Non regge la tesi del professore, secondo cui le parole poco piacevoli utilizzate erano finalizzate ad evidenziare una carenza della collega. Evidente, alla luce dell’episodio, il contesto di aggressività, e la mancanza di rispetto per le elementari regole di convivenza civile.
Piccoli pilastri resistono Come le sane regole della convivenza civile, che impongono un adeguato contegno, e che, se violate, possono legittimamente condurre a una sanzione penale. Esemplare la condanna comminata nei confronti di un docente che ha apostrofato in malo modo una collega di lavoro durante un consiglio di classe Cassazione, sentenza numero 9318/2013, Quinta Sezione Penale, depositata oggi . Docenti serpenti. A scatenare la bagarre sono alcune frasi, per nulla gentili, pronunciate da un docente nei confronti di una collega durante un consiglio di classe. Gli epiteti utilizzati non paiono clamorosamente offensivi, ma sono sicuramente lontani dal concetto di complimento nell’ordine, “imbecille, ignorante, cretina, tonta”. Basta, e avanza, secondo i giudici, per una condanna, nei confronti dell’uomo, per il reato di ingiuria questa la linea seguita non solo dal Giudice di pace ma anche dal Tribunale. Lapalissiana l’offesa nei confronti della donna. Che ignora Ma l’uomo ritiene comunque necessario proseguire la battaglia giudiziaria, proponendo ricorso per cassazione e chiedendo una ‘rivalutazione’ più lieve delle parole utilizzate nei confronti della collega. Più precisamente, il docente sostiene che egli «stava esponendo una strategia rieducativa motoria» che la collega mostrava di non condividere «con argomentazioni incongrue» di conseguenza, il termine “ignorante” era da intendere come «difetto di competenze e conoscenze nel campo delle strategie didattiche, che un docente ha il dovere giuridico, istituzionale e deontologico di possedere». Secondo l’uomo, quindi, più che di offesa si poteva parlare di critica professionale. Ma questa visione viene ritenuta assolutamente non legittima dai giudici di Cassazione, i quali, invece, ritengono prevalente il contesto di «sprezzante aggressività» creato dall’uomo, e caratterizzato non solo dagli epiteti ‘incriminati’ ma addirittura anche da «critiche all’aspetto fisico della donna». Ciò emerge dalla chiara ricostruzione dell’episodio, che consente di evidenziare che l’uomo «non si è limitato a una improvvida e smodata lezione di strategia didattica nei confronti della collega, che gli appariva inadempiente al dovere giuridico, istituzionale, deontologico di conoscenza della materia, ma si è spinto in assolutamente ingiustificabili aggressioni, dai connotati brutali e mortificanti, sulle complessive qualità intellettive e conoscitive della donna», così venendo meno al doveroso «rispetto delle «elementari regole di civile convivenza».
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 novembre 2012 – 27 febbraio 2013, numero 9318 Presidente Zecca – Relatore Bevere Fatto e diritto Con sentenza 23.10.09, il tribunale di Sassari ha confermato la sentenza 23.6.06 del giudice di pace della stessa sede con la quale M.D, insegnante di scuola media, è stato condannato, previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di € 300 di multa, al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese in favore della parte civile, perché ritenuto responsabile del reato di ingiuria in danno della collega D.R., per aver pronunciato nei suoi confronti, nel corso di un consiglio di classe, le parole “imbecille, ignorante, cretina, anzi non ignorante, ma tonta”. Il difensore ha presentato ricorso per i seguenti motivi 1. violazione di legge in riferimento agli articolo 546, 125 cpp, 24 co. 21l1 Cost., vizio di motivazione la copia della sentenza del giudice di pace, rilasciatagli dalla cancelleria, era mancante di una pagina, rendendo impossibile al ricorrente la formulazione di precise conclusioni la richiesta di correzione dell’errore materiale è stata rigettata dal tribunale, impedendo così il completo esercizio del diritto di difesa 2. violazione di legge in riferimento all’articolo 187 e 521 co. 2 e 522 cpp il tribunale ha ricostruito il fatto, andando al di là delle espressioni contenute nel capo di imputazione e la diversità avrebbe dovuto indurlo a trasmette gli atti al p.m. per una diversa contestazione 3. violazione di legge in riferimento all’articolo 192 cpp e vizio di motivazione la sentenza riconosce credibilità alle dichiarazioni della p.o. le cui dichiarazioni non solo sono prive di riscontri esterni, ma sono smentite dagli altri testi 4. violazione di legge in riferimento per mancata assunzione di prova decisiva è stata rigettata senza giustificazione la prova decisiva, costituita dalla testimonianza del preside della scuola e dal verbale della seduta del consiglio di classe 5. violazione di legge in riferimento all’articolo 599 cpp i testi escussi hanno riferito di offese della parte civile nei confronti dell’imputato, per cui senza giustificazione è stata esclusa l’esimente della ritorsione e della provocazione 6. violazione dell’articolo 594 cp il ricorrente stava esponendo una strategia rieducativa motoria, che la D. non condivideva, con argomentazioni ritenute dal M. assolutamente incongrue ha utilizzato il termine ignorante, nel senso di difetto di competenze e conoscenze nel campo delle strategie didattiche, che un docente ha il dovere giuridico, istituzionale e deontologico di possedere 7. violazione di legge in riferimento all’articolo 34 d.lvo 274/2000 non è stata applicata questa disposizione che postula l’improcedibilità dell’azione penale, quando sia manifesta, come nel caso di specie, la particolare tenuità del fatto. Con memorie depositate il 17.2.2012 e inviate via telefax il 7.11.2012, presentate all’odierna udienza, il ricorrente ha rilevato la maturazione del termine prescrizionale e ha proposto argomentazioni critiche, ulteriori e integrative di quelle già formulate nei motivi di ricorso avverso la sentenza del giudice di appello omissione di rigoroso controllo della credibilità della persona offesa, quale fonte conoscitiva interessata carente risposta alle doglianze espresse nei motivi di appello mancato riconoscimento dell’esimente della reciprocità e della provocazione non corretta valutazione di tutte le prove . I motivi del ricorso sono manifestamente infondati. Innanzitutto sono da considerare infondate le censure di carattere procedurale formulate dal ricorrente. La corte ha rilevato, senza alcuna smentita, che la conoscenza dell’intero testo della sentenza è stata acquisita dalla difesa, in tempo tale da non incidere sulla concreta esposizione delle ragioni di critica in sede di appello. Il tribunale inoltre ha ampliato l’esposizione delle parole pronunciate dal M. nei confronti della D., non in maniera tale da estendere l’affermazione di responsabilità per fatti nuovi, rispetto a quelli formalmente contestati, ma al fine di esporre l’intero testo delle espressioni, comprensivo di critiche all’aspetto fisico della donna, in modo da evidenziare il contesto di sprezzante aggressività creato dall’imputato. Quanto alle censure sulla ricostruzione del fatto - compiuta dalle sentenze di merito, con un comune ed inscindibile accertamento giudiziale - va rilevato che esse propongono, in chiave critica, valutazioni fattuali, sprovviste di specifici e persuasivi addentellati storici, nonché prive di qualsiasi coerenza logica, idonea a soverchiante e a infrangere la lineare razionalità, che ha guidato le conclusioni della corte di merito. Va rilevato infatti che la ricostruzione storica , compiuta dai giudici di merito, è fondata sulle prove dichiarative di forza persuasiva incontestabile, provenienti da soggetti del tutto disinteressati v. testimonianze dei colleghi L., V., M. . Quanto alle argomentazioni critiche sulla mancata osservanza, da parte del tribunale, della disciplina sulla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, va osservato che esse si pongono in soccombente contrasto con il consolidato orientamento interpretativo, secondo cui questa fonte conoscitiva non presenta un’atffidabilità ridotta, bisognevole di conferme dei cosiddetti riscontri e comunque di uno speciale controllo di lealtà e conformità al vero. La testimonianza della persona offesa, al pari eli tutte le testimonianze, deve essere sottoposta al generale controllo sulle capacità percettive e mnemoniche del dichiarante, nonché sulla corrispondenza al vero della sua rievocazione dei fatti, desunta dalla linearità logica della sua esposizione e dall’assenza di risultanze processuali incompatibili, caratterizzate da pari o prevalente spessore di credibilità. Questo controllo è stato effettuato in maniera esaustiva dalla sentenza del giudice di appello e pertanto le logiche conclusioni che ne ha tratto in merito alla responsabilità dell’imputato non sono meritevoli di alcuna censura in sede di legittimità. Le dichiarazioni della p.o. costituita parte civile sono ugualmente valutabili e utilizzabili ai fini della tesi di accusa, poiché, a differenza di quanto previsto nel processo civile, circa l’incapacità a deporre del teste che abbia la veste di parte, il processo penale risponde all’interesse pubblicistico di accertare la responsabilità dell’imputato, e non può essere condizionato dall’interesse individuale rispetto ai profili privatistici, connessi al risarcimento del danno provocato dal reato, nonché da inconcepibili limiti al libero convincimento del giudice. A tale ricostruzione storica del fatto, compiuta dai giudici di merito, del tutto incensurabile in sede di giudizio di legittimità, corrisponde una valutazione del comportamento dell’imputato altrettanto incensurabile, per correttezza tecnica e linearità razionale il M. non si è limitato a una improvvida e smodata lezione di strategia didattica, nei confronti della collega, che gli appariva inadempiente al dovere giuridico, istituzionale, deontologico di conoscenza della materia, ma si è spinto in assolutamente ingiustificabili aggressioni, dai connotati brutali e mortificanti, sulle complessive qualità intellettive e conoscitive della donna. Le indicazioni relative a prove sulla sussistenza di un comportamento ingiurioso della persona offesa, rilevante ex articolo 599 cp, sono del tutto generiche e sono comunque inidonee a smentire le contrarie argomentazioni del tribunale. E’ del tutto infondata la censura sulla omessa acquisizione della testimonianza del preside e del verbale della seduta dell’organo collegiale entrambi non sono inquadrabili nella nozione di prova decisiva. Ai fini della configurazione del vizio previsto dall’articolo 606 lett. d c.p.p., è indispensabile che la prova indicata dal ricorrente abbia ad oggetto un fatto certo nel suo accadimento e non una prova dichiarativa o documentale, che debba essere vagliata unitamente agli altri elementi di prova acquisiti, non per elidere l’efficacia dimostrativa di questi ultimi, ma per effettuare un confronto, all’esito del quale si prospetta l’ipotesi di una decisione favorevole alla parte ricorrente, da sovrapporre alla ricostruzione dei fatti e alla valutazione effettuate dai giudici di merito. Si tratta di proposizioni inammissibili, in quanto tese a provocare le non consentite “rilettura” e rivalutazione delle emergenze processuali. L’ultimo motivo, sulla particolare tenuità del fatto, al di là del mancato rinvenimento del suo contenuto tra le questioni ritualmente sottoposte al vaglio dei giudici di merito e, in particolare, del giudice di appello, è in insanabile contrasto con il consistente spessore trasgressivo della condotta dell’imputato, sotto il profilo giuridico-penale oltre che sotto il profilo del doveroso rispetto di elementari regole di civile convivenza nella società e nell’ambiente di lavoro, rispetto che non può subire limiti in inimmaginabili e irreali contesti scriminanti. La manifesta infondatezza dei motivi del ricorso comporta la declaratoria di inammissibilità del gravame. Va rilevato che, successivamente alla pronuncia della sentenza di appello, è maturato il termine di prescrizione ciò non comporta necessariamente la declaratoria di estinzione del reato. Secondo un condivisibile orientamento interpretativo, la inammissibilità, conseguente alla manifesta infondatezza dei motivi, non consente l’instaurazione, in sede di legittimità, di un valido rapporto di impugnazione e impedisce di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità ex articolo 129 cpp, ivi compreso l’eventuale decorso del termine di prescrizione S.U. numero 23428 del 22.3.2005 sez. II, 21.4.2006, numero 19578 . Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile conumero condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000, in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000, in favore della cassa delle ammende.