Capitalizzazione trimestrale degli interessi: occorre apposita convenzione scritta?

La Suprema Corte, con l’ordinanza in esame, torna ad affrontare un tema di grande rilevanza per il contenzioso bancario qual è il comportamento corretto che deve assumere la banca in punto di capitalizzazione trimestrale degli interessi?

L'invio al correntista degli estratti conto recanti l'indicazione dell'adeguamento alla Delibera CICR 9 febbraio 2000 pubblicato anche sulla Gazzetta Ufficiale non è sufficiente ad assicurare, neppure per il periodo successivo alla entrata in vigore del provvedimento, la validità della clausola regolante la capitalizzazione degl'interessi, a tal fine occorrendo invece un'apposita convenzione scritta al pari di quella richiesta per la stipulazione dei contratti soggetti alla nuova disciplina. In questi termini si è espressa la prima Sezione Civile con ordinanza numero 17634 del 21 giugno 2021 la quale approfondisce anche due ulteriori significative problematiche quali l'eccezione di prescrizione del diritto di credito e la richiesta di ripetizione in presenza di un rapporto di conto corrente non ancora esaurito. La vicenda dedotta in lite. Un cliente, titolare di quattro conti correnti, ha agito innanzi al Tribunale di Palermo per far accertare una serie di anomalie contabili nel tempo ivi registrate i.e. addebito d'interessi passivi ad un tasso ultra legale e comunque superiore al tasso soglia usura inapplicabilità della capitalizzazione trimestrale degli interessi applicazione della commissione di massimo scoperto e per ottenere la condanna della banca convenuta alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate sui rapporti in lite. Nel costituirsi in giudizio la banca ha eccepito la prescrizione del diritto di credito azionato, la legittimità della capitalizzazione degl'interessi per il periodo successivo al 30 giugno 2000 e la legittimità dell'addebito della commissione di massimo scoperto. Il Tribunale ha accolto parzialmente la domanda dell'attore in merito al profilo della capitalizzazione trimestrale degl'interessi. La Corte di Appello ha rigettato il gravame della banca confermando l'inapplicabilità della capitalizzazione trimestrale degl'interessi anche per il periodo successivo al 1° luglio 2000 ciò sul presupposto che la Delibera CICR del 9 febbraio 2020 adottata ai sensi dell'articolo 120 del d.lgs. 1° settembre 1993, numero 385 che ne consentiva la previsione mediante apposite clausole contrattuali da approvarsi specificamente per iscritto riguardava soltanto i contratti stipulati successivamente al 1° luglio 2000, non potendosi desumere la stipulazione di tale pattuizione dall'invio al cliente degli estratti conto recanti l'indicazione dell'adeguamento della banca a siffatta delibera. Non ha avuto miglior sorte l'eccezione di prescrizione dei versamenti effettuati dal correntista, ritenendo la Corte territoriale irrilevante la circostanza che i rapporti di conto corrente fossero pendenti. Da qui il ricorso per cassazione della banca. La capitalizzazione degli interessi è necessaria una nuova pattuizione. La Corte di Cassazione ribadisce che nei contratti di conto corrente bancario stipulati in data anteriore all'entrata in vigore della Delibera CICR 9 febbraio 2000 la dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'articolo 25 d.lgs. numero 342/1999, pronunciata dalla Corte Costituzionale con sentenza numero 425/2000 ha inciso indirettamente sulla disciplina transitoria dettata dall'articolo 7 di tale provvedimento in quanto, avendo fatto venir meno per il passato la sanatoria delle clausole che prevedevano la capitalizzazione degl'interessi, ha impedito di assumerle come termine di comparazione ai fini della valutazione dell'eventuale peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, in tal modo escludendo la possibilità di provvedere all'adeguamento delle predette clausole mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, come consentito dal comma secondo dell'articolo 7 e rendendo invece necessaria una nuova pattuizione cfr. Cass. numero 9140/2020 Cass. numero 26769/2019 . A sostegno di questa impostazione viene osservato dalla Corte che a la pronuncia di incostituzionalità ha investito il solo tema della validazione delle clausole anatocistiche fino al momento in cui è divenuta operante la delibera del 9 febbraio 2000, senza incidere sull'attribuzione al CICR del potere di regolamentare il transito dei vecchi contratti nel nuovo regime b la portata retroattiva della pronuncia d'incostituzionalità impone di considerare nulle le clausole  anatocistiche  inserite in contratti conclusi  prima  dell'entrata in vigore della delibera CICR c la circostanza che la delibera sia stata adottata  anteriormente  alla  pronuncia  d'incostituzionalità  non comporta  che,  ai fini del giudizio di comparazione previsto dal comma secondo dell'articolo 7 della delibera,  possa  conferirsi rilievo all'applicazione di fatto delle predette clausole, prescindendo dall'invalidità delle stesse d la comparazione non deve avere ad oggetto le condizioni contrattuali nel loro complesso, ma solo la clausola anatocistica, da valutarsi in relazione al principio della pari periodicità nel conteggio degl'interessi, stabilito dall'articolo 2, comma  secondo della  delibera e   in mancanza  di una clausola  valida che preveda,  per almeno una delle due tipologie di interesse attivo o passivo una capitalizzazione da attuarsi con una data frequenza, è impossibile stabilire se il predetto criterio sia favorevole o sfavorevole per il correntista. Da qui la necessità di un'apposita convenzione scritta, al pari di quella richiesta per la stipulazione dei contratti soggetti alla nuova disciplina. In assenza di tale convenzione, precisa la Corte, deve escludersi l'applicabilità dell'articolo   120 d.lgs. numero 385 del 1993, come modificato dall'articolo 25 del d.lgs. numero 342 del 1999, il quale non recava una compiuta regolamentazione delle clausole anatocistiche, ma ne demandava la fissazione al CICR, limitandosi a stabilire, quale principio ispiratore della disciplina da adottare, quello della pari periodicità nel conteggio degl'interessi debitori e creditori. Inoperante il meccanismo di sostituzione automatica della clausola. La Corte di Cassazione aggiunge che non può operare il meccanismo di sostituzione automatica previsto dall'articolo 1339 c.c. Ciò per la seguente ragione l'impossibilità di procedere al giudizio comparativo richiesto dall'articolo 7, comma secondo, della citata Delibera, se per un verso impediva il ricorso alle modalità semplificate contemplate da tale disposizione, per altro verso non esonerava la banca dall'obbligo, imposto dal comma primo, di provvedere all'adeguamento delle condizioni contrattuali nelle forme previste dall'articolo 6 della medesima delibera, la cui inosservanza comportava l'inefficacia della clausola anatocistica. Sull'eccezione di prescrizione dell'azione di ripetizione. Non viene invece condivisa la sentenza della Corte territoriale nella parte in cui, pur rilevando l'assenza di un fido, ha escluso, in aderenza alla CTU, l'effettuazione di rimesse di natura solutoria. Dopo aver ricordato l'elaborazione giurisprudenziale maturata in materia di revocatoria fallimentare, la Corte di Legittimità osserva che la caratteristica delle rimesse solutorie consiste proprio nell'avvenuta effettuazione delle stesse su un conto scoperto, ovverosia in mancanza di disponibilità, che può essere intesa tanto in senso assoluto, come accade nel caso in cui la banca non abbia concesso alcuna apertura di credito al correntista o l'abbia revocata, quanto in senso relativo, come accade nel caso in cui il correntista abbia già utilizzato per intero l'importo del fido accordatogli e non abbia provveduto a reintegrarlo mediante versamenti successivi. Nella specie, la mancanza di apertura di credito avrebbe dovuto imporre alla Corte di merito di attribuire natura solutoria a tutte le rimesse effettuate sullo stesso in presenza di un saldo passivo, risultando le stesse qualificabili come pagamenti, in quanto volte ad estinguere il debito nei confronti della banca derivante dall'utilizzazione di somme che quest'ultima non era tenuta a mettere a disposizione del correntista, e quindi di ancorare il termine di prescrizione dell'azione di ripetizione alla data di accreditamento di ciascuna rimessa, anziché alla data di chiusura del conto corrente. Ricorda al riguardo la Suprema Corte che l'onere di allegazione gravante sull'istituto di credito che intenda opporre l'eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l'azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente deve ritenersi soddisfatto mediante l'affermazione dell'inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria anche l'indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte Cass. SU numero 15895/19 Cass. numero 7013/2020 . Rapporto pendente vs azione di ripetizione. Neppure è corretta, ad avviso della Corte di Cassazione, la risposta fornita dalla Corte di Appello di Palermo al motivo di gravame relativo all'inammissibilità dell'azione di ripetizione in pendenza di rapporto di conto corrente. Puntualizzano i Giudici di Legittimità che la mera annotazione nel conto di una posta d'interessi illegittimamente addebitati dalla banca al correntista non è di per sé sufficiente a far sorgere il diritto di quest'ultimo alla ripetizione dell'indebito, potendo determinare un incremento del debito risultante a suo carico o una riduzione del credito di cui dispone, ma non essendo qualificabile come pagamento, nel senso richiesto dall'articolo 2033 c.c., dal momento che ad essa non corrisponde l'esecuzione di alcuna prestazione da parte del correntista, con conseguente spostamento patrimoniale in favore della banca. Tuttavia, osserva la Corte, ciò non esclude la facoltà del correntista di agire in giudizio anche in pendenza del rapporto, per far dichiarare la nullità del titolo in base al quale ha avuto luogo l'addebito, in modo tale da ottenere la rettifica in suo favore delle risultanze del conto, con l'accertamento, nel caso in cui quest'ultimo sia assistito da un'apertura di credito, dell'esistenza di una maggiore disponibilità in suo favore Cass. numero 21646/18 . Ai fini dell'esercizio dell'azione di ripetizione è tuttavia necessaria l'effettuazione di un pagamento, configurabile soltanto quando la rimessa effettuata dal correntista sia affluita su un conto in passivo non assistito da alcuna apertura di credito o sia stata destinata a coprire un passivo eccedente i limiti dell'affidamento concesso dalla banca. In assenza di tali condizioni, la rimessa non produce l'effetto di soddisfare il diritto della banca alla restituzione delle somme accreditate, ma solo di riespandere la misura della disponibilità nuovamente utilizzabile dal correntista, con la conseguenza che un pagamento può ritenersi configurabile soltanto alla cessazione del rapporto, quando la banca abbia ottenuto dal cliente il versamento del saldo finale, comprendente interessi non dovuti Cass. SU numero 24418/2010 . Qualche recente precedente in materia. Cfr., citate nell'ordinanza in esame, Cass. numero 9140 del 19 maggio 2020, secondo cui “posto che le clausole anatocistiche inserite in contratti di conto corrente conclusi prima dell'entrata in vigore della delibera Cicr 9 febbraio 2000 sono radicalmente nulle, affinché in tali contratti sia introdotta validamente una nuova clausola di capitalizzazione degli interessi è necessaria un'espressa pattuizione formulata nel rispetto dell'articolo 2 della predetta delibera” Cass. numero 26769 del 21 ottobre 2019, ove statuito che “in tema di anatocismo, la possibilità di adeguare i contratti di finanziamento in essere alla data di entrata in vigore della Delibera CICR 9.2.2000 è esclusa a seguito della declaratoria di incostituzionalità del terzo comma dell'articolo 25, D.Lgs. numero 342/1999, e comunque sul presupposto che l'introduzione della clausola anatocistica comporta un peggioramento delle condizioni contrattuali a danno del cliente, con la conseguenza che tale previsione deve essere espressamente approvata dalla clientela”. In aderenza, per la giurisprudenza di merito, Trib. Napoli, 1076 del 4 febbraio 2021, in De Jure, secondo cui “la capitalizzazione degli interessi è una condizione peggiorativa del rapporto a danno del correntista, pertanto è necessaria l'accettazione in forma scritta in mancanza non è consentita né la capitalizzazione trimestrale né quella annuale, essendo basata sul medesimo principio anatocistico” App. Reggio Calabria, numero 809 del 21 dicembre 2020 in De Jure che, nell'escludere la sostituzione automatica delle clausole, “la nullità della clausola di anatocismo trimestrale comporta la nullità parziale del contratto ex articolo 1419 c.c., ma non dell'intero contratto talché, una volta affermata la nullità della clausola regolante la capitalizzazione, ne consegue che non vi è possibilità di inserzione automatica di clausole prevedenti capitalizzazioni di diversa periodicità in quanto l'anatocismo è permesso dalla legge soltanto a determinate condizioni e, in mancanza di valida pattuizione tra le parti, esso rimane non pattuito tra le medesime”.

Presidente De Chiara – Relatore Mercolino Fatti di causa 1. T.B. , intestatario di quattro conti correnti presso la Banca Nuova S.p.a., contraddistinti dai nnumero omissis , convenne in giudizio la Banca, per sentir dichiarare la nullità delle clausole contrattuali che prevedevano l'addebito d'interessi passivi ad un tasso ultra-legale e comunque superiore al tasso soglia previsto dalla L. 7 marzo 1996, numero 108, la capitalizzazione trimestrale degl'interessi e l'applicazione della commissione di massimo scoperto, e per sentir rideterminare il saldo del conto corrente, con la condanna della Banca alla restituzione degl'importi illegittimamente addebitati o con la compensazione degli stessi con eventuali pretese della Banca. Si costituì la Banca Nuova, ed eccepì la prescrizione del credito azionato, la legittimità della capitalizzazione degl'interessi per il periodo successivo al 30 giugno 2000 e dell'addebito della commissione di massimo scoperto e l'irretroattività della L. numero 108 del 1996. 1.1. Con sentenza del 29 febbraio 2012, il Tribunale di Palermo accolse parzialmente la domanda, dichiarando illegittima la clausola che prevedeva la capitalizzazione trimestrale degl'interessi, e condannando la Banca al pagamento della somma di Euro 367.322,52, oltre interessi. 2. L'impugnazione proposta dalla Banca è stata rigettata dalla Corte d'appello di Palermo con sentenza del 5 agosto 2016. A fondamento della decisione, la Corte ha confermato l'inapplicabilità della capitalizzazione trimestrale degl'interessi anche per il periodo successivo al 1 luglio 2000, osservando che la delibera CICR del 9 febbraio 2020, adottata ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 1993, numero 385, articolo 120, che ne consentiva la previsione mediante apposite clausole contrattuali da approvarsi specificamente per iscritto, riguardava soltanto i contratti stipulati successivamente al 1 luglio 2000, ed escludendo la possibilità di desumere la stipulazione di tale contratto dall'invio degli estratti conto recanti l'indicazione dell'adeguamento alla predetta delibera. Ha rigettato inoltre l'eccezione di prescrizione sollevata in riferimento al conto numero … , affermando che, ove i versamenti effettuati dal correntista in pendenza del rapporto abbiano funzione ripristinatoria della provvista, il relativo termine decorre dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, e rilevando che nella specie il c.t.u. nominato nel corso del giudizio non aveva identificato versamenti solutori, i quali sarebbero stati configurabili soltanto in caso di superamento del fido, mai concesso al correntista. Ha ritenuto irrilevante la circostanza che i rapporti di conto corrente fossero ancora pendenti, rilevando che il c.t.u. aveva accertato il relativo saldo alla data del 31 luglio 2007 sulla base di criteri puntualmente descritti, ed affermandone la condivisibilità, con il conseguente diritto dell'attore alla restituzione dell'importo indicato. 3. Avverso la predetta sentenza la Banca Nuova ha proposto ricorso per cassazione, articolato in sei motivi, illustrati anche con memoria. Il T. ha resistito con controricorso, anch'esso illustrato con memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo d'impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 1283 c.c., del D.Lgs. 4 agosto 1999, numero 342, articolo 25, del D.Lgs. numero 385 del 1993, articolo 120 e dell'articolo 7 della delibera CICR del 9 febbraio 2000, censurando la sentenza impugnata nella parte riguardante la legittimità della capitalizzazione trimestrale degl'interessi per il periodo successivo all'adeguamento del contratto. Premesso che all'epoca dell'approvazione della delibera CICR era in vigore la disciplina transitoria dettata dall'articolo 25, comma 3, del D.Lgs. numero 342 cit., che prevedeva la validità delle clausole relative all'anatocismo nei contratti conclusi in data anteriore all'entrata in vigore della delibera, osserva che la nullità di tali clausole è stata sancita soltanto dall'ordinanza della Corte costituzionale numero 425 del 2000, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della predetta disposizione, affermando che, in quanto successiva all'adeguamento dei contratti da parte delle banche, avvenuto mediante l'invio degli estratti conto recanti la relativa comunicazione o mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, la predetta ordinanza non poteva incidere sulla validità dell'adeguamento, effettuato in base ad una delibera adottata ai sensi del D.Lgs. numero 385 del 1993, articolo 120. Precisato che l'articolo 7 della delibera CICR richiede l'approvazione per iscritto della clausola che prevede la capitalizzazione trimestrale soltanto nel caso in cui l'introduzione della stessa comporti un peggioramento rispetto alle precedenti previsioni contrattuali, sostiene che tale peggioramento, da valutarsi in relazione alla disciplina risultante dall'adeguamento, nella specie doveva ritenersi escluso dalla contestuale introduzione della capitalizzazione anche a favore del cliente. Aggiunge che, anche a voler ritenere nulle le clausole stipulate in data anteriore all'entrata in vigore della delibera CICR, dovrebbe considerarsi operante il meccanismo di sostituzione automatica di cui all'articolo 1339 c.c., in virtù del quale i contratti dovrebbero ritenersi integrati dall'articolo 120 cit. Afferma comunque che, relativamente al conto numero 73820, aperto in data successiva all'entrata in vigore della delibera, la clausola avrebbe dovuto essere considerata legittima, in quanto conforme alla disciplina introdotta dal D.Lgs. numero 342 del 1999. 2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli articolo 2033,2697,2934 e 2935 c.c., nonché l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, relativamente al conto numero … , ha escluso la prescrizione dell'azione di ripetizione, per il periodo anteriore al 27 dicembre 1997, nonostante la mancata dimostrazione dell'esistenza di un affidamento. Premesso infatti che incombe al correntista che agisca in ripetizione l'onere di fornire la relativa prova, in mancanza della quale tutti i versamenti effettuati sul conto devono considerarsi solutori, osserva che nella specie l'esistenza di un affidamento non era stata nè allegata da essa convenuta, nè dimostrata dall'attore. Sostiene pertanto che la Corte territoriale avrebbe dovuto accogliere l'eccezione di prescrizione, e disporre la ricostruzione dell'andamento del conto senza operare alcuna correzione relativamente al periodo anteriore al decennio che aveva preceduto la proposizione della domanda. 3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha omesso di pronunciare in ordine all'eccezione d'inammissibilità dell'azione di ripetizione, da essa sollevata in relazione alla perdurante pendenza dei rapporti di conto corrente. Premesso infatti che il saldo del conto diviene esigibile soltanto alla chiusura del rapporto, osserva che la Corte territoriale ha omesso di esaminare la questione, essendosi limitata a richiamare la relazione del c.t.u., che non se ne era occupata, ed avendo indicato la somma da quest'ultimo calcolata come saldo dei conti, mentre si trattava della differenza tra il saldo contabile e il saldo ricostruito. 4. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rilevando che, nel determinare la somma dovuta in restituzione, la Corte territoriale ha omesso di esaminare i rilievi specificamente mossi da essa ricorrente alla relazione del c.t.u., e riguardanti a la mancata applicazione della commissione di massimo scoperto nel ricalcolo del saldo del conto numero … fino al 31 dicembre 1986, b la mancata applicazione della capitalizzazione alla commissione di massimo scoperto, nonostante l'estraneità della stessa alla nozione di anatocismo, c l'estensione del ricalcolo al conto numero … , in ordine al quale il c.t.u. non aveva ricevuto alcun incarico, d la mancata applicazione della commissione di massimo scoperto nella determinazione del saldo del conto numero … . 5. Con il quinto motivo, la ricorrente deduce l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rilevando che la Corte territoriale ha omesso di esaminare la censura mossa alla sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva determinato la somma dovuta in restituzione in misura pari a quella indicata dal c.t.u., che non costituiva il saldo dei conti correnti, ma la differenza tra il saldo contabile e quello elaborato da essa ricorrente. 6. Con il sesto motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli articolo 92 c.p.c. e ss., chiedendo, in caso di accoglimento del ricorso, la riforma della sentenza impugnata anche nella parte riguardante il regolamento delle spese processuali. 7. La formulazione dei predetti motivi, pur contrastando palesemente con il canone di sinteticità espositiva degli atti processuali, consacrato dal legislatore nel D.Lgs. 2 luglio 2010, numero 104, articolo 3, riguardante il processo amministrativo ma espressivo di un principio generale operante anche nell'ambito del processo civile, non nuoce alla comprensione delle censure proposte dalla ricorrente, sottraendosi pertanto all'eccezione d'inammissibilità sollevata dalla difesa del controricorrente, che ne ha evidenziato la contrarietà alle regole redazionali previste dal Protocollo d'intesa stipulato il 17 dicembre 2015 tra il Primo Presidente della Corte di cassazione ed il Presidente del Consiglio Nazionale Forense. Le consistenti dimensioni del ricorso, formato da un numero di pagine otto volte superiore a quello della sentenza impugnata, e la ridondante illustrazione delle censure, corredate dalla trascrizione di atti processuali in misura certamente superiore a quella necessaria per soddisfare l'esigenza di specificità dell'impugnazione, non pregiudicano infatti l'intellegibilità delle questioni sottoposte all'esame di questa Corte, consentendo comunque di cogliere con sufficiente chiarezza le critiche mosse alla sentenza impugnata ed i fatti sostanziali e processuali alle stesse sottesi. Può dunque escludersi che l'inosservanza del dovere di concisione, previsto dalle predette regole a garanzia di un'effettiva tutela del diritto di difesa articolo 24 Cost. ed in conformità con principi costituzionali e convenzionali del giusto processo articolo 111 Cost., articolo 6 della CEDU , ma non presidiato da una specifica sanzione processuale, si traduca in una violazione delle prescrizioni di cui all'articolo 366 c.p.c., comma 1, nnumero 3 e 4, tale da giustificare la dichiarazione d'inammissibilità dell'impugnazione cfr. Cass., Sez. V, 30/04/2020, numero 8425 21/03/2019, numero 8009 Cass., Sez. II, 20/10/2016, numero 21297 . 8. In ordine al primo motivo, non può peraltro condividersi la tesi sostenuta dalla difesa della ricorrente, secondo cui l'adeguamento del contratto alle prescrizioni introdotte dall'articolo 7 della delibera CICR del 9 febbraio 2000 in conformità del D.Lgs. numero 342 del 1999, articolo 25, comma 3, in quanto avvenuto in data anteriore alla dichiarazione d'illegittimità costituzionale di quest'ultima disposizione, consentirebbe di escludere la nullità delle clausole che prevedevano la capitalizzazione trimestrale degl'interessi, in riferimento al periodo successivo all'adozione della predetta delibera, non avendo l'adeguamento comportato un aggravamento della posizione del cliente, a favore del quale è stata introdotta la capitalizzazione degl'interessi creditori. La questione in esame è stata già ripetutamente affrontata dalla giurisprudenza di legittimità, e risolta mediante l'affermazione del principio, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in questa sede, secondo cui, nei contratti di conto corrente bancario stipulati in data anteriore all'entrata in vigore della delibera CICR 9 febbraio 2000, la dichiarazione d'illegittimità costituzionale del D.Lgs. numero 342 del 1999, articolo 25, pronunciata dalla Corte costituzionale con sentenza numero 425 del 2000, pur non avendo interessato il comma 2 di tale disposizione, che costituisce il fondamento del potere esercitato dal CICR mediante l'adozione della predetta delibera, ha inciso indirettamente sulla disciplina transitoria dettata dall'articolo 7 di tale provvedimento, in quanto, avendo fatto venir meno, per il passato, la sanatoria delle clausole che prevedevano la capitalizzazione degl'interessi, ha impedito di assumerle come termine di comparazione ai fini della valutazione dell'eventuale peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, in tal modo escludendo la possibilità di provvedere all'adeguamento delle predette clausole mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, come consentito dal comma 2 dell'articolo 7, e rendendo invece necessaria una nuova pattuizione cfr. Cass., Sez. I, 19/05/2020, numero 9140 21/10/2019, nnumero 26769 e 26779 . A sostegno di tali conclusioni, si è osservato che a la pronuncia di incostituzionalità ha investito il solo tema della validazione delle clausole anatocistiche fino al momento in cui è divenuta operante la delibera 9 febbraio 2000, ma non ha direttamente inciso sull'attribuzione al CICR del potere di regolamentare il transito dei vecchi contratti nel nuovo regime, b la portata retroattiva della pronuncia d'incostituzionalità impone tuttavia di considerare nulle le clausole anatocistiche inserite in contratti conclusi prima dell'entrata in vigore della delibera CICR, c la circostanza che la delibera sia stata adottata anteriormente alla pronuncia d'incostituzionalità non comporta che, ai fini del giudizio di comparazione previsto dal comma 2 dell'articolo 7 della delibera, possa conferirsi rilievo all'applicazione di fatto delle predette clausole, prescindendo dall'invalidità delle stesse, d la comparazione non deve avere ad oggetto le condizioni contrattuali nel loro complesso, ma solo la clausola anatocistica, da valutarsi in relazione al principio della pari periodicità nel conteggio degl'interessi, stabilito dall'articolo 2, comma 2, della delibera, e in mancanza di una clausola valida che preveda, per almeno una delle due tipologie di interesse attivo o passivo una capitalizzazione da attuarsi con una data frequenza, è impossibile stabilire se il predetto criterio sia favorevole o sfavorevole per il correntista. Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che l'invio al correntista degli estratti conto recanti l'indicazione dello adeguamento alla delibera CICR, pubblicato anche sulla Gazzetta Ufficiale, non risultasse sufficiente ad assicurare, neppure per il periodo successivo alla entrata in vigore del provvedimento, la validità della clausola che prevedeva la capitalizzazione degl'interessi, a tal fine occorrendo invece un'apposita convenzione scritta, al pari di quella richiesta per la stipulazione dei contratti soggetti alla nuova disciplina. In assenza di tale convenzione, deve escludersi l'applicabilità del D.Lgs. numero 385 del 1993, articolo 120, come modificato dal D.Lgs. numero 342 del 1999, articolo 25, il quale non recava una compiuta regolamentazione delle clausole anatocistiche, ma ne demandava la fissazione al CICR, limitandosi a stabilire, quale principio ispiratore della disciplina da adottare, quello della pari periodicità nel conteggio degl'interessi debitori e creditori. Non può quindi operare, in riferimento a tale disposizione, il meccanismo di sostituzione automatica previsto dall'articolo 1339 c.c., il quale non può trovare applicazione neppure in relazione alla disciplina introdotta dalla delibera CICR l'impossibilità di procedere al giudizio comparativo richiesto dall'articolo 7, comma 2, di quest'ultima, se per un verso impediva il ricorso alle modalità semplificate contemplate da tale disposizione, per altro verso non esonerava la banca dall'obbligo, imposto dal comma 1, di provvedere all'adeguamento delle condizioni contrattuali nelle forme previste dall'articolo 6 della medesima delibera, la cui inosservanza comportava l'inefficacia della clausola a natocistica. La sentenza impugnata non può essere invece condivisa nella parte in cui ha immotivatamente esteso il regime transitorio previsto dalla delibera CICR anche al conto corrente numero … , omettendo di verificare se, come sostenuto dall'appellante, il relativo contratto fosse stato stipulato in data successiva all'entrata in vigore del predetto provvedimento e recasse le indicazioni dallo stesso prescritte in tal caso, infatti, avrebbe dovuto trovare integralmente applicazione la disciplina dettata dagli articolo 2 e 6, ai sensi dei quali la clausola che prevedeva la capitalizzazione degl'interessi doveva recare l'indicazione della relativa cadenza, uguale per gl'interessi debitori e quelli creditori, e del tasso d'interesse applicato, nonché del tasso rapportato su base annua in caso di capitalizzazione infrannuale, e doveva essere specificamente approvata per iscritto. 9. Parimenti non condivisibile risulta il rigetto dell'eccezione di prescrizione dell'azione di ripetizione sollevata dall'appellante in ordine agl'importi illegittimamente addebitati a titolo d'interessi sul conto corrente numero … , in riferimento al quale la stessa Corte di merito, pur rilevando che al correntista non era stato accordato alcun fido, ha recepito le conclusioni cui era pervenuto il c.t.u. nominato nel corso del giudizio, che escludevano l'avvenuta effettuazione di rimesse aventi natura solutoria. In proposito, la sentenza impugnata ha correttamente richiamato il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di apertura di credito in conto corrente, secondo cui, ove i versamenti eseguiti dal correntista nel corso del rapporto abbiano svolto una funzione meramente ripristinatoria della disponibilità accordatagli dalla banca, il termine di prescrizione del diritto del cliente alla ripetizione delle somme addebitategli a titolo d'interessi e commissioni in virtù di clausole contrattuali nulle non decorre dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma da quella di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gl'interessi non dovuti sono stati registrati, dal momento che, in assenza di versamenti aventi carattere solutorio, non è configurabile un pagamento idoneo a far sorgere una pretesa restitutoria, ai fini della quale è invece necessaria l'esecuzione da parte del solvens di una prestazione idonea a determinare uno spostamento patrimoniale in favore dell'accipiens cfr. Cass., Sez. Unumero , 2/12/ 2010, numero 24418 Cass., Sez. I, 26/09/2019, numero 24051 24/03/2014, numero 6857 . Nell'applicazione di tale principio, la Corte territoriale non ne ha fatto tuttavia buon governo, non avendo tenuto conto dell'elaborazione giurisprudenziale ad esso sottostante, maturata soprattutto in materia di revocatoria fallimentare, che, nel distinguere tra rimesse solutorie, ritenute assoggettabili a dichiarazione d'inefficacia in presenza degli altri presupposti previsti dal R.D. 16 marzo 1942, numero 267, articolo 67, in quanto qualificabili come pagamenti, e rimesse ripristinatorie, non revocabili, ha identificato le prime nei versamenti affluiti su un conto corrente c.d. scoperto, ovverosia non assistito da un'apertura di credito o caratterizzato da un saldo passivo eccedente l'importo del fido accordato al correntista, ravvisando invece nei secondi semplici operazioni di accreditamento volte a ripristinare la provvista esistente sul conto cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 6/11/2007, numero 23107 23/11/2005, numero 24588 9/12/2004, numero 23006 . Contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, la caratteristica delle rimesse solutorie consiste proprio nell'avvenuta effettuazione delle stesse su un conto scoperto, ovverosia in mancanza di disponibilità, che può essere intesa tanto in senso assoluto, come accade nel caso in cui la banca non abbia concesso alcuna apertura di credito al correntista o l'abbia revocata, quanto in senso relativo, come accade nel caso in cui il correntista abbia già utilizzato per intero l'importo del fido accordatogli e non abbia provveduto a reintegrarlo mediante versamenti successivi. In applicazione di tale criterio, la constatazione che uno dei conti correnti intestati all'attore non era assistito da alcuna apertura di credito avrebbe imposto alla Corte di merito di attribuire natura solutoria a tutte le rimesse effettuate sullo stesso in presenza di un saldo passivo, risultando le stesse qualificabili senz'altro come pagamenti, in quanto volte ad estinguere il debito nei confronti della Banca derivante dall'utilizzazione di somme che quest'ultima non era tenuta a mettere a disposizione del correntista, e quindi di ancorare il termine di prescrizione dell'azione di ripetizione alla data di accreditamento di ciascuna rimessa, anziché alla data di chiusura del conto corrente, conformemente al principio richiamato. Non merita consenso, al riguardo, l'eccezione sollevata dalla difesa della controricorrente, secondo cui, ai fini della proposizione dell'eccezione di prescrizione, sarebbe risultata necessaria l'analitica indicazione da parte della Banca dei versamenti solutori effettuati sui conti, con la precisazione della data, dell'importo e della valuta, non essendo altrimenti individuabile il dies a quo per il computo del relativo termine come chiarito da una recente pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, emessa a composizione di un contrasto di giurisprudenza, l'onere di allegazione gravante sull'istituto di credito che, convenuto in giudizio, intenda opporre l'eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l'azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, deve ritenersi soddisfatto mediante l'affermazione dell'inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria anche l'indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte cfr. Cass., Sez. Unumero , 13/06/2019, numero 15895 Cass., Sez. III, 11/03/2020, numero 7013 . Premesso infatti che l'elemento costitutivo dell'eccezione è rappresentato dall'inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio, mentre la determinazione della durata di detta inerzia, necessaria per il verificarsi dell'effetto estintivo, costituisce una quaestio juris, concernente l'identificazione del diritto e del regime prescrizionale per esso previsto dalla legge, si è osservato che la riserva alla parte del potere di sollevare l'eccezione implica soltanto l'onere di allegare il menzionato elemento costitutivo e di manifestare la volontà di profittare di quell'effetto, e non anche quello d'indicare direttamente o indirettamente cioè attraverso specifica menzione della durata dell'inerzia le norme applicabili al caso di specie, la cui identificazione spetta al giudice, il quale previa attivazione del contraddittorio sulla relativa questione può ritenere applicabile anche un termine diverso da quello indicato. Si è precisato inoltre che, in quanto volta a contrastare la natura presuntivamente ripristinatoria delle rimesse, ricollegabile all'andamento fisiologico del rapporto, l'indicazione di quelle aventi natura solutoria non attiene al profilo dell'allegazione, ma a quello della prova dei fatti idonei a far decorrere il termine di prescrizione, che il giudice può individuare anche in termini diversi da quelli prospettati dalla parte, e resta pertanto estranea alla problematica dell'ammissibilità dell'eccezione. Ininfluente, ai fini della compiuta proposizione di quest'ultima, deve conseguentemente considerarsi anche la mancanza di una distinta indicazione degl'importi annotati in conto a titolo di capitale ed interessi, ai quali i versamenti del correntista andrebbero imputati ai sensi dell'articolo 1194 c.c È pur vero, infatti, che, come sostiene la difesa del controricorrente, il saldo del conto sul quale affluiscono le rimesse è influenzato dall'addebito degl'interessi illegittimamente calcolati sulla base delle clausole ritenute nulle, il cui computo, determinando una riduzione della disponibilità a favore del correntista, risulta idoneo ad incidere anche sull'individuazione delle rimesse aventi carattere solu-torio. È proprio in quest'ottica, d'altronde, che la giurisprudenza di legittimità ha recentemente precisato che, al fine di verificare se un versamento abbia avuto natura solutoria o ripristinatoria, occorre preliminarmente procedere alla rideterminazione del saldo passivo del conto, depurandolo da tutti gli addebiti illegittimamente effettuati dall'istituto di credito, in modo tale da poter verificare, in base al reale importo del saldo, se siano stati di volta in volta superati i limiti dell'affidamento concesso al correntista, ed i versamenti da quest'ultimo eseguiti possano quindi qualificarsi come solutori cfr. Cass., Sez. I, 19/05/2020, numero 9141 . Tale operazione, tuttavia, in quanto volta all'individuazione della natura delle rimesse effettuate sul conto, attiene anch'essa al profilo probatorio della prescrizione, configurandosi dal punto di vista logico come un posterius rispetto all'allegazione dei fatti sui quali la stessa si fonda, e restando pertanto estranea alla stessa, ai fini della quale, come si è detto, risultano sufficienti la deduzione dell'inerzia del correntista e la manifestazione della volontà di profittarne. 10. Per ragioni analoghe a quelle esposte in relazione al secondo motivo, non può considerarsi pertinente la risposta fornita dalla sentenza impugnata al motivo di gravame con cui l'appellante aveva riproposto l'eccezione d'inammissibilità della domanda, sostenendo che il diritto alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate sui conti correnti non poteva ancora essere fatto valere, in quanto, essendo ancora pendenti i relativi rapporti, il saldo dei conti non era esigibile, ai sensi dell'articolo 1823 c.c., comma 2. È infatti pacifico che la domanda proposta dall'attore non aveva ad oggetto il mero accertamento della nullità delle clausole contrattuali che prevedevano la misura e la capitalizzazione degl'interessi e l'addebito delle commissioni, con il ricalcolo del saldo del conto corrente, ma era volta ad ottenere la restituzione degl'importi illegittimamente addebitati ai predetti titoli, rispetto alla quale le altre domande, pur nella loro autonomia, evidenziata dalle specifiche conclusioni formulate nell'atto di citazione, rivestivano carattere strumentale, in quanto dirette ad ottenere l'accertamento dell'insussistenza di un valido titolo giustificativo degli addebiti e l'espunzione di questi ultimi dal conto. In proposito, la Corte palermitana si è limitata a richiamare i risultati delle indagini compiute dal c.t.u., osservando che dalle stesse era emersa l'esistenza di un saldo a credito del correntista, in riferimento alla data del 31 luglio 2007, e ritenendo tale accertamento idoneo a dimostrare il diritto dello attore alla restituzione, senza verificare se i conti correnti fossero stati estinti o, in mancanza, se sugli stessi fossero state effettuate rimesse a carattere solutorio. In tema di conto corrente bancario, questa Corte ha invece chiarito che la mera annotazione nel conto di una posta d'interessi illegittimamente addebitati dalla banca al correntista non è di per sé sufficiente a far sorgere il diritto di quest'ultimo alla ripetizione dell'indebito, potendo determinare un incremento del debito risultante a suo carico o una riduzione del credito di cui dispone, ma non essendo qualificabile come pagamento, nel senso richiesto dall'articolo 2033 c.c., dal momento che ad essa non corrisponde l'esecuzione di alcuna prestazione da parte del correntista, con conseguente spostamento patrimoniale in favore della banca. Ciò non esclude, ovviamente, la facoltà del correntista di agire in giudizio, anche in pendenza del rapporto, per far dichiarare la nullità del titolo in base al quale ha avuto luogo l'addebito, in modo tale da ottenere la rettifica in suo favore delle risultanze del conto, con l'accertamento, nel caso in cui quest'ultimo sia assistito da un'apertura di credito, dell'esistenza di una maggiore disponibilità in suo favore cfr. Cass., Sez. VI, 5/09/2018, numero 21646 . Ai fini dell'esercizio dell'azione di ripetizione, è tuttavia necessaria l'effettuazione di un pagamento, configurabile, come si è detto, soltanto quando la rimessa effettuata dal correntista sia affluita su un conto in passivo non assistito da alcuna apertura di credito o sia stata destinata a coprire un passivo eccedente i limiti dell'affidamento concesso dalla banca. In assenza di tali condizioni, la rimessa non produce l'effetto di soddisfare il diritto della banca alla restituzione delle somme accreditate, ma solo di riespandere la misura della disponibilità nuovamente utilizzabile dal correntista, con la conseguenza che un pagamento può ritenersi configurabile soltanto alla cessazione del rapporto, quando la banca abbia ottenuto dal cliente il versamento del saldo finale, comprendente interessi non dovuti cfr. Cass., Sez. Unumero , 2/12/2010, numero 24418, cit. . La sussistenza di tali presupposti è rimasta nella specie priva di riscontro, avendo la Corte di merito ritenuto che la mera annotazione in conto d'importi a titolo d'interessi previsti da clausole contrattuali ritenute nulle fosse sufficiente a legittimare l'esercizio dell'azione di ripetizione, senza verificare se a tali addebiti avessero fatto seguito versamenti da parte dell'attore, effettuati in una situazione di scopertura dei conti o all'esito della chiusura degli stessi, ed essendosi quindi limitata a dare atto dell'esistenza di una differenza, a favore del correntista, tra il saldo dei conti, rettificato dal c.t.u. e maggiorato delle competenze, e quello risultante dalla documentazione prodotta dalla Banca, senza tener conto dell'oggetto della domanda proposta dall'attore. 8. La sentenza impugnata va pertanto cassata, in accoglimento parziale del primo motivo ed integrale del secondo e del terzo, restando assorbiti gli altri tre motivi, aventi ad oggetto le modalità di determinazione del saldo dei conti correnti ed il regolamento delle spese processuali, e quindi logicamente e giuridicamente dipendenti dalla risoluzione delle questioni concernenti l'ammissibilità dell'azione di ripetizione, la prescrizione della pretesa restitutoria e la misura degl'interessi. La causa va conseguentemente rinviata alla Corte d'appello di Palermo, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie parzialmente il primo motivo di ricorso, nonché il secondo ed il terzo, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata, e rinvia alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.