Ansia e depressione: malattia non comunicata, ma il lavoratore si tiene il posto

Il contratto collettivo tutela il lavoratore in caso di patologia caratterizzata da ansia e panico, non è possibile sanzionare il dipendente sul piano disciplinare.

Il caso. Una lavoratrice omette di comunicare tempestivamente la prosecuzione della malattia ma, se in primo grado il suo licenziamento viene dichiarato legittimo, i giudici d’appello ritengono tale omissione giustificata in considerazione del compromesso equilibrio psicologico della lavoratrice, integrando tale situazione un comprovato e giustificato impedimento, idoneo, in base alla disciplina collettiva applicabile, a escludere la sanzionabilità disciplinare dei comportamenti addebitati. Manca la prova degli squilibri psicologici della dipendente? Il datore di lavoro, una Cooperativa, propone ricorso per cassazione lamentando l’assenza di qualsiasi riscontro, nella documentazione medica acquisita agli atti, della situazione di squilibrio psicologico della lavoratrice. Inoltre, viene contestata la decisione dei giudici territoriali nel punto in cui hanno ritenuto, «quale causa di oggettiva attenuazione della gravità della mancanza addebitata, il fatto che il datore di lavoro ben poteva prevedere che la malattia sarebbe proseguita e che lo stesso avesse sollecitato la visita fiscale, con conseguente illegittima inversione dell’onere probatorio previsto dalla legge e dalla contrattazione collettiva in caso di assenza per malattia». L’evoluzione della patologia è riconducibile al tempo del licenziamento. La S.C. sottolinea che, nel caso di specie, la lavoratrice soffriva di disturbi d’ansia e di adattamento, con attacchi di panico, labilità emotiva esasperata, progressivamente aggravatasi in depressione che escluderebbe, visto il giustificato impedimento, la sanzionabilità disciplinare dei fatti addebitati. Pertanto, il ricorso della Cooperativa viene rigettato in toto, con la conseguente condanna della stessa al pagamento delle spese.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 23 maggio – 12 luglio 2012, numero 11798 Presidente Roselli – Relatore Meliadò Svolgimento del processo Con sentenza in data 28.5/25.6.2010 la Corte di appello di Lecce, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava l'illegittimità del licenziamento intimato a M.C M. dalla Cooperativa Estense s. e. di cui era stata dipendente. Osservava in sintesi la Corte territoriale che i fatti contestati, e precisamente l'omessa tempestiva comunicazione della prosecuzione della malattia, doveva ritenersi giustificata in considerazione del compromesso equilibrio psicologico della lavoratrice, integrando tale situazione un comprovato e giustificato impedimento, idoneo, in base alla disciplina collettiva applicabile, a escludere la sanzionabilità disciplinare dei comportamenti addebitati. Per la cassazione della sentenza propone ricorso la Cooperativa estense con due motivi. Resiste con controricorso l'intimata. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo, svolto ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c., la società ricorrente lamenta violazione degli articolo 115 e 116 cpc, nonché vizio di motivazione ed, al riguardo, osserva che La Corte territoriale aveva affermato che la lavoratrice versava in una situazione di squilibrio psicologico, senza che tale valutazione trovasse riscontro nella documentazione medica acquisita agli atti, la quale, in realtà, non faceva menzione della compromissione delle facoltà intellettive e volitive della stessa. Con il secondo motivo, prospettando ancora violazione di legge articolo 360 numero 3 cpc in relazione agli articolo 2119, 1218 cc, agli articolo 115 e 116 cpc, all'articolo 5 della l. numero 604 del 1966, ed agli articolo 1362 e 1363 cc in relazione agli articolo 127, 177, 178 e 179 CCNL 1.1.1999 e vizio di motivazione articolo 360 numero 5 cpc , la società ricorrente rileva che i giudici di appello avevano ritenuto quale causa di oggettiva attenuazione della gravità della mancanza addebitata il fatto che il datore di lavoro ben poteva prevedere che la malattia sarebbe proseguita e che lo stesso non avesse sollecitato la visita fiscale, con conseguente illegittima inversione dell'onere probatorio previsto dalla legge e dalla contrattazione collettiva in caso di assenza per malattia ed illegittima configurazione di tali circostanze quali elementi costitutivi della fattispecie di inadempimento dell'obbligo di tempestiva comunicazione e documentazione della malattia, posto dalla legge e dalla contrattazione collettiva esclusivamente a carico del lavoratore. 2. Il primo motivo è infondato. Ha accertato la Corte territoriale, facendo riferimento alla copiosa documentazione versata in atti , che la lavoratrice già almeno da un anno precedente la data del suo licenziamento anzi, addirittura a far tempo dal 2000 soffriva di disturbi d'ansia e di adattamento, con attacchi di panico, labilità emotiva esasperata, progressivamente aggravatasi fino ad evolvere in vera e propria sintomatologia depressiva . all'epoca del licenziamento stesso . . Osserva la società ricorrente che tale valutazione non trova riscontro nella documentazione medica acquisita agli atti, dalla quale, in realtà, non potrebbe desumersi la compromissione delle facoltà intellettive e volitive della stessa, e, comunque, il perdurare della malattia sin dal 2000. Ma sul punto si deve considerare che il riferimento ad una sintomatologia depressiva emerge dalle stesse diagnosi richiamate, anche se solo per cenno, in seno al ricorso e che del tutto irrilevante appare che la malattia perdurasse dal 2000, laddove è, invece, decisivo che la stessa si era già manifestata al tempo del licenziamento, per come attestato dai certificati che si erano susseguiti ininterrottamente dal 19.11.2001 al 3.8.2002 così nel ricorso . Ed, in ogni caso, si deve rilevare che il motivo si fonda sull'asserita erronea valutazione di documenti che né risultano trascritti, per come prescritto dalla regola della necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione, né risultano indicati nella loro esatta collocazione fra i documenti di causa, per come previsto dal combinato disposto degli articolo 366, primo comma numero 6 e 369 secondo comma numero 4 cpc. Deve al riguardo, infatti, ribadirsi che, in tema di ricorso per cassazione, l'articolo 366, primo comma, numero 6 cpc, novellato dal decr. leg. numero 40 del 2006, oltre a richiedere l'indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso e, quindi, la descrizione specifica di tali atti secondo il canone dell'autosufficienza del ricorso per cassazione cfr. ad es. Cass. numero 18854/2010 , esige, altresì, che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto tale prescrizione va correlata all'ulteriore requisito di procedibilità di cui all'articolo 369 secondo comma numero 4 cpc, per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta, qualora il documento sia stato prodotto, nella fase di merito, dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo dello stesso, mediante la produzione del fascicolo, purché nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile ovvero, qualora il documento sia stato prodotto dalla controparte, mediante indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di tale parte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento in copia, ai sensi dell'articolo 369 comma 2 numero 4 cpc, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o il documento infine, qualora si tratti di documento non prodotto nella fase di merito relativo alla nullità della sentenza o all'ammissibilità del ricorso articolo 372 cpc oppure di documento inerente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l'esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione ed indicazione della produzione stessa nell'ambito del ricorso cfr. SU ord. numero 7161/2010 v. anche SU numero 22726/2011 . Per il resto, basta osservare che le considerazioni svolte dalla Corte territoriale circa la giustificazione che l'omessa comunicazione della protrazione dell'assenza troverebbe nella effettiva prosecuzione della malattia appaiono svolte solo in via aggiuntiva, al fine di apprezzare ulteriormente l'effettiva gravità del comportamento censurato, laddove la ragione giustificativa essenziale della decisione è, in realtà, rinvenibile nell'esistenza di un comprovato e giustificato impedimento, idoneo, in base alla disciplina collettiva applicabile, a escludere la sanzionabilità disciplinare dei fatti addebitati. 3. Il secondo motivo, che si fonda sulla corretta interpretazione di norme contrattuali articolo 127, 177, 178 e 179 CCNL 1.1.1999 e sulla incidenza che la corretta interpretazione di tali disposizioni riflette sulle norme legali richiamate, va dichiarato improcedibile. Deve, infatti, ribadirsi come non possa la Corte provvedere alla valutazione della correttezza dei risultati interpretativi cui è pervenuto il giudice di merito per non avere la parte ricorrente depositato il contratto collettivo de quo, la cui produzione è imposta, appunto a pena di improcedibilità, dall'articolo 369, secondo comma, numero 4, c.p.c. allorché si tratti, come nella specie, di contratti collettivi nazionali di diritto privato, secondo quanto precisato dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte ormai in molteplici pronunce e da ultimo anche a Sezioni Unite con la sentenza numero 20075 del 23.9.2010, chiarendosi, altresì, come tale disposizione nella parte in cui onera il ricorrente principale o incidentale , a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, deve interpretarsi nel senso che, allorché il ricorrente impugni con ricorso immediato per cassazione, ai sensi del secondo comma dell'articolo 420 bis cpc, la sentenza che abbia deciso in via pregiudiziale una questione concernente l'efficacia, la validità o l'interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, ovvero denunci, con ricorso ordinario, la violazione o falsa applicazione di norme del contratto o accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell'articolo 360 primo comma numero 3 cpc, il deposito suddetto deve avere per oggetto, a pena di improcedibilità, non già solo l'estratto recante le singole disposizioni collettive su cui il ricorso si fonda, ma anche il testo integrale del contratto o accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni. Nel caso in esame, la società resistente non si è attenuta ai principi richiamati, avendo depositato solo uno stralcio del contratto, e va, pertanto, dichiarata in parte qua l’improcedibilità del ricorso. 4. Il ricorso va, pertanto, rigettato. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 60,00 per esborsi ed in Euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali, IVA e CPA.