza, è previsto dall'articolo 3, par. 2, comma 1, un criterio residuale o di chiusura, che designa come competente il primo Stato in cui la domanda sia stata presentata. E', infine, stabilita una deroga generale dall'articolo 3, par. 2, comma 2, che opera in funzione di garanzia individuale qualora il trasferimento di un richiedente verso un altro Stato membro designato come competente sia impossibile per carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in detto Stato. 5.2. Va rimarcato, altresì, che se lo Stato membro in cui la domanda è stata presentata ritiene che un altro Stato sia competente, viene inoltrata una richiesta di presa in carico ai sensi dell'articolo 21 del Regolamento, che sfocia in una decisione di trasferimento diretta al cittadino straniero, previa accettazione dello Stato membro richiesto articolo 26 . 5.3. Diverso, invece, è l'ambito di applicazione della procedura di ripresa in carico , come disciplinata dagli articolo 23 e 24 del Regolamento suddetto, dai cui rispettivi paragrafi 1 risulta che detta procedura è applicabile alle persone di cui all'articolo 20, paragrafo 5, o all'articolo 18, paragrafo 1, lettere da b a d , del Regolamento stesso. L'articolo 20, paragrafo 5, prevede, in particolare, che esso si applica ad un richiedente che presenti una domanda di protezione internazionale in uno Stato membro dopo aver ritirato la sua prima domanda in uno Stato membro diverso durante il procedimento volto a determinare lo Stato membro competente per l'esame della domanda. Questa disposizione implica, quindi, che un richiedente, il quale abbia formalmente informato l'autorità competente dello Stato membro in cui aveva presentato la sua prima domanda del suo intento di rinunciare alla stessa prima che tale procedimento sia terminato, potrà tuttavia essere trasferito verso detto primo Stato membro allo scopo della conclusione del procedimento in questione. L'articolo 18, paragrafo 1, lettere da b a d , del Regolamento, a sua volta, si riferisce ad una persona la quale, da un lato, ha presentato una domanda di protezione internazionale, che è in corso di esame, ha ritirato una siffatta domanda in corso di esame o ha visto la stessa respinta e, dall'altro, ha presentato una domanda in un altro Stato membro oppure si trova, senza titolo di soggiorno, nel territorio di un altro Stato membro cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 25 gennaio 2018, Hasan, C 360/16, punto 44 Corte di Giustizia, sentenza del 2 aprile 2019, nelle cause riunite C 582/17 e C 583/17, punto 51 . Dal momento che dall'articolo 2, lettera d , del Regolamento emerge che l'esame di una domanda di protezione internazionale copre l'insieme delle misure di esame adottate dalle autorità competenti su una domanda di protezione internazionale, ad eccezione della procedura di determinazione dello Stato membro competente in forza di detto regolamento, si deve ritenere che l'articolo 18, paragrafo 1, lettere da b a d , del medesimo regolamento possa applicarsi solo ove lo Stato membro in cui una domanda sia stata precedentemente presentata abbia condotto a termine tale procedura di determinazione riconoscendo la propria competenza per l'esame di detta domanda ed abbia avviato l'esame della stessa conformemente alla direttiva 2013/32. 5.4. Da quanto precede discende che fattispecie come quella oggi riguardante il M. rientrano nell'ambito di applicazione della procedura di ripresa in carico , indipendentemente dal fatto se la domanda di protezione internazionale da lui presentata nel primo Stato membro nella specie, la Germania sia stata ritirata o se l'esame di quest'ultima conformemente alla direttiva 2013/32 sia ivi già stato avviato. 5.5. Merita, infine, di essere evidenziato che, ai sensi dell'articolo 27, par. 1, il richiedente ha diritto a un ricorso effettivo avverso una decisione di trasferimento, o a una revisione della medesima, in fatto e in diritto, dinanzi a un organo giurisdizionale . 5.5.1. La portata di tale ricorso è precisata al considerando 19 del Regolamento, il quale indica che, al fine di garantire il rispetto del diritto internazionale, il ricorso effettivo istituito dal Regolamento in parola avverso le decisioni di trasferimento deve avere ad oggetto, da una parte, l'esame dell'applicazione del citato Regolamento e, dall'altra, l'esame della situazione giuridica e fattuale dello Stato membro verso il quale il richiedente è trasferito cfr., ex multis, sentenze della Corte di Giustizia del 26 luglio 2017, Mengesteab, C 670/16, punto 43 del 25 ottobre 2017, Shiri, C 201/16, punto 37 del 2 aprile 2019, nelle cause riunite C 582/17 e C 583/17, punto 39 e ss. . In tale contesto, alla luce, in particolare, dell'evoluzione generale che ha conosciuto il sistema di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri in conseguenza dell'adozione del Regolamento e degli obiettivi da esso perseguiti, l'articolo 27, paragrafo 1, suddetto viene costantemente interpretato nel senso che il ricorso da esso previsto avverso una decisione di trasferimento deve poter avere ad oggetto tanto il rispetto delle norme che assegnano la competenze per l'esame di una domanda di protezione internazionale quanto le garanzie procedurali stabilite dal regolamento medesimo cfr., in termini, Corte di Giustizia del 2 aprile 2019, nelle cause riunite C 582/17 e C 583/17, punto 40. Nello stesso senso, si vedano anche le sentenze della medesima Corte del 26 luglio 2017, A.S., C 490/16, punti 27 e 31 del 26 luglio 2017, Mengesteab, C 670/16, punti da 44 a 48, nonché del 25 ottobre 2017, Shiri, C 201/16, punto 38 . 5.5.2. Inoltre, la circostanza che la decisione di trasferimento contro la quale viene esperito il ricorso sia stata adottata al termine di una procedura di presa in carico o di ripresa in carico non è atta ad influire sulla portata in tal modo riconosciuta a detto ricorso. Infatti, l'articolo 27, paragrafo 1, del Regolamento garantisce un diritto di ricorso tanto ai richiedenti la protezione internazionale, i quali possono essere oggetto, a seconda dei casi, di una procedura di presa in carico o di ripresa in carico , quanto alle altre persone di cui all'articolo 18, paragrafo 1, lettere c o d , del Regolamento, le quali possono essere oggetto di una procedura di ripresa in carico , senza operare alcuna distinzione quanto alla portata del ricorso offerto a tali diverse categorie di ricorrenti. 5.6. Infine, va pure chiarito che, come affermato da Cass., SU, numero 8044 del 2018, la determinazione dello Stato competente ai sensi del Reg. 604/2013 costituisce non un diverso e autonomo procedimento, bensì una fase, necessariamente preliminare, all'interno del procedimento di riconoscimento dello status di protezione internazionale. Ne deriva che l'accertamento della competenza all'esame della domanda e la decisione sulla domanda medesima, pur costituendo fasi distinte, sono inserite in un procedimento unitario attivato dalla manifestazione di volontà del cittadino straniero o apolide alle autorità competenti, ovvero, nel nostro ordinamento, alle questure, che, ai sensi del D.Lgs. numero 25 del 2008, articolo 26, comma 3, hanno il compito di avviare la procedura di cui al Reg. numero 604/2013. Ove tale fase preliminare sfoci in una decisione di trasferimento, il procedimento continuerà il proprio corso naturale presso lo Stato membro designato come competente, posto che il riconoscimento della protezione internazionale nei Paesi dell'Unione è fondato su un sistema comune di asilo articolo 78 T.F.U.E. , che postula un principio generale di reciproca fiducia tra i sistemi di asilo nazionali e il mutuo riconoscimento delle decisioni emesse dalle singole autorità nazionali . 5.7. Tanto premesso, osserva il Collegio che è innegabile che le procedure di presa in carico e di ripresa in carico debbano essere obbligatoriamente condotte in conformità delle norme enunciate al capo VI del Regolamento cfr., in termini, Corte di Giustizia del 2 aprile 2019, nelle cause riunite C 582/17 e C 583/17, punto 54. In senso analogo, si vedano anche le pronunce della medesima Corte del 26 luglio 2017, Mengesteab, C 670/16, punto 49, nonché del 13 novembre 2018, C 47/17 e C 48/17, punto 57 , le quali assoggettano tali procedure a regimi distinti, rispettivamente definiti nelle sezioni II e III di detto capitolo. 5.7.1. Nell'ambito della prima, l'articolo 21, paragrafo 1, del Regolamento prevede la possibilità, per lo Stato membro che ha ricevuto una domanda di protezione internazionale, di chiedere ad un altro Stato membro di prendere in carico un richiedente solo qualora il primo di tali Stati membri ritenga che il secondo sia lo Stato membro competente per l'esame della stessa , essendo quest'ultimo, in linea di principio, lo Stato membro designato dai criteri esposti al capo III di detto Regolamento. L'applicabilità dei criteri di cui trattasi nell'ambito della procedura di presa in carico è confermata dalle disposizioni dell'articolo 22, paragrafi da 2 a 5, del medesimo Regolamento, che disciplinano in modo dettagliato l'esame degli elementi di prova e delle circostanze indiziarie che consentono l'applicazione di detti criteri e definiscono il livello di prova necessario per dimostrare la competenza dello Stato membro richiesto. Da tali elementi si evince che, nell'ambito della procedura di presa in carico , il procedimento di determinazione dello Stato membro competente per l'esame della domanda sulla base dei criteri stabiliti nel capo III del Regolamento ha carattere centrale e che l'autorità competente dello Stato membro al quale una domanda è stata presentata può rivolgere ad un altro Stato membro una richiesta di presa in carico soltanto qualora tale autorità ritenga che detto altro Stato membro sia competente per l'esame della domanda cfr., in tale senso, sentenza del 7 giugno 2016, Ghezelbash, C 63/15, punto 43 . La Corte di Giustizia, peraltro, ha già ritenuto cfr. la già citata sentenza del 26 luglio 2017, Mengesteab, C 670/16, punto 62 che l'articolo 27, paragrafo 1, del Regolamento, letto alla luce del considerando 19 di quest'ultimo, dev'essere interpretato nel senso che un richiedente protezione internazionale può invocare, nell'ambito di un ricorso esercitato contro una decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, la scadenza di un termine indicato all'articolo 21, paragrafo 1, di detto regolamento a tenore del quale Lo Stato membro che ha ricevuto una domanda di protezione internazionale e ritiene che un altro Stato membro sia competente per l'esame della stessa può chiedere a tale Stato membro di prendere in carico il richiedente quanto prima e, al più tardi, entro tre mesi dopo la presentazione della domanda ai sensi dell'articolo 20, paragrafo 2. In deroga al comma 1, nel caso di una risposta pertinente di Eurodac con dati registrati ai sensi dell'articolo 14 del regolamento UE numero 603/2013, la richiesta è inviata entro due mesi dal ricevimento della risposta pertinente ai sensi dell'articolo 15, paragrafo 2, di tale regolamento. Se la richiesta di prendere in carico un richiedente non è formulata entro i termini previsti al primo e al comma 2, la competenza dell'esame della domanda di protezione internazionale spetta allo Stato membro al quale la domanda è stata presentata , e ciò anche se lo Stato membro richiesto è disposto a prendere tale richiedente in carico. 5.7.2. Quanto, invece, alla procedura di ripresa in carico , essa è disciplinata da disposizioni che, al riguardo, presentano differenze sostanziali rispetto a quelle che governano la procedura di presa in carico . Infatti, in primo luogo, l'articolo 23, paragrafo 1, e l'articolo 24, paragrafo 1, del Regolamento prevedono la facoltà di formulare una richiesta di ripresa in carico qualora lo Stato membro richiedente ritenga che un altro Stato membro sia competente ai sensi dell'articolo 20, paragrafo 5, e dell'articolo 18, paragrafo 1, lettere da b a d , di tale regolamento, e non qualora ritenga che un altro Stato membro sia competente per l'esame della domanda . Ne consegue che il termine competente è impiegato all'articolo 23, paragrafo 1, ed all'articolo 24, paragrafo 1, del Regolamento in un senso diverso da quello di cui al precedente suo articolo 21, paragrafo 1, in quanto non riguarda specificamente la competenza ad esaminare la domanda di protezione internazionale. Dall'articolo 18, paragrafo 2, e dall'articolo 20, paragrafo 5, del Regolamento, peraltro, risulta che il trasferimento di una persona verso lo Stato membro tenuto ad un obbligo di ripresa in carico non ha necessariamente lo scopo di portare a termine l'esame di tale domanda. Pertanto, conformemente all'articolo 23, paragrafo 1, ed all'articolo 24, paragrafo 1, del Regolamento, l'esercizio della facoltà di formulare una richiesta di ripresa in carico presuppone non che sia accertata la competenza dello Stato membro richiesto ad esaminare la domanda di protezione internazionale, ma che tale Stato membro soddisfi le condizioni previste all'articolo 20, paragrafo 5, o all'articolo 18, paragrafo 1, lettere da b a d , del Regolamento stesso cfr., in termini, Corte di Giustizia del 2 aprile 2019, nelle cause riunite C 582/17 e C 583/17, punti nnumero 58-61 . Alteris verbis, gli obblighi di ripresa in carico sono applicabili solo qualora la procedura di determinazione dello Stato membro competente per l'esame della domanda prevista da detto regolamento sia stata in precedenza conclusa nello Stato membro richiesto ed abbia indotto quest'ultimo a riconoscere la propria competenza ad esaminare tale domanda. In una simile situazione, essendo già stata accertata la competenza per l'esame della domanda, non occorre procedere ad una nuova applicazione delle norme che disciplinano la procedura di determinazione di tale competenza, tra le quali carattere prioritario hanno i criteri stabiliti al capo III del medesimo regolamento. Da qui la conclusione che cfr., Corte di Giustizia del 2 aprile 2019, nelle cause riunite C 582/17 e C 583/17 , nei casi di cui all'articolo 23, paragrafo 1, e all'articolo 24, paragrafo 1, del Regolamento, prima di presentare una richiesta di ripresa in carico ad un altro Stato membro le autorità competenti interessate non sono tenute a determinare, sulla base dei criteri di competenza stabiliti da tale regolamento, se quest'ultimo Stato membro sia competente per l'esame della domanda. 5.7.3. Ne consegue pure che un cittadino di un Paese terzo che abbia presentato una domanda di protezione internazionale in un primo Stato membro, abbia poi lasciato tale Stato membro ed abbia successivamente presentato una nuova domanda di protezione internazionale in un secondo Stato membro, non può, in linea di principio, invocare, nell'ambito di un ricorso proposto, ai sensi dell'articolo 27, paragrafo 1, di detto Regolamento, in tale secondo Stato membro avverso la decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, quei criteri di competenza la suddetta pronuncia della Corte di Giustizia del 2 aprile 2019, nelle cause riunite C 582/17 e C 583/17, precisa, peraltro, che solo in via eccezionale, lo stesso può invocare il criterio di competenza di cui all'articolo 9 del Regolamento, in una situazione coperta dall'articolo 20, paragrafo 5, del medesimo Regolamento, laddove il suddetto cittadino di un Paese terzo abbia trasmesso all'autorità competente dello Stato membro richiedente elementi che dimostrino in modo manifesto che quest'ultimo dovrebbe essere considerato lo Stato membro competente per l'esame della domanda in applicazione di detto criterio di competenza . 5.8. Se, dunque, per la procedura di ripresa in carico , - quale è quella che ha interessato il M. ed è sfociata nel provvedimento sulla cui impugnazione ha deciso il tribunale anconetano con la decisione oggi all'esame di questa Corte - il richiedente asilo certamente non avrebbe potuto invocare salvo la descritta eccezione, di cui, però, nemmeno sono stati allegati i necessari presupposti , a mezzo del ricorso proposto ex articolo 27, paragrafo 1, del Regolamento, i criteri di competenza di cui al capo III di quest'ultimo, avendo la cd. Unità Dublino la facoltà, ai sensi dell'articolo 23, paragrafo 1, del menzionato Regolamento, di formulare una richiesta di ripresa in carico nella specie rivolta alla Germania dell'interessato, tuttavia, quella Unità sarebbe stata tenuta, a norma dell'articolo 23, paragrafo 2, del medesimo Regolamento, ad inoltrare tale richiesta alla Germania quanto prima e, in ogni caso, entro i termini previsti da tale disposizione, posto che una siffatta richiesta non può essere validamente presentata dopo la scadenza di tali termini cfr. sentenza della Corte di Giustizia del 5 luglio2018, nella causa C 213/17, punti 34 e ss. per analogia, sentenza del 26 luglio 2017, Mengesteab, C 670/16, punto 67 . 5.8.1. Infatti, come puntualizzato dalla pronuncia della menzionata Corte Europea del 5 luglio 2018, sia dal tenore letterale dell'articolo 23, paragrafo 3, del regolamento Dublino III, sia dalla sua economia generale e dai suoi obiettivi, risulta che, in caso di scadenza di tali termini, la competenza viene trasferita di diritto allo Stato membro presso il quale è stata presentata una nuova domanda di protezione internazionale v., per analogia, sentenze del 26 luglio 2017, Mengesteab, C 670/16, EU C 2017 587, punto 61, e del 25 ottobre 2017, Shiri, C 201/16, EU C 2017 805, punto 30 . Tale trasferimento di competenza non può essere impedito a causa del fatto che un altro Stato membro fosse competente per l'esame di domande di protezione internazionale presentate in precedenza e che, alla scadenza degli stessi termini, il ricorso proposto contro il rigetto di una di dette domande fosse pendente dinanzi a un giudice di tale Stato membro. A tale riguardo, occorre sottolineare che, definendo con precisione gli effetti conseguenti alla scadenza dei termini di cui all'articolo 23, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, il legislatore dell'Unione ha previsto in modo inequivocabile che i ritardi imputabili allo Stato membro presso il quale sia stata presentata una nuova domanda di protezione internazionale debbano comportare un trasferimento di competenza, pur non limitando l'applicazione di tale regola a talune specifiche procedure di ripresa in carico e, in particolare, senza subordinare il suddetto trasferimento di competenza alle modalità di svolgimento delle procedure relative a domande di protezione internazionale presentate precedentemente in un altro Stato membro. E' vero che una simile soluzione può indurre lo Stato membro presso il quale sia stata presentata una nuova domanda di protezione internazionale a esaminare quest'ultima, anche se l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata dalla stessa persona è pendente o è già stata portata a termine in un altro Stato membro. Si tratta, tuttavia, di una conseguenza delle scelte operate dal legislatore dell'Unione, poiché quest'ultimo ha previsto, in generale, un tale trasferimento di competenza nelle situazioni disciplinate dalle procedure di ripresa in carico, mentre l'ambito di applicazione di dette procedure, come risulta dall'articolo 18, paragrafo 1, lettere da b a d , dello stesso regolamento, riguarda in particolare situazioni in cui procedure amministrative o giudiziarie siano pendenti o siano state portate a termine in un altro Stato membro . 5.8.2. Pertanto, si deve ritenere che, alla stregua dell'articolo 23, paragrafo 3, del Regolamento a tenore del quale Se la richiesta di ripresa in carico non è presentata entro i termini prescritti al paragrafo 2, la competenza per l'esame della domanda di protezione internazionale spetta allo Stato membro in cui la nuova domanda è stata presentata , lo Stato membro nel quale sia stata presentata una nuova domanda di protezione internazionale è competente per l'esame di quest'ultima qualora una richiesta di ripresa in carico non sia stata formulata da detto Stato membro entro i termini di cui all'articolo 23, paragrafo 2, di tale regolamento secondo cui Una richiesta di ripresa in carico è presentata quanto prima e in ogni caso entro due mesi dal ricevimento della risposta pertinente Eurodac ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 5, del regolamento UE numero 603/2013. Se la richiesta di ripresa in carico è basata su prove diverse dai dati ottenuti dal sistema Eurodac, essa è inviata allo Stato membro richiesto entro tre mesi dalla data di presentazione della domanda di protezione internazionale ai sensi dell'articolo 20, paragrafo 2 , pure se, da un lato, un altro Stato membro era competente per l'esame di domande di protezione internazionale presentate in precedenza e, dall'altro, alla scadenza dei suddetti termini era pendente dinanzi a un giudice di quest'ultimo Stato membro il ricorso proposto contro il rigetto di una di dette domande. 5.9. Da quanto detto consegue che diversamente da quanto erroneamente opinato dal Tribunale di Ancona il richiedente la protezione internazionale può sempre invocare, nell'ambito di un ricorso esercitato contro una decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti all'esito di una richiesta di ripresa in carico , il rispetto dei termini indicati all'articolo 23, paragrafo 2, del Regolamento, investendo, innegabilmente, un siffatto accertamento la verifica della corretta applicazione del Regolamento stesso. Inoltre, posto che dall'eventuale inosservanza di quei termini deriverebbe il radicarsi della competenza per l'esame della domanda di protezione internazionale in capo allo Stato membro al quale la nuova domanda è stata presentata, ne deriva che nemmeno può agevolmente escludersi la sussistenza di un effettivo e concreto interesse del richiedente stesso ad una pronuncia in tal senso. 5.9.1. In altri termini, se è vero che spetta all'amministrazione, non al giudice, determinare quale sia lo Stato competente ad esaminare la domanda di protezione internazionale, è altrettanto indubitabile che al giudice è affidato giusta il D.Lgs. numero 25 del 2008, articolo 3, comma 3-bis, introdotto dal D.L. numero 13 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla L. numero 46 del 2017 il controllo sul provvedimento reso dall'amministrazione cfr. Cass. numero 31675 del 2018 controllo che deve potere avere ad oggetto tanto il rispetto delle norme che assegnano la competenza per l'esame di una domanda di protezione internazionale tra le quali certamente rientrano le disposizioni di cui agli articolo 23 e 24 del Regolamento , sebbene con i limiti di cui si è detto proprio quanto alle richieste di ripresa in carico , quanto le garanzie procedurali stabilite dal regolamento medesimo. Ciò perché, come si è già riferito, la determinazione dello Stato competente ai sensi del Reg. 604/2013 costituisce una fase, necessariamente preliminare, all'interno del procedimento di riconoscimento dello status di protezione internazionale. Ne deriva che l'accertamento della competenza all'esame della domanda e la decisione sulla domanda medesima, pur costituendo fasi distinte, sono inserite in un procedimento unitario attivato dalla manifestazione di volontà del cittadino straniero o apolide alle autorità competenti, ovvero, nel nostro ordinamento, alle questure, che ai sensi del D.Lgs. numero 25 del 2008, articolo 26, comma 3, hanno il compito di avviare la procedura di cui al Reg. numero 604/2013 cfr. Cass., SU, numero 8044 del 2018 . 5.9.2. Pertanto, il tribunale specificamente investito della verifica del rispetto, o non, da parte dell'Unità Dublino, anche dei termini inderogabilmente sanciti dall'articolo 23, paragrafo 2, del Regolamento, in relazione alla istanza di ripresa in carico da essa rivolta ad altro Stato membro con riguardo alla nuova domanda di protezione internazionale del richiedente la protezione stessa, deve procedere al corrispondente controllo, solo all'esito del quale, e sempre che con esito positivo altrimenti radicandosi la competenza dello Stato italiano a conoscere di detta domanda, ai sensi del paragrafo 3 di quella medesima disposizione , diventa rilevante l'ulteriore indagine dal tribunale compiuta circa il concreto funzionamento del sistema di protezione internazionale operante nel Paese in cui è stato disposto trasferimento. 5.9.3. Quel tribunale, pertanto diversamente da quanto erroneamente opinato dal giudice anconetano per effetto di un'interpretazione del combinato disposto degli articolo 23 e 27 del Regolamento rivelatasi erronea , deve valutare se il provvedimento innanzi ad esso impugnato dal richiedente protezione, per come concretamente motivato, rechi, o non, gli elementi e/o i riferimenti essenziali al fine di riscontrare pure la tempestività della corrispondente richiesta di ripresa in carico rivolta dallo Stato italiano ad un altro Stato - nella specie, pacificamente basata sui riscontri forniti dal sistema Eurodac posto che era ivi affermato che l'interessato ha presentato in Germania, in data 24.5.2016, analoga istanza, come risulta da riscontro delle impronte digitali nel sistema Eurodac - in rapporto al termine di due mesi posto dall'articolo 23 del Regolamento in funzione della presentazione di siffatte domande. 5.10. Deve enunciarsi, dunque, ai sensi dell'articolo 363 c.p.c., comma 3, il seguente principio di diritto In tema di protezione internazionale, il ricorso effettivo previsto dall'articolo 27, paragrafo 1, del Regolamento numero 604/2013, avverso una decisione di trasferimento adottata nei confronti del richiedente asilo all'esito di una richiesta di ripresa in carico , può investire anche il rispetto dei termini indicati all'articolo 23, paragrafo 2, del medesimo Regolamento, concernendo un siffatto accertamento la verifica della sua corretta applicazione. In tale ipotesi, spetta al tribunale adito D.Lgs. numero 25 del 2008, ex articolo 3, comma 3-bis, verificare se, per come concretamente motivato, il provvedimento impugnato rechi, o non, gli elementi e/o i riferimenti essenziali al fine di riscontrare la tempestività della menzionata richiesta in rapporto ai termini predetti . P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Pronuncia, ex articolo 363 c.p.c., comma 3, il principio di diritto nell'interesse della legge come espresso, in motivazione, al paragrafo 5.10.