Un bar lasciato senza corrente e le tre parole d’ordine per ottenere il risarcimento

Il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, è risarcibile anche quando non sussiste un fatto-reato, a tre condizioni

Lo chiarisce la Corte di Cassazione con ordinanza numero 17557/17 depositata il 14 luglio. Il caso. La Corte d’Appello confermava il rigetto della domanda di risarcimento danni proposta dal titolare del bar-gelateria nei confronti di Enel Distribuzione s.p.a. per inadempimento alle obbligazioni del contratto di somministrazione di energia elettrica. La società, infatti, aveva interrotto il servizio per un’anomalia del sistema informatico di registrazione dei consumi. L’attore decide di proporre ricorso in Cassazione lamentando le parti in cui la sentenza statuisce la mancanza di prova dei danni patrimoniali. Liquidazione del danno in via equitativa. Relativamente a tale doglianza, la Corte ribadisce la consolidata giurisprudenza formatasi sull’esercizio del potere discrezionale conferito al Giudice per liquidare il danno in via equitativa. In particolare, l’esercizio di tale potere, afferma la Corte, «non dà luogo ad un giudizio di equità ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dall’equità correttiva od integrativa». In tal senso, si presuppone che sia «provata l’esistenza di danni risarcibili ma che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare». Per contro, non è possibile «surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza». Danno esistenziale. Per quanto concerne, poi, il dedotto danno esistenziale, gli Ermellini affermano che per la sua risarcibilità, qualora non sussiste un fatto-reato, devono ricorrere tre condizioni la rilevanza costituzionale dell’interesse leso, la gravità della lesione di tale interesse e, come ultima, quella per cui il danno non sia futile, ossia che non consista in meri disagi o fastidi. Nella fattispecie, vi è una totale assenza di indicazioni circa l’interesse costituzionalmente tutelato e di prove circa le conseguenze dannose derivate dall’inadempimento. Pertanto, non è possibile provare la risarcibilità del danno non patrimoniale subito dal titolare del bar in conseguenza dell’interruzione del servizio di fornitura di energia elettrica da parte della società. La Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 19 gennaio – 14 luglio 2017, numero 17557 Presidente Amendola – Relatore Olivieri Premesso - Con sentenza 3.7.2015 numero 934 la Corte d’appello di Catanzaro ha confermato la decisione di prime cure che aveva rigettato la domanda di risarcimento danni proposta da L.A. titolare di esercizio commerciale avente ad oggetto attività di bar-gelateria nei confronti di ENEL Distribuzione s.p.a. per inadempimento alle obbligazioni del contratto di somministrazione di energia elettrica, avendo la società provveduto ad interrompere il servizio per causa ad essa imputabile dovuta al verificarsi di una anomalia nel sistema informatico di registrazione dei consumi. - La sentenza di appello è stata ritualmente impugnata dal L. con tre motivi - Resiste con controricorso ENEL Distribuzione s.p.a. Osserva Il ricorso è manifestamente infondato. Il Giudice di appello ha rilevato che il Tribunale aveva rigettato la domanda risarcitoria in punto di mancanza di prova del danno risarcibile, tanto patrimoniale quanto non patrimoniale, e che i motivi di gravame non erano idonei ad inficiare tale pronuncia mancando qualsiasi rilievo critico sul punto in ogni caso il L. a non aveva fornito prova della durata della interruzione della somministrazione di energia elettrica e quindi del nesso di causalità tra la predetta interruzione e la chiusura del locale b non aveva fornito prova del danno patrimoniale non avendo allegato scritture contabili, dichiarazioni dei redditi od altri elementi indiziari dai quali desumere la entità del danno patito c non aveva fornito prova della durata della chiusura dell’attività e del pregiudizio non patrimoniale subito, allegato come danno esistenziale, difettando peraltro la prova del danno biologico psichico in quanto i certificati medici prodotti attestavano patologie risalenti e prive di nesso causale con l’inadempimento dell’ENEL. Il primo motivo del ricorso è inammissibile in quanto inconferente rispetto alle rationes decidendi. Viene infatti dedotto il vizio ex articolo 360co1 numero 5 c.p.c. tutto incentrato sull’inadempimento della società fornitrice la quale non aveva dimostrato che la interruzione di energia fosse giustificata dalla applicazione di una clausola contrattuale sottoscritta dall’utente. La questione dell’inadempimento e la prova liberatoria della non imputabilità, neppure è stata affrontata dalla Corte territoriale che ha rigettato il gravame in punto di prova del danno e del nesso di causalità giuridica ex articolo 1223 c.c Il secondo motivo di ricorso violazione degli articolo 2697, 2727 e 2729 c.c. ed il terzo motivo di ricorso violazione dell’articolo 1226 c.c. e vizio logico di motivazione ex articolo 360co1 numero 5 c.p.c. che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto investono le statuizioni della sentenza in ordine alla mancanza di prova dei danni patrimoniali e non, sono manifestamente infondati. La allegata chiusura per oltre un mese dell’attività commerciale peraltro indimostrata, non essendo stato neppure indicato l’atto processuale o il documento dal quale scaturiva la relativa prova non investe, infatti la ratio decidendi che ha ritenuto insussistente la prova di una diretta incidenza tra interruzione della fornitura e durata della chiusura dell’attività, mentre l’affermazione che il danno patrimoniale e non patrimoniale doveva ritenersi in re ipsa , e pertanto il Giudice di merito era tenuto comunque a liquidarlo, costituisce affermazione manifestamente errata in diritto. Consolidata è infatti la giurisprudenza di legittimità per cui l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli articolo 1226 e 2056 cod. civ., espressione del più generale potere di cui all’articolo 115 cod. proc. civ., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che, pertanto, presuppone che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare non è possibile, invece, in tal modo surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza numero 10607 del 30/04/2010 id. Sez. 3, Sentenza numero 20990 del 12/10/2011 id. Sez. 6 - L, Ordinanza numero 27447 del 19/12/2011 id. Sez. 3, Sentenza numero 127 del 08/01/2016 . Il ricorrente non indica alcun elemento probatorio acquisito al giudizio di merito e volto ad attestare la esistenza ed il quantum del danno patrimoniale, che costituisce un danno conseguenza ex articolo 1223 c.c. e non coincide, pertanto, con l’inadempimento della obbligazione contrattuale la statuizione della sentenza di appello va in conseguenza esente da censura. Quanto al dedotto danno esistenziale occorre premettere che il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, è risarcibile - sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 cod. civ. - anche quando non sussiste un fatto-reato, né ricorre alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, a tre condizioni a che l’interesse leso - e non il pregiudizio sofferto - abbia rilevanza costituzionale altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell’articolo 2059 cod. civ., giacché qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso di essere tale, e cioè di toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile b che la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità in quanto il dovere di solidarietà, di cui all’articolo 2 Cost., impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza c che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità. E tale risarcibilità è estesa sia quando il pregiudizio all’interesse di rango costituzionale derivi da un fatto illecito, sia quando scaturisca da un inadempimento contrattuale cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza numero 26972 del 11/11/2008 . Ma anche quando il danno non patrimoniale sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, non può mai ritenersi in re ipsa , ma costituisce un danno conseguenza, che deve essere allegato e provato da chi ne domandi il risarcimento cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza numero 10527 del 13/05/2011 id. Sez. 3, Sentenza numero 13614 del 21/06/2011 id. Sez. 6 - 1, Ordinanza numero 21865 del 24/09/2013 . Nel caso di specie la assoluta assenza di indicazioni circa la lesione dell’interesse di rango costituzionale pregiudicato e la totale assenza di prove in ordine alle conseguenze dannose derivate dall’inadempimento non consentiva la risarcibilità del danno non patrimoniale subito dall’utente in conseguenza dell’interruzione della somministrazione di energia elettrica addebitabile al gestore della rete di distribuzione cfr. in termini, per un caso identico, Corte cass. Sez. 6 - 3, Sentenza numero 5096 del 28/02/2013 . In conclusione il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere stata ammessa al Patrocinio a spese dello Stato delibera 16.1.2016 Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catanzaro , non si applica l’articolo 13, comma 1 quater, del Dpr 30 maggio 2002 numero 115. P.Q.M. rigetta il ricorso principale. Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.