È abuso del processo la moltiplicazione delle iniziative esecutive che hanno per unico effetto il lievitare dei costi della procedura

Azionare più processi esecutivi sullo stesso titolo onde ottenere più volte le spese legali, costituisce abuso di diritto e del processo.

È questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione con l’articolata ordinanza numero 15077/21, emessa nella camera di consiglio del 21 gennaio 2021, depositata in cancelleria il successivo 31 maggio 2021, in un ricorso risalente all’anno 2018. Il provvedimento è stato emesso in particolare dal Collegio della terza Sezione civile, a seguito di articolato ragionamento, a seguito del quale il ricorso è stato respinto, con condanna del ricorrente a versare una cifra pari al contributo unificato. La questione nasce dalla sentenza del Tribunale di Treviso del 2 novembre 2017, con cui fu rigettata un’opposizione agli atti esecutivi avverso un’ordinanza di assegnazione. M.A., essendo in possesso di cinque titoli esecutivi nei confronti di una compagnia assicurativa, iniziò altrettante esecuzioni nei confronti della debitrice, tutte e cinque nelle forme del pignoramento presso terzi, e nei confronti del medesimo debitor debitoris. Le cinque esecuzioni vennero riunite e il Tribunale di Treviso, nella veste di giudice dell’esecuzione assegnò al creditore le somme precettate, oltre a 855 euro di onorari e 98,75 come spese. L'odierno ricorrente propose opposizione agli atti esecutivi contro l'ordinanza di assegnazione sostenendo che sia le spese che gli onorari fossero stati sottostimati. Aggiunse che il giudice dell'esecuzione aveva erroneamente liquidato gli orari per una sola procedura, senza tener conto che in realtà avrebbe dovuto liquidare gli onorari relativi a cinque diverse procedure, per le attività svolte prima della riunione. Come accennato, il Tribunale di Treviso rigettò l'opposizione, osservando che al giudice dell'opposizione non si può chiedere l'assegnazione di somme ulteriori rispetto a quanto stabilito dal giudice dell'esecuzione, poiché in questo modo si creerebbe un'ulteriore titolo esecutivo rispetto a quelli azionati nelle esecuzioni promosse dall'attore aggiunse inoltre che liquidare le spese dell'esecuzione non spetta al giudice dell'esecuzione in quanto contrasta con i principi che reggono l'esecuzione forzata. Infine, il tribunale aggiunse che le spese di cui l'opponente chiedeva la rifusione erano superflue, poiché egli dopo la notifica del primo precetto avrebbe ben potuto intervenire nella procedura iniziale, anziché notificare ulteriori pignoramenti dando il via ad alti procedimenti superflui. La sentenza veniva impugnata dall'odierno ricorrente per la sua Cassazione con ricorso fondato su tre motivi. Nessuno degli intimati ha svolto difese. I tre motivi di ricorso sono stati esaminati congiuntamente in quanto riportanti censure identiche o strettamente collegate il primo con riferimento agli onorari, il secondo con riferimento alle spese vive, il terzo con riferimento a entrambe. Con i suddetti motivi il ricorrente lamentava il fatto che erroneamente il tribunale avesse ritenuto non dovuti perché superfluo, gli onorari e le spese da lui richiesti, in quanto il credito oggetto del primo pignoramento in ordine di tempo sarebbe stato insufficiente a garantire la soddisfazione degli altri crediti e di conseguenza egli sarebbe stato costretto a notificare ulteriori pignoramenti, di cui costi perciò non si sarebbero potuti ritenere superflui o evitabili inoltre sosteneva il ricorrente che l'articolo 92 del codice di procedura civile, nella parte in cui esclude la ripetibilità delle spese superflue, non potesse trovare applicazione nel processo esecutivo. È violazione del principio di buona fede aggravare inutilmente la posizione del debitore, peraltro abusando del processo. La Suprema Corte ha sviscerato, la questione e rigettato il ricorso. Il Collegio ha rilevato che il ricorrente, munito di altrettanti titoli esecutivi, nel 2016 iniziò 5 diverse esecuzioni nella forma del pignoramento presso terzi, ed ottenne cinque diverse ordinanze di assegnazione, di cui per altro quattro pronunciate nell'arco di sole due settimane, mentre la quinta solo pochi mesi dopo. Con queste cinque ordinanze di assegnazione, chiese altrettanti decreti ingiuntivi al giudice di pace di Cerignola, il quale con una scelta che la Corte di Cassazione ritiene peraltro inspiegabile, ritenne di concederli. Successivamente l'odierno ricorrente mise esecuzione i suddetti decreti ingiuntivi, facendo seguire altrettanti pignoramenti presso terzi al medesimo soggetto, pignorando il medesimo credito con cinque atti notificati in un arco ristrettissimo di tempo, nel giro di pochi giorni. In questo modo, secondo il tribunale ha messo in atto una condotta illegittima poiché ha triplicato le spese di procedura, ha pignorato cinque volte successivamente il medesimo credito nei confronti del medesimo debitor debitoris , anche se al momento del primo pignoramento presso terzi, essendo già in possesso di quasi tutti i titoli esecutivi successivamente messi in esecuzione avrebbe ben potuto notificare un pignoramento unico e contestuale. Secondo la Suprema Corte, questo comportamento è da censurare poiché il dovere di comportarsi con correttezza e buona fede non consente al creditore di aggravare inutilmente la posizione del debitore, abusando del processo, costituendo questo comportamento una condotta caratterizzata da un elemento oggettivo e uno soggettivo. Sul piano oggettivo sia abuso del processo quando lo strumento processuale viene utilizzato per fini diversi e ulteriori da quelli suoi propri e illegittimi, mentre su quello soggettivo sia abuso del processo quando la condotta di cui sopra venga tenuta in violazione del generale dovere di correttezza e buona fede. In questo caso, secondo l'ordinanza in commento, il ricorrente ha tenuto una condotta che costituisce abuso del processo in quanto la moltiplicazione delle iniziative esecutive, senza frutto per il creditore aveva l'unico effetto di far lievitare i costi della procedura addirittura la Suprema Corte statuisce che tale condotta, processualmente illecita, anche sul piano deontologico, poiché l'avvocato non deve aggravare con onerose o plurime iniziative giudiziali la situazione debitoria della controparte, quando ciò non corrisponda a effettive ragioni di tutela della parte assistita, come ripetutamente affermato dalla Corte di Cassazione. La conseguenza di questa condotta, non può che essere quindi l' irripetibilità delle spese superflue o peggio fatte lievitare ad arte dal creditore. In applicazione di detti principi al caso concreto, la Suprema Corte ha quindi rigettato il ricorso disponendo il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 19 gennaio – 31 maggio 2021, numero 15077 Presidente De Stefano – Relatore Rossetti Fatti di causa 1. A.M. , essendo in possesso di cinque titoli esecutivi nei confronti della società Generali Italia s.p.a., iniziò altrettante esecuzioni forzate nei confronti della debitrice, tutte e cinque nelle forme del pignoramento presso terzi, e nei confronti del medesimo debitor debitoris. Le cinque esecuzioni vennero riunite e il Tribunale di Treviso, nella veste di giudice dell’esecuzione, con provvedimento del 12 aprile 2017 assegnò al creditore le somme precettate, più 855 Euro a titolo di onorari e 98,75 Euro a titolo di spese. 2. A.M. propose opposizione agli atti esecutivi avverso la suddetta ordinanza di assegnazione, lamentando la sottostima tanto delle spese, quanto degli onorari. Dedusse che il giudice dell’esecuzione aveva liquidato gli onorari per una unica procedura, senza tenere conto che avrebbe dovuto invece liquidare gli onorari relativi a cinque diverse procedure, per le attività svolte prima della riunione. Analoga censura svolse con riferimento alle spese. 3. Con sentenza 2 novembre 2017 numero 2233 il Tribunale di Treviso rigettò l’opposizione. A fondamento della propria decisione il Tribunale pose due diverse rationes decidendi. In primo luogo osservò che al giudice dell’opposizione non si può chiedere l’assegnazione di somme ulteriori rispetto a quanto stabilito dal giudice dell’esecuzione, poiché in tal modo verrebbe a crearsi un ulteriore titolo esecutivo rispetto a quelli azionati nelle esecuzioni promosse dall’odierno attore . Aggiunse che liquidare le spese di esecuzione non spetta nemmeno al giudice dell’esecuzione in quanto contrasta con i principi che reggono l’espropriazione forzata . In secondo luogo il Tribunale osservò che le spese di cui l’opponente chiedeva la rifusione erano superflue, perché egli dopo la notifica del primo precetto avrebbe potuto intervenire nella procedura iniziale, anziché notificare ulteriori pignoramenti. 4. La suddetta sentenza è stata impugnata per cassazione da A.M. con ricorso fondato su tre motivi. Nessuna delle parti intimate si è difesa. Ragioni della decisione 1. Tutti e tre i motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, in quanto svolgono censure o identiche, o strettamente collegate il primo con riferimento agli onorari, il secondo con riferimento alle spese vive il secondo con riferimento tanto alle une, quanto alle altre. Con i suddetti motivi il ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., numero 3, la violazione da parte del Tribunale degli articolo 88, 91, 92 e 95 c.p.c. nonché senza ulteriori precisazioni del D.M. numero 55 del 2014 . Nei tre motivi il ricorrente sostiene che erroneamente il Tribunale ha ritenuto non dovuti, perché superflui, gli onorari e le spese da lui richiesti. Espone il ricorrente che il credito oggetto del primo pignoramento in ordine di tempo era insufficiente a garantire la soddisfazione degli altri crediti da lui vantati. Di conseguenza egli non potè fare a meno di notificare ulteriori pignoramenti, i cui costi perciò non si sarebbero potuti ritenere nè superflui, nè evitabili. Aggiunge il ricorrente che l’articolo 92 c.p.c., nella parte in cui esclude la ripetibilità delle spese superflue, non può trovare applicazione nel processo esecutivo. In quest’ultimo, infatti, vige la diversa regola dettata dall’articolo 95 c.p.c., secondo cui le spese dell’esecuzione restano sempre a carico del debitore. 1.2. Il primo ed il secondo motivo, nella parte in cui sostengono che il giudice di merito avrebbe trascurato di considerare che la scelta dell’odierno ricorrente di procedere a cinque pignoramenti successivi fu necessitata con conseguente diritto del creditore ad addossare al debitore esecutato anche i relativi costi , prospettano in realtà un vizio di omesso esame d’un fatto decisivo per l’appunto, la necessità di eseguire più pignoramenti a causa dell’incapienza del primo , e non una violazione di legge. Essi sono fondati, ma ciò non avrà per effetto la cassazione della sentenza impugnata. Questa infatti, per le ragioni di cui si dirà, si fonda su una autonoma ratio decidendi conforme a diritto, con la conseguenza che la fondatezza delle censure proposte dal ricorrente impone unicamente la correzione, in parte qua, della motivazione che sorregge la decisione impugnata. 1.3. Come accennato, il Tribunale di Treviso ha rigettato l’opposizione proposta da A.M. sulla base di due rationes decidendi. La prima di queste può così riassumersi nè il giudice dell’esecuzione, nè quello dell’opposizione, hanno il potere di liquidare le spese di procedura al giudice dell’esecuzione è consentito soltanto verificare se le somme di cui il creditore chiede l’assegnazione ivi comprese le spese siano state correttamente determinate. Muovendo da questo principio, il Tribunale ha concluso che doveva rigettarsi la domanda con la quale si chiede al giudice dell’opposizione l’assegnazione delle spese nella maggior misura indicata dall’opponente. 1.4. Così giudicando, il Tribunale ha preso le mosse da un corretto principio di diritto, per trarne una conclusione erronea. Il Tribunale è nel vero quando rileva che nel procedimento esecutivo la regolazione delle spese non segue il principio della soccombenza come nel giudizio di cognizione, ma il diverso principio della soggezione del debitore all’esecuzione. Soggezione del debitore all’esecuzione vuol dire che nel processo di esecuzione per espropriazione forzata regole diverse valgono per l’esecuzione degli obblighi di fare non ci sono soccombenti da condannare a pagare le spese di lite alla controparte vittoriosa. Ci sono invece, debitori dal patrimonio dei quali il creditore procedente ha diritto di ricavare quanto gli spetta per capitale, interessi e spese. Sicché quando il giudice dell’esecuzione liquida le spese sostenute dal creditore non sta pronunciando una decisione di condanna, ma sta semplicemente verificando l’importo del credito, analogamente a quanto farebbe, ad esempio, ai fini del progetto di distribuzione ex multis, Sez. 3, Ordinanza numero 14504 del 30/06/2011, Rv. 618275-01 Sez. 2, Sentenza numero 4653 del 08/05/1998, Rv. 515226-01 Sez. 3, Ordinanza numero 789 del 11/10/1994, Rv. 488051-01 . 1.5. Da ciò tuttavia non discende - al contrario di quanto ritenuto dal Tribunale - che il creditore non possa dolersi nè dinanzi al giudice dell’esecuzione, nè dinanzi a quello dell’opposizione, della sottostima delle spese processuali. Queste ultime, per quanto detto, sono accessori del credito per capitale, ed anche l’eventuale errore nella determinazione di esse - al pari di qualsiasi errore nel calcolo del credito complessivo - potrà essere oggetto - a seconda dei casi - di istanze rivolte al giudice dell’esecuzione, o di opposizioni esecutive. L’opposizione all’esecuzione avverso un’ordinanza di assegnazione, pertanto, può essere sempre impugnata con l’opposizione agli atti esecutivi sia quando la contestazione investa la misura del capitale, sia quando investa il conteggio degli interessi, sia infine quando investa anche soltanto le spese del processo Sez. 6-3, Ordinanza numero 615 del 17/01/2012, Rv. 620956-01 . 2. Il Tribunale, tuttavia, ha fondato la propria decisione di rigetto dell’opposizione anche su una seconda ed autonoma ratio decidendi e cioè che il creditore non può pretendere di addossare al debitore spese scaturenti dalla scelta di avvalersi di mezzi di tutela più onerosi, quando nel caso concreto dispone di strumenti alternativi, che gli consentono di ottenere lo stesso grado di tutela . Tale decisione, che il ricorrente contrasta invocando l’inapplicabilità tout court dell’articolo 92 c.p.c., comma 2, al processo esecutivo, è corretta in diritto e fondata in fatto. 2.1. In punto di diritto, costituisce principio generale tanto del diritto delle obbligazioni articolo 1175 c.c. , quanto del diritto processuale articolo 88, 175 c.p.c. , il dovere di comportarsi con correttezza e buona fede. Tra le innumerevoli declinazioni di questo principio, vi è quella per cui non è consentito al creditore aggravare inutilmente la posizione del debitore, abusando del processo. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte l’abuso del processo è una condotta caratterizzata da un elemento oggettivo ed uno soggettivo. Sul piano oggettivo si ha abuso del processo quando lo strumento processuale viene utilizzato per fini diversi ed ulteriori da quelli suoi propri, ed illegittimi. Non, dunque, per tutelare diritti conculcati, ma per crearne di nuovi ed ingiustificati ad arte, ovvero per nuocere con intenti emulativi alla controparte. Sul piano soggettivo si ha abuso del processo quando la condotta di cui sopra venga tenuta in violazione del generale dovere di correttezza articolo 1175 c.c. e buona fede articolo 1375 c.c. . Il dovere di correttezza come si legge al § 558 della Relazione al codice civile è spirito di lealtà, di chiarezza e di coerenza, fedeltà e rispetto a quei doveri che, secondo la coscienza generale, devono essere osservati nei rapporti tra consociati , e consiste nel richiamare il creditore a prendere in considerazione l’interesse del debitore. In definitiva, costituisce abuso del processo qualsiasi iniziativa processuale intesa a conseguire un ingiusto vantaggio distorcendo i fini naturali del processo civile. L’abuso del processo è oggi implicitamente riconosciuto dal legislatore alla L. 24 marzo 2001, numero 89, articolo 2, comma 2 quinquies, lett. d , ma già in precedenza ammesso dalla giurisprudenza di questa Corte Sez. 1, Ordinanza numero 30539 del 26/11/2018, Rv. 651878-01 Sez. 6-1, Ordinanza numero 25210 del 11/10/2018, Rv. 651350-01 Sez. 1, Sentenza numero 24698 del 19/10/2017, Rv. 646580-01 Sez. 5, Sentenza numero 22502 del 02/10/2013, Rv. 628806-01 . 2.2. In sede esecutiva, costituisce abuso del processo la moltiplicazione delle iniziative esecutive che, senza frutto per il creditore, hanno l’unico effetto di far lievitare i costi della procedura. Tale condotta, processualmente illecita, lo è anche sul piano deontologico ai sensi dell’articolo 66 del codice deontologico forense il quale stabilisce che l’avvocato non deve aggravare con onerose o plurime iniziative giudiziali la situazione depitoria della controparte, quando ciò non corrisponda ad effettive ragioni di tutela della parte assistita , come già ripetutamente affermato da questa Corte ex multis, Sez. U., Sentenza numero 27897 del 23.11.2017 . Conseguenza di simili condotte, per i fini che qui rilevano, non può che essere l’irripetibilità delle spese superflue o, peggio, fatte lievitare ad arte dal creditore irripetibilità che, quand’anche non esistesse l’articolo 92 c.p.c., comma 2, o non se ne volesse predicare l’applicabilità al processo esecutivo, comunque discenderebbe dalla violazione dei ricordati doveri di correttezza e buona fede, e prima ancora sul principio di autoresponsabilità, di cui è espressione dell’articolo 1227 c.c., comma 2. 2.3. Ciò posto in diritto, rileva il collegio in punto di fatto che A.M. , evidentemente munito di altrettanti titoli esecutivi, nel 2016 iniziò cinque diverse esecuzioni nella forma del pignoramento presso terzi, ed ottenne cinque diverse ordinanze di assegnazione quattro di queste furono pronunciate nell’arco di soli 14 giorni, tra il 6 ed il 22 giugno 2016 la quinta pochi mesi dopo, il 10.10.2016. Munito di queste cinque ordinanze di assegnazione del credito pignorato, A.M. sulla base di esse chiese cinque decreti ingiuntivi al Giudice di pace di Cerignola il quale, con scelta inspiegabile per questa Corte, ritenne di concederli. I decreti ingiuntivi vennero depositati tra il 28.10.2016 e il 12.1.2017, e quindi nell’arco di circa due mesi. A.M. mise quindi in esecuzione i suddetti decreti ingiuntivi nelle forme del pignoramento presso terzi. Notificò tutti e cinque i pignoramenti al medesimo soggetto T.S. , agente della società Generali nella città di Manfredonia e pignorò il medesimo credito le somme riscosse dall’agente nell’esercizio della propria attività e dovute alla società preponente con cinque atti notificati in un arco ristrettissimo di tempo due pignoramenti diversi vennero notificati addirittura lo stesso giorno, il 6.4.2017 altri due a distanza di un sol giorno il 14 ed il 15 febbraio 2017 . 2.4. Questa essendo stata la condotta di A.M. , ineccepibilmente il Tribunale ne ha rilevato l’illegittimità. A.M. , infatti - ha triplicato le spese di procedura ha eseguito un pignoramento presso terzi ha ottenuto l’ordinanza di assegnazione ha chiesto un decreto ingiuntivo sulla base dell’ordinanza di assegnazione, e poi ha messo in esecuzione il decreto ingiuntivo, e questo in cinque casi diversi e concentrati nel tempo - ha pignorato cinque volte successivamente il medesimo credito nei confronti del medesimo debitor debitoris - al momento del primo pignoramento presso terzi 4.1.2017 egli era già in possesso di quattro dei cinque titoli esecutivi successivamente messi in esecuzione, sicché nulla gli impediva un pignoramento unico e contestuale . 2.5. Non occorre provvedere sulle spese del presente giudizio, non essendovi stata difesa delle parti intimate. 2.6. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, articolo 13, comma 1 quater nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, numero 228, articolo 1, comma 17 . P.Q.M. la Corte di Cassazione - rigetta il ricorso - dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, articolo 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di A.M. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.