Studi di settore e parametri sono presunzioni semplici

La procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, nell’ordinanza numero 11506 del 14 maggio 2013. Il caso. L’Amministrazione finanziaria rettificava i tributi dovuti da un contribuente per il periodo di imposta 1999, utilizzando i parametri ex articolo 3, commi da 179 a 189, l. 28 dicembre 1995, numero 549. Il ricorso del contribuente veniva accolto dalla CTP adita, con sentenza confermata in appello. La CTR dichiarava l’illegittimità dell’atto impositivo impugnato a quanto è dato comprendere dalla criptica narrativa dei fatti, il Giudice del gravame riteneva l’attendibilità della rettifica inficiata da non meglio definite imprecisioni nella procedura di accertamento adottata. Nell’ordinanza numero 11506/2013, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso dell’Amministrazione finanziaria perché inammissibile, con condanna alle spese relative al giudizio di legittimità. La pronuncia in rassegna è stata presentata dalla stampa specializzata come se il Collegio ribadisse la natura di presunzione semplice di studi di settore e parametri in realtà, il Giudice di legittimità non prende posizione a questo riguardo, fermando l’esame dei motivi di ricorso a profili di tipo processuale. La natura degli strumenti standardizzati di accertamento. Ciononostante sembra ormai consolidato l’orientamento giurisprudenziale che riconosce la natura di presunzioni semplici alle risultanze degli strumenti standardizzati di accertamento parametri, studi di settore, I.N.E. , aperto dalle sentenze depositate dalla Sezioni Unite della Corte di Cassazione sentenze nnumero 26635, 26636, 26637 e 26638 del 2009 . Nelle sentenze richiamate, il Giudice di legittimità, ponendo una pietra miliare della evoluzione del diritto procedimentale tributario, hanno fissato il seguente principio di diritto «La procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente che può tuttavia, restare inerte assumendo le conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo atteggiamento , esito che, essendo alla fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, deve far parte e condiziona la congruità della motivazione dell’accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività accertativa siano state disattese. Il contribuente ha, nel giudizio relativo all’impugnazione dell’atto di accertamento, la più ampia facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici, ed il giudice può liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dall’ente impositore, quanto la controprova sul punto offerta dal contribuente». L’evoluzione del sistema degli accertamenti standardizzati verso l’istituzionalizzazione del contraddittorio endoprocedimentale. Le Sezioni Unite osservano che i parametri rappresentano una tappa centrale di un percorso evolutivo dell’ordinamento tributario – che va dai coefficienti presuntivi agli studi di settore – nel processo di affinamento di metodi standardizzati di accertamento intesi a facilitare la lotta all’evasione fiscale e a ridurre il contenzioso tra contribuenti e Amministrazione finanziaria, promuovendo la partecipazione del contribuente alla procedura di definizione del reddito mediante la istituzionalizzazione di un contraddittorio endoprocedimentale a carattere preventivo. Questa interpretazione rappresenta una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni della legge istitutiva dell’accertamento sulla base di parametri, in quanto, da un lato, il contraddittorio «deve ritenersi un elemento essenziale e imprescindibile anche in assenza di una espressa previsione normativa del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa» cfr. anche sent. numero 2816/2008 , dall’altro, esso «è il mezzo più efficace per consentire un necessario adeguamento della elaborazione parametrica, che, essendo una estrapolazione statistica a campione di una platea omogenea di contribuenti, soffre delle incertezze da approssimazione dei risultati proprie di ogni strumento statistico alla concreta realtà reddituale oggetto dell’accertamento nei confronti di un singolo contribuente». Le Sezioni Unite richiamano la giurisprudenza costituzionale sentenze nnumero 105 e 140 del 2003 , secondo cui l’accertamento fondato sui parametri costituisce «un sistema basato su presunzione semplice la cui idoneità probatoria è rimessa alla valutazione del giudice di merito, in assenza di previsioni procedimentalizzate circa la partecipazione del soggetto passivo alla fase istruttoria che precede l’emanazione dell’atto di accertamento”. Il contraddittorio costituisce uno strumento indefettibile «per giungere alla personalizzazione della stima necessaria a correggere la valutazione parametrica, tenendo conto delle diverse situazioni gestionali e della localizzazione dell’attività svolta dal contribuente una attività utile, cioè, a porre rimedio a quel difetto delle modalità applicative del procedimento di determinazione dei parametri, che la Corte costituzionale nella richiamata sentenza numero 105/2003 aveva ritenuto sottratte al proprio controllo di legittimità, in quanto dettate da norma subprimarie, ma aveva allo stesso tempo affermato essere sindacabili da parte del giudice di merito». La legittimità costituzionale delle disposizioni istitutive dell’accertamento basato sui parametri è quindi riconosciuta dal Giudice delle leggi in quanto la procedura in questione costituisce un sistema basato su una presunzione semplice, la cui idoneità probatoria è rimessa alla valutazione del giudice di merito, ed in quanto l’astrattezza della elaborazione statistica trova un efficace correttivo nel contraddittorio preventivo con i soggetti destinatari dell’accertamento. Le conclusioni raggiunte per i parametri valgono anche per gli accertamenti fondati sugli studi di settore questi ultimi, «pur costituendo fuor di dubbio uno strumento più raffinato dei parametri, soprattutto perché la loro elaborazione prevede una diretta collaborazione delle categorie interessate, restano tuttavia una elaborazione statistica, il cui frutto è una ipotesi probabilistica, che, per quanto seriamente approssimata, può solo costituire una presunzione semplice». Di presunzione semplice parla espressamente il Legislatore a proposito dei cosiddetti indicatori di normalità economica, meglio noti come I.N.E. articolo 1, comma 14 bis , l. 27 dicembre 2006, numero 296 Legge Finanziaria 2007 .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile T, ordinanza 14 marzo 14 maggio 2013, numero 11506 Presidente Cicala – Relatore Caracciolo Osserva La CTR di Palermo ha respinto l'appello dell'Agenzia -appello proposto contro la sentenza numero 360/01/2005 della CTP di Messina che aveva accolto il ricorso del contribuente M.S. ed ha così confermato l'avviso di accertamento di maggiore reddito e maggiore IVA relativa al periodo di imposta 1999, fondato sulla applicazione dei coefficienti presuntivi di reddito di cui all’articolo 3 legge numero 549/1995 e DPCM 29.1.1996, come modificato dal DPCM 27.3.1997. La predetta CTR ha motivato la decisione ritenendo che nella specie di causa, avendo l'Agenzia considerato quale parametro di redditività il costo storico di tutti i beni ammortizzabili, non tenendo conto che l’utilizzo degli stessi avrebbe richiesto di utilizzare il loro valore al costo non ancora ammortizzato, ha determinato che la procedura adottata risulta influenzata da un cet1o livello di imprecisione che, di fatto sul piano probatorio, limita la fondatezza dei criteri di applicazione e di legittimità, rappresentando l 'inequivocabile prova dell’errata applicazione della procedura di accertamento seguita dall’Ufficio. Pertanto i parametri individuati ed elaborati dall'Ufficio non si possono considerare presunzioni di prova utili ai fini della determinazione induttiva del reddito imponibile ai fini IVA . L'Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. La parte contribuente si è difesa con controricorso. Il ricorso ai sensi dell'articolo 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all'articolo 376 cpc può essere definito ai sensi dell'articolo 375 cpc. Ed invero, con il primo motivo di ricorso incentrato sulla violazione di legge delle anzi menzionate disposizioni normative la parte ricorrente si duole del fatto che il giudicante abbia omesso di considerare che benchè le istruzioni ministeriali abbiano temperato la ricostruzione induttiva dei ricavi consentendone il ridimensionamento nel caso in cui il valore dei beni strumentali riguardi beni ormai obsoleti nessuna richiesta in tal senso era stata avanzata dal contribuente neanche in sede contenziosa, giacchè la parte contribuente nulla aveva documentato in ordine ad un diverso valore da attribuire ai cespiti ammortizzabili. D'altronde, dalle dichiarazioni presentate dal contribuente negli anni successivi risultava attribuito ai beni strumentali il medesimo o un maggior valore. Il motivo è inammissibile, per erronea identificazione dell’archetipo del vizio valorizzato. Ne è sintomo la circostanza che la parte ricorrente -dopo avere genericamente identificato la disposizione di legge che il giudicante avrebbe violato si limita poi, sostanzialmente, a dolersi del fatto che il giudicante -avvalendosi della sue prerogative di apprezzamento decisorio abbia considerato idoneo a giustificare l’annullamento del provvedimento impositivo il dato della considerazione al costo storico dei beni ammortizzabili, in difetto di prova fornita dal contribuente sul punto. Si tratta -per evidenza di circostanze di fatto e di valutazioni di puro merito che concernono il potere di ricostruzione della fattispecie concreta -dalla legge di rito assegnato in via esclusiva al giudice del merito il cui apprezzamento non può costituire oggetto di erronea interpretazione o applicazione della norma, almeno non nell'ottica prospettata dalla parte ricorrente. Ed invero è principio tante volte enunciato da questa Corte che In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l'una e l'altra ipotesi violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa . Quanto poi al secondo motivo di impugnazione centrato sulla omessa motivazione della sentenza esso appare non meno inammissibile, per il fatto che la parte ricorrente non ha in alcun modo identificato il fatto controverso e decisivo in relazione al quale soltanto l'omissione della motivazione potrebbe rilevare come ragione di cassazione della pronuncia, limitandosi ad una sterile critica delle modalità argomentativa della decisione. Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso m camera di consiglio per inammissibilità. che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite di questo grado, liquidate in € 1.400,00 oltre accessori di legge ed oltre € 100,00 per esborsi.