Il proprietario dell'area lamenta la violazione del principio del legittimo affidamento originato dal rilascio da parte del Comune di due certificati di destinazione urbanistica, allegati agli atti di compravendita del 1989 e del 1993, che classificavano le particelle in zona a vocazione industriale.
Ma per il Consiglio di Stato, sentenza numero 1914/16 depositata il 12 maggio, il diritto di avvalersi del principio della tutela del legittimo affidamento è strumentabile solo in presenza di comportamenti che abbiano fatto sorgere nell'interessato fondate speranze di ottenere un determinato risultato a causa di assicurazioni sufficientemente precise, provenienti da fonti istituzionali, con la conseguenza che i principi di tutela del legittimo affidamento, di certezza del diritto e di proporzionalità non possono rappresentare un impedimento per l'azione amministrativa che si riveli per altro verso scevra da elementi che possano inficiarne la validità Consiglio di Stato, sez. VI, numero 5250 del 17/11/2015 . Destinazioni d'uso ammesse. E' stata condivisa, pertanto, la tesi del TAR., laddove il Tribunale ha ritenuto irrilevante l'attività di certificazione dell'amministrazione peraltro oggetto di distinta azione risarcitoria innanzi al go in quanto la stessa non risulta idonea a «fondare una aspettativa qualificata del ricorrente alla destinazione dell'area, quale risultante dagli errati certificati» ma eventualmente una obbligazione di natura risarcitoria. Nel caso specifico, l'interessato si era vista parzialmente respinta la sua osservazione presentata nel corso del procedimento di approvazione di una variante urbanistica, in relazione al fatto che la destinazione agricola assegnata al fondo di sua proprietà peraltro preesistente non era corrispondente alla reale natura dell'area, considerato che non era utilizzata per la coltivazione ma come piazzale destinato a deposito e parcheggio di automezzi e che nelle aree confinanti, classificate come zona Da o Db, vi erano numerosi capannoni industriali destinati ad attività produttive che provavano la natura industriale dell'intero comparto.
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 21 aprile – 12 maggio 2016, numero 1914 Presidente Anastasi – Estensore Schilardi Fatto 1.- Il sig. Mariano Ferrara acquistava con due atti di compravendita del 26 gennaio 1989 e del 2 giugno 1993, nella circoscrizione di Barra situata nella zona nord del comune di Napoli, un fondo di complessivi 10.000 mq., destinato a depositi e al ricovero di macchinari e mezzi della sua impresa. Il comune di Napoli, con delibera del consiglio numero 35 del 19 febbraio 2001, adottava la variante al piano regolatore generale, relativa alle zone centro storico, orientale e nord occidentale della città. Il sig. Mariano Ferrara, in data 21 giugno 2001, presentava osservazioni alla variante, chiedendo che l'area di sua proprietà individuata come zona E, sottozona Ea - area agricola, venisse classificata come zona Db a destinazione industriale. Il sig. Ferrara assumeva che la destinazione agricola assegnata al fondo di sua proprietà non era corrispondente alla reale natura dell'area, considerato che non era utilizzata per la coltivazione ma come piazzale destinato a deposito e parcheggio di automezzi e che nelle aree confinanti, classificate come zona Da o Db, vi erano numerosi capannoni industriali destinati ad attività produttive che provavano la natura industriale dell'intero comparto. Il Consiglio comunale, con delibera numero 117 dell'1 luglio 2003 accoglieva parzialmente le osservazioni presentate dal sig. Ferrara, classificando parte dell'area come sottozona Db e confermando, per la restante parte, la classificazione come area agricola sottozona Ea con successiva delibera numero 137 del 22 luglio 2003 approvava e prendeva atto di tale parziale accoglimento. La Regione Campania, con provvedimenti numero 146/2004 e numero 323/2004, approvava la variante al P.R.G. Avverso i citati provvedimenti il sig. Mariano Ferrara proponeva ricorso al T.A.R. per la Campania, lamentando la violazione degli articolo 3 e 7 della legge 241/1990 e degli articolo 8 e 9 della legge 1150/1942 e chiedendo il risarcimento dei danni subiti e subendi imputabili alla perdita di utilizzo come area industriale di una parte della sua proprietà qualificata come agricola. Il T.A.R., con sentenza numero 1841 del 7 aprile 2009, accogliendo l’eccezione sollevata dall’amministrazione comunale resistente, ha rigettato il ricorso ritenendolo inammissibile per difetto di interesse ad agire del sig. Ferrara. Avverso la sentenza ha proposto appello il sig. Mariano Ferrara. Si è costituito in giudizio il comune di Napoli che ha chiesto di rigettare l'appello, con condanna dell'appellante alla refusione delle spese del doppio grado di giudizio. Si è costituita la Regione Campania che, dopo aver osservato che l'appello non conterrebbe censure dirette nei confronti dei provvedimenti regionali, ne ha chiesto il rigetto perché infondato nel merito. All'udienza pubblica del 21 aprile 2016 la causa è stata trattenuta per la decisione. Diritto 2.- Con il primo motivo di censura l'appellante lamenta l'erroneità della sentenza del T.A.R. laddove i giudici di prima istanza hanno dichiarato inammissibile il gravame per carenza di interesse del ricorrente, ritenendo che la variante al piano regolatore non fosse lesiva dei suoi interessi, non avendo prodotto alcuna variazione peggiorativa per l'area di sua proprietà. 2b.- La doglianza non è fondata. Sul punto si deve osservare che i giudici di prime cure hanno preso atto che l'area di proprietà del ricorrente era stata già classificata dal previgente piano regolatore generale, approvato con delibera municipale numero 1829/1972, come zona M agricola conseguentemente essi hanno ritenuto che alcuna variazione in peius era stata introdotta con le nuove previsioni urbanistiche oggetto di impugnativa. Il T.A.R. ha evidenziato, poi, come ciò sia stato ammesso dallo stesso ricorrente nella sua memoria depositata il 13 febbraio 2009. In assenza di lesione dei propri diritti non può, pertanto, riconoscersi all'appellante il titolo ad ottenere, comunque, benefici di natura urbanistica, quali la classificazione delle aree di sua proprietà diversa da quella zona E - area agricola risultante nel P.R.G. vigente, attesa la discrezionalità che l'amministrazione ha nell'esecuzione delle attività di programmazione. L’interesse ad impugnare gli atti va accertato, infatti, sulla base della concretezza ed attualità della lesione arrecata a seguito di previsioni urbanistiche che risultino peggiorative rispetto alla precedente classificazione riservata alle aree dagli strumenti previgenti. Conseguentemente, è da ritenersi inammissibile, per difetto d'interesse, un ricorso proposto avverso la variante di piano regolatore generale ove le rettifiche da essa introdotte non riguardino in alcun modo l'area di proprietà del ricorrente e non ne modifichino l'azzonamento e la relativa disciplina Consiglio di Stato, sez. IV, numero 1653 del 19/03/2009 . 2c.- Sotto altro profilo, l'appellante lamenta la violazione del principio del legittimo affidamento originato dal rilascio da parte del Comune di due certificati di destinazione urbanistica, allegati agli atti di compravendita del 1989 e del 1993, che classificavano le particelle in questione come zona N a vocazione industriale. In proposito questo Consiglio si è già espresso, ritenendo che il diritto di avvalersi del principio della tutela del legittimo affidamento è strumentabile solo in presenza di comportamenti che abbiano fatto sorgere nell'interessato fondate speranze di ottenere un determinato risultato a causa di assicurazioni sufficientemente precise, provenienti da fonti istituzionali, con la conseguenza che i principi di tutela del legittimo affidamento, di certezza del diritto e di proporzionalità non possono rappresentare un impedimento per l'azione amministrativa che si riveli per altro verso scevra da elementi che possano inficiarne la validità Consiglio di Stato, sez. VI, numero 5250 del 17/11/2015 . E’ da condividersi, pertanto, la tesi del T.A.R., laddove il Tribunale ha ritenuto irrilevante l'attività di certificazione dell'amministrazione peraltro oggetto di distinta azione risarcitoria innanzi al G.O. in quanto la stessa non risulta idonea a fondare una aspettativa qualificata del ricorrente alla destinazione dell'area, quale risultante dagli errati certificati ma eventualmente una obbligazione di natura risarcitoria. 3.- Con il secondo motivo di censura l'appellante lamenta error in judicando ritenendo che si sia concretizzata la violazione degli articolo 3 e ss della legge numero 241/1990 e degli articolo 8 e 9 della legge numero 1150/1942. Con il terzo motivo di censura, strettamente connesso al precedente, l'appellante lamenta, poi, la violazione del giusto procedimento, dell'articolo 3 della legge numero 241/1990, difetto di istruttoria e di motivazione e la violazione degli articolo 8 e 9 della legge numero 1150/1942. L’appellante sostiene, in particolare, che la sentenza sarebbe erronea nella parte in cui il Tribunale avrebbe ritenuto che non sussista il prospettato difetto di motivazione del provvedimento comunale gravato. 3b.- Le censure sono infondate. Le scelte urbanistiche del comune di Napoli, che hanno accolto parzialmente le osservazioni dell'appellante non risultano, infatti, illogiche o contraddittorie, mentre, come evidenziato dal T.A.R., le osservazioni di parte privata costituiscono uno strumento partecipativo introdotto dalla legge in chiave collaborativa, nell'interesse generale alla corretta pianificazione del territorio comunale. Nessun particolare rilievo assume la circostanza formale che la cartografia utilizzata dal Comune non sia aggiornata rispetto allo stato dei luoghi mentre, nel caso di specie, nelle deduzioni ai provvedimenti impugnati viene confutato l'assunto che la carta dell'uso del suolo non sarebbe rispondente alla natura dei suoli in questione in quanto non adatti alla coltivazione agricola. Sulla base della carta dell'uso del suolo, l'amministrazione ha evidenziato, infatti, che una porzione dei suoli in questione è coerente con la destinazione agricola, rappresentando una quota parte di una più vasta zona classificata Ea , mentre la parte rilevata dalla tav. 2 come -aree edificate-, non essendo connotata da funzionalità agricola è effettivamente classificabile piuttosto in Db . Tali criteri che con lo strumento urbanistico sono stati resi comuni su tutto il territorio comunale, sono frutto di scelte urbanistiche dell'amministrazione, caratterizzate da ampia valutazione discrezionale, in quanto tali insindacabili nel merito, se non per errori di fatto o loro abnormità. In ragione di tale discrezionalità tecnico-amministrativa l'Amministrazione non è tenuta a fornire un'apposita motivazione in ordine alle scelte operate in sede di pianificazione del territorio, che siano collimanti con i fini generali dello strumento urbanistico Consiglio di Stato, sez. IV, numero 4072 del 01/09/2015 . 3c.- In ordine al fatto che all'interno del lotto in questione sarebbero stati realizzati dei manufatti in data antecedente all'adozione della variante, si osserva che la loro successiva regolarizzazione per condono, intervenuta con determine dirigenziali nnumero 15372 e 15734 del 4 febbraio 2009 ne ha sanato l'illegittimità ma ciò non può essere condizionante delle scelte urbanistiche successive dell'amministrazione. L'amministrazione, in presenza di osservazioni o opposizioni prodotte dai privati interessati nel corso del procedimento di formazione del piano regolatore, è tenuta ad esaminarle ma non ad accoglierle e la relativa determinazione può essere sintetica, nel caso in cui l'amministrazione non modifichi in senso peggiorativo la destinazione impressa alle aree dai precedenti strumenti urbanistici. Le osservazioni presentate in occasione dell'adozione di un nuovo strumento di pianificazione del territorio costituiscono, infatti, un mero apporto dei privati nel procedimento di formazione dello strumento medesimo, con conseguente assenza in capo all'Amministrazione di un obbligo puntuale di motivazione oltre a quella evincibile dai criteri desunti dalla relazione illustrativa del piano stesso in ordine alle proprie scelte discrezionali assunte per la destinazione delle singole aree Consiglio di Stato, sez. I, numero 1710 del 14/02/2014 . Per gli stessi motivi a termini dell'articolo 13 della legge numero 241 del 1990 l'adozione di una variante al piano regolatore generale, in quanto provvedimento di pianificazione non deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento nei confronti dei soggetti interessati Cons. Stato, sez. IV, 22 marzo 2005, numero 1236 . La complessità della vicenda giustifica la compensazione fra le parti delle spese anche del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese del presente grado di giudizio compensate tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.