Acquisto per usucapione: bisogna dimostrare 20 anni di possesso

Il vicino, che rimuove dal balcone delle fioriere che gli impedivano di affacciarsi sul fondo del proprietario confinante, acquista la servitù di veduta per usucapione soltanto se prova la sussistenza del possesso della servitù per un ventennio dal momento in cui è sorta la possibilità di effettuare l’affaccio.

Il caso. Il proprietario di un fabbricato si rivolgeva al Tribunale di Napoli per richiedere, tra l’altro, che fosse dichiarata l’illegittimità delle vedute della proprietaria dell’edificio confinate - la quale aveva rimosso le fioriere poste su tutti i lati del balcone sempre confinante con la proprietà dell’attore per affacciarsi sulla proprietà dell’attore - e, conseguentemente, fosse accolta la domanda di ripristino della situazione precedente con eliminazione del comodo affaccio e risarcimento dei danni. La convenuta si costituiva e proponeva domanda riconvenzionale, chiedendo che fosse accertato la legittimità della veduta sul fondo dell’attore a seguito di acquisto per usucapione. Il Tribunale adito, dopo una consulenza tecnica d’ufficio, rilevava come dall’attuale balconata della convenuta con o senza vasi fosse possibile la prospectio ma rigettava, per difetto di prova, la richiesta di eliminare il comodo affaccio. La Corte di Appello della stessa città invece dichiarava l’illegittimità della veduta esercitata dal balcone della convenuta che aveva fornito una prova testimoniale «generica ed ininfluente» per dimostrare l’acquisto per usucapione del diritto di veduta sull’immobile vicino. E anche la Cassazione - che ha sottolineato la coerenza sotto il profilo logico formale delle argomentazioni svolte dal giudice di merito - ha rilevato come la prova non fosse articolata correttamente ed attenesse ad una situazione assolutamente diversa, ritenendo quindi condivisibile la conclusione in base alla quale l'acquisto per usucapione della servitù è risultata non provata, secondo l'ordinaria ripartizione dell'onere della prova. La servitù di veduta dal balcone. Nella sentenza numero 9465/2012, depositata l’11 giugno, si legge che il convenuto non godeva della servitù di veduta sul fondo dell’attore perché le fioriere poi eliminate cingevano il balcone ed impedivano la prospectio. A tale proposito bisogna ricordare che, affinché sussista una veduta, è necessario, oltre al requisito dell’inspectio, anche quello della prospectio nel fondo del vicino, dovendo detta apertura, senza l’uso di mezzi anormali od artificiali, non solo consentire di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare in modo sicuro non solo di fronte, ma anche obliquamente e lateralmente, così assoggettando il fondo del vicino cioè qualunque parte, anche marginale del fondo ad una visione mobile e globale. In ogni caso la qualificazione della veduta diretta, obliqua o laterale va fatta con riguardo alla possibilità che la conformazione obiettiva dell’opera offre di guardare frontalmente o meno sul fondo del vicino e non in base alla posizione della persona che esercita la veduta rispetto alla parete in cui si apre il balcone. Se poi prima il proprietario del balcone poteva comunque esercitare un veduta limitata si potrebbe affermare che la demolizione delle fioriere ha determinato un intervento modificativo che ha aggravato la condizione di insubordinazione del fondo servente, implicando un sacrificio maggiore di quello consentito in tali casi il proprietario del fondo dominante che abbia proceduto alla modifica incorre nel divieto dall’articolo 1067 c.c., il cui primo comma vieta di effettuare innovazioni che rendano più gravosa la condizione del fondo servente. Si tratta di un esempio di abuso del diritto espressamente vietato dal legislatore, che attribuisce al proprietario del fondo servente il diritto di chiedere il ripristino della situazione originaria. Usucapione della servitù di veduta? Se, invece solo con la demolizione delle fiorire è stato possibile la veduta da tale momento decorre il termine ventennale necessario per usucapire infatti il possesso della servitù di veduta, ai fini dell’usucapione, decorre dal momento in cui è sorta la possibilità di effettuare l’affaccio. Sotto questo profilo, ai fini dell’usucapione, non è necessario l’esercizio continuato nel tempo della veduta e dell’affaccio, potendo bastare anche l’esercizio ad intervalli quello che conta è la possibilità concreta di effettuare la inspectio e la prospectio. In altre parole è ininfluente la continuità dell’utilizzazione della veduta, che può essere sospesa per volontà proprietario, anche per lunghi periodi, purché sia sempre possibile. La continuità si distingue, pertanto, dall'interruzione del possesso, giacché la prima si riferisce al comportamento del possessore, mentre la seconda deriva dal fatto del terzo che privi il possessore del possesso interruzione naturale o dall'attività del titolare del diritto reale che compia un atto di esercizio del diritto medesimo. In ogni caso, ai fini dell’usucapione, se l'eventuale intermittenza di tali atti di godimento non scalfisce la continuità del possesso, non può mancare il requisito della visibilità e cioè che l’opera relativa alla servitù sia visibile dal titolare del fondo servente. In particolare la visibilità delle opere integra un elemento obiettivo, che non può essere sostituito dal dato puramente soggettivo della conoscenza delle opere né da segni esteriori che, pur lasciando supporre l'esistenza di opere, non siano idonee a rivelare la concreta situazione dei luoghi e lo stato di asservimento tra i due fondi. È richiesto il requisito dell’apparenza. Pertanto, l’acquisto per usucapione di una servitù di veduta richiede anche il requisito dell'apparenza, che non consiste soltanto nell'esistenza di segni visibili e di opere permanenti, ma richiede, altresì, che queste ultime, come mezzo necessario all'esercizio della servitù medesima, siano in pari tempo un indice non equivoco del peso imposto al fondo servente, in modo da fondare la presunzione che il proprietario di questo ne sia a conoscenza l'accertamento del requisito dell'apparenza delle servitù costituisce apprezzamento di fatto, che, se congruamente e correttamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità . Sotto questo profilo non vi è dubbio che normalmente un balcone dotato di un parapetto tale da permettere di sporgere la testa senza pericolo verso il fondo del vicino, consente all’utente di guardare di fronte a se stesso, e cioè perpendicolarmente rispetto al piano del muro in cui si apre l’accesso al detto manufatto veduta diretta o sporgere il capo all’esterno e guardare in linea retta lungo la prosecuzione del muro in cui si trova l’apertura di accesso, ossia lungo il confine veduta laterale o infine guardare in direzione obliqua verso il fondo vicino, mirando cioè non di fronte, ma sul tratto posto a destra o a sinistra di chi guarda veduta obliqua . Alla luce di quanto sopra si può affermare che ai fini dell'acquisto per usucapione di una servitù di veduta è sufficiente l'esistenza della prescritta durata ventennale di opere visibili e permanenti destinate al suo esercizio, non essendo anche necessaria la continuità dell'utilizzazione delle opere. Quindi chi pretende di avere usucapito tale servitù ha l’onere di provare che l’apertura esisteva ed era usata per l’affaccio da almeno un ventennio e l’azione negatoria è sempre validamente proponibile nello stesso termine .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 17 aprile – 11 giugno 2012, numero 9465 Presidente Schettino – Relatore Scalisi Svolgimento del processo F S. , con atto di citazione del 2 giugno 1992, conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Napoli, V.V. ed, esponendo di essere proprietario in . di un fabbricato per civile abitazione confinante con altro fabbricato ed un fondo di proprietà della V. , lamentava che la convenuta a aveva installato al confine tra le due proprietà una caldaia per riscaldamento, un serbatoio per il carburante ed alcuni tubi lungo il muro dell'abitazione dello S. b aveva rimosso da un balcone sempre confinante con la proprietà dell'attore le fioriere che lo cingevano e che impedivano la prospectio, creando così un'illegittima veduta sul fondo dello S. c dal limitrofo appartamento della V. provenivano infiltrazioni di acqua che arrecavano grave danno alla costruzione dell'attore d da una canna fumaria posta nei pressi del confine si dipartivano immissioni di fumo con grave danno per la proprietà dell'attore e la salute di chi vi abitava. L'attore chiedeva, pertanto, che fosse dichiarata l'illegittimità dei manufatti, delle vedute e delle immissioni denunziate e che la V. fosse condannata alla rimozione dei medesimi manufatti, all'arretramento a distanza di legge e all'adozione delle cautele del caso nonché al risarcimento dei danni arrecati. Si costituiva V V. , contestando la fondatezza di quanto sostenuto da controparte e proponeva domanda riconvenzionale, chiedendo che fosse accertato il suo diritto a tenere le condutture idriche nello stato attuale in virtù di acquisto del dritto per usucapione e che fosse accertata la sua veduta diretta ed obliqua sul fondo attoreo sempre a seguito di acquisto per usucapione. Il Tribunale di Napoli, espletata la consulenza tecnica di ufficio, con sentenza dell'11 ottobre 2004, dichiarava a che la caldaia a gas per riscaldamento esistente nella proprietà V. a confine con quella S. era stata legittimamente istallata nel rispetto della normativa vigente e pertanto, rigettava la domanda dell'attore a rimuoverla b per le stesse ragioni rigettava la domanda di rimozione del serbatoio a gas posto nell'orto di proprietà V. a distanza legale dalla proprietà S. c dichiarava che lei condutture per l'adduzione dell'acqua calda, di quella fredda e di scarico, esistente nella cucina dell'appartamento V. si trovavo a distanza inferiore a quella prevista dall'articolo 889 ccomma e, pertanto, condannava la convenuta a spostare a sua cura e spese tali condutture alla distanza di metri uno dal confine con l'appartamento attoreo d rigettava la domanda riconvenzionale relativa alla richiesta di avvenuta usucapione da parte della V. del diritto di tenere le citate condutture alla distanza attuale di cm. 50 c dichiarava che dall'attuale parapetto in muratura dell'attuale balconata esterna del fabbricato V. con o senza vasi per fiori era possibile il comodo affaccio verso la scala di accesso all'appartamento dell'attore ma rigettava, per difetto di prova in ordine all'illegittimità della situazione attuale, la domanda di eliminare il comodo affaccio e rigettava anche la domanda della V. relativa alla declaratoria dell'avvenuta usucapione dell'attuale veduta, f dichiarava cessata la materia del contendere relativa all’immissioni g rigettava la domanda attorea di condanna della convenuta V. a spostare a distanza legale la predetta canna fumaria per la quale la legge non prevede alcuna distanza. Avverso questa sentenza interponeva appello S. , lamentando il difetto e la contraddittorietà della motivazione posta a base del rigetto della domanda relativa alla veduta abusivamente esercitata dal balcone sud dell'abitazione V. . Si costituiva la V. la quale contestava le fondatezza dei motivi di gravame e proponeva appello incidentale lamentando l'erroneità della sentenza di primo grado 1 nella parte in cui aveva disatteso la domanda di accertamento dell'acquisto per intervenuta usucapione della servitù di veduta, 2 nella parte in cui aveva disposto l'arretramento delle condutture idriche e 3 nella parte in cui aveva ritenuta cessata la materia del contendere relativamente alle immissioni e 4 nella parte in cui aveva disposto il regolamento delle spese processuali Chiedeva, pertanto, la riforma della sentenza. La Corte di appello di Napoli accoglieva l'appello principale e dichiarava l'illegittimità della veduta esercitata dal parapetto in muratura della balconata esterna del fabbricato V. rigettava l'appello incidentale, confermava nel resto la sentenza gravata. A sostegno di questa decisione rileva a che non era stato provato dall'appellata l'acquisto del diritto di veduta sul fondo S. b che non era stata provata l'esistenza della comunione del muro su cui insistevano le condutture idriche c corretta era la dichiarazione della cessazione della materia del contendere relativa alle immissioni considerato che l'avv. Di Meglio nell'interesse del suo assistito aveva rinunciato alla richiesta di indagini profilo dell'intollerabilità delle immissioni dalla canna fumaria perché relative indagini sarebbero state dispendiose. La cassazione della sentenza della Corte napoletana è stata chiesta dalla V. con atto di ricorso affidato a quattro motivi. S.C. , quale erede di S.F. resistito con controricorso. Motivi della decisione 1.- Con il primo motivo, V.V. , lamenta la violazione e falsa applicazione degli articolo 1062 cc, 112, 116, 230 e 244 c.p.c., in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c., nonché motivazione insufficiente e contraddittoria in relazione all'articolo 360 numero 5 c.p.c., Avrebbe errato la Corte d Appello di Napoli, secondo la ricorrente, nel disattendere sia l'interrogatorio formale deferito all'attore, odierno resistente, e sia la prova per testimoni ritenendo il capo della prova generico ed ininfluente in quanto riferito ad una finestra con veduta sui fondi prospicienti e non al parapetto di un balcone confinante con la strada pubblica e con la scala laterale di accesso all'appartamento attoreo, perché ciò equivale a privilegiare, in maniera asettica e non consentita, solo una parte del dato letterale del capo della prova articolato, non procedendo ad una lettura sistematica dello stesso, ma neanche corredandolo agli altri atti di causa con i quali l'odierna ricorrente aveva inequivocabilmente chiarito che il parapetto aggetto della prova articolata era quello del terrazzo del fabbricato del ricorrente. Da un attento esame degli atti - scrive la ricorrente - emergerebbe. che la Corte territoriale, nel disattendere le istanze istruttorie dell'odierna ricorrente avrebbe omesso di considerare che esse erano incentrate sulla veduta esercitata dall'unico parapetto oggetto di causa, che non avrebbe neanche menzionato, benché fosse riportato nell'oggetto del capo di prova. 1.1.- Il motivo è infondato e non può essere accolto perché la sentenza impugnata ha correttamente interpretato, ritenendolo generico ed ininfluente, il capo della prova testimoniale con il quale l'attuale ricorrente avrebbe voluto dimostrare l'acquisto per usucapione del diritto di veduta sull'immobile dello S. , oggetto della controversia. 1.1.a - Non vi è dubbio che il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito. Così corneali giudice di legittimità non ha il potere di sindacare il risultato dell'interpretazione effettuata dal Giudice del merito, in ordine ai dati processuali sia esso una risultanza probatoria o una richiesta di ammissione di una prova testimoniale, anche se lo stesso dato, o la stessa domanda, avrebbero potuto essere, in ipotesi, intesi in senso diverso, perché il giudice di legittimità può verificare la correttezza del procedimento interpretativo ma non il risultato acclarato dalla sentenza impugnata. Ora nel caso in esame, la sentenza impugnata, tenuto conto di diverse circostanze e in particolare della situazione dei luoghi ha correttamente ritenuto che il capo i della prova articolato dalla V. si riferiva ad una finestra con veduta sui fondi prospicienti non al parapetto di un balcone confinante con la strada pubblica e con la scala laterale di accesso all'appartamento attorco. D'altra parte, non era di facile momento ritenere che l'espressione usata dalla V. non poteva che riferirsi al parapetto del balcone di cui si dice perché l'espressione non era imprecisa ma rappresentava una situazione assolutamente diversa e ben definita. 2.- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 345 c.p.comma nel testo anteriore alle modifiche introdotte dalla legge numero 353 del 1990 in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c Motivazione insufficiente ed erronea in relazione all'articolo 360 numero 5 c.p.c Avrebbe errato la Corte di merito, secondo la ricorrente, nell'aver dichiarato inammissibile la riformulazione della richiesta di prova orale sulla preesistenza della veduta per la sua non pertinente formulazione considerato che in ragione dell'articolo 345 c.p.comma nel testo anteriore all'entrata in vigore della legge 26 novembre 1990 era possibile articolare, in fase di appello, nuova prova testimoniale e chiederne l'ammissione. Se solo la Corte di merito avesse ammesso la prova richiesta interrogatorio formale dell'attore e prova per testi avrebbe accertato la preesistenza del balcone e del relativo parapetto e, pertanto, il perfezionamento della fattispecie acquisitiva della servitù di veduta per usucapione, con l'accoglimento dell'appello incidentale e il rigetto di quello principale. 2.1.- Anche questo motivo è infondato e non può essere accolto perché l'istanza di ammissione della prova testimoniale, di cui si dice, non integrava gli estremi di una prova nuova, requisito essenziale per l'ammissione della stessa in grado di appello ai sensi dell'articolo 345 c.p.comma nel regime previgente alla riforma del codice di rito, ma era quella stessa prova dichiarata inammissibile in primo grado perché non articolata correttamente ai sensi degli articolo 244 e 230 c.p.c 2.1.a Come più volte è stato affermato da questa Corte, avuto riguardo al regime previgente alla riforma del codice di rito, la novità della prova, che costituisce requisito basilare per l’ammissione della stessa in grado di appello, attiene sia al tipo di mezzo istruttorio dedotto, sia all'oggetto del mezzo di prova, per cui si ha prova nuova ammissibile per la prima volta in grado di appello sia quando si chiede un mezzo di prova di tipo nuovo avente ad oggetto circostanze circa le quali si è in primo grado già espletato un altro mezzo di prova, sia quando in grado di appello si propone un mezzo di prova identico a quello già proposto in primo grado, ma avente ad oggetto, circostanze assolutamente diverse da quelle in ordine alle quali lo stesso mezzo è stato già assunto in primo grado ex multis sent, numero 10761 del 09/07/2003 . 3.- Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli articolo 1362 e seguenti cc, 61, 115, 116 c.p.c in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c Insufficiente ed erronea motivazione in relazione all'articolo 360 numero 5 c.p.c Avrebbe errato la Corte napoletana, secondo la ricorrente, nell'aver condannato l'attuale ricorrente allo svenimento ed arretramento delle condutture idriche ad un metro dal muro di confine considerato che il muro nel quale si trovavano le condutture idriche era comune ad entrambe le parti per patto espresso con la convenzione del 27 giugno 1977. Per altro, era pacifico che la convenzione transattiva del 1977 avesse ad oggetto gli attuali due fabbricati degli odierni contendenti, relativamente ai quali i contraenti della predetta convenzione manifestarono la volontà di rendere comune il muro al quale fecero riferimento. Pertanto, la salomonica conclusione cui è pervenuta la Corte territoriale non può ritenersi soddisfacente e, soprattutto, rispettosa dei canoni ermeneutici previsti dagli articolo 1362 e ss,.cc risolvendosi nella negazione dell'esistenza della convenzione costitutiva del muro comune ai due fabbricati o, comunque, dei suoi effetti. È di tutta evidenza l'elusione da parte della Corte territoriale del principio fissato dall'articolo 1367 cc., laddove dispone nel dubbio il contratto e le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non avrebbero alcuno . A ben vedere, la Corte territoriale sempre secondo la ricorrente - avrebbe preferito non attribuire alcun effetto alla convenzione piuttosto che disporre un supplemento tecnico per individuare l'oggetto della manifestazione volitiva delle parti. 3.1.- Il motivo è infondato e non può essere accolto non solo o non tanto perché si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione dei fatti di causa, non proponibile con il ricorso per cassazione, ma, soprattutto, perché la sentenza chiarisce, con ragionamento chiaro e convincente, che la V. non ha fornito elementi idonei a superare l'incertezza in ordine al muro che è stato reso comune, ovvero, che il muro su cui insistono le conduttore idriche oggetto della controversia, fosse comune. 3.1 a .- A ben vedere, la Corte di merito ha esaminato ed ha interpretato il contenuto della scrittura transattiva del 27 giugno 1977 ma, così come il Tribunale, è pervenuta alla conclusione che da essa non emergeva indicazione chiara e sicura che il muro fosse stato reso comune, né la V. aveva fornito una prova valida della comunione del muro a confine tra la cucina della convenuta e la proprietà S. . In particolare, la Corte di merito ha avuto modo di specificare a che la lettura degli atti di citazione introduttivi della lite che le parti hanno inteso transigere, b che l'identificazione del muro con quello per il quale la B. ha chiesto l'indennità di appoggio , non erano sufficienti ad indicare in modo univoco che il muro oggetto di controversia fosse comune. Tuttavia, la Corte di merito, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, ha superato definitivamente le incertezze della scrittura transattiva riscontrando le indicazioni offerte dalla relazione del CTU laddove specificava che l'appartamento attoreo e quello della convenuta erano attestati in aderenza lungo la linea del confine, per cui il muro della cucina della V. posto a confine con la proprietà S. non poteva essere considerato comune. 4.- Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione e degli articolo 112, c.p.comma 1102 cc, in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c Erronea ed insufficiente motivazione, in relazione all'articolo 360 numero 5 c.p.c Avrebbe errato la Corte territoriale, secondo la ricorrente, nell'aver preso posizione su di una domanda mai proposta ritenendo l'illegittimità ai sensi dell'articolo 1102 cod. civ. delle tubazioni anche se insistenti sul muro realmente di proprietà comune, considerato che l'attore con l'atto introduttivo del giudizio aveva contestato l'illegittima installazione delle tubazioni poste a distanza illegale dal confine chiedendo la condanna della convenuta alla loro rimozione. Pertanto, la causa petendi era costituita dalla violazione delle distanze legali ed il petitum dal provvedimento di condanna all'arretramento delle condotte. 4.1.- Questo motivo rimane assorbito dal motivo precedente. Appare opportuno, comunque osservare, che la dichiarazione di illegittimità delle tubazioni anche se insistenti sul muro realmente di proprietà comune, ai sensi dell'articolo 1102 cod. civ. è stata resa, dalla Corte di merito, ad abundantiam e non già quale ragione unica della decisione. In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese giudiziali del presente giudizio di cassazione che verranno liquidate con il dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 2000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori come per legge.