In tema di lavoro subordinato pubblico, l’attribuzione al lavoratore di mansioni superiori rispetto a quelle previste nel suo contratto porta automaticamente ad una retribuzione maggiorata?
Risolve questo dubbio la Corte di Cassazione con la sentenza numero 24266/16 depositata il 29 novembre. Il caso. Alcuni dipendenti di una Asl, avendo svolto mansioni superiori rispetto a quelle previste dal loro contratto, richiedevano un adeguamento, a ciò parametrato, delle loro retribuzioni. Tale richiesta gli veniva riconosciuta nei due giudizi di merito. L’Asl ricorreva per Cassazione, deducendo come motivo il fatto che i suddetti lavoratori non erano stati formalmente assegnati, con provvedimento, a superiori mansioni, perciò le differenze retributive non sarebbero dovute. Serve un provvedimento formale di assegnazione? La Corte di Cassazione, con orientamento giurisprudenziale consolidato, ritiene che lo svolgimento, anche di fatto, di mansioni superiori a quella dell’inquadramento formale comporti il relativo diritto ad una retribuzione parametrata. La tutela garantita dall’articolo 36 Cost. La Corte Costituzionale ha affermato in numerose occasioni che anche nell’ambito del pubblico impiego si deve riconoscere al lavoratore il «diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro» articolo 36 Cost. . Non rilevano quindi né la mancanza, né l’eventuale illegittimità del provvedimento di assegnazione del dipendente a mansioni superiori. e i possibili abusi? A proposito di illegittimità del provvedimento summenzionato, la Corte di Cassazione riconosce che esiste un rischio di utilizzo abusivo di questo stratagemma, al fine di bypassare le procedure prescritte per l’accesso agli impieghi e alle qualifiche pubbliche, magari operando anche favoritismi e andando a costituire dei veri e propri «avanzamenti di carriera di fatto». L’eventuale connivenza tra lavoratore e datore di lavoro il quale sarebbe poi il dirigente preposto alla gestione e all’organizzazione del lavoro verrebbe comunque punita, essendo motivo di responsabilità patrimoniale e disciplinare, se non addirittura di natura penale, qualora fosse integrabile il reato di abuso d’ufficio. Quando la retribuzione non va riconosciuta. In ogni caso, il trasferimento temporaneo di lavoratori a mansioni diverse da quelle originariamente attribuitegli è «un mezzo indispensabile per assicurare il buon andamento dell’amministrazione». Ciononostante esistono delle situazioni, oltre a quella della connivenza a volte criminale , in cui la retribuzione maggiorata non va corrisposta, e cioè in tutti quei casi in cui «l’espletamento di mansioni superiori sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente invito o proibente domino ». Non essendo questo, però, il caso, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 22 settembre – 29 novembre 2016, numero 24266 Presidente Napoletano – Relatore Blasutto Svolgimento del processo 1. La Corte di appello di Campobasso, con sentenza numero 4999/2011, seguita da ordinanza di correzione di errore materiale in data 8 aprile 2011, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva la domanda proposta dagli odierni controricorrenti, tutti dipendenti della Asl numero X Basso Molise, diretta ad ottenere il pagamento delle differenze retributive tra il trattamento percepito e quanto spettante per le mansioni di infermiere professionale svolte nei periodi dettagliati in sentenza. 2. Osservava la Corte territoriale che il d.lgs. numero 387 del 1998, articolo 15, aveva soppresso, con efficacia retroattiva, il divieto di corresponsione del trattamento corrispondente alla mansioni superiori, stabilito dal d.lgs. numero 29 del 1993, modificato dal d.lgs. numero 80 del 1998, di talché rilevava l’esercizio di fatto di mansioni superiori, anche se svolte in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. numero 165/01. Osservava altresì che i testi avevano confermato che gli appellanti svolsero, nel periodo dedotto in giudizio, con continuità di tempo, le medesime mansioni degli infermieri professionali. 3. Per la cassazione di tale sentenza ricorre la ASL numero X Basso Molise sulla base di due articolati motivi. Resistono i lavoratori con controricorso, seguito da memoria e articolo 378 c.p.c Motivi della decisione 1. Con il primo motivo, articolato in due distinte proposizioni, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 e dell’articolo 52 d.lgs. 165/01 e del d.p.r. 384/1990. Si assume che il diritto alla retribuzione corrispondente alle mansioni superiori richiede un formale provvedimento di assegnazione, che nella specie era mancato. Neppure sarebbe condivisibile l’assunto secondo cui le differenze di trattamento retributivo spettano anche nel caso in cui l’assegnazione alle mansioni superiori sia nulla. 2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione e travisamento della prova in violazione dell’articolo 116 c.p.c Si assume che da una attenta disamina delle dichiarazioni dei numerosi testi escussi .si evince ictu oculi che le stesse, a differenza di quanto deduce la Corte territoriale, non provano la prevalenza delle mansioni svolte . 4. Il primo motivo è infondato per le considerazioni che seguono. 5. Il D.Lgs. 3 febbraio 1993, numero 29, articolo 56, ora D.Lgs. 30 marzo 2001, numero 165, articolo 52, pur nelle varie formulazioni susseguitesi nel tempo, recependo una costante norma del pubblico impiego, esclude che dallo svolgimento delle mansioni superiori possa conseguire l’automatica attribuzione della qualifica superiore. Quanto invece al divieto di corresponsione della retribuzione corrispondente alle mansioni superiori, previsto dall’indicato articolo 56, comma 6 nella sua originaria formulazione D.Lgs. 3 febbraio 1993, numero 29 , trattasi di disposizione soppressa dal D.Lgs. numero 387 del 1998, articolo 15, con efficacia retroattiva la portata retroattiva della disposizione risulta conforme alla giurisprudenza della Corte Costituzionale, che ha ritenuto l’applicabilità anche nel pubblico impiego dell’articolo 36 Cost., nella parte in cui attribuisce al lavoratore il diritto a una retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del lavoro prestato, nonché alla conseguente intenzione del legislatore di rimuovere con la disposizione correttiva una norma in contrasto con i principi costituzionali cfr, ex plurimis, Cass., nnumero 91/2004, 18286/2006 9130/2007 da ultimo, Cass. numero 12193/2011 . 5.1. Occorre pure rilevare che il comma 5 qualifica come nulla l’assegnazione alle mansioni superiori al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, ma riconosce al lavoratore il diritto al trattamento economico della qualifica superiore, salva l’eventuale responsabilità per il relativo onere economico del dirigente che abbia disposto l’assegnazione, in caso di dolo o colpa grave. 5.2. A seguito di S.U. numero 25837/2007, questa Corte ha costantemente affermato che Io svolgimento di fatto di mansioni proprie di una qualifica - anche non immediatamente superiore a quella di inquadramento formale comporta in ogni caso, in forza del disposto dell’articolo 52, comma 5, d.lgs. del 30 marzo 2001, numero 165, il diritto alla retribuzione propria di detta qualifica superiore tra le più recenti, Cass. numero 18808/2013 v. pure Cass. numero 796/2014 . 5.3. Né portata applicativa del principio è da intendere come limitata e circoscritta al solo caso in cui le mansioni superiori vengano svolte in esecuzione di un provvedimento di assegnazione, ancorché nullo cfr. Cass. numero 27887 del 2009, che richiama Cass., Sez. Unumero , 11 dicembre 2007 numero 25837 cit. . La Corte Costituzionale ha ripetutamente affermato l’applicabilità anche al pubblico impiego dell’articolo 36 Cost. nella parte in cui attribuisce al lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, non ostando a tale riconoscimento, a norma dell’articolo 2126 c.c., l’eventuale illegittimità del provvedimento di assegnazione del dipendente a mansioni superiori rispetto a quelle della qualifica di appartenenza cfr. Corte Cost. sent numero 57/1989, numero 296/1990, numero 236/1992, numero 101/1995, numero 115/2003, numero 229/2003 . 5.4. Neppure vale a contrastare tale principiò la possibilità di abusi conseguenti al riconoscimento del diritto ad un’equa retribuzione ex articolo 36 Cost. al lavoratore cui vengano assegnate mansioni superiori al di fuori delle procedure prescritte per l’accesso agli impieghi ed alle qualifiche pubbliche, perché il cattivo uso di assegnazione di mansioni superiori impegna la responsabilità disciplinare e patrimoniale e sinanche penale qualora si finisse per configurare un abuso di ufficio per recare ad altri vantaggio del dirigente preposto alle gestione dell’organizzazione del lavoro, ma non vale di certo sul piano giuridico a giustificare in alcun modo la lesione di un diritto di cui in precedenza si è evidenziata la rilevanza costituzionale in tal senso, S.U., sent. numero 25837 del 2007, cit. . 5.5. Il diritto a percepire una retribuzione commisurata alle mansioni effettivamente svolte in ragione dei principi di rilievo costituzionale e di diritto comune non è dunque condizionato all’esistenza, né alla legittimità di un provvedimento del superiore gerarchico che disponga l’assegnazione. Le uniche ipotesi in cui può essere disconosciuto il diritto alla retribuzione superiore dovrebbero essere circoscritte ai casi in cui l’espletamento di mansioni superiori sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente invito o proibente domino oppure allorquando sia il frutto della fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente cfr. Cass. numero 27887 del 2009, v. pure Cass. 796 del 2014 . 5.6. La Corte costituzionale ha osservato numero 101 del 1995 che il potere attribuito al dirigente preposto all’organizzazione del lavoro di trasferire temporaneamente un dipendente a mansioni superiori per esigenze straordinarie di servizio è un mezzo indispensabile per assicurare il buon andamento dell’amministrazione. Se fosse dimostrato che nel caso concreto l’assegnazione del dipendente a mansioni superiori è avvenuta con abuso d’ufficio e con la connivenza del dipendente, lo stesso articolo 2126 cod. civ. imporrebbe al giudice di respingere la pretesa di quest’ultimo. È stato così superato il rilievo, del giudice remittente, secondo cui questi limiti non basterebbero ad evitare che l’articolo 2126 cod. civ., per il tramite dell’articolo 2129, diventi nel pubblico impiego fonte di abusi e di favoritismi nella forma di avanzamenti di carriera di fatto, prestandosi ad essere strumentalizzato quale grimaldello per stabilire e/o indurre connivenze tra chi ha il potere di mantenere l’assegnazione di fatto del dipendente a mansioni superiori, con tutti i conseguenti vantaggi economici, e quest’ultimo . Il Giudice delle leggi, nel respingere tale rilievo di incostituzionalità dell’articolo 2129 cod. civ., nella parte in cui prevede l’applicabilità dell’articolo 2126 nel settore del pubblico impiego, ha fornito una chiara indicazione interpretativa, mettendo in rilievo come l’articolo 2126 cod. civ., insieme con l’articolo 2103 cod.civ., costituisca un’applicazione ante litteram del principio, sancito dall’articolo 36 Cost., che attribuisce al lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del lavoro prestato, indipendentemente dalla validità del contratto di assunzione o, rispettivamente, del provvedimento di assegnazione a mansioni superiori a quelle di assunzione, esclusi i casi di nullità per illiceità dell’oggetto o della causa sent. numero 101 del 1995, cit. . 5.7. Neppure in caso di assegnazione di un sanitario alle mansioni superiori in mancanza di un provvedimento formale di incarico è stata esclusa l’operatività dell’articolo 2126 c.c. v. Corte costituzionale sent. numero 57 del 1989 . Difatti, non può ravvisarsi nella violazione della mera legalità quella illiceità che si riscontra, invece, nel contrasto con norme fondamentali e generali e con i principi basilari pubblicistici dell’ordinamento , e che, alla stregua della citata norma codicistica, porta alla negazione di ogni tutela del lavoratore Corte Cost. 19 giugno 1990 numero 296 attinente ad una fattispecie riguardante il trattamento economico del personale del servizio sanitario nazionale in ipotesi di affidamento di mansioni superiori in violazione del disposto del D.P.R. numero 761 del 1979, articolo 29, comma 2 . L’illiceità che, ai sensi dell’articolo 2126, primo comma, cod. civ., priva il lavoro prestato della tutela collegata al rapporto di lavoro non può ravvisarsi nella violazione della mera ristretta legalità, ma nel contrasto con norme fondamentali e generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento. Deve trattarsi, cioè, dell’illiceità in senso forte illiceità della causa prevista dall’articolo 1343 cod. civ., non semplicemente dell’illegalità che invalida il negozio o l’atto costitutivo del rapporto a norma dell’articolo 1418, primo comma, cod. civ. C.Cost. numero 296 del 1990 . 5.8. In conclusione, il diritto a percepire una retribuzione commisurata alle mansioni effettivamente svolte in ragione dei principi di rilievo costituzionale e di diritto comune non è condizionato all’esistenza, né alla legittimità di un provvedimento del superiore gerarchico, salva l’eventuale responsabilità del dirigente che abbia disposto l’assegnazione con dolo o colpa grave. Il diritto trova un limite nei casi in cui l’espletamento di mansioni superiori sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente invito o proibente domino oppure allorquando sia il frutto della fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente o comunque in tutti i casi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali e generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento. 5.9. Nessun profilo di illiceità risulta essere stato prospettato in giudizio con riferimento alla particolare fattispecie. Né risulta allegato da parte convenuta che l’espletamento di mansioni superiori avvenne all’insaputa o contro la volontà dell’Azienda invito o proibente domino . La ASL si è invero limitata a rimarcare il difetto dei presupposti di legittimità dell’assegnazione di cui agli articolo 55 e 121 d.P.R. 384/90 a vacanza di posti in pianta organica b indizione di una procedura per la relativa copertura c provvedimento di conferimento delle mansioni superiori per la copertura provvisoria dei posti vacanti. Nessuno di tali elementi osta, per le ragioni illustrate in precedenza, al riconoscimento ex articolo 2126 e 2129 c.c. del trattamento economico corrispondente alle mansioni di fatto svolte dagli odierni controricorrenti. 6. Il secondo motivo è inammissibile, poiché nel ricorso per cassazione non sono trascritte le deposizioni testimoniali su cui si incentra la doglianza, né è precisato il fatto decisivo sul quale la motivazione sarebbe mancata o sarebbe insufficiente o illogica. 6.1. Qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l’omessa valutazione di prove testimoniali, ha l’onere non solo di trascriverne il testo integrale nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare i punti ritenuti decisivi, risolvendosi, altrimenti, il dedotto vizio di motivazione in una inammissibile richiesta di riesame del contenuto delle deposizioni testimoniali e di verifica dell’esistenza di fatti decisivi sui quali la motivazione è mancata ovvero è stata insufficiente o illogica Cass. numero 6023 del 2009, 17915 del 2010, 13677 del 2012, 21632 del 2013, numero 48 del 2014 principio elaborato con riferimento all’articolo 360 numero 5 cod. proc. civ., nel testo anteriore alle modifiche apportate dall’articolo 54, comma 1, lett. b del d.l. 22 giugno 2012, numero 83, conv. in L 7 agosto 2012, n 134 . 7. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’articolo 2 del D.M. 10 marzo 2014, numero 55. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ASL ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.