Confermata la condanna emessa in Appello. Respinta la richiesta difensiva mirata al riconoscimento dell’attenuante prevista in caso di danno patrimoniale minimo.
Il «pentimento» del ladro, che collabora con le forze dell'ordine per consentire il recupero della refurtiva e la sua restituzione al legittimo proprietario , non è sufficiente per ritenere meno pesante il danno arrecato con l'azione criminosa messa a segno Cass. penumero , sez. V, 7 maggio 2021, numero 25686 . A finire sotto processo è una donna, accusata di avere rubato alcuni strumenti musicali – sei armoniche, per la precisione. Ricostruita la vicenda, i Giudici di merito ritengono sacrosanta, sia in primo che in secondo grado, la condanna. Immutata, tra Tribunale e Corte d'Appello, anche la pena, fissata in «quattro mesi di reclusione e 200 euro di multa». Nessun dubbio, in sostanza, sulla colpevolezza della donna per « furto aggravato ». E difatti col ricorso in Cassazione il difensore non mette in dubbio l'azione criminosa compiuta dalla sua cliente, ma punta a vedere riconosciuta l' attenuante prevista per il « danno patrimoniale lieve ». A questo proposito, il legale osserva che « il profitto del reato non è stato conseguito » poiché la sua cliente «ha cooperato con gli agenti, facendo recuperare l'intero ammontare della refurtiva , costituita da sei armoniche». Prima di esaminare la vicenda, i Giudici di terzo grado tengono a ribadire che per il riconoscimento della «tenuità del danno patrimoniale» non si deve avere riguardo «solo al valore venale del corpo del reato, ovvero del bene sottratto, ma anche al pregiudizio complessivo e al disvalore sociale recati con la condotta posta in essere ». Di conseguenza, è necessario che «il pregiudizio causato sia di valore economico pressoché irrisorio , sia quanto al valore in sé della cosa sottratta, che per gli ulteriori effetti pregiudizievoli subiti dalla parte offesa». Nel caso del furto compiuto dalla donna, però, è insufficiente, osservano i Giudici, il mero riferimento al « valore dei beni sottratti , comunque consistenti in sei strumenti musicali». Allo stesso tempo, però, i magistrati tengono anche a chiarire che «non può assumere rilievo il fatto che il bene sia poi ritornato nella disponibilità del proprietario, in quanto la consumazione del reato ha già di per sé comportato la produzione del danno , rispetto al quale entrano al più in gioco le ipotesi della riparazione o restituzione». Impossibile, quindi, parlare di furto meno grave per la «lieve entità del danno patrimoniale» subito dalla persona offesa.
Presidente Pezzullo – Relatore Sessa Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Firenze ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Livorno nei confronti di T.E., dichiarata colpevole del reato di furto aggravato ai sensi dell' articolo 625 c.p. , nnumero 4 e 6, e condannata alla pena di mesi quattro di reclusione e di Euro 200 di multa, previa concessione delle attenuanti generiche ritenute equivalenti alle contestate aggravanti. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputata tramite il difensore di fiducia. Con l'unico motivo dedotto lamenta il mancato accoglimento, da parte della corte territoriale, della richiesta di riconoscimento dell'attenuante di cui all' articolo 62 c.p. , numero 4 in particolare, è manifestamente illogica la motivazione resa sul punto, che ha fatto riferimento, per escluderla, alla complessiva capacità criminale dimostrata dall'imputata, peraltro già oggetto di valutazione ai fini dell'applicazione della recidiva, laddove con riferimento all'attenuante in parola la valutazione deve essere circoscritta ai mero profitto del reato profitto del reato che nei caso di specie non è stato conseguito perché l'imputata ha cooperato con gli agenti facendo recuperare l'intero ammontare della refurtiva, costituito da sei armoniche. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza del motivo proposto. Innanzitutto, la Corte territoriale ha già spiegato, aderendo al consolidato orientamento interpretativo di questa Corte che già si è più volte espressa al riguardo, condiviso da questo Collegio, che per la configurazione dell'attenuante invocata non si deve avere riguardo solo al valore venale del corpo del reato, ovvero del bene sottratto, ma anche al pregiudizio complessivo e al disvalore sociale recati con la condotta posta in essere, in termini effettivi o potenziali cfr., tra tante, Sez,, 3 -, Sentenza numero 18013 del 05/02/2019, Rv. 275950 - 01 . Peraltro, secondo la giurisprudenza di questa Corte l'applicazione della circostanza attenuante prevista dall' articolo 62 c.p. , numero 4, presuppone che ii pregiudizio causato sia di valore economico pressoché irrisorio, sia quanto al valore in sé della cosa sottratta, che per gli ulteriori effetti pregiudizievoli subiti dalla parte offesa Sez. 2, numero 50660 del 05/10/2017, Rv. 271695 - 01 Sez. U, numero 35535 del 12/07/2007 Rv. 236914 - 01 , laddove il ricorso, al riguardo, è del tutto generico, mancando ogni riferimento, se non in termini vaghi, al valore dei beni sottratti comunque consistenti in sei strumenti musicali . Nè potrebbe assumere rilievo il fatto che il bene sia poi ritornato nella disponibilità del proprietario, in quanto la consumazione del reato ha già di per sé comportato la produzione del danno, rispetto al quale entrano al più in gioco le ipotesi della riparazione o restituzione danno che peraltro non è escluso ai fini della valutazione in argomento neppure in caso di furto tentato, cfr. al riguardo Sez. 6, Sentenza numero 10355 del 16/02/1992, ikv. 192098 e 01 secondo cui ai fini della concessione dell'attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, prevista dall' articolo 62 c.p. , numero 4, nel caso di tentativo il giudice deve avere riguaroo alle concrete modalità dell'azione rimasta incompiuta o improduttiva di evento e a tutte le circostanze del fatto desumibili dalle risultanze processuali ed accertare che il reato, ove fosse stato consumato, avrebbe cagionato in modo diretto ed immediato un danno di speciale tenuità . 2. Alla pronunzia di inammissibilità, consegue ex articolo 616 c.p.p. , la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000 da versare in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000 in favore della Cassa delle ammende.