Le deliberazioni in materia disciplinare del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili possono essere impugnate dinanzi al tribunale del luogo dove ha sede il Consiglio territoriale che ha dato avvio al procedimento, trattandosi di materia che coinvolge situazioni di diritto soggettivo perfetto.
La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 4370 del 21 febbraio 2013, affronta il tema della corretta applicazione del d.lgs. 28 giugno 2005, numero 139 il cui articolo 32 disciplina i reclami avverso le deliberazioni del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili CNDCEC . Il caso. Un commercialista vedeva confermata dal CNDCEC l’irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione di 24 mesi dall’albo professionale, inflittagli dal competente Consiglio dell’Ordine territoriale in dipendenza di fatti connessi al suo arresto per il reato di bancarotta fraudolenta. Il commercialista avverso detta deliberazione proponeva ricorso al Tribunale, il quale però lo dichiarava inammissibile. Il Tribunale riteneva inammissibile il ricorso in analogia a quanto disposto dall’articolo 56, comma 3, r.d.l. numero 1578/1933, convertito con modifiche in l. numero 36/1934, a mente del quale sulle decisioni emesse dal Consiglio Nazionale Forense sono competenti le Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Ricorre per cassazione il commercialista affidando direttamente al Supremo Consesso l’impugnativa della decisione disciplinare emessa dal CNDCEC. Il ricorso è inammissibile competente è il giudice ordinario . La Terza Sezione della Cassazione ritiene tuttavia inammissibile il ricorso. L’articolo 32, d.lgs. numero 139/2005 prevede che le deliberazioni del Consiglio Nazionale in materia d’iscrizione o di cancellazione dall’Albo o dall’elenco, nonché quelle in materia di eleggibilità a componente del Consiglio dell’Ordine, possono essere impugnate dall’interessato e dal pubblico ministero davanti al Tribunale del luogo ove ha sede il Consiglio che ha emesso la deliberazione. Nulla invece prevede in ordine all’eventuale reclamo avverso il provvedimento emesso dal Consiglio Nazionale in materia disciplinare, differentemente dal previgente articolo 28, D.p.r. numero 1067/1953 Ordinamento della professione di dottore commercialista secondo cui le deliberazioni del Consiglio Nazionale erano impugnabili innanzi al Tribunale. Nonostante questa lacuna per gli ermellini è corretto ritenere che i provvedimenti del CNDCEC siano impugnabili davanti al giudice ordinario, incidendo il provvedimento disciplinare direttamente sul diritto soggettivo all’esercizio dell’attività professionale. Questo perché, in caso di sospensione, il professionista continua ad essere iscritto all’Albo, ma è inibito dall’esercitare la professione per tutta la durata della sanzione. Concludendo . La decisione è in linea con quanto statuito dalle Sezioni Unite con ordinanza del 30 dicembre 2011, numero 30785 che, in sede di ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, hanno affermato la giurisdizione in favore del giudice ordinario, anziché di quello amministrativo. D’altra parte, la pretesa punitiva esercitata dal consiglio dell’ordine nei confronti degli illeciti disciplinari commessi dai propri iscritti ha natura di diritto soggettivo potestativo, sia pure di natura pubblicistica, e come tale sottratta alla discrezionalità amministrativa. Così come non sarebbe ammissibile un’applicazione analogica di una normativa attributiva di una competenza chiaramente eccezionale, come quella che affida alle Sezioni Unite la competenza in tema di impugnazioni delle deliberazioni del Consiglio Nazionale Forense, rispetto ad una normale devoluzione al giudice ordinario delle controversie vertenti su diritti soggettivi.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 18 gennaio - 21 febbraio 2013, numero 4370 Presidente Amatucci – Relatore De Stefano Svolgimento del processo 1. E F. ricorre, affidandosi a quattro motivi e con atto notificato al solo Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili d'ora innanzi CNDCEC in data 26.1.10, per la cassazione della deliberazione di quest'ultimo, adottata in data 24.6.09 ed a lui notificata il di 8.7.09, con la quale è stata confermata l'irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione di mesi 24 dall'albo, inflittagli dal Consiglio dell'Ordine dei Dottori Commercialisti di Milano del 30.10.07, in dipendenza di fatti connessi all'arresto del ricorrente - in data 21.11.02 - per bancarotta fraudolenta di una società cooperativa fallita nel luglio 2002. Resiste con controricorso, illustrato da memoria ai sensi dell'articolo 378 cod. proc. civ., il Consiglio Nazionale. Motivi della decisione 2. Il ricorrente 2.1. premette di avere proposto in data 4.8.09 ricorso avverso la medesima deliberazione, conformemente alle esplicite indicazioni contenute in quest'ultima, al tribunale di Milano, il quale però lo ha dichiarato inammissibile, con sentenza numero 13990 dep. il 28.10.09 ed in pari data notificata telematicamente, ritenendo che le impugnazioni delle deliberazioni disciplinari del CNDCEC andassero proposte alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, in analogia a quanto disposto dall'articolo 56, comma 3, r.d.l. numero 1578 del 1933, conv., con modif., in L. numero 36 del 1934 2.2. articola quattro motivi 2.2.1. con un primo, ai sensi del numero 3 dell'articolo 360 cod. proc. civ., censura l'esclusione della prescrizione, negando potersi ritenere sospeso il procedimento disciplinare né ex lege per la pendenza del procedimento penale, né per atto del Consiglio, in concreto mancato e conclude con il seguente quesito di diritto la Corte ritiene che il termine di prescrizione del giudizio disciplinare dei dottori commercialisti, di cui all'articolo 56 d.lgs. 139/2005, possa considerarsi interrotto obbligatoriamente fino al patteggiamento o, comunque fino alla sentenza penale, anche m mancanza della sospensione del procedimento disciplinare stesso da parte dell'Ordine dei Commercialisti nonché in mancanza della notifica dell'ordinanza di sospensione al commercialista incolpato e, peraltro, nonostante la sussistenza di attività istruttoria e decisionale dell'Ordine stesso nel periodo di eventuale sospensione e ciò nonostante il disposto dell'articolo 20 del d.lgs. 139/05? 2.2.2. con un secondo, anch'esso ai sensi del numero 3 dell'articolo 360 cod. proc. civ., conclude con il seguente quesito di diritto la Corte ritiene che il dies ad quem della prescrizione possa individuarsi nella data della decisione del procedimento disciplinare e non nella data di notifica del provvedimento decisionale all'interessato? 2.2.3. con un terzo, ai sensi del numero 4 dell'articolo 360 cod. proc. civ., si duole della non corrispondenza tra i fatti oggetto dell'addebito e quelli per i quali è stata comminata la sanzione, concludendo con il seguente quesito di diritto la Corte ritiene che qualora, nel l'ambito di un giudizio disciplinare, l'Ordine di appartenenza dell'incolpato ponga a base della propria decisione un' ipotesi di illecito disciplinare diversa da quella contestata, ci sia violazione del principio del contraddittorio in relazione agli articolo 12 e 111 della Cost. nonché all'articolo 112 cpc e che medesima violazione compia il Consiglio Nazionale che ometta ogni pronuncia in merito sebbene richiesta ? 2.2.4. con un quarto, ai sensi del numero 5 dell'articolo 360 cod. proc. civ., lamenta l'omessa valutazione di tutte le prove offerte, diverse dalla sentenza di patteggiamento, ritenute decisive ai fini difensivi. 3. Dal canto suo, il CNDCEC contesta partitamente i motivi di ricorso quanto al primo ed al secondo, argomentando doversi applicare il termine prescrizionale quinquennale al solo avvio del procedimento disciplinare e non anche al provvedimento conclusivo, nonché comunque l'articolo 2945 cod. civ., sì da ritenere efficaci atti interruttivi anche l'impugnazione dell'atto di irrogazione della sanzione o le memorie o le stesse contestazioni dell'incolpato in corso di procedimento quanto al terzo, prima di negarne la fondatezza per la configurabilità di un rigetto implicito, evidenziandone la non autosufficienza, per mancata trascrizione in ricorso degli atti rilevanti, sia che la censura si riferisca alla decisione del CNDCEC, sia che riguardi quella del Consiglio territoriale in ordine al quarto, negando l'ammissibilità di una rivalutazione del merito del materiale istruttorio e quindi dello stesso vizio motivazionale dedotto dalla controparte. 4. Deve, di ufficio, verificarsi l'ammissibilità del ricorso, proposto direttamente a questa corte di cassazione avverso la decisione del CNDCEC ed al riguardo 4.1. con ord. 30 dicembre 2011, numero 30785, le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito che le deliberazioni rese in materia disciplinare dal Consiglio Nazionale dell'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili - pur non avendo l'articolo 32 del d.lgs. 28 giugno 2005, numero 139, testualmente riprodotto il precedente assetto di generalizzata impugnativa dinanzi agli organi della giurisdizione ordinaria, indicato dal previgente articolo 28 del d.P.R. 27 ottobre 1953, numero 1067 - possono essere impugnate dinnanzi al tribunale, trattandosi di materia che coinvolge situazioni di diritto soggettivo perfetto, sottratte a discrezionalità amministrativa, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario e, segnatamente, del tribunale del luogo dove ha sede il Consiglio che ha emesso la deliberazione 4.2. tale conclusione va confermata, corrispondendo pienamente alle esigenze di ordinaria tutela delle situazioni giuridiche soggettive coinvolte infatti, la pretesa punitiva esercitata dal consiglio dell'ordine nei confronti degli illeciti disciplinari commessi dai propri iscritti ha natura di diritto soggettivo potestativo, sia pure di natura pubblicistica tra le altre Cass. Sez. Unumero , 7 dicembre 2006, numero 26182 Cass. Sez. Unumero , 25 luglio 2007, numero 16402 Cass. Sez. Unumero , 4 febbraio 2009, numero 2637 4.3. la contraria statuizione del tribunale di Milano, in effetti - e correttamente, stando a quanto appena detto - adito dal F. , non vincola certamente questa Corte, perché solo quest'ultima è giudice ultimo sulla competenza ed a prescindere dalla difficile configurabilità di una translatio iudicii, in mancanza di riassunzione e, per di più, tra giudici di rango diverso 4.4. del resto, non sarebbe ammissibile un'applicazione analogica di una normativa attributiva di competenza chiaramente eccezionale, quale quella in tema di impugnazioni delle deliberazioni disciplinari del Consiglio Nazionale Forense, rispetto alla normale devoluzione al giudice ordinario delle controversie su diritti soggettivi, quali si configurano quelle in tema di sanzioni disciplinari ordinistiche 4.5. né la pronuncia del tribunale di Milano, in punto di sostanziale indicazione di una competenza ricavata per analogia da altri ordinamenti, è stata impugnata dal F. con gli strumenti processuali a tal fine espressamente previsti, così accettando egli il rischio, in una materia del tutto nuova, dell'erroneità della tesi in diritto adottata dal giudice di primo grado 4.6. e l'evidente inammissibilità del presente ricorso esime, in applicazione del principio di Cass. Sez. Unumero , 22 marzo 2010, numero 6826, dalla verifica dell'integrità del contraddittorio, nonostante la notifica del ricorso soltanto all'autorità che ha emesso la decisione impugnata. 5. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile ma, se non il carattere ufficioso del rilievo in base al quale esso è stato definito, quanto meno la novità della materia - di cui alla richiamata riforma del 2005 - e la contraria precedente, benché erronea, statuizione integrano giusti motivi di totale compensazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.