Attività affidata temporaneamente ad altra azienda: non è una cessione

L’affidamento temporaneo di un’attività ad un’altra società non è cessione di un ramo d’azienda.

A stabilirlo è stata la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 18644/2012 depositata il 30 ottobre. Il caso. Un uomo aveva lavorato per un anno alle dipendenze di una srl come addetto al rifornimento dei distributori automatici di caffè della società. Successivamente aveva accettato la proposta di una cooperativa a svolgere le stesse mansioni come socio lavoratore. Ma anche questo rapporto di lavoro era durato solo un anno, visto che la cooperativa aveva deciso di recedere dal contratto. Il lavoratore chiedeva che venisse accertata l’irregolarità del contratto di somministrazione e affermava che il rapporto di lavoro in realtà era intercorso con la prima società – e mai con la cooperativa – che aveva però ceduto il ramo d’azienda ad una terza società. Su tali basi il lavoratore chiedeva l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento. L’affidamento dell’incarico ad altra società è stato temporaneo. La Corte di merito, tuttavia, dichiarava che il temporaneo affidamento dell’attività di gestione dei distributori ad altra società non può essere ritenuto cessione d’azienda. E la Corte di Cassazione, a cui si è rivolto il lavoratore, non smentisce la tesi dei colleghi di merito. Infatti, il carattere temporaneo dell’affidamento dell’attività e le sue ragioni correlate ad una ristrutturazione aziendale ed alla necessità di non interrompere i rapporti con il cliente, non sono configurabili come cessione di un ramo d’azienda. In conclusione il ricorso viene rigettato e il ricorrente condannato al rimborso delle spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 27 settembre – 30 ottobre 2012, numero 18644 Presidente Lamorgese – Relatore Curzic Ragioni della decisione S.M. chiede l'annullamento della sentenza della Corte d'appello di Milano, pubblicata il 26 settembre 2009, che ha confermato la decisione di primo grado con la quale il Tribunale aveva respinto il suo ricorso nei confronti di Cooperativa Barbarico a r.l. e di Coffee Team srl, nonché di GE.SA spa. La GE.SA spa si è difesa con controricorso ed ha depositato una memoria per l'udienza. Le altre due società non hanno svolto attività difensiva. Il ricorso consta di 40 pagine, di cui però solo tre sono dedicate alla esposizione dei motivi di ricorso, mentre le altre 37 riproducono gli atti del giudizio. La Corte d'appello ha dichiarato inammissibile perché tardiva la produzione documentale del ricorrente in appello e confermato la sentenza del tribunale di Milano, compensando le spese. Il ricorrente propone quattro motivi di ricorso, articolati in relazione alle diverse statuizioni della Corte. La Corte espone che il S. ha lavorato alle dipendenze della srl Coffee Team dal 23 febbraio 2004 al 25 febbraio 2005, come addetto al rifornimento dei distributori automatici di caffè della società. Nei giorni immediatamente successivi accettò la proposta di un rapporto di lavoro come socio lavoratore della coop. Barbarico a r.l., svolgendo le medesime mansioni. Il 13 febbraio 2006 la cooperativa recedette dal rapporto. Con il ricorso il S. chiese che, in via preliminare, venisse accertato che vi era stato un contratto di somministrazione irregolare e che il rapporto di lavoro era in realtà intercorso non con la coop. Barbarico ma con la Coffee Team. Quest'ultima società, sempre secondo la prospettazione del ricorrente, aveva poi trasferito l'azienda o un suo ramo alla CE.SA. Sulla base di questa ricostruzione il ricorrente chiese l'accertamento della illegittimità del licenziamento, previo accertamento del trasferimento d'azienda avvenuto il 1 marzo 2006, con condanna della CE.SA a reintegrarlo nel posto di lavoro. La Corte ha ribadito, confermando la sentenza del Tribunale che su tale premessa respinse la domanda formulata nei confronti della CE.SA , che non risulta provato alcun trasferimento d'azienda o di ramo d'azienda dalla Coffee Team alla CE.SA. In particolare la Corte motiva in modo articolato perché non può essere ritenuto cessione di azienda o di ramo di azienda il contratto tra le due società del 10 febbraio 2006 che concerne solo l'incarico di gestione temporanea dei distributori della prima società. La Corte sottolinea il carattere temporaneo dell'affidamento dell'attività e le sue ragioni correlate ad una ristrutturazione aziendale ed alla necessità di non interrompere i rapporti con la ASL di Milano, evidenziando poi che a fronte di tale attività temporanea veniva previsto un corrispettivo 35% degli incassi che prescinde dalla cessione totale o parziale dell'attività e che l'oggetto dell'affidamento era limitato alla mera gestione operativa dei distributori. Di conseguenza la Corte ha ritenuto non fondato il motivo di ricorso contro la sentenza di primo grado in cui si assumeva l'omesso esame della domanda proposta in via preliminare concernente il rapporto tra il lavoratore e la Coffee Team, essendo inammissibile per carenza di interesse ad agire, una volta che la domanda di reintegra è stata proposta in via esclusiva nei confronti della GE.SA e potendo il S. proporre tale domanda nei confronti delle altre società in ulteriori giudizi. Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione dell'articolo 112 c.p.c. e erronea applicazione dell'articolo 100 c.p.c Il motivo è infondato perché la Corte si è pronunciata sul punto specifico, sebbene negativamente, spiegando perché,posto che la domanda era di declaratoria della illegittimità del licenziamento intimato dalla CE.SA, non vi era alcun interesse del ricorrente all'accertamento in ordine alla individuazione del datore di lavoro nella Coffee Team in luogo della Barbarigo. Quindi, non vi è violazione dell'articolo 112 c.p.c. perché la pronuncia sulla domanda proposta è stata adottata, e non vi è erronea applicazione dell'articolo 100 c.p.c. perché il ragionamento della Corte in ordine alla carenza di interesse ad agire è consequenziale, in quanto se non sussiste il trasferimento d'azienda dalla Coffee Team alla CE.SA, in forza del quale viene chiesta la reintegrazione esclusivamente nei confronti di quest'ultima azienda, diventa irrilevante nel presente processo stabilire se il lavoratore fosse dipendente della Coffee Team o della Barbarico. Il secondo ed il terzo motivo concernono la mancata qualificazione da parte di entrambi i giudici di merito, dell'accordo stipulato tra Coffee Team e CE.SA come trasferimento di ramo d'azienda, con conseguente mancato trasferimento del rapporto dal datore di lavoro Coffee Team alla cessionaria CE.SA, su cui si fonda la domanda di declaratoria della illegittimità del licenziamento e di reintegrazione proposta nei confronti di quest'ultima società. Con il secondo motivo si assume che l'interpretazione del contratto stipulato tra le parti come contratto di affidamento temporaneo alla CE.SA dell'incarico di provvedere alla gestione dei distributori per il tempo necessario alla riorganizzazione aziendale della Coffee Team e non come trasferimento d'azienda, né come trasferimento di ramo d'azienda sarebbe errata. Si è già dato conto della motivazione sul punto, ricordando che la Corte spiega perché non può essere ritenuto cessione di azienda o di ramo di azienda il contratto tra le due società del 10 febbraio 2006 che concerne solo l'incarico di gestione temporanea dei distributori della prima società. La Corte motiva in modo articolato il perché di questa valutazione, sottolineando il carattere temporaneo dell'affidamento dell'attività e le sue ragioni correlate ad una ristrutturazione aziendale ed alla necessità di non interrompere i rapporti con la ASL di Milano, evidenziando poi che a fronte di tale attività temporanea veniva previsto un corrispettivo 35% degli incassi che prescinde dalla cessione totale o parziale dell'attività e che l'oggetto dell'attività era limitato alla mera gestione operativa dei distributori. Gli argomenti critici proposti dal ricorrente contro questa motivazione si risolvono tutti in una diversa valutazione del testo contrattuale senza peraltro prospettare violazioni dei criteri di cui agli articolo 1362 e ss c.c. . La materia attiene al merito della decisione e non può essere oggetto del giudizio di legittimità. Il terzo motivo ritorna sul tema assumendo che la motivazione della Corte sarebbe omessa, insufficiente o contraddittoria . Il motivo è generico perché non precisa quali dei diversi vizi indicati dal numero 5 dell'articolo 360 c.p.c. sussiste in concreto, richiamandoli tutti indistintamente. Non indica poi qual è il fatto oggetto della motivazione viziata parlando genericamente di tutti gli elementi previsti dall'articolo 2112 c.c. . Il motivo è poi contraddittorio perché assume che la Corte avrebbe dato atto della prova di tutti questi elementi per poi non trame le necessarie conseguenze giuridiche, così assumendo che il vizio di motivazione non riguarda i fatti, ma la qualificazione e le conseguenze giuridiche del contenuto del contratto e ritornando ai contenuti del secondo motivo della cui inammissibilità si è detto. L'ultimo motivo concerne la mancata ammissione del documento prodotto dalla difesa del ricorrente solo all'udienza di discussione in appello. La censura è duplice. Si assume che la Corte non si sarebbe accorta che il contratto era stato citato in ricorso. In tal modo si da atto che la parte conosceva l'esistenza dell'accordo al momento in cui proponeva il ricorso ed ha tuttavia omesso di produrlo o di chiederne la produzione su ordine del giudice in quella sede. Si assume poi che la Corte avrebbe violato l'articolo 421 c.p.c. perché in presenza di una produzione tardiva del documento aveva tuttavia il dovere di acquisirlo al processo nell'esercizio dei suoi poteri istruttori. Ma tale norma concede una facoltà non pone un obbligo per il giudice e la Corte di Milano non si è limitata a non esercitare tale facoltà, ma ha motivato il perché della sua scelta spiegando che quel contratto non aveva rilievo in causa per essere di alcuni mesi successivo alla cessazione del rapporto di lavoro del ricorrente , nel pieno rispetto quindi della previsione codicistica. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Le spese della controricorrente devono essere poste a carico della parte ricorrente che perde il giudizio. Nulla sulle spese delle parti che non hanno svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso alla controricorrente CE.SA spa delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 40,00 Euro per esborsi, 2.500,00 Euro per compensi, oltre accessori di legge. Nulla sulle spese per gli altri intimati.