L’integrazione salariale ordinaria, prevista dall’articolo 1, l. 20 maggio 1975, numero 164 recante Provvedimenti per la garanzia del salario è collegata, infatti, a situazioni di contrazione o sospensione dell’attività per situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili all’imprenditore o agli operai, ovvero determinata da situazioni temporanee di mercato.
In sostanza, la stretta creditizia e conseguente crisi di liquidità, in base alla quale la ditta interessata aveva motivato la richiesta di integrazione salariale, non rientrava tra le causali integrabili previste dall’articolo 1, l. numero 164/1975, della considerazione, nella decisione amministrativa, di eventi successivi all’adozione del provvedimento gravato dal ricorso del rappresentante dell’Inps c l’estraneità alla controversia, così impostata, dei rilievi del giudice di primo grado sull’imputabilità alla società stessa della crisi di liquidità in cui versava, rilievi che verrebbero a costituire un’inammissibile integrazione in sede giurisdizionale, con riferimento ad argomentazioni non introdotte nel procedimento amministrativo, della motivazione del provvedimento amministrativo impugnato d che, in conclusione, la «concessione della C.I.G.O. doveva andare a ricongiungersi con la C.I.G.S. senza soluzione di continuità e ciò con riferimento ad un medesimo presupposto l’azienda era suscettibile di ripresa produttiva, stante la presenza di una domanda di mercato». Crisi di liquidità. Motivo del contendere è la deliberazione del Comitato amministratore della gestione per le prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti impugnata in primo grado, dalla quale in particolare emergeva che con sentenza del Tribunale di Pescara del 16 maggio 2003 era stato dichiarato lo stato di insolvenza della ditta, che veniva posta in amministrazione controllata, «atteso che la causa della sospensione è una grave crisi debitoria dell’azienda che l’ha portata ad essere posta in amministrazione controllata al termine della CIG, ad usufruire di CIGS, di cessare l’attività al termine della stessa e di cedere l’azienda al suo termine, licenziando tutti i dipendenti, situazione, quindi non risolvibile con l’intervento della cassa integrazione ordinaria» La sentenza appellata ha respinto il ricorso della società rilevando, in particolare, che «La crisi di liquidità denunciata, in attesa dei finanziamenti pubblici, non è dimostrata come dovuta ad una stretta creditizia, ma si pone nei fatti, come strutturale ab initio carenza di capitali , che ha impedito ogni necessario approvvigionamento per mantenere la produzione piena. Quand’anche la si volesse considerare come causa determinante della contrazione o sospensione dell’attività produttiva, non avrebbe i caratteri della transitorietà, della non imputabilità all’imprenditore e comunque non sarebbe mai collegabile a situazioni temporanee di mercato . La crisi di liquidità è una circostanza chiaramente personale che non ha nulla a che fare con il mercato in cui opera, né vi è stato alcun evento straordinario esterno, dovendo l’imprenditore avere, in attesa dei finanziamenti pubblici, quella autonoma capacità operativa per iniziare l’attività ». Transitorietà e non imputabilità. La Sezione, a tale proposito, rammenta che sul piano generale, l’amministrazione dispone di ampi margini di discrezionalità tecnico-amministrativa, per la necessaria analisi dei fatti e presupposti presentati da ogni singola fattispecie, in ordine alla valutazione, con riferimento alla causa dedotta dall’azienda, della effettiva ricorrenza o meno delle condizioni di ammissibilità della richiesta di cassa integrazione ordinaria definite dal richiamato articolo 1, l. numero 164/1975 cfr., Cons. Stato, Sez. VI, 2 maggio 2012, numero 2503 . I requisiti che la situazione aziendale deve presentare, per l’ottenimento dell’integrazione ordinaria, sono rigidamente prefissati dal legislatore nella transitorietà e non imputabilità degli eventi che l’hanno determinata, ovvero nella temporaneità delle contingenze di mercato eventualmente influenti. In tal senso, il requisito della transitorietà della causa determinante la sospensione dell’attività è del tutto caratteristico ed era già contemplato nella previgente normativa dall’articolo 5, numero 1, d.lgs. CPS 12 agosto 1947, numero 869, tuttora in vigore, secondo il quale l’integrazione spetta sempreché «risulti certa la riammissione, entro breve periodo, degli operai stessi nell’attività produttiva dell’impresa». L'eccezione dell'integrazione straordinaria. Per evenienze che non siano del tutto transitorie e così per crisi economiche settoriali o locali e per casi di ristrutturazioni, riorganizzazioni o conversioni aziendali, lo stesso articolo 1, l. numero 164/1975 contempla, al punto 2, il trattamento di integrazione salariale straordinaria . L’ulteriore presupposto della non imputabilità denota, inoltre, l’esigenza che si tratti di eventi estranei all’organizzazione aziendale e sottratti ad ogni possibile iniziativa dell’imprenditore, ed è stato inteso dalla medesima Sezione cfr. sent. numero 1131/2011 e numero 6512/2011 nel senso che i fatti che hanno causato la contrazione o sospensione dell’attività di impresa devono risultare estranei non solo all’imprenditore ma anche ad altri soggetti che con lo stesso hanno concluso contratti, in quanto, diversamente, «l’istituto dell’integrazione salariale verrebbe inammissibilmente piegato al perseguimento di finalità estranee e si tradurrebbe, altrettanto inammissibilmente, in un meccanismo di immediata socializzazione del rischio d’impresa» sent. numero 1131/2011, citata . Nel caso concreto all'esame della Sezione, come ha rilevato la relazione richiamata nel provvedimento impugnato, è stata l'impresa stessa ad affermare, nella nota informativa allegata alla richiesta di CIG, «L’attuale stretta creditizia e conseguente crisi di liquidità che subisce l’Azienda è dovuta principalmente alla mancata erogazione da parte del C.I.P.E. dei fondi di cui al Contratto di Programma sottoscritto nel 1999 destinati al completamento degli impianti, e la cui mancanza ha costretto l’Azienda a impiegare, a tal fine, risorse previste per l’avviamento degli impianti e della produzione. Tutto ciò ha creato gravi danni operativi per la impossibilità di approvvigionarsi, ovvero acquistare le materie prime e sussidiarie necessarie alla produzione e quindi di iniziare tranquillamente la produzione». L’origine e la portata della crisi di liquidità vengono confermate nella stessa esposizione dell’atto di appello e ricollegate alla circostanza che erano «stati accertati fatti penalmente rilevanti a carico della dirigenza [ .]». In sostanza, il Comitato amministratore aveva ritenuto che la situazione aziendale in concreto riscontrabile fosse caratterizzata da una grave situazione debitoria non risolvibile con l’intervento della cassa integrazione ordinaria e, come tale, non fosse riferibile alle fattispecie previste dall’articolo 1, l. numero 164/1975. Tale valutazione risulta, secondo il Collegio, fondata su adeguati accertamenti istruttori e non rivela elementi di illogicità o di travisamento delle circostanze di fatto. Si presenta, inoltre, coerente con le emergenze successivamente acquisite e perciò non irragionevolmente menzionate nel contesto del provvedimento. Più in particolare, come emerge dalla documentazione dimessa e dalle non contestate deduzioni delle parti, sin dall’epoca della presentazione delle domande della società in questione, la prima di circa due mesi anteriore e la seconda successiva rispetto alla dichiarazione dello stato di insolvenza, chiesta dalla società stessa oltre che da vari creditori, la situazione aziendale era caratterizzata, in mancanza del finanziamento CIPE per € 27.500.00,00 sospeso per concomitanti vicende penali, da una difficoltà finanziaria grave al punto di rendere impossibile l’acquisto delle materie prime occorrenti alla produzione. Incauto ottimismo. Non risulta pertanto convincente, a giudizio del Collegio, la tesi riproposta in appello che detta situazione, permanendo la domanda del prodotto, dovesse considerarsi meramente contingente e suscettibile di evoluzione in senso favorevole, trattandosi di mera «temporanea carenza di liquidità superabile con il riavvio dei finanziamenti pubblici o con l’ampliamento del credito o con l’ingresso di nuovi soci ». Il generico accenno ad una pluralità di evenienze favorevoli del tutto teoricamente ipotizzate non vale ad evidenziare una seria probabilità di superamento, nei tempi brevi propri della cassa integrazione ordinaria, della grave situazione debitoria che l’amministrazione aveva individuato come effettiva causa della sospensione dell’attività e di cui la ravvicinata dichiarazione dello stato di insolvenza costituisce successiva attestazione. In tale contesto di impossibilità di approvvigionamento della materie prime, la valorizzata presenza di domanda da parte del mercato non basta, da sola, a rendere evento certo la ripresa dell’attività produttiva con riassorbimento del personale collocato in cassa integrazione ordinaria. Presupposti diversi tra la CIO e CIGS. E, appunto, sul grado di severità della crisi economica in atto e riduttivamente descritta dal richiedente come crisi di liquidità fa perno il provvedimento impugnato. La situazione, quindi, non presentava un chiaro ed obiettivo carattere di transitorietà e la relativa soluzione, semmai, richiedeva una riorganizzazione o ristrutturazione aziendale. Al riguardo, appare significativa l’affermazione dell’appellante che la cassa integrazione ordinaria doveva andare a saldarsi a quella straordinaria sulla base di un medesimo presupposto in realtà la cassa integrazione ordinaria e quella straordinaria hanno, secondo l’indicazione dell’articolo 1, punti 1 e 2, della più volte citata legge numero 164/1975, presupposti ben distinti e, in definitiva, alternativi.
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 26 giugno 2012 - 28 gennaio 2013, numero 497 Presidente Giovannini – Estensore La Guardia Fatto Con la sentenza numero 184 del 2008, oggetto del presente appello, il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo ha respinto il ricorso proposto dalla Merker s.p.a. per l’annullamento della deliberazione 30 novembre 2005 numero 715 del Comitato amministratore della gestione per le prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti costituito presso l’Inps, con la quale, in accoglimento di ricorso amministrativo proposto dal rappresentante dell’Istituto stesso in seno alla Commissione provinciale della cassa integrazione guadagni industria di Pescara avverso la decisione assunta da quest’ultima in data 13 ottobre 2003, sono state respinte due domande della stessa Merker s.p.a., prodotte rispettivamente in date 25 marzo 2003 e 6 giugno 2003, rivolte ad ottenere l’integrazione salariale ordinaria per il personale dipendente la prima per il periodo dal 3 febbraio al 10 maggio 2003, la seconda per l’ulteriore periodo sino al 15 maggio 2003 , in relazione all’addotta “stretta creditizia e conseguente crisi di liquidità”. L’appellante Merker s.p.a. espone di aver realizzato in Tocco da Casauria Pescara un opificio industriale tecnicamente organizzato e tecnologicamente avanzato per la costruzione e commercializzazione di semirimorchi, rimorchi, ribaltabili e sovrastrutture per veicoli industriali e che “nel momento in cui lo stabilimento suddetto doveva entrare in piena produzione, sono stati accertati fatti penalmente rilevanti a carico della dirigenza della Mekel s.p.a. e ciò ha determinato una situazione di insolvenza per la stretta creditizia e conseguente crisi di liquidità, imputabile principalmente alla mancata erogazione, da parte del C.I.P.E., dei fondi di cui al contratto di programma sottoscritto a fine 1999 per un importo di € 27.500.000,00.”. Soggiunge che tale crisi aveva determinato la “cessazione del necessario approvvigionamento per la produzione”, che la produzione aveva “corso il rischio di cessare per il fallimento della predetta società”, che era, però, stata disposta una procedura di amministrazione straordinaria ed autorizzato l’assoggettamento del personale alla cassa integrazione guadagni straordinaria a decorrere dal 16 maggio 2003 e che “sulla base degli stessi presupposti” la Merkel aveva, in precedenza, avanzato le richieste di integrazione salariale ordinaria, inizialmente accolte dalla Commissione provinciale. La società ripropone le censure dedotte in primo grado e critica le argomentazioni con le quali il Tar le ha disattese, così capitolando i motivi di appello 1 “Sussistevano tutte le condizioni per l’attribuzione dell’integrazione salariale ordinaria ed in particolare la crisi di liquidità, accompagnata però da una domanda del materiale prodotto, consentiva di ritenere probabile il riavvio della produzione, circostanza che è in concreto avvenuta. La concessione della C.I.G.O. era diretta, pertanto al futuro riassorbimento del personale rimasto a disposizione con riferimento ad una valutazione da effettuarsi ex ante ed in base ad un giudizio probabilistico. Non poteva inoltre il T.A.R. integrare in sede giurisdizionale la motivazione del provvedimento impugnato con riferimento ad argomentazioni che non erano state introdotte nel procedimento amministrativo” 2 “La decisione amministrativa non poteva prendere in considerazione eventi successivi all’adozione del provvedimento gravato di ricorso dell’I.N.P.S. doveva invece contemplarsi la situazione esistente al momento della richiesta. La situazione di fatto rappresentata consentiva invece un giudizio prognostico di ripresa produttiva e quindi di individuare il carattere transitorio della crisi aziendale” 3 “Non poteva inoltre l’organo amministrativo ampliare la decisione con riferimento a censure che l’I.N.P.S. non aveva formulato in sede di ricorso. La decisione amministrativa doveva pertanto contenere una valutazione ex ante, riferita soltanto all’unica cesura mossa dall’I.N.P.S. e cioè se la “stretta creditizia e conseguente crisi di liquidità” costituiva causa integrabile .” . Resiste l’Inps, che controdeduce articolatamente in memoria. Anche l’appellante ha dimesso memoria, insistendo nelle proprie tesi, e l’appellato memoria di replica, indi la causa è stata trattenuta per la decisione all’udienza del 26 giugno 2012. Diritto 1.- Il tema centrale della controversia attiene alla ricorrenza o meno, nel caso di specie, dei presupposti per l’attribuzione dell’integrazione salariale ordinaria, che l’articolo 1 l. 20 maggio 1975, numero 164 recante “Provvedimenti per la garanzia del salario” riconnette a situazioni di contrazione o sospensione dell’attività “a per situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili all’imprenditore o agli operai b ovvero determinata da situazioni temporanee di mercato”. I motivi dedotti dalla Merker s.p.a., infatti, muovono dalla tesi della sussistenza, al momento di presentazione delle sue due domande, dei presupposti delineati dalla predetta disposizione ed in particolare dall’assunto del carattere transitorio della situazione aziendale in relazione alla quale era stata chiesta l’integrazione salariale, e sono volti ad affermare a la natura essenzialmente prognostica della valutazione, da effettuarsi ex ante in base a considerazioni probabilistiche, circa la ricorrenza dei presupposti per l’ammissione alla cassa integrazione ordinaria b l’illegittimità, a fronte di un ricorso amministrativo esclusivamente basato sull’affermazione che lastretta creditizia e conseguente crisi di liquidità, in base alla quale la ditta interessata aveva motivato la richiesta, non rientrava tra le causali integrabili previste dall’articolo 1 della legge numero 164 del 1975, della considerazione, nella decisione amministrativa, di eventi successivi all’adozione del provvedimento gravato dal ricorso del rappresentante dell’Inps c l’estraneità alla controversia, così impostata, dei rilievi del giudice di primo grado sull’imputabilità alla società stessa della crisi di liquidità in cui versava, rilievi che verrebbero a costituire un’inammissibile integrazione in sede giurisdizionale, con riferimento ad argomentazioni non introdotte nel procedimento amministrativo, della motivazione del provvedimento amministrativo impugnato d che, in conclusione, la “concessione della C.I.G.O. doveva andare a ricongiungersi con la C.I.G.S. senza soluzione di continuità e ciò con riferimento ad un medesimo presupposto l’azienda era suscettibile di ripresa produttiva, stante la presenza di una domanda di mercato.”. 2.- Gli snodi della vicenda sono, in estrema sintesi, i seguenti. Le due domande di date 25 marzo e 16 giugno 2003, presentate dalla Merker s.p.a. relativamente a periodo che complessivamente va dal 3 febbraio al 15 maggio 2003, sono state accolte dalla Commissione provinciale della cassa integrazione guadagni in data 13 ottobre 2003. La deliberazione del Comitato amministratore della gestione per le prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti impugnata in primo grado, richiamati il ricorso del rappresentate dell’Inps in seno alla Commissione provinciale, le controdeduzioni della ditta e gli elementi esposti nella relazione redatta dagli uffici, dalla quale in particolare emergeva che con sentenza del Tribunale di Pescara del 16 maggio 2003 era stato dichiarato lo stato di insolvenza della ditta, che veniva posta in amministrazione controllata, ha accolto il ricorso “atteso che la causa della sospensione è una grave crisi debitoria dell’azienda che l’ha portata ad essere posta in amministrazione controllata al termine della cig, ad usufruire di CIGS fino al 28.1.05, di cessare l’attività al termine della CIGS e di cedere l’azienda al termine della stessa, licenziando tutti i dipendenti, situazione, quindi non risolvibile con l’intervento della cassa integrazione ordinaria.”. La sentenza qui impugnata ha respinto il ricorso della società rilevando, in particolare, che “La crisi di liquidità denunciata dalla Merker, in attesa dei finanziamenti pubblici, non è dimostrata come dovuta ad una stretta creditizia, ma si pone nei fatti, come strutturale “ab initio” carenza di capitali , che ha impedito ogni necessario approvvigionamento per mantenere la produzione piena quand’anche la si volesse considerare come causa determinante della contrazione o sospensione dell’attività produttiva, non avrebbe i caratteri della transitorietà, della non imputabilità all’imprenditore e comunque non sarebbe mai collegabile a “situazioni temporanee di mercato” . La crisi di liquidità è una circostanza chiaramente personale che non ha nulla a che fare con il mercato in cui opera, né vi è stato alcun evento straordinario esterno, dovendo l’imprenditore avere, in attesa dei finanziamenti pubblici, quella autonoma capacità operativa per iniziare l’attività .”. 3.- Le censure sollevate in primo grado e qui riproposte si rivelano infondate. Va, innanzitutto, rammentato, sul piano generale, che l’amministrazione dispone di ampi margini di discrezionalità tecnico-amministrativa, per la necessaria analisi dei fatti e presupposti presentati da ogni singola fattispecie, in ordine alla valutazione, con riferimento alla causa dedotta dall’azienda, della effettiva ricorrenza o meno delle condizioni di ammissibilità della richiesta di cassa integrazione ordinaria definite dal richiamato articolo 1 l. numero 164 del 1975 cfr., ad esempio, recentemente, Cons. Stato, Sez. VI, 2 maggio 2012, numero 2503 . I requisiti che la situazione aziendale deve presentare, per l’ottenimento dell’integrazione ordinaria, sono rigidamente prefissati dal legislatore nella “transitorietà” e “non imputabilità” degli eventi che l’hanno determinata, ovvero nella temporaneità delle contingenze di mercato eventualmente influenti il requisito della transitorietà della causa determinante la sospensione dell’attività è del tutto caratteristico ed era già contemplato nella previgente normativa dall’articolo 5, numero 1, del d.lgs. CPS 12 agosto 1947, numero 869, tuttora in vigore, secondo il quale l’integrazione spetta sempreché “risulti certa la riammissione, entro breve periodo, degli operai stessi nell’attività produttiva dell’impresa”. Per evenienze che non siano del tutto transitorie e così per crisi economiche settoriali o locali e per casi di ristrutturazioni, riorganizzazioni o conversioni aziendali, lo stesso articolo 1 l. numero 164 del 1975 contempla, al punto 2, il trattamento di integrazione salariale “straordinaria”. L’ulteriore presupposto della non imputabilità denota, inoltre, l’esigenza che si tratti di eventi estranei all’organizzazione aziendale e sottratti ad ogni possibile iniziativa dell’imprenditore, ed è stato inteso da questa Sezione cfr. le sentenze 23 febbraio 2011, numero 1131 e 13 dicembre 2011, numero 6512 nel senso che i fatti che hanno causato la contrazione o sospensione dell’attività di impresa devono risultare estranei non solo all’imprenditore ma anche ad altri soggetti che con lo stesso hanno concluso contratti, in quanto, diversamente, “l’istituto dell’integrazione salariale verrebbe inammissibilmente piegato al perseguimento di finalità estranee e si tradurrebbe, altrettanto inammissibilmente, in un meccanismo di immediata socializzazione del rischio d’impresa” sentenza numero 1131 del 2011, testé citata . 3.1.- Nel caso concreto, come si rileva dalla relazione richiamata nel provvedimento impugnato, che al punto “Elementi istruttori”riferisce il contenuto della nota informativa della ditta allegata alla richiesta di cig, “L’attuale “stretta creditizia e conseguente crisi di liquidità” che subisce l’Azienda è dovuta principalmente alla mancata erogazione da parte del C.I.P.E. dei fondi di cui al “Contratto di Programma” sottoscritto nel 1999 destinati al completamento degli impianti, e la cui mancanza ha costretto l’Azienda a impiegare, a tal fine, risorse previste per l’avviamento degli impianti e della produzione. Tutto ciò ha creato gravi danni operativi per la impossibilità di “approvvigionarsi, ovvero acquistare le materie prime e sussidiarie necessarie alla produzione” e quindi di iniziare tranquillamente la produzione.”. L’origine e la portata della crisi di liquidità vengono confermate nella stessa esposizione dell’atto di appello e ricollegate alla circostanza che erano “stati accertati fatti penalmente rilevanti a carico della dirigenza della Merker s.p.a.”. Il Comitato amministratore ha ritenuto che la situazione aziendale in concreto riscontrabile fosse caratterizzata da una grave situazione debitoria non risolvibile con l’intervento della cassa integrazione ordinaria e, come tale, non fosse riferibile a fattispecie di cui all’articolo 1 l. 20 maggio 1975, numero 164. Tale valutazione risulta, secondo il Collegio, fondata su adeguati accertamenti istruttori e non rivela elementi di illogicità o di travisamento delle circostanze di fatto si presenta, inoltre, coerente con le emergenze successivamente acquisite e perciò non irragionevolmente menzionate nel contesto del provvedimento. Più in particolare, come emerge dalla documentazione dimessa e dalle non contestate deduzioni delle parti, sin dall’epoca della presentazione delle domande della Merker s.p.a, la prima di circa due mesi anteriore e la seconda successiva rispetto alla dichiarazione dello stato di insolvenza, chiesta dalla società stessa oltre che da vari creditori, la situazione aziendale era caratterizzata, in mancanza del finanziamento CIPE per € 27.500.00,00 sospeso per concomitanti vicende penali, da una difficoltà finanziaria grave al punto di rendere impossibile l’acquisto delle materie prime occorrenti alla produzione. Non risulta pertanto convincente la tesi riproposta in questo grado che detta situazione, permanendo la domanda del prodotto, dovesse considerarsi meramente contingente e suscettibile di evoluzione in senso favorevole, trattandosi di mera “temporanea carenza di liquidità superabile con il riavvio dei finanziamenti pubblici o con l’ampliamento del credito o con l’ingresso di nuovi soci ”. Il generico accenno ad una pluralità di evenienze favorevoli del tutto teoricamente ipotizzate non vale ad evidenziare una seria probabilità di superamento, nei tempi brevi propri della cassa integrazione ordinaria, della grave situazione debitoria che l’amministrazione ha individuato come effettiva causa della sospensione dell’attività e di cui la ravvicinata dichiarazione dello stato di insolvenza costituisce successiva attestazione. In tale contesto di impossibilità di approvvigionamento della materie prime, la valorizzata presenza di domanda da parte del mercato non basta, da sola, a rendere “evento certo” la ripresa dell’attività produttiva con riassorbimento del personale collocato in cassa integrazione ordinaria. E, appunto, sul grado di severità della crisi economica in atto e riduttivamente descritta dal richiedente come crisi di liquidità fa perno il provvedimento impugnato. La situazione, quindi, non presentava un chiaro ed obiettivo carattere di transitorietà e la relativa soluzione, semmai, richiedeva una riorganizzazione o ristrutturazione aziendale. Al riguardo, appare significativa l’affermazione dell’appellante che la cassa integrazione ordinaria doveva andare a saldarsi a quella straordinaria sulla base di un medesimo presupposto in realtà la cassa integrazione ordinaria e quella straordinaria hanno, secondo l’indicazione dell’articolo 1, punti 1 e 2, della più volte citata legge numero 164 del 1975, presupposti ben distinti e, in definitiva, alternativi. Non giova all’appellante invocare, in argomento, la circolare dell’Inps successiva all’adozione del provvedimento impugnato che non incide sui presupposti per l’ammissione alla cassa integrazione ordinaria, che sono quelli normativamente fissati. 3.2.- L’ulteriore censura secondo cui la decisione amministrativa sarebbe illegittimamente fondata su fatti successivi all’adozione del provvedimento gravato di ricorso della sede provinciale Inps di Pescara, ossia sul fatto che il tentativo di salvataggio non aveva avuto successo, rilevando, invece, solo la situazione esistente al momento della richiesta, è parimenti infondata. Innanzitutto va puntualizzato che l’apertura della procedura di amministrazione straordinaria e l’autorizzazione all’assoggettamento del personale alla cassa integrazione guadagni straordinaria sono intervenuti anteriormente all’adozione del provvedimento della Commissione provinciale e solo gli ulteriori sviluppi proroghe della CIGS, al termine della quale i dipendenti sono stati licenziati, ponendoli in mobilità, e cessione dell’azienda sono ad essa successivi. Va inoltre osservato che tutti tali elementi sono menzionati nel provvedimento del Comitato amministratore non per fondare l’espressa valutazione di gravità, e quindi non risolvibilità con l’intervento della cassa integrazione ordinaria, della situazione debitoria che aveva determinato la sospensione dell’attività lavorativa ma come conseguenze di quella situazione e così come elementi successivi che confermavano la validità della valutazione. 3.3.- Infondate sono, inoltre, le critiche secondo cui l’organo amministrativo avrebbe ampliato l’ambito della decisione con riferimento a censure che l’Inps non aveva formulato e, a sua volta, il giudice di primo grado avrebbe argomentato su profili non introdotti nel procedimento amministrativo. Il ricorso del rappresentante dell’Inps, infatti, si basa sulla considerazione che l’addotta stretta creditizia e conseguente crisi di liquidità non costituiva causa integrabile, ossia non rientrava tra le cause previste dall’articolo 1 della legge numero 164/75, così evidenziando chiaramente la ragione sostanziale che, secondo il ricorrente, doveva comportare il disconoscimento del beneficio nell’insussistenza dei presupposti richiesti da tale disposizione. La decisione amministrativa, che nella sostanza esclude la sussistenza del presupposto della transitorietà della causa di sospensione dell’attività, è dunque del tutto aderente all’oggetto del ricorso amministrativo. Non integrazione di tale decisione, ma puntuale riscontro al motivo di impugnazione della Merker s.p.a. volto ad affermare la sussistenza delle condizioni per l’ammissione alla cassa integrazione ordinaria, costituiscono i rilievi del Tar sopra trascritti in particolare l’accenno all’imputabilità all’imprenditore, per iniziale insufficienza di capitale, della crisi di liquidità si riconnette all’osservazione del carattere strutturale, e così appunto non temporaneo, della crisi stessa. 3.4.- L’appello va, in conclusione, respinto. Le spese del presente grado seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta , definitivamente pronunciando sull'appello numero 7094 del 2008, lo respinge. Condanna l’appellante a rifondere all’Inps le spese del presente grado che liquida in complessivi € 2.000,00 duemila , oltre i.v.a. e c.pa. come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.