... Ancora sul concetto di detenzione illegale di arma da fuoco

Il possesso precario e per pochissimi minuti di un’arma da fuoco non integra la fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 2, l. numero 895/67 anche qualora esso sia finalizzato a rendere maggiormente efficaci le minacce rivolte alla persona offesa, qualora si sia verificato sotto la costante osservazione del legittimo detentore dell’arma impegnato a disarmare il “minacciante”. Ai fini di integrare la condotta tipica occorre che il rapporto tra l’agente e l’arma sia stabile ed apprezzabile temporalmente.

Il caso. L’imputata veniva tratta a giudizio per rispondere dei reati, uniti dal vincolo della continuazione di minacce gravi, di lesione aggravate, ingiuria, minacce semplici, e detenzione illegale di arma da fuoco. Il fatto era originato da una lite intervenuta tra coniugi nel corso della quale la moglie aveva sottratto al proprio marito, munito di pistola d’ordinanza per ragioni di servizio l’arma, puntandola contro il medesimo ai fini di rendere maggiormente incisive le minacce rivolte nei suoi confronti. Il Tribunale, in composizione monocratica, all’esito del dibattimento, condannava l’imputata per i reati, uniti dal vincolo della continuazione, di minacce gravi e lesioni aggravate, la proscioglieva in relazione ai reati di ingiuria e minaccia semplice per difetto di querela a la assolveva in relazione al contestato reato di cui all’articolo 2, l. numero 895/67 per insussistenza del fatto. Proponeva, avverso il capo della sentenza che aveva pronunciato l’assoluzione dell’imputata, ricorso immediato per Cassazione il Procuratore della Repubblica eccependo l’errata applicazione di legge in relazione al disposto dell’articolo 2, l. numero 895/67. La Cassazione ha rigettato il ricorso. Sul concetto di detenzione. In relazione alla norma in commento la Giurisprudenza della Suprema Corte è, da tempo, ben assestata attorno ad un principio fondamentale che è possibile trovare espresso in una numerosa issima serie di pronunce. Pronunce che, peraltro, sono richiamate dalla stessa sentenza in commento. La norma incriminatrice richiede che esista un rapporto particolare tra il soggetto e l’arma caratterizzato dalla “detenzione”. Si tratta di un elemento, o per meglio di un rapporto di fatto avene rilevanza giuridica che, ai fini d’essere definito, in relazione ai suoi connotati essenziali, necessita di riferimenti tratti dall’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale effettuata in tema civilistico e da questa trasportati in campo penale. A sensi di detta elaborazione la detenzione può dirsi essere esistente allorché il soggetto nella cui disponibilità viene a trovarsi la cosa abbia con essa un rapporto stabile ed apprezzabile sotto il profilo fattuale e temporale. Ove manchi questo tipo di rapporto il soggetto non può dirsi essere detentore della cosa ma vantare nei confronti della stessa una mera temporanea disponibilità non rilevante sotto alcun profilo giuridico. Ovvero sprovvista di tutela civilistica. Trasferito il concetto elaborato in campo civilistico a quello penale la temporanea e sotto il profilo materiale non apprezzabile disponibilità della cosa arma non può costituirne detenzione. Ovvero ai fini di poter dire configurato il delitto di detenzione abusiva d’arma comune da sparo è necessaria una relazione stabile del soggetto con la cosa arma che per sua natura deve implicare un minimo di permanenza del rapporto materiale tra il soggetto e la cosa. La detenzione «funzionale». La Corte, sollecitata dal ricorso formulato dalla Procura ricorrente, si sofferma, seppur rapidamente ad analizzare il concetto di «detenzione funzionale» dell’arma, escludendo che lo stesso possa trovare applicazione in riferimento alla norma in esame. Il richiamo che la Corte effettua è quello alla ben nota giurisprudenza elaborata in riferimento alla disponibilità dell’arma nel caso di omessa denuncia della stessa ed ai concetti di ‘stabilità’ del rapporto tra cosa e soggetto ancorato al «tempo strettamente necessario per provvedere alla denuncia della detenzione dell’arma» ex pluribus Cass., sez. I, sent. 23.3.1983 RV 159083 , ma, a ben vedere nel caso di specie essa afferma un principio che ha un, notevole, profilo di novità. L’arma nel caso di specie infatti ha avuto una precisa, e per vero riconosciuta dal Giudice del primo grado, funzione nella commissione di un fatto reato, la minaccia grave, che proprio nell’uso della stessa si è concretato. Dunque l’uso dell’arma era teleologicamente orientato ed anzi finalizzato alla commissione del reato, voluto e realizzato, dall’agente, che, anzi, ai fini della sua compiuta concretizzazione d’essa necessitava. Indubbia quindi l’esistenza dell’elemento psicologico in capo all’agente, così come la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di minaccia grave. Ebbene, pure innanzi ad una simile situazione di fatto e giuridica, acclarata ed incontestata, la Corte ha ritenuto non applicabile la norma incriminatrice posta l’insussistenza di quel rapporto di stabilità, temporale e materiale, con l’arma cui la teleologica funzione ad essa assegnata dall’agente non può in alcun modo supplire. Ovvero, citando gli Ermellini, il possesso precario dell'arma da parte dell'imputata protratto per pochissimi minuti sotto la costante osservazione del legittimo detentore che cercava di disarmarla, non può configurare una relazione di stabile disponibilità tale dal richiedere l'obbligo di denuncia e da integrare il reato contestato. Neppure quando il possesso precario disponibilità è teleologicamente connesso alla commissione di reato previsto e voluto dall’agente.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 16 dicembre 2011 – 15 marzo 2012, numero 10287 Presidente Chieffi – Relatore Carta Rileva in fatto 1.- Con sentenza pronunciata il 10 dicembre 2010 il Tribunale monocratico di Torre Annunziata condannava A.O. alla pena di mesi quattro di reclusione perché ritenuta responsabile dei reati, unificati dal vincolo della continuazione, di minacce gravi e di lesioni aggravate, la proscioglieva dal reati di minaccia ed ingiuria per difetto di querela e la assolveva dal reato di detenzione illegale di arma, contestato al capo A della rubrica, perché il fatto non sussiste. I fatti oggetto del giudizio attengono alla lite intercorsa tra l'imputata ed il marito C.P. nelle prime ore del mattino del omissis , nel corso del diverbio A.O. impossessatasi della pistola di ordinanza del marito lo aveva ingiuriato e minacciato intimandogli di lasciare il domicilio coniugale nelle medesime circostanze l'aveva anche aggredito procurandogli lesioni giudicate guaribili in giorni dieci nel tardo pomeriggio della stessa giornata la A. rivolgeva ulteriori minacce ed ingiurie al marito che aveva fatto rientro al domicilio coniugale con dei colleghi per prelevare i suoi effetti personali. Rilevava il tribunale che riguardo ai fatti verificatisi nel pomeriggio del 20 maggio la persona offesa non aveva sporto querela e, in conseguenza, per i relativi reati doveva dichiararsi non luogo a procedere. Il giudice riteneva che la responsabilità penale dell'imputata in ordine ai reati di lesioni personali e minaccia grave accaduti nella notte fosse, invece, provata sulla base della deposizione, sicuramente attendibile siccome logica e coerente, della parte offesa non contrastata da alcun elemento di segno contrario, riscontata dal referto medico relativo alle lesioni del C. e da quanto riferito dal teste Ca. . Affermava, poi, che il possesso precario e per pochissimi minuti della pistola di ordinanza del C. al solo scopo di rendere più efficaci le frasi di minaccia rivolte a quest'ultimo, possesso realizzatosi sotto la costante osservazione del legittimo detentore il quale cercava di disarmarla, non fosse penalmente rilevante. Mancavano infatti perché potesse configurarsi il reato di detenzione illegale quel minimo di permanenza del possesso e di autonoma disponibilità in capo al soggetto attivo richiesti dalla norma incriminatrice alla stregua dei principi di diritto sanciti dalla giurisprudenza di legittimità. 2.- Avverso il capo della sentenza relativo al proscioglimento dell'imputata in relazione al reato di detenzione illegale aggravata della pistola ha proposto ricorso immediato per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torre Annunziata il quale deduce l'erronea interpretazione dell'articolo 2 della legge numero 895 del 1967. Sostiene il PM ricorrente che la giurisprudenza di legittimità richiamata dal tribunale lascia spazio ad una interpretazione funzionale e non puramente cronologica del concetto di detenzione, nel senso che la rilevanza penale della condotta detentiva, anche se solo momentanea, deve essere ancorata allo scopo perseguito dall'agente. In tal senso la detenzione, per quanto breve, per la circostanza di essere caratterizzata in termini funzionali rispetto al proposito del precario detentore, assurgere a condotta di rilevanza penale meritevole di adeguata sanzione nei casi, quali quello in esame, che si sostanziano in una condotta ben più grave rispetto a quella di chi abbia, in ipotesi, acquistato un'arma e presentato la richiesta dichiarazione all'autorità di polizia con qualche giorno di ritardo. 3.- Il Procuratore Generale Dott. Scardaccione Eduardo ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata Osserva in diritto 1.- Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte che il Collegio condivide e che correttamente è stata richiamata dal giudice di merito Per la configurazione del delitto di detenzione abusiva d'arma comune da sparo è necessaria una relazione stabile del soggetto con la cosa, in quanto il concetto di detenzione per sua natura implica un minimo di permanenza del rapporto materiale tra detentore e cosa detenuta ed un minimo apprezzabile di autonoma disponibilità del bene da parte del soggetto Cass. Sez. 1, sent. 20.5.2008, numero 20935, Rv. 240287 . Né è vero, come sostenuto dal PM ricorrente, che non sia stata individuata alcuna cornice temporale cui legare il concetto di detenzione penalmente rilevante posto che plurime pronunce di questa Corte tra le tante Cass. Sez. 1, sent. 30.6.1978, numero 13525, Rv. 140343 Cass. Sez. 1, sent. 5.3.1981, numero 4534, Rv. 148855 Cass. Sez. 1, sent 23.3.1983, Rv. 159083 Cass. Sez. F., sent. 2.8.1990, numero 12682, Rv. 185434 hanno enucleato il concetto di stabilità per completare quello di detenzione, ancorandolo al tempo strettamente necessario per provvedere alla denuncia della detenzione dell'arma. D'altronde l'interpretazione funzionale del termine detenzione prospettata nel ricorso al fine di ricondurre la condotta dell'imputata nell'ambito della norma incriminatrice di cui all'articolo 2 della legge 2.10.1967, numero 895, se portata alle sue conseguenze generali avrebbe ricadute di non poco conto in relazione alla punibilità di tutta una serie di condotte concernenti la disponibilità di armi non denunciate la cui detenzione non appaia funzionalmente collegabile a diverse e specifiche condotte delittuose diverse dalla omessa denuncia. Va poi rammentato che l'obbligo di denuncia delle armi trova la sua ratio nella finalità di mettere l'autorità di polizia in condizioni di conoscere il luogo in cui le armi si trovano e le persone che ne hanno la disponibilità in modo da rendere agevoli gli opportuni controlli per ragioni di sicurezza, e proprio da tale finalità deriva che, perché sussista il delitto di cui all'articolo 2 legge numero 895/1967, la relazione tra Tarma ed il soggetto deve avere una durata apprezzabile e superiore a quella ordinariamente necessaria per provvedere alla prescritta denuncia Cass. Sez. l,sent. 11.2.1984 numero 1218, Rv. 162574 . 2.- Nel caso di specie il giudice di merito hanno correttamente escluso che il possesso precario dell’arma da parte dell'imputata, protratto per pochissimi minuti e sotto la costante osservazione del legittimo detentore che cercava di disarmarla, possa configurare una relazione di stabile disponibilità tale da richiedere l'obbligo di denuncia e da integrare, in conseguenza, il delitto ascrittole al capo A della rubrica. Per le ragioni sopraesposte il ricorso deve essere rigettato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.