Moglie incinta, niente espulsione per il marito

Illegittimo il decreto emesso dal Prefetto durante la gravidanza o nei sei mesi dopo la nascita del bambino. Ad avere ancora mano libera è solo il Ministro dell’Interno, che può adottare l’espulsione dello straniero per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato.

Congelata l'espulsione dello straniero che – seppur ritenuto soggetto pericoloso – convive in Italia con la compagna incinta. Ad avere mano libera, durante la gravidanza e nei sei mesi dopo la nascita del bambino, è solo il Ministero dell'Interno che può comunque disporre l'allontanamento dello straniero per «motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato» Corte di Cassazione, ordinanza numero 17640/21, sez. I Civile, depositata il 21 giugno . All'origine della vicenda c'è un provvedimento di espulsione, emesso dalla Prefettura, nei confronti di un cittadino marocchino presente in Italia. L'uomo contesta questa misura e sostiene di avere diritto a rimanere ancora in Italia in quanto «la moglie è in stato di gravidanza e necessita di cure mediche». Queste osservazioni vengono però respinte dal Giudice di Pace, il quale ritiene «corretto il bilanciamento operato tra diritto alla vita familiare dell'uomo e sua pericolosità sociale». Regolare, di conseguenza, sempre secondo il Giudice di Pace, «l'espulsione dello straniero». Nel contesto della Cassazione, però, l'uomo ribatte a sua volta sottolineando che «l'articolo 19 del decreto legislativo numero 286 del 1998 prevede un divieto di espulsione per la donna gravidanza» e aggiungendo che quel divieto «è stato esteso» dalla Corte Costituzionale «anche al marito convivente della donna incinta» ed è valido «fino a sei mesi dopo la nascita del figlio». Infine, l'uomo aggiunge che, comunque, «in tale caso il potere di espulsione spetta al Ministro dell'Interno e non al Prefetto». I richiami proposti dal legale del cittadino marocchino colgono nel segno. In effetti, normativa alla mano, «durante la gravidanza e nei sei mesi successivi alla nascita del figlio, il Prefetto non può emettere decreto di espulsione né nei confronti della madre né nei confronti del marito convivente, in quanto persone – sia pure temporaneamente – non espellibili». Tale divieto cede però «soltanto di fronte a esigenze di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato», precisano i giudici, e in tal caso «il potere di espulsione è del Ministro e non del Prefetto». Evidente, quindi, l'errore compiuto dal Giudice di Pace, il quale ha ritenuto «sufficiente, in caso di gravidanza, il bilanciamento del diritto alla vita familiare con la pericolosità sociale del soggetto» – «per spaccio di stupefacenti», in questa vicenda – e, allo stesso tempo, ha ritenuto «non apprezzabile la doglianza attinente alla paternità del decreto di espulsione, posto che il Ministro dell'Interno opera a livello periferico per il tramite del Prefetto». Invece, osservano dalla Cassazione, «si tratta di due ipotesi diverse e non sovrapponibili di espulsione amministrativa la prima, quella riservata al Ministro dell'interno riguarda l'esigenza di ordine pubblico e sicurezza dello Stato, esigenza di carattere certamente più pregnante di quella di non mantenere nel territorio dello Stato soggetti privi del permesso di soggiorno, ovvero ai quali il permesso è stato revocato. Per espellere questi ultimi, il Prefetto è tenuto ad operare un bilanciamento con il diritto alla vita privata e familiare tenendo conto della natura e della effettività dei vincoli familiari del soggetto, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d'origine». Tuttavia, «l'ipotesi della gravidanza è diversa, perché, pur se riconducibile al genus del diritto alla vita privata e familiare, ne costituisce una species particolare che evidenzia non solo una situazione di vulnerabilità personale, ma anche e soprattutto l'esigenza di tutelare l'interesse del nascituro. Si tratta di garantire quindi al tempo stesso la funzione sociale della maternità, e il miglior interesse del minore, ma per un periodo di tempo limitato e determinato e sempre che queste esigenze individuali non mettano a rischio la stessa sicurezza dello Stato». Tirando le somme, «durante il periodo della gravidanza e nei sei mesi dopo la nascita, resta sospeso vale a dire che non può essere esercitato il potere del Prefetto di espellere il cittadino di Paese terzo privo di permesso di soggiorno» ovvero il soggetto considerato pericoloso, restando invece «sempre possibile l'espulsione «per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato». In questa vicenda, quindi, è necessario ora che il Giudice di Pace verifichi «la sussistenza dei requisiti di non espellibilità, vale a dire la gravidanza o la nascita da meno di sei mesi e la convivenza, all'epoca, tra marito e moglie» per poi decidere sulla legittimità del «decreto prefettizio di espulsione» del cittadino marocchino.

Presidente De Chiara – Relatore Russo Rilevato che 1. Il ricorrente, cittadino marocchino, ha ricevuto in data 2 marzo 2020 un provvedimento di espulsione che oppone lamentando, tra l'altro il difetto di competenza del Prefetto, il difetto di sottoscrizione da parte del Prefetto o Prefetto vicario e invocando il diritto a restar sul territorio in quanto la moglie è in stato di gravidanza e necessita di cure mediche contesta il giudizio di pericolosità reso nei suo confronti. Il giudice di pace ha respinto il ricorso ritenendo corretto il bilanciamento operato tra diritto alla vita familiare e pericolosità sociale e la regolarità del provvedimento. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l'interessato, affidandosi a cinque motivi. Non ha spiegato difese l'amministrazione intimata. 2. Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione del D.Lgs. numero 150 del 2011, articolo 5, comma 2 e articolo 18 per la negazione della sospensiva. Il motivo è inammissibile, posto che sulla sospensiva si provvede con ordinanza non impugnabile o fuori udienza con provvedimento che poi può esser confermato o meno in ogni caso il provvedimento di natura interinale sia esso negativo o positivo è superato dalla intervenuta decisione di merito. 3. Con il secondo motivo del ricorso lamenta la violazione del D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 13, comma 1 e articolo 19. Deduce che l'articolo 19 prevede un divieto di espulsione per la donna in gravidanza, che la Corte Costituzionale con sentenza 376/2000 ha esteso anche al marito convivente dal donna, fino a sei mesi dopo al nascita del figlio deduce altresì che in tale caso il potere di espulsione spetta al Ministro e non al Prefetto. Il motivo è fondato. Il D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 19, comma 2, lett. d pone un divieto di espulsione, derogabile solo alle condizioni e con la procedura previste dal comma 1 dell'articolo 13, nei confronti delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono, norma dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con sentenza numero 376/2000 nella parte in cui non estende il divieto di espulsione al marito convivente della donna. Come la stessa Corte Costituzionale ha avuto modo di precisare, non si tratta di un divieto assoluto di espulsione o di respingimento, ma di una temporanea sospensione del relativo potere fondata sulla particolare tutela che l'ordinamento, in questa come in varie altre materie, appresta per la donna in stato di gravidanza e nel periodo immediatamente successivo alla nascita del figlio tutela che viene riconosciuta in vista della protezione sia della stessa donna che del figlio minore, nato o nascituro. Pertanto, ai sensi del D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 19, comma 2, lett. d durante la gravidanza ed sei mesi successivi alla nascita del figlio, il Prefetto non può emettere decreto di espulsione, nè nei confronti della madre nè nei confronti del marito convivente, in quanto persone sia pure temporaneamente non espellibili. Il divieto cede soltanto di fronte a esigenze di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, di cui al D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 13, comma 1, la cui applicazione è fatta salva dal comma 2 dell'articolo 19 ma in tal caso il potere di espulsione è del Ministro e non del Prefetto. Ha dunque errato il giudice di pace a ritenere che in caso di gravidanza fosse sufficiente il bilanciamento del diritto alla vita familiare con la pericolosità sociale del soggetto per spaccio di stupefacenti ed ha altresì errato a ritenere non apprezzabile la doglianza attinente alla paternità del decreto di espulsione posto che il Ministro dell'interno opera a livello periferico per il tramite del Prefetto . Si tratta di due ipotesi diverse e non sovrapponibili di espulsione amministrativa la prima, quella riservata al Ministro dell'interno riguarda l'esigenza di ordine pubblico e sicurezza dello Stato, esigenza di carattere certamente più pregnante di quella di non mantenere nel territorio dello Stato soggetti privi del permesso di soggiorno, ovvero ai quali il permesso è stato revocato. Per espellere questi ultimi, il Prefetto è tenuto ad operare un bilanciamento con il diritto alla vita privata e familiare tenendo conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d'origine. Il comma 2 bis dell'articolo 19 impone questo giudizio di bilanciamento nel caso in cui il provvedimento di espulsione è adottato ai sensi del comma 2, lettere a e b e non anche, peraltro, quando si tratta di espulsioni ai sensi della lett. c della stessa norma. L'ipotesi della gravidanza è tuttavia diversa, perché pur se riconducibile al genus del diritto alla vita privata e familiare, ne costituisce una species particolare che evidenzia non solo una situazione di vulnerabilità personale, ma anche e soprattutto l'esigenza di tutelare l'interesse del nascituro. Si tratta di garantire quindi al tempo stesso la funzione sociale della maternità, e il miglior interesse del minore, ma per un periodo di tempo limitato e determinato e sempreché queste esigenze individuali non mettano a rischio la stessa sicurezza dello Stato. In sintesi, durante il periodo della gravidanza e nei sei mesi dopo la nascita resta sospeso vale a dire che non può essere esercitato il potere del Prefetto di espellere il cittadino di paese terzo privo di permesso di soggiorno, ovvero appartenente ad una delle categorie di cui al D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 1, restando invece sempre possibile l'espulsione di cui al comma 1 dell'articolo 13. Nella fattispecie il giudice di pace, sovrapponendo indebitamente la espulsione di cui al comma 1 e quella di cui al comma 2 dell'articolo 13 e trascurando di valutare la effettiva portata dell'articolo 19 comma 2 lett. d non ha verificato la sussistenza dei requisiti di non espellibilità, vale a dire la gravidanza o la nascita da meno di sei mesi e la convivenza, all'epoca, tra marito e moglie. Se il decreto prefettizio è stato emesso in quell'arco di tempo è da considerarsi illegittimo perché diretto ad un soggetto temporaneamente non espellibile. Questo accertamento in fatto dovrà essere compiuto in sede di rinvio. 4. Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 13, comma 2 e L. numero 241 del 1990, articolo 21 octies. Deduce che il provvedimento di espulsione è firmato dal vice Prefetto con la dicitura p. il Prefetto e questo sarebbe sufficiente a far ritenere che egli ha agito non già su delega ma in sostituzione del Prefetto stesso. Il provvedimento è quindi illegittimo in quanto colui che ha firmato il provvedimento non ha agito su delega del Prefetto o del vice Prefetto vicario ma in sostituzione di entrambe le figure dirigenziali. Il motivo è infondato. Il giudice di pace ha correttamente respinto il motivo di opposizione, richiamandosi alla consolidata giurisprudenza sulla delegabilità delle funzioni, anche non rientranti nelle attribuzioni del delegato, sulla presunzione di esistenza della delega e sull'onere del ricorrente di dare prova contraria Cass. 6788/2015 . È infatti sufficiente che la delega esista e non deve necessariamente menzionata nell'atto Cass. 7873/2018 se contestata dalla parte che impugna il provvedimento deducendone l'illegittimità per insussistenza della delega, quest'ultima ha l'onere di provare detto fatto negativo, ed è tenuto a sollecitare il giudice ad acquisire informazioni ex articolo 213 c.p.c. o altra attività istruttoria Cass. 20972/2018 . Se l'opponente rimane del tutto inerte processualmente, la presunzione di legittimità che assiste il provvedimento non può reputarsi superata Cass. 11283/2010, Cass. 23073/2016, Cass. 20972/2018 . Il primo giudice ha dato per presunta la esistenza della delega e non provato il contrario, nè la parte dichiara di avere chiesto istruttoria sul punto. Secondo la parte la scritta p. il Prefetto prima della firma dimostrerebbe l'assenza della delega si tratta di un assunto apodittico, basato su una personale interpretazione del significante che non rimanda al significato asserito dalla parte, perché letteralmente significa solo per il Prefetto , e comunque non fondato su alcun riscontro concreto, a fronte della generale presunzione di legittimità del provvedimento amministrativo. 5. Con il quarto motivo del ricorso si lamenta la nullità della sentenza ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., numero 4 in relazione all'articolo 132 c.p.c. e la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 13, comma 2, lett c e del D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 1,4,5 e 16. Deduce che il primo giudice ha rigettato con motivazione apodittica e contraddittoria l'eccezione della violazione dell'articolo 13, comma 2, lett. c non avendo considerato che il soggetto da espellere deve appartenere alle categorie di cui al D.Lgs. numero 159 del 2011 perché nei suoi confronti sono state richieste misure di prevenzione e la competenza a inscrivere la persona tra le categorie di cui al D.Lgs. numero 159 del 2011 non è del Prefetto del Questore. Il motivo è infondato. Il giudice di pace ha chiarito che l'articolo 13, comma 2, lett c cit. opera un rinvio al D.Lgs. numero 159 del 2011 che deve essere letto non nel senso che sono espellibili le persone nei cui confronti è stata richiesta una misura di prevenzione, ma le persone che rientrano nella categorie descritte dal D.Lgs. numero 159 del 2001, articolo 1 e cioè quei soggetti nei cui confronti può essere richiesta la misura. L'interpretazione data dal giudice di pace appare corretta in base al tenore letterale della norma stessa, che richiama altre norme descrittive il comportamento e le condizioni di soggetti ai quali per tali ragioni può applicarsi una misura e non parla invece -come peraltro sarebbe stato più semplice di soggetti cui è stata applicata la misura o nei cui confronti essa è stata richiesta del resto non vi sarebbe alcuna utilità di richiedere una misura di prevenzione nei confronti di un soggetto destinatario di un decreto di espulsione. 6. Con il quinto motivo del ricorso si lamenta in relazione all'articolo 360 c.p.c., nnumero 3 e 5 la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 5, comma 5 e articolo 13, comma 2 bis. Deduce che il ricorrente che il giudice di pace non ha tenuto conto dei vincoli familiari e che manca nel provvedimento espulsivo una compiuta analisi della situazione socio familiare. Il motivo è infondato posto che il giudice di pace ha esaminato l'argomento e si è richiamato alle valutazioni rese dal tribunale minorile che ha revocato il permesso di soggiorno D.Lgs. numero 286 del 2011, ex articolo 31. Peraltro, come sopra si è detto, il D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 19, comma 2 bis impone questo giudizio di bilanciamento nel caso in cui il provvedimento di espulsione è adottato ai sensi del comma 2, lettere a e b e non anche quando si tratta di espulsioni ai sensi della lett. c della stessa norma. Ne consegue in accoglimento del secondo motivo del ricorso, rigettati gli altri, la cassazione della ordinanza impugnata e il rinvio al giudice di pace di Verona, in persona di un magistrato diverso da quello che ha emesso l'ordinanza cassata, per un nuovo esame sulla questione indicata al punto 3 in relazione al principio di diritto ivi enunciato e per le spese anche del giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il secondo motivo del ricorso, rigettati gli altri, cassa l'ordinanza impugnata e rinvia al giudice di pace di Verona per un nuovo esame e per le spese anche del giudizio di legittimità.