E' obbligatoria l’indicazione del luogo d’origine o di provenienza, nel caso in cui l’omissione possa indurre in errore l’acquirente circa l’origine o la provenienza del prodotto.
Con la sentenza numero 19093, depositata il 3 maggio 2013, la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del sequestro probatorio di 65 confezioni di pistacchi. Da dove arrivano i pistacchi? Una s.a.s. è specializzata nella vendita di frutta secca. Il corpo forestale dello Stato e l’ispettorato fitosanitario della Sicilia, nell’ambito di una verifica in un supermercato, sequestrano 65 confezioni sotto vuoto di pistacchi, la cui etichetta reca in caratteri grandi «sfiziosità siciliane – pistacchi sgusciati», mentre in basso e con caratteri scarsamente leggibili a occhio nudo «ingredienti pistacchi sgusc. Medit». Il reato ipotizzato è frode nell’esercizio del commercio, ex articolo 515 c.p., poiché essendo i pistacchi in questione di origine presumibilmente turca, l’etichetta è idonea «a generare la ragionevole convinzione che il pistacchio così commercializzato sia di provenienza siciliana». La dizione «mediterraneo» è inidonea ad identificare uno specifico paese, visto anche che gli altri prodotti della società riportano «la specifica indicazione del Paese di produzione». Ma la sicilianità indica l’origine dell’azienda confezionatrice! La società, tramite il proprio legale rappresentante, ricorre per la cassazione del provvedimento del Tribunale del Riesame, convalidante il sequestro probatorio disposto dal GIP. Sostiene che l’espressione «sfiziosità siciliane» sarebbe da ricondursi all’origine siciliana dell’azienda che confeziona e commercializza prevalentemente frutta secca di origine isolana. In ogni caso la norma di legge non obbligherebbe ad indicare l’origine geografica del prodotto e comunque l’indicazione geograficamente più ampia non potrebbe ingenerare errore nel consumatore. La norma. L’articolo 3, comma 1, lett. m , d.lgs. numero 109/1992, prescrive che i prodotti alimentari preconfezionati destinati al consumatore devono indicare, tra le altre caratteristiche, «il luogo di origine o di provenienza, nel caso in cui l'omissione possa indurre in errore l'acquirente circa l'origine o la provenienza del prodotto». Se è ipotizzabile un errore del consumatore, è obbligatorio indicare il Paese di origine. La Suprema Corte rileva che la lettera della norma prevede che l’indicazione geografica è obbligatoria, senza eccezione alcuna, ogni qual volta l’omissione possa indurre in errore l’acquirente. Il ricorso va quindi rigettato. Per consolidare maggiormente la propria decisione, la Corte di Cassazione ricorda anche alcune norme, non ancora in vigore, ma già approvate. La legge numero 4/2011, sull’etichettatura e la qualità dei prodotti alimentari, che è in attesa di decreti interministeriali attuativi, prescrive l’indicazione del luogo di origine o di provenienza dei prodotti non trasformati, come lo sono i pistacchi. Anche tale nuova disposizione dà rilievo al luogo di produzione, non attribuendo alcun valore al luogo di lavorazione. Si applica la sanzione penale. Peraltro, non sussiste alcun rapporto di specialità tra la sanzione amministrativa e l’articolo 515 c.p., come anche confermato dall’articolo 4, comma 10, legge numero 4/2011, che sanziona in via amministrativa l’errata etichettatura dei prodotti alimentari solo qualora il fatto non costituisca reato. Il regolamento UE numero 1169/2011, in vigore dal 13 dicembre 2014, riconosce il diritto del consumatore ad una corretta informazione. Il consumatore era inevitabilmente fuorviato. Nel caso di specie, il Tribunale ha correttamente rilevato che per come è impostata l’etichetta, «il consumatore inevitabilmente è fuorviato da tali elementi nell’individuazione del luogo di origine del prodotto». Coerente la motivazione della Tribunale, che rimarca «sia l’equivocità del contenuto della etichettatura, sia, più in generale, le modalità di presentazione del prodotto».
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 20 febbraio – 3 maggio 2013, numero 19093 Presidente Fiale – Relatore Sarno Fatto e diritto 1. Il difensore di P.A.L. , legale rappresentante della Dry Fruit s.a.s. propone ricorso per cassazione avverso l'ordinanza in epigrafe con la quale il tribunale del riesame di Catania confermava il decreto di convalida del sequestro probatorio emesso dal pubblico ministero presso il tribunale. Il nucleo operativo provinciale del corpo forestale dello Stato e l'ispettorato del servizio fitosanitario regionale, infatti, nell'ambito di una verifica, avevano sequestrato nel reparto ortofrutta del supermercato omissis , 65 confezioni sotto vuoto di pistacchi sgusciati la cui etichetta recava indicazioni in caratteri grandi Dry Fruit - sfiziosità siciliane - pistacchi sgusciati e in basso, in caratteri assai più minuti, scarsamente leggibili a occhio nudo, la indicazione ingredienti pistacchi sgusc. Medit , ritenendo trattarsi di più di pistacchi di origine extracomunitaria, verosimilmente turca. Il reato ipotizzato è quello di frode in commercio di cui all'articolo 515 del codice penale. Il tribunale del riesame ha confermato il decreto di convalida ritenendo la sussistenza del fumus del reato in relazione alla consegna di una cosa diversa per origine, provenienza, qualità o quantità da quella oggetto del contratto. Premesso che dagli accertamenti di PG i pistacchi dovevano presumibilmente essere di origine turca, assume che la indicazione sfiziosità siciliane , associata alla denominazione dei pistacchi sgusciati che rappresentano un genere alimentare tipicamente prodotto in una delle varietà più pregiate in Sicilia, è idoneo a generare la ragionevole convinzione che il pistacchio così commercializzato sia di provenienza siciliana. Di contro ha rilevato l'ambiguità della dizione Mediterraneo ritenendola inidonea ad identificare esclusivamente uno specifico paese del Mediterraneo diverso dall'Italia ed in particolare dalla Sicilia. Fa rilevare infine a riprova dell'ingannevolezza dell'insieme che altri prodotti col medesimo marchio Dry Fruit , diversamente dal pistacchio riportavano comunque la specifica indicazione del paese di produzione. 2. Deduce in questa sede il ricorrente l'errata sussistenza dei fatti nella specie fattispecie ipotizzata. Assume al riguardo che l'espressione sfiziosità siciliane è riconducibile alla origine siciliana dell'azienda la quale in territorio siciliano confeziona e commercializza prodotti principalmente frutta secca aventi origine isolana. Fa rilevare che lo stesso tribunale riconosce che la società pone in vendita anche altre tipologie di frutta secca per la quale è certa l'origine non siciliana e che, trattandosi di frutta secca, non è necessario che la provenienza del bene venga riportata nella etichetta ai sensi dell'articolo 3 del DLGS 190/92 sicché una indicazione geograficamente più ampia non può dirsi in nessun caso idonea ad ingenerare un errore del consumatore o costituire motivo per censurare la condotta del commerciante. Peraltro si fa notare anche che il pistacchio siciliano di maggior pregio è quello prodotto in località Bronte il quale tuttavia, essendo a denominazione di origine protetta, deve essere sempre accompagnato dalle indicazioni prescritte per poter indirizzare il consumatore verso il prodotto e che, in mancanza di esse, nessuna confondibilità è comunque possibile. Il ricorso è infondato. 3. Rientra indubbiamente nel paradigma dell'articolo 515 cod. penumero la consegna all'acquirente di una cosa per origine diversa da quella dichiarata o pattuita. Ed è indubbio che la diversità per origine riguarda il luogo geografico di produzione che diviene senz'altro decisivo nell'accordo di vendita nel caso in cui il consumatore possa attribuire ad esso ragioni di particolare apprezzamento per le qualità o la bontà del prodotto. Si tratta di concetto da tenere distinto da quello di provenienza evocato dal ricorrente essendo quest'ultimo da individuare invece in ragione del luogo di lavorazione del prodotto, come più volte chiarito in giurisprudenza e dalla dottrina. Nella specie il tribunale evoca la confondibilità del prodotto per le modalità dell'utilizzo del nome geografico sfiziosità siciliane che - si sottolinea - non viene dissipata dalle precisazioni ingredienti pistacchi sgusc. Medit. , in quanto tali indicazioni oltre ad essere formulate in caratteri assai più minuti e, dunque, scarsamente leggibili a occhio nudo, si appalesa in sé ambigua non escludendo da sola la sicilianità del prodotto la possibilità di equivoco in relazione alla collocazione geografica dell'isola nel Mediterraneo. 4. Il ricorrente obietta che il logo utilizzato sfiziosità siciliane vale ad evocare il luogo di lavorazione del prodotto e che, comunque, trattandosi di frutta secca, ai sensi dell'articolo 3 dLgs 109/92 non vi è alcun obbligo di indicazione dell'origine geografica. Fa inoltre rilevare che una indicazione geograficamente più ampia non può valere ad ingenerare errore nel consumatore. Tali argomentazioni non possono trovare accoglimento in questa sede. Si rendono necessarie al riguardo anzitutto alcune puntualizzazioni. Per quanto concerne la necessità di indicare il luogo di origine del prodotto alimentare l'articolo 3 lett. m del dlgs 109/92, in realtà senza eccezione alcuna, rende obbligatoria l'indicazione del luogo di origine o di provenienza, nel caso in cui l'omissione possa indurre come nella specie in errore l'acquirente circa l'origine o la provenienza del prodotto. Peraltro al dlgs 109/92 ha fatto seguito la legge numero 4 del 2011 recante Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari . Ancorché l'operatività della nuova legge sia stata condizionata all'emanazione di alcuni decreti interministeriali per le modalità attuative non ancora emanati, ugualmente vale la pena di richiamare il contenuto di tale disposizione per evidenziare come con essa si prosegua in realtà nello sforzo di richiedere sempre maggiore chiarezza sul luogo di produzione dei prodotti trasformati e nonumero L'articolo 4 della legge numero 4 del 2011, oltre a richiamare il contenuto dell'articolo 3 dlgs 109/92, prevede infatti che 1. Al fine di assicurare ai consumatori una completa e corretta informazione sulle caratteristiche dei prodotti alimentari commercializzati, trasformati, parzialmente trasformati o non trasformati, nonché al fine di rafforzare la prevenzione e la repressione delle frodi alimentari, è obbligatorio, nei limiti e secondo le procedure di cui al presente articolo, riportare nell'etichettatura di tali prodotti, oltre alle indicazioni di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, numero 109, e successive modificazioni, l'indicazione del luogo di origine o di provenienza e, in conformità' alla normativa dell'Unione Europea, dell'eventuale utilizzazione di ingredienti in cui vi sia presenza di organismi geneticamente modificati in qualunque fase della catena alimentare, dal luogo di produzione iniziale fino al consumo finale. 2. Per i prodotti alimentari non trasformati, l'indicazione del luogo di origine o di provenienza riguarda il Paese di produzione dei prodotti. 3. Per i prodotti alimentari trasformati, l'indicazione riguarda il luogo in cui è avvenuta l'ultima trasformazione sostanziale e il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti . Giova in particolare sottolineare, quindi, che anche la nuova disposizione in relazione ai prodotti non trasformati come potrebbero essere i pistacchi nella specie tiene distinti il luogo di produzione - rilevante - da quello di lavorazione cui, invece, non viene attribuito alcun valore. Nella specie peraltro il tribunale aggiunge anche un ulteriore rilievo, anch'esso corretto, secondo cui l'area del mediterraneo non può valere in nessun caso ad individuare una specifica località per la notevole estensione dell'area geografica di riferimento. 5. Il ricorrente richiamando le disposizioni del dlgs 109/92 sembra voler circoscrivere anche la questione nell'ambito della veridicità e della completezza dell'etichettatura, con l'ulteriore effetto che la violazione sarebbe in ogni caso sanzionabile solo in via amministrativa. Va tuttavia osservato al riguardo anzitutto che questa Corte ha già puntualizzato in ripetute occasioni, che tra la previsione di cui all'articolo 2 del D.Lgs. numero 109 del 1992, recante disposizioni in tema di etichettatura e presentazione dei prodotti alimentari tali da attribuire al prodotto proprietà che lo stesso non possegga, e l'articolo 515 cod. penumero , che tutela il corretto svolgimento dell'attività commerciale, continua a non sussistere, anche successivamente alle modifiche normative introdotte dal D.Lgs. numero 181 del 2003, alcun rapporto di specialità stante il diverso ambito di operatività delle due disposizioni Sez. 3, Sentenza numero 2019 del 08/11/2007 Rv. 238589 . E dunque anche nella vigenza della disciplina del dlgs numero 109/92, è fatta comunque salva la possibilità di configurare la violazione dell'articolo 515 del codice penale. La formulazione dell'articolo 4 co. 10 è ancora più chiara sul punto sancendo che la non rispondenza dell'etichettatura agli obblighi previsti, è espressamente sanzionata in base all'articolo 4 co. 10 della legge 4/2011 in via amministrativa solo qualora, il fatto non costituisca reato. 6. Inoltre va rilevato che il tribunale non si limita al contenuto della etichettatura del prodotto in questione ma correttamente valuta per la sussistenza del reato l'insieme degli elementi che concorrono alla presentazione del prodotto. Ed invero, non solo si sofferma sulla confusione che l'etichettatura è in grado di generare per il suo contenuto, logicamente osservando che la dicitura pistacchi sgusc. Mediterraneo non consente di risalire al paese reale di produzione dei pistacchi - verosimilmente la Turchia - ed anzi può avvalorare la sicilianità del prodotto, ma rileva e stigmatizza anche la scarsa leggibilità dell'etichettatura stessa per i caratteri estremamente minuti utilizzati a fronte della particolare visibilità del logo sfiziosità siciliane , osservando con motivazione logica e pertinente - e dunque incensurabile in questa sede – che il consumatore inevitabilmente è fuorviato da tali elementi nell'individuazione del luogo di origine del prodotto. 7. Nemmeno vale sostenere, come pure fatto dal ricorrente, che, per quanto concerne i pistacchi prodotti in Sicilia, solo quelli di Bronte hanno origine protetta e, pertanto, richiedono l'indicazione obbligatoria per la loro commercializzazione di indicazioni specifiche al riguardo. Al riguardo si osserva anzitutto che nel valutare l'idoneità della condotta a produrre l'equivoco sull'origine del prodotto, come correttamente fatto dal tribunale, occorre tenere conto delle modalità correnti nella scelta e nell'acquisto del prodotto medesimo da parte del consumatore medio che potrebbe non essere a conoscenza di normative specifiche. Ma in ogni caso l'obbligo di non ingannevolezza sulla zona di origine del prodotto prescinde dalla concomitante presenza nella medesima area geografica di prodotti specificamente protetti assolvendo all'obbligo di una corretta informazione per il consumatore. Il dlgs 109/92, con cui è stata data attuazione alle direttive 89/395/CEE e 89/396/CEE concernenti l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari, all'articolo articolo 2 co. 1 stabiliva in via generale che L'etichettatura, la presentazione e la pubblicità1 dei prodotti alimentari non devono indurre in errore l'acquirente sulle caratteristiche del prodotto e precisamente sulla natura, sulla identità1, sulla qualità, sulla composizione, sulla quantità', sulla durabilità1, sul luogo di origine o di provenienza, sul modo di ottenimento o di fabbricazione del prodotto stesso . Si deve dunque ritenere che l'obbligo di indicazione del luogo di origine sorge, ogniqualvolta sia possibile una confusione sul punto. 8. Nemmeno la normativa comunitaria, pur nell'impegno di evitare posizioni di privilegio per prodotti di cui non sia riconosciuta l'origine protetta, fa rilevare cedimenti sul punto. Il regolamento UÈ 1169/2011 del Parlamento Europeo del Consiglio del 25 ottobre 2011, già entrato in vigore ma le cui disposizioni si applicheranno per la quasi totalità dal 13 dicembre 2014 all'esito di un periodo transitorio articolo 54 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti CE numero 1924/2006 e CE numero 1925/2006 del Parlamento Europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della Commissione, la direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CE della Commissione, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento CE numero 608/2004 della Commissione, riconosce il diritto del consumatore ad una corretta informazione. Ponendosi in linea con le precedenti direttive di settore, ribadisce che l'etichettatura deve essere sempre redatta con modalità leggibili e, per quanto attiene al contenuto, recare l'indicazione del luogo d'origine o di provenienza, qualora l'omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore circa l'origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare. Ma oltre a tale aspetto espressamente prevede all'articolo 7 pratiche leali di informazione che I paragrafi 1, 2 e 3 si applicano anche a alla pubblicità b alla presentazione degli alimenti, intendendosi per tale la particolare forma, aspetto o imballaggio, materiale d'imballaggio utilizzato, al modo in cui sono disposti o contesto nel quale sono esposti”. È chiara, quindi, l'indicazione che proviene dalla sede comunitaria di assicurare l'informazione del consumatore prevenendo equivoci sull'origine del prodotto sia con riferimento al contenuto dell'etichettatura sia, più in generale, con riferimento alle modalità di presentazione complessive di esso. Si tratta peraltro di principi non nuovi. Essi inizialmente si rinvengono, infatti, già nell'articolo 2 della direttiva del 79/112/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 1978, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale, nonché la relativa pubblicità. Conclusivamente deve, quindi, ritenersi corretta la motivazione con cui nel caso di specie si assume la sussistenza del reato, rimarcando sia l'equivocità del contenuto della etichettatura, sia, più in generale, le modalità di presentazione del prodotto. Al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.