Risarcimento per diffamazione: è dovuto anche a titolo di colpa se i danni sono provati

Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come nel caso di lesione al diritto alla reputazione, non è in re ipsa, ma costituisce un danno conseguenza, che deve essere allegato e provato da chi ne domandi il risarcimento.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 12225, depositata il 12 giugno 2015. Il fatto. Tizio otteneva dal Tribunale territorialmente competente sentenza favorevole avente ad oggetto il riconoscimento dei danni conseguenti al lamentato contenuto diffamatorio dello stralcio di un libro, che riferiva fatti non veritieri su di lui, riprodotto da un’antologia della letteratura italiana edita a fini didattici da una società diversa rispetto a quella che aveva pubblicato il libro, nei confronti solo di quest’ultima. Tizio adiva la Corte di appello per chiedere la condanna al risarcimento dei danni, negata in primo grado, anche della società editrice dell’antologia. Il Collegio, confermando la sola condanna a carico della sola società editrice del brano, rideterminava la somma riconosciuta prevedendo il pagamento di un importo superiore, nonché statuendo il rigetto della domanda risarcitoria nei confronti della società editrice dell’antologia. Avvero tale sentenza Tizio proponeva ricorso per cassazione. La carenza dell’elemento soggettivo del reato esclude la risarcibilità dei danni. Nella specie, gli Ermellini hanno rigettato il ricorso sulla scorta del fatto che le allegazioni difensive di parte ricorrente prescindessero totalmente dalla prospettazione del dolo a carico della società editrice dell’antologia. Il Collegio, infatti, proseguono i giudici di legittimità, aveva correttamente evidenziato la carenza dell’elemento soggettivo della diffamazione in capo alla predetta società, mentre di contro, le deduzioni in ricorso non solo attingevano, in fatto, detta affermazione, ma la confermavano altresì indirettamente, limitandosi il ricorrente ad evocare un difetto di controllo sul contenuto del brano e a rilevare con argomentazioni generiche e del tutto inconferenti ai fini della domanda. Concludendo. Infine, le censure del ricorrente appaiono manifestamente infondate anche perché intese a prefigurare una responsabilità per fatto omissivo colposo che non rileva nel caso de quo in quanto non è condizione determinativa del processo causale dell’evento dannoso per non essere la condotta tenuta dalla casa editrice dell’antologia un comportamento imposto da una specifica norma giuridica.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 17 marzo – 12 giugno 2015, numero 12225 Presidente Salmè – Relatore Ambrosio Svolgimento del processo Il presente giudizio è stato promosso dal Dott. V.F. innanzi al Tribunale di Milano per il risarcimento dei danni conseguenti al lamentato contenuto diffamatorio di un brano tratto dal libro dal titolo omissis di C.A. , edito dalla Longanesi & amp C. s.p.a. di seguito, brevemente, Longanesi , riprodotto nell'antologia della letteratura italiana intitolata omissis edito dalla De Agostini s.p.a., divisione Garzanti Scuola di seguito, brevemente, De Agostini , destinato agli alunni della terza classe delle scuole medie. In esito al giudizio di primo grado, con sentenza numero 9785/2007 veniva condannata la sola società Longanesi, editrice del libro, al risarcimento del danno nella misura di Euro 5.000,00, oltre accessori mentre con la sentenza di secondo grado, numero 3346/2011 della Corte di appello di Milano, la somma riconosciuta a titolo di risarcimento è stata rideterminata in Euro 20.000,00 oltre accessori, confermata, invece, la statuizione di rigetto della domanda risarcitoria nei confronti della De Agostini. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione V.F. , svolgendo quattro motivi. Ha resistito la De Agostini, depositando controricorso. Nessuna attività difensiva è stata svolta dall'altra intimata Longanesi. È stata depositata memoria da parte del ricorrente. Motivi della decisione 1. La Corte di appello - discostandosi dalle valutazioni del primo Giudice, laddove aveva ravvisato il requisito della non veridicità limitatamente alle edizioni del libro successive alla prima per non avere dato atto del proscioglimento del V. dal reato di corruzione impropria, estinto per prescrizione, nonché dell'assoluzione da altre imputazioni, trattandosi di eventi successivi alla prima stampa del libro - ha ascritto, anche alla prima edizione, il difetto di veridicità quanto ai termini in cui era individuata la posizione del V. all'interno del Ministero della Giustizia e ha, altresì, ravvisato il requisito della non pertinenza per il riferimento alle vicende giudiziarie del V. , ritenuto eccedente l'economia della vicenda riferita nel libro, relativa ad un episodio che aveva preceduto la strage di conseguentemente è pervenuta alla rideterminazione dell'importo del risarcimento nella misura di Euro 20.000,00 oltre accessori, dopo avere rimarcato che la reazione giudiziaria del V. , intervenuta dopo un ampio intervallo temporale dalla pubblicazione del libro, confermava che la portata dell'illecito era circoscritta sotto il profilo della diffusione dell'opera tra i lettori. La Corte territoriale ha, invece, confermato in toto le valutazioni e argomentazioni che avevano indotto il Tribunale al rigetto della domanda di risarcimento nei confronti della De Agostini, per carenza dell'elemento soggettivo della diffamazione. Ha osservato, in particolare, che il principale obbligo gravante ex articolo 70 della legge sul diritto di autore di seguito, anche, L. a. sull'editore dell'antologia consiste nel fare menzione, nel brano riprodotto, del titolo dell'opera, dei nomi dell'autore e dell'editore ed, eventualmente, del traduttore - e non anche quello di effettuare un autonomo controllo su eventuali affermazioni diffamatorie, contenute nei brani riprodotti - escludendo, nel contempo, anche una semplice negligenza a carico della De Agostini. 1.1 Con il primo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell'articolo 360 numero 3 cod. proc. civ. falsa applicazione dell'articolo 70 legge sul diritto di autore, in quanto ritenuta norma che, essendo stata nella specie osservata, escluderebbe la configurabilità dell'elemento soggettivo della diffamazione in capo all'editore dell'antologia, De Agostini Scuola. Al riguardo parte ricorrente deduce che la norma cit. disciplina i rapporti tra l'autore o l'editore e il titolare della proprietà letteraria, risultando per tal modo indifferente al fine di escludere la responsabilità per diffamazione verso terzi. 1.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell'articolo 360 numero 5 cod. proc. civ. insufficiente o contraddittoria motivazione, sul fatto ritenuto decisivo ai fini del rigetto della domanda del V. che sarebbe mancato l'elemento psicologico del delitto di diffamazione Al riguardo parte ricorrente deduce che il riferimento all'assenza dell'elemento psicologico del delitto della diffamazione è “privo di pertinenza”, dal momento che detto elemento proprio di un delitto non colposo mancava anche in capo alla Longanesi che pure era stata condannata e dal momento che non vi erano, comunque, elementi per escludere la colpa. 1.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia motivazione contraddittoria in ordine al fatto decisivo ai fini dell'avvenuto rigetto della domanda del V. nei confronti della De Agostini, consistente nella data di pubblicazione dell'antologia edita, sotto il profilo della mancata prova di tale data. Al riguardo parte ricorrente deduce che - una volta che contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale il contenuto diffamatorio del brano è stato riconosciuto anche con riferimento alla prima edizione del libro - perde valenza il riferimento confermato, invece, dalla Corte di appello circa la mancata prova della data della stampa dell'antologia. 1.4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell'articolo 360 numero 5 cod. proc. civ. insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine al fatto decisivo, ai fini della liquidazione del danno, della diffusione della pubblicazione contenente il brano diffamatorio. In particolare il ricorrente contesta la fondatezza dell'affermazione secondo cui, ai fini della determinazione del danno non patrimoniale da diffamazione e per la limitazione del suo importo, può avere rilevanza la circostanza che il brano diffamatorio sia destinato a un pubblico scolastico e non a un indeterminato numero di lettori in generale. 2. I primi tre motivi vanno esaminati congiuntamente, giacché si incentrano su un'unica questione e, cioè, quella della pretesa esistenza della cor responsabilità della De Agostini nel dedotto evento diffamatorio. 2.1. Per il corretto inquadramento della questione va premesso che, secondo i principi che regolano la responsabilità civile, affinché più persone possano essere chiamate a rispondere in solido di un fatto illecito in base alla regola di cui all'articolo 2055 cod. civ., non è necessario che tutte abbiano agito col medesimo atteggiamento soggettivo dolo o colpa , ma è sufficiente che, anche con condotte indipendenti, tutte abbiano concausato il medesimo fatto dannoso. In tale prospettiva, con specifica attinenza alla materia che ci occupa, questa Corte è costante nell'affermare che - sebbene per la sussistenza del reato di diffamazione è necessario il dolo, a norma dell'articolo 42 cod. penumero - si possa essere tenuti al risarcimento del danno, in solido con l'autore dello scritto diffamatorio, anche a titolo di colpa, come nel caso del direttore responsabile di un quotidiano nell'ipotesi in cui abbia omesso la dovuta attività di controllo ai sensi dell'articolo 57 cod. penumero e della normativa sulla stampa ex articolo 3 L. numero 47 del 1948 cfr. Cass. 14 ottobre 2008, numero 25157 . 2.2. Ciò posto e venendo al caso di specie, si osserva innanzitutto che le allegazioni difensive di parte ricorrente prescindono totalmente dalla prospettazione del dolo a carico della De Agostini. Invero la Corte di appello ha correttamente evidenziato la carenza dell'elemento soggettivo della diffamazione in capo alla De Agostini e, di contra, le deduzioni in ricorso non solo non attingono, in fatto, detta affermazione, ma anzi la confermano indirettamente, limitandosi il ricorrente ad evocare un difetto di controllo sul contenuto del brano e a rilevare, con argomentazione assolutamente inconferente ai fini in oggetto, che “ il detto elemento soggettivo si tratta di un delitto non colposo esulava, all'evidenza anche in capo all'editore Longanesi, che pur è stato condannato al risarcimento del danno nei confronti del Dott. V. ”. Sotto questo profilo le censure del ricorrente appaiono inammissibili per difetto di specificità e, comunque, manifestamente infondate, laddove prefigurano la violazione dell'articolo 595 cod. penumero . 2.3. Va aggiunto che le censure stesse non superano il rilievo di manifesta infondatezza anche se riguardate - in aderenza alla premessa sopra svolta - come intese a prefigurare una responsabilità per fatto omissivo colposo proprio della De Agostini, causalmente incidente nella produzione dell'evento diffamatorio. Valga considerare che il fatto omissivo rileva, quale condizione determinativa del processo causale dell'evento dannoso, soltanto quando si tratti di omissione di un comportamento imposto da una norma giuridica specifica omissione specifica , ovvero, in relazione al configurarsi della posizione del soggetto cui si addebita l'omissione, siccome implicante l'esistenza a suo carico di particolari obblighi di prevenzione dell'evento poi verificatosi e, quindi, di un generico dovere di intervento omissione generica in funzione dell'impedimento di quell'evento. Ed è ciò che, nella specie, è stato escluso con motivazione incensurabile, sotto il profilo logico - giuridico, atteso che la Corte territoriale, da un lato, ha rilevato, sulla scorta dell'articolo 70 L. a. che non vi era, a carico dell'editore dell'antologia, uno specifico obbligo di controllo dei contenuti del brano riportato nell'antologia e, dall'altro, ha evidenziato, sotto il profilo della clausola generale del neminem ledere , che neppure era ravvisabile una scelta poco oculata del brano riportato nell'antologia, essendosi l'editore limitato a riprodurre fedelmente affermazioni che - in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione e ad altri caratteri del brano - presentavano indiscutibili profili di interesse pubblico all'informazione. È ben vero che l'articolo 70 L. a. disciplina la libera riproduzione di brani nei rapporti con il titolare della proprietà intellettuale e tuttavia, il riferimento nella decisione impugnata alla norma suddetta non è funzionale al riconoscimento di un valore scriminante al fatto della riproduzione, ma è assunto come mero elemento indiziario dell'assenza di una negligenza da parte dell'editore dell'antologia. Invero una responsabilità ex articolo 2055 cod. civ. a titolo di concorso nel fatto illecito diffamazione da altri commesso, avrebbe potuto prefigurarsi, nella specie, solo in presenza di circostanze che consentissero di rilevare una scelta poco oculata da parte dell'editore dell'antologia ad es. per essere l'autore del libro, da cui è stato tratto il brano riportato nell'antologia o, in genere, i suoi scritti notoriamente poco affidabili circostanze, nel caso all'esame, neppure enunciate. In definitiva il nucleo centrale della decisione impugnata, il quale si coglie nel rilievo che nessun profilo di colpa, neppure di semplice negligenza, era ravvisabile a carico della De Agostini, resiste alle generiche critiche del ricorrente, che si appuntano su un elemento che risulta peraltro privo di decisività - e cioè quello del mancato accertamento della data di chiusura alle stampe dell'antologia - divenuto, per il vero, marginale ma non dirimente in senso contrario una volta che la Corte di appello aveva ravvisato il fatto della diffamazione sin dalla prima edizione del libro. Tutti e tre i motivi all'esame vanno, dunque, rigettati. 3. Il quarto motivo è assorbito quanto alla posizione della De Agostini, in considerazione del rigetto dei precedenti motivi, ed è inammissibile, quanto alla Longanesi, siccome meramente funzionale alla rivalutazione di elementi di fatto, riservati ai giudici del merito. Valga considerare che il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come nel caso di lesione al diritto alla reputazione, non è in re ipsa, ma costituisce un danno conseguenza, che deve essere allegato e provato da chi ne domandi il risarcimento Cass. 24 settembre 2013, numero 21865 . Resta fermo, però, che la prova di tale danno può essere data con ricorso al notorio e tramite presunzioni cfr. Cass. 28 settembre 2012, numero 16543 , assumendosi, a tal fine, come specifici parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della persona colpita, tenuto conto del suo inserimento in un determinato contesto sociale e professionale. Ed è quanto ha fatto la Corte di merito, rivalutando e maggiorando la liquidazione del danno, in ragione della maggiore portata diffamatoria riconosciuta al libro sotto il profilo temporale e oggettivo e, nel contempo, confermando le valutazioni del primo giudice in ordine alla limitata diffusione del brano in considerazione della stesse allegazioni a sostegno della domanda, che aveva prospettato la portata diffamatoria del libro in relazione alla riproduzione antologica del brano prima sconosciuto allo stesso soggetto passivo della diffamazione . Le relative argomentazioni svolgono temi che rendono necessari apprezzamenti riservati al giudice di merito e qui insindacabili, attesa la congruità dell'impianto motivazionale. In conclusione il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. numero 55 del 2014, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori come per legge e contributo spese generali.