Recesso del lavoratore per giusta causa durante il periodo di prova: spetta l’indennità da preavviso?

Le dimissioni del lavoratore rassegnate durante il periodo di prova per giusta causa non integrano un recesso legittimo e, pertanto, non trova applicazione il comma 3 dell’articolo 2096 c.c. parte datoriale ha impedito al dipendente di portare a termine l’esperimento e, pertanto, si è resa autrice di un inadempimento di un obbligo a suo carico, fonte di responsabilità contrattuale e di una specifica obbligazione di risarcire il danno, secondo i parametri che regolano il recesso dal contratto a termine.

Questo è quanto affermato dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza numero 17423/21, depositata il 17 giugno. Un lavoratore, assunto in prova, ha rassegnato le proprie dimissioni per giusta causa, determinate da un fatto imputabile al datore di lavoro - nello specifico per essere stato ingiuriato ad opera dell'amministratore delegato. Di conseguenza, ha proposto ricorso al giudice del lavoro per ottenere il risarcimento del pregiudizio subito, sia dal punto di vista non patrimoniale, sia dal punto di vista economico, instando per la condanna della società alla corresponsione dell'indennità da mancato preavviso per anticipata risoluzione del rapporto di lavoro dirigenziale, richiamando la contrattazione collettiva di settore. Il Tribunale ha accolto in parte il ricorso, condannando parte datoriale al risarcimento del danno all'immagine, ma rigettando le ulteriori richieste. Successivamente, la Corte di Appello, accogliendo parzialmente il gravame, ha condannato la società al risarcimento del danno retributivo quantificato in quanto sarebbe stato percepito sino alla scadenza del periodo di prova e di quello biologico. Avverso tale sentenza è stato proposto ricorso alla Corte di legittimità da parte del lavoratore lo stesso ha lamentato violazione e falsa applicazione degli articolo 2096,2119 e 2218 c.c., nonché della contrattazione collettiva di riferimento. A suo avviso, infatti, la Corte di Appello avrebbe errato nell'assimilare le conseguenze del recesso illegittimo esercitato dal datore durante la prova con quelle di un recesso legittimo del lavoratore nel corso dell'esperimento, così attribuendo a quest'ultimo un risarcimento pari alle retribuzioni eventualmente spettanti sino alla scadenza della prova medesima, anziché l'indennità di preavviso prevista dal CCNL di settore. La società ha resistito con controricorso, spiegando altresì ricorso incidentale al fine di censurare la mancata deduzione ad opera della Corte Territoriale dal quantum liquidato dell'aliunde perceptum. Le doglianze sono infondate. La Corte di Cassazione, con una lineare e chiara pronuncia, ha argomentato in ordine all'infondatezza delle censure avanzate da entrambe le parti. In primo luogo, è stato condiviso quanto affermato in appello, rammentando altresì quanto sancito dalla Corte Costituzionale nella sentenza numero 204/1976 il periodo di prova non può essere qualificato come rapporto a tempo indeterminato, bensì ha natura di rapporto a termine, con la conseguenza che al recedente per giusta causa non spetta l'indennità sostitutiva del preavviso, regolata dall'articolo 2119 comma 1 c.c Inoltre, gli Ermellini hanno evidenziato come le dimissioni del lavoratore rassegnate durante il periodo di prova per giusta causa non integrino affatto un recesso legittimo e, pertanto, non trovi applicazione il comma 3 dell'articolo 2096 c.c. impedendo al dipendente di portare a termine l'esperimento, parte datoriale ha posto in essere un inadempimento di un obbligo assunto, fonte di responsabilità contrattuale e di una specifica obbligazione di risarcire il danno, secondo i parametri che regolano il recesso dal contratto a termine. Non è stata, poi, condivisa la tesi del ricorrente, secondo cui il suo recesso sarebbe stato determinato non già dal mancato superamento della prova, bensì dalla lesione del vincolo fiduciario, con conseguente applicazione della norma del CCNL che prevede il riconoscimento dell'indennità da mancato preavviso ad avviso della Corte di Legittimità, infatti, il recesso durante il periodo di prova è discrezionale e non deve essere motivato, ben potendo essere determinato nel mancato gradimento, da parte del dipendente, di comportamenti datoriali. In buona sostanza, quindi, le dimissioni per giusta causa rassegnate dal ricorrente vanno assimilate ad un datoriale ingiustificato recesso ante tempus dal contratto a termine, con conseguente risarcimento del danno retributivo, commisurato all'entità dei compensi che sarebbero stati percepiti sino alla prevista scadenza contrattuale. In ordine alla questione del c.d. aliunde perceptum, la Cassazione ha rammentato come sia rilevabile d'ufficio dal giudice, non trattandosi di eccezione in senso stretto, purché i dati di fatto emergano ex actis. Tuttavia, nel caso concreto, la doglianza della società è infondata, dal momento che alcun elemento probatorio è stato dalla stessa fornito o allegato, nella pretesa istanza di esercizio dei poteri istruttori giudiziali con finalità meramente esplorativa, come tale inammissibile. Nell'infondatezza di tutte le censure, il ricorso è stato respinto, con compensazione integrale delle spese di lite, in ragione della reciproca soccombenza.

Presidente Berrino – Relatore Leo Rilevato che il Tribunale di Ascoli Piceno, con la sentenza numero 171/2015, resa il 24.4.2015, in parziale accoglimento del ricorso proposto da P.F. , nei confronti della Sei-Servizi Elicotteristici Italiani S.p.A. successivamente incorporata nella MAG Mecaer Aviation Group S.p.A. , ha condannato quest'ultima al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 15.000,00 a titolo di danno all'immagine, oltre interessi dalla pronunzia al saldo, rigettando le altre domande conseguenti al riconoscimento della giusta causa delle dimissioni comunicate, con lettera in data 12.2.2007, durante il periodo di prova pattuito in sei mesi, dal 13.11.2006 al 13.5.2007 - determinate da fatto imputabile all'azienda, consistito nelle ingiurie subite ad opera dell'Amministratore Delegato dall'inizio del gennaio 2007 fino all'episodio culminante del 10 gennaio 2007 - e, specificamente, relative all'indennità di mancato preavviso per anticipata risoluzione del rapporto di lavoro dirigenziale, al danno patrimoniale per lucro cessante, al danno biologico ed alla vita di relazione che la Corte territoriale di Ancona, con la sentenza numero 104/2016, pubblicata il 19.5.2016, ha accolto parzialmente l'appello interposto dal P. , avverso la pronunzia di primo grado, ed in parziale riforma della stessa, ha condannato la MAG Mecaer Aviation Group S.p.A. al versamento, in favore del lavoratore, della somma di Euro 39.093,00 liquidata al 12.2.2007 a titolo di danno retributivo, nonché della somma di Euro 9.538,20 liquidata al 5.1.2020 a titolo di risarcimento del danno biologico da inabilità temporanea, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali da ciascun evento di danno al saldo, confermando, nel resto, la sentenza oggetto di gravame che per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso P.F. , articolando un motivo che la MAG Mecaer Aviation Group S.p.A. d'ora in avanti MAG S.p.A. ha resistito con controricorso, spiegando, altresì, ricorso incidentale affidato ad un motivo, cui il P. ha, a sua volta, resistito con controricorso che la società ha comunicato memorie ai sensi dell'articolo 380-bis.1 c.p.c. che il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per l'inammissibilità di quello incidentale. Considerato che, con il ricorso principale, si censura la Violazione e falsa applicazione dell'articolo 2096 c.c. nonché degli articolo 2119 e 2118 c.c Violazione e falsa applicazione dell'articolo 23 del CCNL per i dirigenti delle aziende industriali del 24 novembre 2004 e si deduce che, una volta accertato giudizialmente che le dimissioni del ricorrente siano state motivate da una giusta causa, ovvero da un fatto che - indipendentemente dalla circostanza che si sia verificato nella vigenza del patto di prova - non avrebbe consentito la prosecuzione, nemmeno provvisoria del rapporto , la Corte di merito abbia, poi, errato nell'assimilare le conseguenze del recesso illegittimo durante la prova esercitato dal datore con le conseguenze di un recesso legittimo del prestatore nel corso di tale esperimento”, così quantificando il risarcimento in favore del prestatore illegittimamente licenziato durante il periodo di prova nella misura delle retribuzioni eventualmente spettanti sino alla concordata conclusione dello stesso, senza considerare che “è la legge stessa - e di rimando la contrattazione collettiva - a predeterminare il ristoro spettante qualora venga legittimamente esercitato il diritto di recesso pertanto, a parere del P. , ai sensi dell'articolo 23 del CCNL per i Dirigenti delle aziende industriali, allo stesso sarebbe spettata l'indennità di preavviso nella misura di otto mensilità, alla luce dell'anzianità di servizio inferiore a due anni” e non, appunto, il limitato risarcimento pari alle mensilità dovute e non percepite dalla data del recesso alla data di ipotetica conclusione del periodo di prova che, con il ricorso incidentale, si censura la violazione e falsa applicazione degli articolo 1218 e 1223 c.c.” e si deduce che, nonostante i giudici di appello, nel quantificare il risarcimento del danno spettante al P. in ragione delle dimissioni per giusta causa, abbiano correttamente utilizzato i parametri generali stabiliti dagli articolo 1218 c.c. e segg. per i casi di inadempimento contrattuale, i medesimi avrebbero, comunque, errato poiché non avrebbero operato dal quantum riconosciuto a tale titolo al lavoratore, la riduzione in costanza di c.d. aliunde perceptum, cioè di proventi derivanti da altra occupazione eventualmente percepiti nel periodo di tempo in questione che il ricorso principale non è meritevole di accoglimento, perché - anche a prescindere dal fatto che, in violazione del disposto dell'articolo 366 c.p.c., comma 1, numero 6, non è stato indicato nell'elenco dei documenti offerti in comunicazione unitamente al ricorso per cassazione, il CCNL per i Dirigenti delle Aziende Industriali, di cui è stato trascritto solo il testo dell'articolo 23 - la Corte di Appello ha condivisibilmente sottolineato che il periodo di prova non può essere qualificato come un rapporto a tempo indeterminato, ma a termine nel caso di specie, pattuito in sei mesi, dal 13.11.2006 al 13.5.2007 per la qual cosa, ha escluso che al P. fosse dovuta l'indennità sostitutiva del preavviso, secondo quanto disposto dall'articolo 2119 c.c., comma 1. Al riguardo, si osserva, altresì, che la Corte costituzionale, in più occasioni intervenuta sul patto di prova, ha evidenziato, per il profilo che in questa sede rileva, che il periodo di prova ha natura nettamente distinta da quella del contratto di lavoro a tempo indeterminato , poiché il contratto di lavoro nel periodo di prova, non seguito da assunzione, si configura come contratto a tempo determinato” Corte Cost. numero 204/1976 che, pertanto, correttamente, i giudici di seconda istanza hanno osservato che, nella fattispecie, non potendosi configurare una ipotesi di recesso legittimo, ma di dimissioni connotate da giusta causa, durante il periodo di prova, non è applicabile il disposto di cui all'articolo 2096 c.c., comma 3, proprio in quanto la parte datoriale è responsabile di quelle dimissioni che hanno impedito al P. di condurre a termine l'esperimento , e, dunque, la risoluzione anticipata equivale al mancato soddisfacimento dell'obbligazione a carico della società datrice per effetto dell'articolo 2096 c.c.”, divenendo quell'inadempimento fonte di responsabilità contrattuale e di specifica obbligazione risarcitoria è ciò, in quanto, avendo le parti sottoscritto un patto di prova, le stesse sono tenute ad attuarlo per non dovere rispondere dei danni v. pag. 12 della sentenza impugnata . Il Giudice delle leggi, in proposito, ha affermato che l'obbligo delle parti a consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del patto di prova pone, comunque, un primo limite alla discrezionalità dell'imprenditore, nel senso che la legittimità del licenziamento dallo stesso intimato durante il periodo di prova può efficacemente essere contestata dal lavoratore quando risulti che non è stata consentita, per la inadeguatezza della durata dell'esperimento o per altri motivi, quella verifica del suo comportamento e delle sue qualità professionali alle quali il patto di prova è preordinato v. Corte Cost. numero 189/1980 che, per quanto evidenziato, non può, però, condividersi la tesi del ricorrente principale, secondo cui, quando la motivazione del recesso risieda non nell'esito negativo della prova, ma nella lesione del vincolo fiduciario, il lavoratore recedente avrebbe diritto all'indennizzo predeterminato dall'articolo 23 del CCNL, in caso di risoluzione senza preavviso, da parte del datore di lavoro, del contratto a tempo indeterminato, poiché - come ribadito anche dalla giurisprudenza di legittimità cfr., tra le altre, Cass. nnumero 20916/2019 12268/2018 - il recesso intimato durante il periodo di prova o al termine di esso, non deve essere motivato, avendo natura discrezionale e risiedendo la causa del patto di prova per il lavoratore nella possibilità di verificare non solo l'entità della prestazione richiestagli, ma anche le condizioni di svolgimento del rapporto di lavoro. E di queste ultime, certamente, fanno parte i comportamenti datoriali che ledano il rapporto fiduciario in modo tale da non consentire la prosecuzione del rapporto lavorativo, pur non essendo collegate, in senso stretto, all'esperimento della prova che, quindi, correttamente, la Corte di merito ha affermato che, nella fattispecie, si tratta di danno retributivo da c.d. recesso ante tempus, in conformità con gli arresti giurisprudenziali di legittimità, alla stregua dei quali “In caso di non giustificato recesso ante tempus del datore di lavoro da rapporto di lavoro a tempo determinato, il risarcimento del danno dovuto al lavoratore va commisurato all'entità dei compensi retributivi che lo stesso avrebbe maturato dalla data del recesso fino alla prevista scadenza del contratto cfr., ex multis, Cass. nnumero 12092/2004 16849/2003 2822/1997 che il ricorso incidentale non può trovare accoglimento, poiché, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte v., ex plurimis, Cass. nnumero 4056/2021 18093/2013 , il c.d. aliunde perceptum non costituisce oggetto di eccezione in senso stretto ed è, dunque, rilevabile d'ufficio dal giudice, se le relative circostanze di fatto risultano ritualmente acquisite al processo per la qual cosa, l'eccezione di detrazione dell'aliunde perceptum non è subordinata alla specifica e tempestiva allegazione della parte, ove i fatti risultino ex actis, nel rispetto del disposto di cui all'articolo 366 c.p.c., comma 1, numero 6 condizione, questa, non soddisfatta nel caso di specie, in cui l'eventuale percezione di redditi da parte del P. , successivamente alle rassegnate dimissioni, derivanti da altra occupazione, è rimasta del tutto priva di elementi delibatori a sostegno. Ed il datore di lavoro, onerato della prova dell'aliunde perceptum da detrarre dall'ammontare del risarcimento del danno non può esonerarsi chiedendo al giudice di voler disporre generiche informative o di attivare poteri istruttori con finalità meramente esplorative” cfr., tra le molte, Cass. nnumero 5316/2016 4884/2015 ma la parte datoriale, nel caso di specie, non ha allegato, nè chiesto di provare, alcuna circostanza finalizzata all'accertamento della effettiva percezione di altri redditi provenienti da altra occupazione del P. , dopo le dimissioni di cui si tratta, dando per postulato che il medesimo avesse reperito un nuovo posto di lavoro ad un mese dal recesso che, per tutto quanto innanzi esposto, il ricorso principale e quello incidentale devono essere entrambi respinti che le spese del giudizio di legittimità vanno interamente compensate tra le parti, data la reciproca soccombenza che, avuto riguardo all'esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nei termini specificati in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Spese compensate. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale ed il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.