Carico di indumenti provenienti dalla Cina, ma presentati come made in Italy e in Usa evidente il falso attestato dalle etichette. A pagare, però, è una persona apparentemente slegata dalla società importatrice legame sufficiente, però, è la procura speciale conferita dal legale rappresentante.
Né dipendente né rappresentante legale della società, eppure è comunque addebitabile la responsabilità per l’importazione di prodotti contraffatti. Risultano sufficienti, difatti, due elementi da un lato, l’essere procuratore del rappresentante legale dall’altro, l’omesso controllo sulle etichette relative alla provenienza dei prodotti Cassazione, sentenza numero 12484, sezione Terza Penale, depositata oggi . Italia e Usa made in Cina. A richiamare l’attenzione è un grosso carico proveniente dalla Cina oltre duecento cartoni, pieni di indumenti, importati da una società italiana. Ma c’è un particolare che stona i prodotti sono presentati, con tanto di etichetta, come ‘made in Italy’ e ‘made in Usa’ Così il bluff viene scoperto evidente la bugia raccontata nelle etichette! Ma a rispondere del reato è una persona apparentemente slegata dalla società Per procura L’accusa è connessa alla vendita di prodotti industriali con segni mendaci, e, in particolare, sull’«aver importato, per conto della società, ai fini della successiva commercializzazione, prodotti recanti falsa indicazione di provenienza». Su questo punto sia i giudici di primo che di secondo grado concordano all’uomo, finito sotto accusa, viene comminata una pena di 2 mesi di reclusione, poi condonata. Evidente, secondo i giudici, la consapevolezza delle azioni compiute dall’uomo, come procuratore speciale del rappresentante legale della società. Omesso controllo. Ma tale valutazione, secondo l’uomo finito sotto accusa, non è fondata. A questo proposito, presentando ricorso per cassazione, egli afferma di non essere «né rappresentante legale né dipendente della società» come è possibile, allora, contestargli il reato in materia di contraffazione? Per rispondere a questa domanda, però, i giudici richiamano, ancora, il ruolo di procuratore del rappresentante legale della società attribuito all’uomo basta ciò per considerare acclarato il reato, legato, ovviamente, alla constatazione che i prodotti importati erano «realizzati in Cina» ma recavano «la falsa attestazione di produzione in Italia e negli Stati Uniti». Soprattutto perché, sottolineano i giudici, l’uomo, nella veste di procuratore, avrebbe dovuto «accertare l’apposizione di etichette corrette e veritiere in ordine alla provenienza dei prodotti, a prescindere dalla posizione di dipendente» della società.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 7 marzo – 3 aprile 2012, numero 12484 Presidente De Maio – Relatore Gentile Ritenuto in fatto 1. La Corte dì Appello di Genova, con sentenza emessa il 28/04/011, confermava la sentenza del Tribunale di Genova, in data 26/09/08, appellata da R.D., importato del reato di cui agli articolo 4, comma 49, legge 24 dicembre 2003, numero 350 517 cod. penumero per aver importato per conto della società GiT, ai fini della successiva commercializzazione, prodotti recanti falsa indicazione dì provenienza fatti commessi l’11 Marzo 2005. L’imputato era stato condannato alla pena di mesi due di reclusione, pena interamente condonata, ex legge 31 luglio 2003, numero 241. 2. L’interessato proponeva ricorso per Cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, ex articolo 606, comma 1, lett. b ed e cod. proc. penumero In particolare il ricorrente esponeva che non ricorrevano gli elementi costitutivi del reato contestatogli poiché lo stesso non era rappresentante legale della società GiT, né era dipendente della stessa. Tanto dedotto il ricorrente chiedeva l’annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato. La sentenza della Corte Territoriale, unitamente alla decisione di 1° grado - i due provvedimenti si integrano a vicenda - ha congruamente motivato tutti i punti fondamentali della decisione. In particolare i giudici di merito, mediante un esame analitico ed esaustivo delle risultanze processuali, hanno accertato che R.D., quale procuratore del rappresentante legale della GiT Gruppo Importatori Tessili aveva importato dalla Cina, per la successiva commercializzazione, in Italia 211 cartoni contenenti indumenti che recavano in parte l’etichetta mendace di “over-D made Italy” ed in parte la scritta, altrettanto mendace, di “Clayton New York, N.Y. U.S.A.” Ricorrevano, pertanto, gli elementi costitutivi del reato di cui agli articolo 4, comma 49, L. 350/2003 e 517 cod. penumero , trattandosi di prodotti realizzati in Cina, ma recanti la falsa attestazione di produzione in Italia /o negli U.S.A. 2. Le censure dedotte nel ricorso sono generiche perché ripetitive di quanto esposto in sede di Appello, già valutato esaustivamente dalla Corte Territoriale. Sono, altresì, infondate sia perché in contrasto con quanto accettato e congruamente motivato dai giudici dei merito sia perché errate in diritto. In particolare va disatteso l’assunto difensivo principale secondo cui il D. non aveva l’onere di controllare l’apposizione delle etichette indicanti la provenienza dei prodotti. Invero, il D. espletando l’attività a seguito di conferimento di apposita procura speciale di procuratore del rappresentante legale della GiT tal M.Z. , aveva l’onere tra i suoi poteri - doveri di accertare l’apposizione di etichette corrette e veritiere in ordine alla provenienza dei prodotti il tutto a prescindere della sua posizione specifica di dipendente /o meno della GiT. 3. Va dichiarato, pertanto, inammissibile il ricorso proposto da R.D., con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.