Le disposizioni del d.P.R. numero 633/1972, articolo 19 e 26, legittimano la detrazione IVA, da parte del cessionario, solo in relazione ad “effettive” operazioni commerciali beni o servizi “importati od acquistati” nell’esercizio dell’attività economica e riconducono ad unità il sistema della rivalsa e della detrazione con la conseguenza che, in presenza di operazioni inesistenti, non si realizza l’ordinario presupposto impositivo, né la configurabilità stessa di un “pagamento a titolo di rivalsa”, né i presupposti del diritto alla detrazione di cui al d.P.R. numero 633/1972, articolo 19, comma 1.
La Corte d'Appello di Milano riformava la sentenza del GIP del Tribunale locale solo per ciò che riguarda il trattamento sanzionatorio di due imputati ritenuti colpevoli di alcuni reati fiscali. Il principio richiamato dai ricorrenti. I due accusati ricorrono in Cassazione lamentandosi, tra i vari motivi, dell'inconfigurabilità del reato di cui all'articolo 8 d.lgs. numero 74/2000, richiamando il principio secondo cui, sulla base dell'articolo 21, comma 7, d.P.R. numero 633/1972 «l'IVA a debito indicata in fattura emessa per un'operazione inesistente impone il pagamento della corrispondente imposta da parte del soggetto passiva IVA emittente conformemente al principio di cartolarità o formalità dell'IVA secondo cui, per il solo fatto della sua emissione, la fattura è titolo di credito in altri termini, in presenza di operazioni inesistenti, non si realizza l'ordinario presupposto impositivo né la configurabilità stessa di un pagamento a titolo di rivalsa né i presupposti del diritto alla detrazione di cui all'articolo 19, comma 1, d.P.R. numero 633/1972». La doglianza è inammissibile in quanto il suddetto principio richiamato non comporta il venir meno della configurabilità del reato di emissione di cui all'articolo 8 citato, che prevede che in tema di detraibilità dell'IVA «per cui, in casi di emissione della fattura oggettivamente o soggettivamente inesistente, viene a mancare lo stesso principale presupposto della detrazione dell'IVA, costituita dall'effettuazione di un'operazione, giacchè questa deve ritenersi carente sia in caso di prestazioni inesistenti sul piano oggettivo che in quello in cui i termini soggettivi dell'operazione non coincidano con quelli della fatturazione». Ed è su tale principio che si innesta la previsione dell'articolo 21, d.P.R. numero 633/1972 prevedendo che «nell'imporre, in caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti, il pagamento dell'imposta nel suo intero ammontare, indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura, è con riguardo all'ipotesi considerata, esplicita proprio nel senso di rendere obbligatorio, da una parte, il versamento dell'imposta, e dall'altra, di precluderne la detrazione». E la giurisprudenza tributaria, con la sentenza numero 6983/2021, ha sottolineato che «il tributo deve considerarsi “fuori conto” e la relativa obbligazione, conseguentemente, “isolata” dalla massa di operazioni effettuate, “estraniata”, per ciò stesso, dal meccanismo di compensazione tra IVA “a valle” ed IVA “a monte”, che presiede alla detrazione d'imposta di cui all'articolo 19, d.P.R. numero 633/1972. Ciò in quanto il versamento dell'IVA, sia in caso di prestazione insussistente che ad un soggetto che non sia la genuina controparte, aprendo la strada ad un indebito recupero dell'imposta, è evento dirompente nell'ambito complessivo sistema IVA, atteso che il diritto alla detrazione dell'IVA non può prescindere dalla regolarità delle scritture contabili ed in particolare della fattura, considerata documento idoneo a rappresentare un costo dell'impresa». La detrazione dell'IVA in caso di operazioni inesistenti. Per questi motivi la Suprema Corte arriva ad affermare che «le disposizioni del d.P.R. numero 633/1972, articolo 19 e 26 legittimano la detrazione IVA – da parte del cessionario – solo in relazione ad “effettive” operazioni commerciali beni o servizi “importati od acquistati” nell'esercizio dell'attività economica e riconducono ad unità il sistema della rivalsa e della detrazione con la conseguenza che, in presenza di operazioni inesistenti, non si realizza l'ordinario presupposto impositivo, né la configurabilità stessa di un “pagamento a titolo di rivalsa”, né i presupposti del diritto alla detrazione di cui al d.P.R. numero 633/1972, articolo 19, comma 1. A fronte di prestazioni false indicate in fattura si rompe ogni rapporto di credito/debito con l'Erario». Ne consegue l'inammissibilità del ricorso e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Presidente Ramacci – Relatore Andreazza Ritenuto in fatto 1. A.D. e S.G. hanno proposto ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Milano del 23/09/2019, che ha riformato solo con riguardo al trattamento sanzionatorio la sentenza del G.i.p. del Tribunale di Milano di condanna per il reato di cui all'articolo 416 c.p., comma 2, e per i reati-fine di natura tributaria. 2. Con il primo motivo deducono violazione dell'articolo 416 c.p., comma 2, e articolo 110 c.p. lamentano che nell'associazione oggetto della contestazione non possano ravvisarsi nè l'elemento oggettivo ‘nè quello soggettivo del reato in particolare gli imputati non avrebbero avuto rapporti nè telefonici nè di frequentazione tra loro avendo il solo C. , organizzatore e promotore del sodalizio, avuto contatti con i vari soggetti oggetto di indagine non si sarebbe inoltre considerato che i due ricorrenti erano tra loro legati da vincoli di parentela, essendo A. zio del S. e che dall'ascolto delle intercettazioni sarebbe emerso come A. non si sentisse membro di alcuna organizzazione e come S. avesse da tempo l'intenzione di recedere dal rapporto con C. , sostenuto, in questo, dallo stesso A. . Nessuna solidarietà, dunque, vi sarebbe stata tra detti soggetti ma solo rapporti di semplici cointeressenze, con conseguente configurabilità del solo concorso di persone caratterizzato da un accordo criminoso occasionale e limitato. Anche le parole dello S. , oggetto di intercettazione laddove avrebbe minacciato di denunciare tutti, rivelerebbero come il vincolo associativo fosse, in realtà, inesistente. 3. Con il secondo motivo lamentano vizio motivazionale e violazione di legge in relazione ai reati di cui al D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 2 e 10 quater, contestati ai capi E e F dell'imputazione e 8 del medesimo D.Lgs. contestato al capo A dell'imputazione . Deducono che in realtà, a fronte della contestata fittizietà degli acquisti, le società OMISSIS e omissis , utilizzatrici delle fatture, avrebbero dimostrato invece l'esistenza delle operazioni sulla base dell'attestazione di avvenuta esportazione della merce esibendo le fatture di vendita all'acquirente comunitario, gli elenchi Intra riepilogativi delle cessioni intracomunitarie e i documenti di trasporto CMR. Quanto alla fittizietà dei trasporti della merce, desunta dalla cessazione della partita Iva della società di trasporto omissis , deducono che la Società ebbe ad effettuare un controllo sulla partita Iva mediante l'applicativo dell'Agenzia delle entrate, verificando che il codice identificativo Iva della OMISSIS fino alla data del 31 gennaio 2015 era operativo, salvo poi averlo dismesso senza avvertire la cedente nazionale. Quanto al reato di cui al D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 8, contestato al capo A al solo A. , questi rammenta che, secondo la giurisprudenza di legittimità tributaria, sulla base del D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 21, comma 7, l'Iva a debito indicata in fattura emessa per un'operazione inesistente impone il pagamento della corrispondente imposta da parte del soggetto passivo Iva emittente conformemente al principio di cartolarità o formalità dell'Iva secondo cui, per il solo fatto della sua emissione, la fattura è titolo di credito in altri termini, in presenza di operazioni inesistenti, non si realizza l'ordinario presupposto impositivo nè la configurabilità stessa di un pagamento a titolo di rivalsa nè i presupposti del diritto alla detrazione di cui al D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 19, comma 1 sarebbe pertanto precluso, per il destinatario della fattura, l'esercizio del diritto alla detrazione o alla variazione dell'imposta sicché la sentenza sarebbe illogica e contraddittoria quanto all'affermazione di responsabilità di A. . 4. Con un terzo motivo deducono la mancanza e illogicità della motivazione e violazione di legge quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Dopo ‘avere ricordato i printipi che devono guidare la valutazione in ordine al riconoscimento delle predette attenuanti, lamentano che nella motivazione della sentenza impugnata manca ogni valutazione in ordine ad una propensione a delinquere che giustificherebbe la mancata concessione avendo la sentenza unicamente evidenziato per il solo A. la presenza di gravi precedenti penali che non può da sola rilevare negativamente, essendo invece S. incensurato. Considerato in diritto 1. Il primo o motivo di ricorso è inammissibile. Le censure svolte mirano essenzialmente, nel pretendere come inconfigurabile la fattispecie delittuosa di cui all'articolo 416 c.p., ed individuabile, invece, la sussistenza di un mero concorso di persona nei reati tributari considerati, a richiedere una lettura del compendio probatorio diversa da quella operata dai giudici di merito, opzione, questa, tuttavia, estranea ai limiti cognitivi di questa Corte, chiamata solo a valutare la logicità e congruità della motivazione relativa nonché, eventualmente, la conformità a legge delle affermazioni svolte. Su tali necessari presupposti, dunque, dirimente diviene la valutazione, affermativa, della sussistenza, nella sentenza impugnata, di un apparato motivazionale che, nel rispetto dei criteri appena ricordati, dia conto della sussistenza, nella specie, degli elementi che, per costante indirizzo di questa Corte, devono caratterizzare la fattispecie associativa. I giudici dell'appello hanno infatti ritenuto sussistente una associazione delittuosa promossa e capeggiata da C.B. , finalizzata alla commissione di plurimi reati tributari a mezzo della costituzione ed utilizzo di diversi schemi societari con il coinvolgimento di soggetti compiacenti che assumevano la qualità formale di legali rappresentanti di dette società e che si avvalevano altresì dell'apporto di soggetti incaricati di tenere ed aggiornare la documentazione contabile e societaria e di apporre i necessari visti di conformità per procedere alle compensazioni Iva omettendo, ad esempio, di verificare la coerenza tra le operazioni economiche asseverate e l'oggetto sociale dell'acquirente. Hanno aggiunto che la struttura operativa del sodalizio si è caratterizzata per l'utilizzo di conti correnti relativi ai predetti veicoli societari, tutti sostanzialmente riconducibili a C. che stabiliva, altresì, la ripartizione dei profitti illeciti, provvedendo direttamente o impartendo direttive ad A. e S. entrambi operanti sul conto della omissis per il pagamento dei compensi ad altri sodali o a terzi. Hanno poi evidenziato l'emersione dello stabile vincolo associativo, non circoscritto alla commissione di uno o più reati predeterminati, dalle condotte poste in essere dagli associati durante i momenti di allarmè per l'operatività illecita e la stessa esistenza del sodalizio, segnatamente, in occasione della verifica fiscale di a fine gennaio del 2016 in coincidenza con l'intensificarsi dei rapporti di C. con A. e S. , e con gli altri soggetti, e, nel luglio del 2016, in occasione di altra verifica fiscale su omissis e omissis . In particolare le captazioni autorizzate avrebbero dimostrato l'immediata attivazione di C. mediante il coordinamento di A. e S. che avevano ben compreso i pericoli sottesi all'iniziativa di polizia tributaria e concertato le dichiarazioni da rendere, organizzando altresì l'arrivo in Italia di C. al fine di ritirare la documentazione contabile di omissis presso lo studio B. di onde sottrarla all'esame da parte della G.d.F. che l'aveva richiesta al depositario delle scritture contabili del resto, i servizi di o.c.p. avevano poi dato conto dei contatti e degli incontri di C. , A. e S. con C. , arrivato a Milano il 31/7/2016 e accompagnato a Pescara per ritirare il giorno successivo la contabilità. La sentenza ha quindi sottolineato come i numerosi rapporti tra C. , A. e S. abbiano dimostrato il fattivo contributo dei sodali, chiamati ad intervenire nella normalità per tenere sotto controllo e retribuire i soggetti rumeni che avevano assunto le cariche amministrative formali nelle società deputate alla realizzazione delle frodi fiscali nonché ad attivarsi in occasione dei pericoli conseguenti all'intervento delle autorità di controllo, dando pienamente conto della consapevolezza degli imputati di partecipare ad un gruppo criminale e di condividere un comune obiettivo illecito. È poi significativa la circostanza, menzionata sempre dalla sentenza, delle rimostranze ed insofferenza manifestata da A. a S. circa la inadeguata retribuzione, da parte di C. , del suo contributo, circostanza correttamente ritenuta come dimostrativa del radicato convincimento in ordine alla decisività del proprio ruolo per le sorti del sodalizio criminale. Ciò posto, nè i rilievi in ordine al vincolo comunque parentale intercorrente tra A. e S. nè la diversa lettura data dal ricorso alle insofferenze dimostrate da A. e, secondo lo stesso ricorso, anche da S. , verso C. , che dimostrerebbero anzi l'assenza di un interesse comune e il perseguimento, invece, di interessi egoistici, possono inficiare il quadro logico tratteggiato dalla sentenza atteso che, da un lato, ben può la natura parentale del vincolo essere utilizzata in una prospettiva associativa illecita v. nel senso che, Sez. 3, numero 48568 del 25/02/2016, Zineddine, Rv. 268184 e, dall'altro, ciò che rileva ai fini del reato di cui all'articolo 416 c.p., caratterizzato dal dolo generico, non è il fine che muove il singolo partecipe che ben può essere utilitaristico ma la consapevolezza che il proprio operato sia inserito nel sodalizio, da esso potendo derivarè comunque un contributo favorevole per l'attività del gruppo. Nè si comprende perché l'intento - manifestato da S. , oggetto di intercettazione, di denunciare tutti sarebbe elemento incompatibile con l'esistenza di un gruppo organizzato. Di qui, pertanto, a fronte di un quadro fattuale correttamente letto dalla Corte territoriale come espressivo della sussistenza del reato contestato, la inammissibilità delle doglianze volte a ritenere invece esistente solamente un concorso di persone nella commissione di reati tributari. 2. Anche il secondo motivo, diretto a confutare le osservazioni della sentenza con cui sono state disattese le valutazioni del consulente tecnico della difesa in ordine alla effettiva sussistenza della transazioni sottese alle fatture incriminate , è inammissibile in quanto parimenti volto ad opporre, alla corretta analisi dei giudici, una diversa lettura degli elementi probatori. La sentenza impugnata ha infatti logicamente negato valenza di conferma dell'effettività delle operazioni in oggetto alla rivendita in Romania che della stessa merce acquistata capi di abbigliamento sarebbe stata fatta sulla base di tre elementi oggettivi la circostanza per cui il trasporto, figurante come effettuato dalla società OMISSIS S.r.l., venne operato in un periodo successivo alla data del 1/2/2015, quale giorno in cui la stessa società aveva avuto a cessare l'attività di trasporto e a dismettere la partita Iva il fatto che sempre detta merce risultava spedita dal magazzino di B.C. della Coop. omissis , ove, tuttavia, il magazziniere D.E. unico ivi operante non aveva di essa alcun ricordo la formale intervenuta regolazione economica delle fatture che sarebbe avvenuta non mediante gli ordinari canali bancari ma tramite operazioni di cassa e, dunque, in maniera del tutto inconsueta, per contanti. A fronte di ciò, i rilievi opposti dal ricorrente si sono fondati su dati documentali elenchi Intra e CMR niente affatto incompatibili con la sussistenza degli oggettivi elementi appena ricordati, o hanno puntato sulla irrilevante verifica fatta, alla data del 31 gennaio 2015, dalla del codice identificativo Iva della omissis , asseritamente rilevato come operativo. 2.1. È poi manifestamente infondato il rilievo circa l'inconfigurabilità del reato di cui al D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 8, a ciò non ostando neppure la mancata, espressa, risposta sul punto da parte della sentenza. Va infatti premesso che il vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimità è solo quello attinente alle questioni di fatto e non anche di diritto, giacché ove queste ultime anche se in maniera immotivata o contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque esattamente risolte, non può sussistere ragione alcuna di doglianza Sez.2, numero 19696 del 20/05/2010 Maugeri e altri, Rv. 247123 . Ciò posto, il principio richiamato dal ricorrente in ordine al fatto che, in caso di operazioni inesistenti, l'imposta è dovuta per l'intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura, sì che il corrispondente tributo viene ad essere considerato fuori conto e la relativa obbligazione, conseguentemente, isolata da quella risultante dalla massa di operazioni effettuate e, per ciò stesso, estraniata dal meccanismo di compensazione tra IVA a valle ed IVA a monte , che presiede alla detrazione d'imposta di cui all'articolo 19 D.P.R. cit., non comporta che, per tale ragione possa, evidentemente, venire meno la configurabilità del reato di emissione di cui all'articolo 8 cit., anzi dovendo pervenirsi alle conclusioni esattamente contrarie. La fattispecie dell'articolo 8, tiene infatti conto di un sistema tributario, in tema di detraibilità dell'Iva, per cui, in casi di emissione della fattura oggettivamente o anche soggettivamente inesistente, viene a mancare lo stesso principale presupposto della detrazione dell'Iva, costituita dall'effettuazione di un'operazione, giacché questa riferendosi il D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 19, comma 1, all'imposta relativa alle operazioni effettuate deve ritenersi carente sia in caso di prestazioni inesistenti sul piano oggettivo che in quello in cui i termini soggettivi dell'operazione non coincidano con quelli della fatturazione. E su tale principio si innesta la previsione del D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 21, comma 7, richiamata dallo stesso ricorrente che, nel nell'imporre, in caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti, il pagamento dell'imposta nel suo intero ammontare, indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura, è con riguardo all'ipotesi considerata, esplicita proprio nel senso di rendere obbligatorio, da una parte, il versamento dell'imposta, e, dall'altra, di precluderne la detrazione. La disposizione viene infatti appunto letta, dalla Sezione tributaria di questa Corte nel senso che il tributo deve considerarsi fuori conto e la relativa obbligazione, conseguentemente, isolata dalla massa di operazioni effettuate, estraniata , per ciò stesso, dal meccanismo di compensazione tra Iva a valle ed Iva a monte , che presiede alla detrazione d'imposta di cui al D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 19 da ultimo, Sez. 5 civ., numero 6983, dep. 2021, del 29/09/2020 . Ciò in quanto il versamento dell'Iva, sia in caso di prestazione insussistente che ad un soggetto che non sia la genuina controparte, aprendo la strada ad un indebito recupero dell'imposta, è evento dirompente nell'ambito del complessivo sistema Iva, atteso che il diritto alla detrazione dell'Iva non può prescindere dalla regolarità delle scritture contabili ed in particolare della fattura, considerata documento idoneo a rappresentare un costo dell'impresa. In definitiVa, le disposizioni del D.P.R. numero 633 del 1972 articolo 19 e 26, legittimano la detrazione IVA - da parte del cessionario - solo in relazione ad effettive operazioni commerciali beni o servizi impórtati od acquistati ò nell'esercizio dell'attività economica e riconducono ad unità il sistema della rivalsa e della detrazione con la conseguenza che, in presenza di operazioni inesistenti, non si realizza l'ordinario presupposto impositivo, nè la configurabilità stessa di un pagamento a titolo di rivalsa , nè i presupposti del diritto alla detrazione di cui al D.P.R. numero 26 ottobre 1972, numero 633, articolo 19, comma 1 cfr. Sez. 3, numero 42520 del 04/06/2019, Cleva ed altro, non massimata . In altri termini, a fronte di prestazioni false indicate in fattura si rompe ogni rapporto di credito / debito con l'Erario. 3. Infine, con riguardo al terzo motivo, lo stesso è inammissibile per genericità consistendo in un riepilogo dei criteri che, in astratto, dovrebbero presiedere al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche anche attraverso il richiamo di precedenti di questa Corte, unicamente confutando la rilevanza ostativa dei precedenti penali, correttamente invece valorizzati dalla Corte territoriale onde negare le predette circostanze. 4. In definitiva, quindi, il ricorso è inammissibile, derivandone la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.