Il criterio di cui all’articolo 1123, comma 2, c.c. si applica solo nelle ipotesi in cui alcuni condomini non possano servirsi del bene comune per motivi oggettivi e strutturali e non quando decidano di non avvalersene per motivi soggettivi.
Sul punto il Tribunale di Roma con sentenza numero 8746/21, depositata il 20 maggio. L'attore, con atto di citazione ritualmente notificato, impugna la delibera con cui l'assemblea del Condominio convenuto aveva respinto la richiesta di cambiare il criterio di ripartizione delle spese di gestione della piscina condominiale, non più in base ai millesimi di proprietà, ma in base all'uso fattone dai singoli condomini, sostenendo che pur essendo la piscina un bene condominiale, ai sensi dell'articolo 4 del regolamento di condominio si tratterebbe di un bene suscettibile di godimento autonomo. In particolare, l'attore sostiene che le spese per l'uso della piscina debbano essere ripartite tra i vari condomini proporzionalmente alle quote di proprietà, applicando così l'articolo 1123, comma 2, c.c, secondo cui potrebbe rilevare l'uso soggettivo e potenziale della piscina da parte dei singoli condomini, poiché essa costituirebbe un bene privo dell'accessorietà strumentale di cui all'articolo 1117 c.c In realtà, il criterio di cui all'articolo 1123, comma 2, c.c. si applica solo nelle ipotesi in cui alcuni condomini non possano servirsi del bene comune per motivi oggettivi e strutturali e non quando decidano di non avvalersene per motivi soggettivi, come nel caso in esame, posto che così facendo si incrementerebbe in modo del tutto illegittimo la quota di spesa a carico di altri condomini. A ciò consegue che il criterio per la ripartizione delle spese d'uso della piscina è quello di cui all'articolo 1123, comma 1, c.c. correttamente applicato dal Condominio. Da qui il rigetto della domanda attorea.
Giudice Miccio Motivi in fatto e in diritto della decisione 1. Con atto di citazione ritualmente notificato, l'attore ha impugnato davanti al Giudice di Pace di Roma la delibera del 5 marzo 2018 con cui l'assemblea del condominio convenuto aveva, tra l'altro, respinto la richiesta di di cambiare il criterio di ripartizione delle spese di gestione della piscina condominiale non più in base ai millesimi di proprietà ma in base all'uso fattone cfr. verbale impugnato, punto. 5, pag. 2, docomma 2 attore nel fascicolo di parte prodotto nel giudizio riassunto . A sostegno dell'impugnazione l'attore ha dedotto che pur essendo la piscina bene condominiale, ai sensi dell'articolo 4 del Regolamento di condominio cfr. docomma 3, pag. 2 si tratterebbe di bene suscettibile di autonomo godimento cfr. citazione pag. 2 . Sulla base di tale considerazione, l'attore ha argomentato che, non costituendo la piscina parte essenziale per l'esistenza delle singole unità abitative, ai sensi dell'articolo 1117 c.c., non sussisterebbe la relazione di accessorietà tra la stessa e le unità immobiliari dei singoli condomini a ciò conseguirebbe che, mentre per le spese di conservazione della piscina su cui l'attore ha chiarito di non muovere osservazioni il criterio di riparto sarebbe quello di cui al primo comma dell'articolo 1123 c.c., per le spese d'uso la norma di riferimento sarebbe costituita dal secondo comma della stessa disposizione. L'attore ha quindi osservato che il regolamento condominiale nulla prevederebbe in merito alle spese d'uso della piscina, con la conseguenza che l'assemblea dovrebbe individuare un criterio rispettoso del c.d. principio dell'uso potenziale ed effettivo espresso dalla norma teste citata cfr. citazione, pag. 4 , mentre il criterio utilizzato anche per l'anno 2018, giusta delibera del maggio 2018, successiva a quella impugnata sarebbe quello delle quote di proprietà dei singoli condomini indicate nelle tabelle millesimali, criterio questo che concreterebbe una evidente e ingiusta ripartizione dei costi anche per coloro che non utilizzano la piscina, come l'attore. In forza delle predette considerazioni l'attore chiedeva al Giudice di Pace, previo accertamento dell'illegittimità del criterio di ripartizione delle spese d'uso della piscina, per violazione dell'articolo 1123, co. 2 c.c., la declaratoria di nullità/annullabilità/inefficacia della delibera impugnata, relativamente al rifiuto dell'assemblea di adottare un diverso criterio di riparto e per l'effetto, disporre, in applicazione di quanto stabilito dall'articolo 1123, 2° comma, c.c., che il Condominio convenuto adotti un diverso criterio di ripartizione delle spese d'uso della piscina che tenga in considerazione il c.d. uso effettivo e/o potenziale fattone dai singoli condomini secondo le indicazioni esposte in narrativa cfr. conclusioni , con l'ulteriore richiesta di declaratoria della non debenza degli oneri relativi all'uso della piscina per l'anno 2018 nell'atto introduttivo l'attore indicava per errore il 2017 pari ad € 202,27. Si costituiva il Condominio il quale eccepiva preliminarmente l'incompetenza del Giudice di Pace, vertendo la causa sul criterio di ripartizione anche pro futuro delle spese, ed essendo dunque di valore indeterminabile il convenuto deduceva poi il difetto di interesse ad agire dell'attore, che non avrebbe impugnato le delibere d'approvazione dei rendiconti per gli anni precedenti mentre la delibera impugnata non avrebbe approvato una spesa a suo carico, non incidendo quindi concretamente sull'attore. Nel merito il convenuto contestava le argomentazioni dell'attore, deducendo che anche per le spese d'uso sarebbe applicabile il criterio di cui all'articolo 1123, co. 1 c.c., chiedendo il rigetto delle domande proposte. Con ordinanza depositata il 31 luglio 2019, il Giudice di Pace dichiarava la propria incompetenza in favore del Tribunale, rimettendo anche la determinazione delle spese. riassumeva il giudizio tempestivamente, reiterando le argomentazioni già svolte il Condominio si costituiva, chiedendo il rigetto delle domande svolte, pure sulla base degli stessi argomenti già svolti dinnanzi al giudice dichiaratosi incompetente, anche in relazione alla carenza di interesse dell'attore. Alla prima udienza, tenutasi il 20 gennaio 2020, l'attore chiedeva la concessione dei temimi ex articolo 183, co. 6 c.p.comma Il solo si avvaleva del primo termine, precisando le conclusioni già svolte relativamente alla richiesta di accertamento della non debenza dei 202 €, chiarendo sul punto che la domanda ha ad oggetto le annualità per l'anno 2018 e non 2017 e argomentando ulteriormente in merito alle proprie richieste, deducendo che, tra l'altro, la normativa regionale non imporrebbe la presenza di un bagnino nelle piscine private, voce di spesa questa che costituirebbe la maggior parte delle spese d'uso impropriamente ripartite dall'assemblea tra i vari condomini ex articolo 1123, co. 1 c.c. La causa è quindi pervenuta all'udienza del 3 marzo 2021, in cui è stata trattenuta in decisione, previa assegnazione di termini di legge per memorie conclusive e di replica. Preliminarmente va affrontata la questione della carenza d'interesse dell'attore. Osserva il convenuto che difetterebbe d'interesse, non essendo la sua posizione patrimoniale stata concretamente incisa dalla delibera impugnata, che non ha posto a carico dell'attore delle spese, limitandosi a rifiutare la proposta di quest'ultimo di individuare un nuovo criterio di ripartizione per le spese d'uso della piscina. I rilievi sono infondati l'attore ha infatti impugnato la delibera perché, a suo avviso, con il proprio rifiuto l'assemblea avrebbe reiterato implicitamente il criterio di ripartizione delle spese basato sulle tabelle millesimali, a suo avviso illegittimo perché contrastante con il criterio applicabile, rappresentato dall'articolo 1123, co. 2 c.p.comma L'attore eccepisce quindi la nullità della delibera impugnata per violazione del criterio legale di riparto delle spese con la conseguenza che ha - a prescindere dalla fondatezza o meno dei rilievi - interesse a che i suoi rilievi in merito alla legittimità della delibera vengano esaminati, come chiarito dalla Suprema Corte, secondo cui In tema di azione di annullamento delle deliberazioni delle assemblee condominiali, la legittimazione ad agire attribuita dall'articolo 1137 c.comma ai condomini assenti e dissenzienti non è subordinata alla deduzione ed alla prova di uno specifico interesse diverso da quello alla rimozione dell'atto impugnato, essendo l'interesse ad agire, richiesto dall'articolo 100 c.p.comma quale condizione dell'azione di annullamento anzidetto, costituito proprio dall'accertamento dei vizi formali di cui sono affette le deliberazioni Cass. Sez. II, ord. numero 17294 del 19.8.2020 . Non solo l'attore ha altresì chiesto accertarsi preliminarmente che il criterio di riparto applicabile alle spese della piscina condominiale sia quello di cui all'articolo 1123, co. 2 c.c., pronuncia questa connotata da un forte interesse di posto che potrebbe comportare la caducazione per nullità anche delle successive delibere, con cui vengono concretamente ripartite le spese d'uso della piscina tra cui la delibera del maggio 2018 in tal senso va letta l'ulteriore domanda dell'attore, con cui questi ha chiesto di accertare la non debenza di € 202,27, per tale voce. Ciò premesso, i rilievi dell'attore sono infondati. Come visto, ammette che la piscina è un bene condominiale e non contesta che le spese di conservazione dello stesso debbano essere ripartite secondo il criterio di cui all'articolo 1123, co. 1 c.c. rileva invece che le spese per l'uso debbano essere ripartite tra i vari condomini proporzionalmente alle quote di proprietà, osservando che sarebbe applicabile l'articolo 1123, co. 2 c.c., secondo cui potrebbe rilevare l'uso soggettivo e potenziale della piscina da parte dei condomini, poiché la piscina costituirebbe un bene privo dell'accessorietà strumentale di cui all'articolo 1117 c.c. Innanzitutto, va osservato che i rilievi in merito all'accessorietà strumentale o meno della piscina da ultimo svolti alle pagg. 3 ss. delle conclusionali sono inconferenti l'accessorietà o meno del bene ex articolo 1117 c.comma rileva infatti quando sia dubbio se un bene sia o meno comune, mentre nel caso di specie è pacifico tra le parti che la piscina sia un bene comune, perché così è previsto nel regolamento condominiale i precedenti menzionati dall'attore sul punto si riferiscono infatti a ipotesi in cui vi era controversia sulla natura o meno del bene . Le ulteriori argomentazioni dell'attore si basano su un presupposto erroneo, vale a dire che l'articolo 1123 c.c., co. 2 c.comma disciplini tout court la ripartizione delle spese d'uso del bene comune, quando alcuni condomini decidano, anche spontaneamente, di non servirsene. In realtà, il criterio di cui all'articolo 1123 co. 2 è applicabile solamente quando alcuni condomini non possano servirsi del bene comune per motivi strutturali e oggettivi e non quando decidano di non avvalersene per motivi soggettivi, posto che così facendo si incrementerebbe - del tutto illegittimamente - la quota di spesa a carico degli altri condomini, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità L'articolo 1123 c.c., che disciplina la ripartizione delle spese tra i condomini, al primo comma fissa un principio che solo apparentemente ha una portala generale che comunque è limitato e precisato dal contenuto del secondo e del terzo comma della medesima norma. Esso infatti dispone che dette spese - necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate - sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salva diversa convenzione. Tuttavia, precisa la norma nella seconda parte, se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne. A ben guardare, è proprio questa parte della disposizione in esame a fornire ed evidenziare il criterio generale adottato dal legislatore per la ripartizione delle spese di gestione dei servizi comuni il contributo è proporzionale all'uso che il condomino può fare del servizio ed il criterio della proporzionalità comporta che, ove la possibilità di uso sia esclusa, dev'essere escluso anche l'obbligo di contribuire alle relative spese. Nè è pertinente il richiamo al principio che, se il condomino non utilizza un servizio, è tuttavia tenuto ad erogare la propria quota di spese di gestione ad esso attinenti l'enunciato criterio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza dì questa Corte Suprema, riguarda il mancato uso dipendente dalla volontà del condominio, che non può risolversi in un ingiusto aggravio per gli altri. Il caso in esame, che è quello disciplinato dall'articolo 1123, II comma c.c., attiene invece al mancato uso per ragioni strutturali e considerata la destinazione delle quote immobiliari di proprietà esclusiva. D'altra parte il criterio interpretativo adottato trova testuale conferma nel terzo comma della norma in esame, laddove è stabilito che qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità. Pertanto il principio di proporzionalità tra spese ed uso, di cui al menzionato articolo 1123 c.c., dev'essere inteso nel senso che mancando l'uso per ragioni non dipendenti dalla mera volontà e dalla scelta del condomino, va escluso anche l'onere, per il medesimo, di contribuire alle spese di gestione del servizio cfr. Cass. sez. II, sent. 5179 del 29/4/1992, in parte motiva . Ne consegue che il criterio per la ripartizione, anche della spesa d'uso della piscina, è di per sé quello di cui all'articolo 1123, co. 1 c.c., correttamente applicato dal condominio. Tale criterio può essere derogato, ma solo con regolamento contrattuale o con deliberazione unanime dell'assemblea cfr. Cass. Sez. II, Sent. numero 4844 del 24/2/2017 , con l'ulteriore conseguenza che questo giudice non può apprezzare nel merito la delibera dell'assemblea del 5 marzo 2018, che ha deciso di non modificare il criterio di riparto, rigettando la proposta dall'attore, posto che In tema di condominio negli edifici, il sindacato dell'autorità giudiziaria sulle delibere assembleari non può estendersi alla valutazione del merito e al controllo della discrezionalità di cui dispone l'assemblea, quale organo sovrano della volontà dei condomini, ma deve limitarsi ad uri riscontro di legittimità che, oltre ad avere riguardo alle norme di legge o del regolamento condominiale, può abbracciare anche l'eccesso di potere, purché la causa della deliberazione risulti - sulla base di un apprezzamento di fatto del relativo contenuto, che spetta al giudice di merito - falsamente deviata dal suo modo di essere, in quanto anche in tal caso lo strumento di cui all'articolo 1137 c.comma non è finalizzato a controllare l'opportunità o convenienza della soluzione adottata dall'impugnata delibera, ma solo a stabilire se la decisione collegiale sia, o meno, il risultato del legittimo esercizio del potere dell'assemblea. Ne consegue che esulano dall'ambito del sindacato giudiziale sulle deliberazioni condominiali le censure inerenti la vantaggiosità della scelta operata dall'assemblea sui costi da sostenere nella gestione delle spese relative alle cose e ai servizi comuni quali, nella specie, l'erogazione del compenso all'amministratore, la stipulazione di un contratto di assicurazione, la predisposizione di un fondo cassa per le spese legali Cass. Sez. VI, ord. numero 20135 del 17/8/2017 . 4. Solamente nella prima memoria ex articolo 183, co. 6 c.p.c., l'attore ha dedotto che la normativa regionale non imporrebbe il servizio di assistenza ai bagnanti, con la conseguenza chetale costo non potrebbe costituire in ogni caso una spesa d'uso da porre a carico del Condominio. Va preliminarmente osservato che tale specifica contestazione non può essere considerata come una precisazione dei rilievi già svolti, ma introduce piuttosto una nuova contestazione sulla corretta imputazione di parte delle spese e avrebbe quindi al più potuto essere svolta come motivo d'impugnazione delle delibere che concretamente hanno ripartito tale spesa tra i condomini tra cui la delibera del 17 maggio 2018, pacificamente non impugnata sul punto cfr. docomma 5 fascicolo attore . Ad ogni modo, anche detta censura è infondata la circostanza che un detto servizio non sia previsto come obbligatorio dalla normativa, non esclude che lo stesso possa essere diretto al miglior godimento delle parti comuni si pensi al servizio di portierato . Le domande dell'attore devono quindi essere rigettate. 5. La regolamentazione delle spese di lite segue la soccombenza, tanto per le fasi del procedimento tenutesi dinnanzi al giudice di pace, quanto per le fasi tenutasi davanti al Tribunale le spese sono liquidate in base ai valori minimi previsti per lo scaglione di riferimento, individuato ex articolo 5, co. 6 d.m. 55/2014 in considerazione della non complessità del giudizio in quello da euro 5.201 sino ad euro 26.000,00 per le fasi svoltesi dinnanzi al Giudice di Pace e in quello da euro 26.001,00 ad euro 52.000,00 per le fasi svoltesi dinnanzi al Tribunale, detratta in ogni caso la fase istruttoria, che non è stata svolta. Le stesse sono quindi liquidate, per le fasi svoltesi dinnanzi al Giudice di Pace, in euro 371,00 per compensi euro 203,00 per la fase di studio ed euro 168,00 per la fase introduttiva , oltre accessori di legge e in euro 2.768,00 per le fasi svolte dinnanzi a questo Giudice euro 810,00 per la fase di studio, euro 574,00 per la fase introduttiva ed euro 1.384,00 per la fase decisionale , oltre accessori di legge. P.Q.M. Il Tribunale di Roma in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, così provvede rigetta le domande svolte da condanna al rimborso delle spese processuali in favore del Condominio via A.A. quantificate, per le fasi svolte dinnanzi al Giudice di Pace, in euro 371.00 per compensi, oltre accessori di legge e, per le fasi svolte dinnanzi al Tribunale, in euro 2.768,00 per compensi, oltre accessori di legge.