Per la Cassazione non si lede altrimenti l’interesse alla corretta imposizione fiscale nazionale. Inoltre, in via assoluta al settantenne indagato non può mai essere applicata la custodia cautelare in carcere.
Il caso. Un indagato contestava l’ordinanza del Tribunale del riesame che ne aveva disposto la custodia cautelare per contrabbando di tabacchi esteri, ai sensi della normativa speciale ex articolo 291 bis e quater d.p.r. numero 43/1973. La difesa dell’indagato contestava la sussistenza della giurisdizione italiana e in subordine la mancata integrazione della fattispecie per l’assenza di transito della merce nel territorio italiano. Chiedeva inoltre l’applicazione di una misura meno afflittiva della custodia cautelare, negata benché l’indagato avesse più di settant’anni. La Cassazione, Terza sezione Penale, numero 7619/2012, depositata il 27 febbraio, accoglie il ricorso e chiarisce «È dunque pacifico che per l’integrazione del reato, il tabacco lavorato estero deve essere introdotto nel territorio dello Stato, anche se è poi irrilevante la durata della permanenza e la destinazione ad altro Stato. E difatti il bene giuridico protetto è la potestà tributaria dello Stato italiano. Non si tratta di difetto di giurisdizione, ma di insussistenza del reato contestato». Al contempo dispone l’illegittimità dell’ordinanza anche in ordine alla disposta applicazione della misura cautelare, per i sopraggiunti limiti di età dell’indagato. La Cassazione non contesta la giurisdizione italiana sul reato, bensì l’integrazione della fattispecie tipica. La difesa sosteneva che il baricentro dell’azione delittuosa era collocato in territorio estero e che nel territorio nazionale non fosse ancora transitata nemmeno parte del materiale di contrabbando, nonostante ivi si stessero disponendo alcune pianificazioni preparatorie necessarie per consentire l’entrata del materiale illecito all’interno dei confini nazionali. La posizione processuale degli indagati andava dunque primariamente stralciata per difetto di giurisdizione. Vanno precisati alcuni riferimenti normativi per poi accedere alla soluzione adottata dalla Cassazione in commento. La giurisdizione italiana sussiste – ai sensi dell’articolo 6, comma 2, c.p. – anche laddove l’azione o l’omissione delittuosa si sia verificata solo parzialmente entro i limiti nazionali – c.d. principio di ubiquità. Il legislatore ha in tal modo mostrato di preferire le esigenze di copertura sanzionatoria di comportamenti penalmente rilevanti ai pericoli di duplicazione di pronunce di giudici italiani e stranieri sui medesimi fatti. Il predetto rilievo ha comunque un ruolo ordinamentale e per quanto concerne gli accertamenti penali, pregiudiziale ad ogni altra verifica processuale, perché relativo a questioni preliminari di giurisdizione. Eppure la Cassazione lo colloca in una posizione defilata in corpo alla sequela motivazionale, sottraendogli qualsiasi incidenza. Preferisce sondare la fattispecie tipica contestata di cui alla legge speciale e in quel luogo verificare il valore penalmente rilevante – siccome collocabile territorialmente nei luoghi italici - del comportamento realizzato dagli indagati. Le conseguenze processuali. Si realizza un parziale scostamento fra norme generali che disciplinano l’area della giurisdizione penale, a prescindere dalle valutazioni sul merito, da norme speciali che selezionano il penalmente rilevante. Più chiaramente di sovente le norme penali speciali, quando descrivono fattispecie tipiche a naturale rilevanza transnazionale – per il contenuto mercantile delle condotte contenute – delimitano gli spazi per l’accertamento del giudice italiano – ad esempio, distinguendo tempi, forme e contenuti e collocandoli nei luoghi esteri o nazionali, ai fini dell’applicazione della legge italiana. Di fatto moltiplicano i criteri che consentono l’accertamento penale del giudice nazionale, che parrebbero invece essere di dominio esclusivo dell’articolo 6 cit Quando siffatti criteri non aderiscono l’un l’altro, come nel caso specifico, si producono discrepanze semantiche e normative di frequente determinanti ai fini delle verifiche processuali. Nel caso specifico, la S.C. ha ritenuto non integrato il reato non perché il giudice non avrebbe avuto giurisdizione ai sensi dell’articolo 6 cit. – come richiesto dalla difesa dell’indagato in forza del valore generale della suddetta norma - bensì perché non erano soddisfatti i criteri di realizzazione nel territorio della condotta indicati dalla legge speciale. La conseguenza è evidente un vizio di giurisdizione travolgerebbe il processo e nel caso solleciterebbe riflessioni sulla partita – prevalentemente politica e diplomatica – degli accordi transnazionali sulla repressione di attività illecite comuni. Una contestazione sulla realizzazione della fattispecie tipica, invece, non preclude futuri accertamenti, non chiude ad aperture di indagini concluse né soffoca nella culla un costituendo processo penale. L’antidoto a queste incongruenze sarebbe costituito da un legislatore attento alle esigenze di armonia sistematica, ogni qual volta intende apporre una nuova regolamentazione speciale di attività illecite, il che parrebbe appartenere più a delle narrazioni di letteratura fantastica che alle consolidate prassi del nostro organo legiferante in materia penale. La Cassazione aderisce ad una interpretazione costituzionalmente orientata. Sgomberata ogni questione di giurisdizione, la Cassazione, definisce alcuni contenuti sostanziali della fattispecie contestata che punisce le condotte di vendita, trasporto, introduzione o detenzione nel territorio nazionale di prodotti esteri di contrabbando. Eppure alcune di queste azioni sintatticamente neutre – si pensi ad una vendita, civilisticamente governata dal principio consensualistico, dunque non richiedente la dazione reale del materiale di contrabbando all’interno del territorio italiano – risultano non caratterizzabili territorialmente. Con la conseguenza che sarebbero attratte al giudice italiano anche condotte solo minimamente associabili ad una presenza fisica e concreta della merce nel territorio nazionale. Ben fa la Corte a suggerire allora una lettura ermeneutica della norma confacente a quelle esigenze – di coerenza e tenuta sistemica – affini ad un diritto penale in grado di trovare al suo interno, siccome appartenenti ad un sistema logicamente decidibile, le risorse normative in grado di risolvere eventuali criticità interpretative. La sintassi contenuta nell’articolo 291 bis cit. va chiarita ai sensi del bene giuridico tutelato. La Cassazione fa proprie quelle teorie generali del reato in punto di offensività della condotta penalmente rilevante, che attribuiscono alla verifica della lesione dell’interesse tutelato dalla norma l’elemento ultimo da indagare, sia ai fini dell’applicazione di una legge penale che ai fini della sua interpretazione. Nel caso specifico la normativa penale sul traffico del materiale di contrabbando è finalizzata a consentire l’esigenza costituzionale dell’esatta e puntuale riscossione dei tributi e delle imposizioni fiscali connesse al commercio di quei prodotti. Dunque le condotte violanti il precetto penale sono solo quelle che determinano una lesione alle finanze statali e non quelle, ad esempio, che incrementano la proliferazione dei commerci illeciti in grado di pregiudicare altri interessi ordinamentali connessi alla tutela dell’ordine pubblico transnazionale. Ne segue che una condotta pianificata in Italia quando invece i prodotti mercificati risiedono all’estero non è tale da essere penalmente rilevante. Per gli Ermellini occorre anche una temporanea presenza di quei prodotti all’interno del territorio nazionale e dunque la realizzazione di un momento evasivo delle imposte. In assenza di questa condizione, i giudici di legittimità ritengono la condotta penalmente irrilevante, ai sensi della legge speciale. Custodia cautelare La norma più favorevole va interpretata estensivamente. La Cassazione ben fa a specificare la gerarchia fra i criteri applicativi contenuti nel terzo e nel quarto comma dell’articolo 274 c.p.p Specifica che fra due norme speciali – quella che impone la custodia cautelare per alcuni gravi reati, quale quello contestato, e quella che la esclude per un maggiore di settant’anni -, va fatta prevalere quella che consente un trattamento più favorevole per l’indagato, sulla base dei principi generali in punto di tassatività e specificità della previsione penale. La norma più favorevole, che esclude la custodia cautelare, va interpretata estensivamente. In materia penale ogni forma di analogia in bonam partem supera le ipotesi estensive dei contenuti di norme che abbiano invece un effetto peggiorativo per le sorti dell’indagato.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 gennaio – 27 febbraio 2012, numero 7619 Presidente Mannino – Relatore Franco Svolgimento del processo 1. Con l'ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Venezia confermò l'ordinanza 5.4.2011 del Gip di Venezia, che aveva applicato a D.P.G. la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato di cui all'articolo 291 quater , commi 1 e 2, d.p.r. 23 gennaio 1973, numero 43, ed agli articolo 3 e 4 l. 148/2006, per avere promosso e organizzato una associazione per delinquere finalizzata al compimento di delitti di contrabbando di tabacchi lavorati esteri operando contemporaneamente in più Stati, nonché in relazione a due reati di contrabbando di tabacchi lavorati esteri. L'indagato propone ricorso per cassazione deducendo 1 violazione dell'articolo 303 cod. proc. penumero per intervenuta perdita d'efficacia della misura. Osserva che l'ordinanza impugnata deve ritenersi e-messa non nella data dell'11 maggio 2011, in cui è avvenuta la discussione, ma in quella del 24 maggio 2011, in cui la decisione è stata depositata in cancelleria, e quindi oltre il termine di legge di dieci giorni. 2 che l'articolo 291 quater d.p.r. 23 gennaio 1973, numero 43, fa riferimento al solo articolo 291 bis sicché anche il reato associativo deve riguardare azioni commesse nel territorio dello Stato. Nella specie l'accordo societario è stato definito all'estero e lì è stata costituita l'associazione. Manca quindi la giurisdizione del giudice italiano non essendo stata violata alcuna norma del monopolio fiscale italiano. 3 violazione dell'articolo 275, comma 4, e dell'articolo 274 cod. proc. penumero in quanto, avendo il D.P. superato i 70 anni, doveva essergli applicato un regime meno afflittivo. Erroneamente il tribunale del riesame ha ritenuto che la norma del precedente comma 3 fosse speciale e quindi prevalente rispetto a quella del comma 4. Erroneamente poi la associazione per delinquere finalizzata al contrabbando è stata parificata a quella di tipo mafioso. 4 violazione dell'articolo 291 bis d.p.r. 23 gennaio 1973, numero 43, e dell'articolo 7 cod. penumero Ricorda che sono state ritenute inutilizzabili le intercettazioni telefoniche eseguite fino al 9 marzo 2009. Ora, il carico di tabacchi lavorati esteri sequestrato dalla polizia spagnola non era arrivato dall'Italia né era transitato in Italia, ma si trovava già in Spagna. Il reato non fu quindi commesso in Italia. Anche il carico sequestrato in Slovenia non è mai partito per l'Italia e quindi anche il relativo reato non fu commesso in Italia. L'articolo 291 bis d.p.r. 23 gennaio 1973, numero 43, si riferisce solo ai fatti commessi nel territorio dello Stato. Nella specie non vi è mai stata alcuna violazione del monopolio fiscale italiano. Motivi della decisione 2. Il primo motivo è infondato. Risulta infatti dagli atti che il dispositivo della ordinanza pronunziata dal tribunale del riesame è stato depositato in cancelleria l'11 maggio 2011, ossia nel termine di legge di dieci giorni. 3. Per il resto il ricorso è fondato. Va innanzitutto rilevato che l'autonomo reato di cui all'articolo 291 bis d.p.r. 23 gennaio 1973, numero 43 Contrabbando di tabacchi lavorati esteri non punisce genericamente, come il successivo articolo 292, qualsiasi condotta idonea a produrre l'evento della sottrazione di merci al pagamento dei diritti di confine dovuti - reato in ordine al quale si è ritenuto che l'interesse protetto deve essere esteso anche alla percezione dei “diritti di confine” comunitari cioè a quei dazi o prelievi previsti dalla legislazione della Comunità Europea per merci provenienti dall'estero inteso come territorio extracomunitario cfr. Sez. III, 27.11.2002, numero 4032, Gazetas, m. 224735 Sez. V, 30.11.2006, numero 4950/07, Prudenziati, m. 235784 - bensì prevede e punisce una serie di comportamenti specifici e tassativamente indicati, e precisamente la condotta di “chiunque introduce, vende, trasporta, acquista o detiene nel territorio dello Stato un quantitativo di tabacco lavorato estero di contrabbando superiore a dieci chilogrammi convenzionali”. In altre parole occorre, per integrare il reato, da un lato, che la condotta abbia ad oggetto tabacco lavorato estero e non nazionale di contrabbando per un quantitativo superiore a 10 Kg. convenzionali, e, da un altro lato, che detto tabacco sia introdotto, o venduto, o trasportato, o acquistato o detenuto nel territorio dello Stato. L’introduzione, vendita, trasporto, acquisto o detenzione avvenuti nel territorio dello Stato costituisce, dunque, elemento indispensabile per la configurazione del reato in questione. Si è precisato che l'introduzione in Italia può essere anche temporanea e di breve durata, in quanto il reato “si perfeziona con la detenzione di beni introdotti nello Stato in frode ai diritti di confine, a nulla rilevando che la merce sia destinata ad un altro paese comunitario” Sez. III, 29.10.2009, numero 5853/10, Ioanna, m. 246178 , e che, purché vi sia in concreto la detenzione in territorio italiano di tabacco lavorato estero nella quantità prevista per il quale non siano stati corrisposti i diritti di confine, a nulla rileva che la merce sia destinata ad un altro paese comunitario e non ne sia individuata la provenienza, quando non risulti osservata la normativa comunitaria Sez. III, 8.11.2000, numero 3552, Morganti, m. 217396 . Analogamente, il reato sussiste allorché il tabacco estero si trovi a bordo di una nave, sempre che questa sia entrata nelle acque territoriali dello Stato italiano Sez. III, 24.9.2008, numero 39175, Mandilas . È dunque pacifico che, per la integrazione dello specifico reato di cui all'articolo 291 bis d.p.r. 23 gennaio 1973, numero 43, il tabacco lavorato estero deve essere stato materialmente introdotto nel territorio italiano, anche se è poi irrilevante la durata di questa materiale presenza e la sua successiva destinazione in i un altro Stato. E difatti, il bene giuridico protetto dalla fattispecie delittuosa in esame è la potestà tributaria dello Stato italiano e, in concreto, l'interesse alla percezione dei diritti di confine. È quindi necessaria ed imprescindibile, per la configurazione di questo specifico illecito, l'introduzione in Italia di merce che non ha pagato i diritti di confine. Nell'ipotesi in cui siano state compiute in Italia attività meramente preparatorie ad una tipica condotta di contrabbando, quali l'acquisto all'estero, l'organizzazione del viaggio, l'allestimento del carico di copertura, e così via, tali attività potranno eventualmente configurare il tentativo del delitto di cui all'articolo 291 bis parificato al delitto consumato articolo 293 qualora siano idonee e dirette in modo non equivoco alla introduzione della merce nel territorio italiano. Occorre quindi che vi sia la prova certa che il tabacco lavorato estero sia effettivamente destinato ad entrare nel territorio dello Stato. Qualora invece il tabacco non sia destinato ad entrare, nemmeno in transito, nel territorio italiano o comunque non vi sia la prova inequivoca di siffatta destinazione, l'attività preparatoria non potrà configurare nemmeno il tentativo del reato in questione non essendo diretta alla commissione di uno dei fatti previsti e puniti dal l'articolo 291 bis . 4. Quanto al reato associativo di cui all'articolo 291 quater d.p.r. 23 gennaio 1973, numero 43 Associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri , va rilevato che, secondo la formulazione normativa della fattispecie, esso non punisce una associazione diretta a commettere genericamente delitti in materia doganale. La previsione incriminatrice è invero inequivoca e tassativa nell'incriminare una ipotesi associativa peculiare, strutturalmente concepita e finalizzata “allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall'articolo 291 bis”. Pertanto, la specifica associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri prevista dalla disposizione in esame sussiste esclusivamente nella misura in cui il sodalizio risulti preordinato non già a generiche attività di contrabbando, quanto, più precisamente, al compimento esclusivo di una delle attività di contrabbando tipiche indicate dall'articolo 291 bis introduzione, vendita, trasporto, acquisto o detenzione nel territorio dello Stato italiano di quantitativi di tabacco lavorato estero superiori a dieci chilogrammi convenzionali . Occorre di conseguenza che l'associazione sia finalizzata ad una condotta illecita da commettere necessariamente in Italia e che abbia quindi ad oggetto tabacco lavorato estero che sia già entrato o sia sicuramente destinato ad essere introdotto in Italia, e ciò in violazione degli interessi tributari dello Stato italiano alla riscossione dei diritti di confine. E difatti, poiché il delitto associativo in esame non richiede che una delle condotte tassativamente previste sia stata già compiuta ma solo che tre o più persone si associano allo scopo di commetterla, il reato sussiste ancorché il tabacco lavorato estero non sia ancora entrato in Italia, ma in tal caso occorre evidentemente che vi sia la prova certa che l'attività della associazione sia diretta alla introduzione del tabacco in Italia ovvero alla sua vendita, trasporto, acquisto o detenzione nel territorio dello Stato. Si tratta di una interpretazione della disposizione incriminatrice di cui all'articolo 291 quater che deriva direttamente dalla lettera della stessa disposizione e che comunque è imposta dal principio di tassatività e dal divieto di applicazione analogica in malam partem in materia penale. E, di conseguenza, anche in questo caso irrilevante di per sé che una parte dell'attività dell'associazione si svolga in Italia, come, ad esempio, nel caso che in Italia sia stato stipulato il patto associativo, o siano preparati o conclusi gli acquisti e le cessioni, organizzati i viaggi, reperiti i mezzi di trasporto, allestiti i carichi di copertura, e così via. Se questi comportamenti sono finalizzati al trasferimento di tabacco lavorato estero da uno Stato estero ad altro Stato estero senza entrare, nemmeno in transito, in Italia, costituiscono attività preparatorie dirette ad una condotta ed un evento che non integrano il delitto di cui all'articolo 191 bis e pertanto le medesime attività preparatorie non possono nemmeno integrare il reato associativo di cui all'articolo 191 quater . 5. È appena il caso di osservare che è del tutto irrilevante, sia in relazione al reato di contrabbando di tabacchi lavorati esteri sia a quello associativo di cui all'articolo 291 quater , che siano eventualmente contestate - come è avvenuto nel caso di specie - anche le fattispecie di cui agli articolo 3 e 4 della legge 16 marzo 2006, numero 146, relative ai reati transnazionali. Tali disposizioni, invero, non hanno introdotto nuove fattispecie di reato né hanno esteso l'ambito materiale di precedenti fattispecie previste da norme incriminatrici, ma hanno soltanto previsto una nuova aggravante a fatti che già integrano uno specifico reato, quando questo sia da qualificarsi come reato transnazionale. È quindi evidente che il ricorrere di una delle condizioni previste da dette disposizioni non rende punibili fatti che non erano già previsti come reato dalla legge penale italiana. 6. Venendo al caso di specie, al ricorrente è stato contestato di aver concorso nella commissione dei due specifici reati di contrabbando di tabacchi lavorati esteri di cui all'articolo 291 bis indicati ai capi B e C nonché del reato di cui all'articolo 291 quater indicato al capo A per avere promosso, costituito, diretto ed organizzato una associazione criminosa diretta a commettere una serie indeterminata di delitti di contrabbando di tabacchi lavorati esteri, fra i quali appunto i delitti di cui ai capi B e C . Sennonché, quanto ai due delitti di contrabbando contestati ai capi B e C , va subito rilevato che in ordine alla sussistenza dei gravi indizi circa la loro configurabilità, l'ordinanza impugnata è totalmente mancante di motivazione. Quanto al reato di cui al capo B , dallo stesso capo di imputazione, oltre che dal testo dell'ordinanza impugnata, emerge che in Italia si sarebbero svolte attività meramente prodromiche, perché qui sarebbe stato unicamente predisposto il camion con la merce di copertura e la falsa documentazione fiscale di accompagnamento, mentre il tabacco lavorato estero si trovava depositato a Barcellona, ivi è stato caricato sul camion che era poi diretto in Gran Bretagna, passando per la Francia. Il viaggio fu però subito interrotto dalla polizia spagnola che sequestrò il camion ed arrestò gli autisti. Non risulta invece che le sigarette siano transitate o dovessero transitare in Italia. Quanto al reato di cui al capo C , risulta allo stesso modo che il tabacco lavorato estero si trovava presso la fabbrica sita a omissis , fu poi trasportato dalla fabbrica ad un magazzino sito a omissis e da qui avrebbe dovuto poi essere trasferito in altro magazzino in Belgio per essere infine inviato nel Regno Unito ma anche in questo caso il viaggio fu interrotto dall'intervento della polizia di Lubiana. Anche per questo episodio non risulta che le sigarette siano transitate o dovessero transitare in Italia. Ora, essendo partito dall'erroneo presupposto che il delitto di cui all'articolo 291 bis d.p.r. 23 gennaio 1973, numero 43, sarebbe configurabile anche quando le sigarette estere siano soltanto trasportate da un paese estero ad un altro senza entrare in Italia e che quindi costituirebbe concorso in tale reato anche l'attività organizzativa e preparatoria svolta in Italia, il tribunale del riesame ha completamente omesso di esaminare e valutare la sussistenza dello elemento indispensabile per la integrazione del contestato reato di contrabbando di tabacchi lavorati esteri, e cioè se le sigarette estere erano state materialmente introdotte, sia pure in transito, in Italia o comunque se vi era la prova certa ed inequivoca - o, almeno, in questa fase cautelare, vi erano gravi indizi - che le stesse sarebbero sicuramente state introdotte o fatte transitare in Italia. Senza la presenza di tale elemento, invero, il contestato reato di contrabbando di tabacchi lavorati esteri non sussiste, non essendovi contrabbando se le sigarette non sono entrate in Italia, mentre è irrilevante che le condotte poste in essere dall'indagato siano eventualmente considerate come reato in altri Stati. Non si tratta perciò di difetto di giurisdizione, ma di insussistenza del fatto reato contestato. Tuttavia, poiché la mancanza di motivazione è dovuta ad un erroneo presupposto di diritto e poiché questa Corte non può esaminare gli atti per accertare, al di là della contestazione, se vi era la prova certa che le sigarette sarebbero dovute, nell'uno o nell'altro caso transitare in Italia, il Collegio ritiene che l'ordinanza impugnata debba essere annullata con rinvio affinché il tribunale del riesame compia questo indispensabile accertamento. 7. Analoghe considerazioni valgono in ordine al reato associativo di cui all'articolo 291 quater d.p.r. 23 gennaio 1973, numero 43. Sebbene nel poco chiaro capo di imputazione si parli genericamente della finalità di commettere una serie indeterminata di delitti di contrabbando di tabacchi lavorati esteri, poi però sia nello stesso capo di imputazione sia nella ordinanza impugnata in pratica si fa riferimento unicamente ai delitti di cui ai capi B e C , ossia a fatti che, nella ipotesi in cui manchi la prova certa che le sigarette in questione erano destinate ad essere introdotte o a transitare in Italia, non integrerebbero il contestato reato di contrabbando di tabacchi lavorati esteri, con la conseguenza che, ovviamente, non sarebbe nemmeno ravvisabile il reato di associazione per delinquere finalizzata al detto contrabbando. Per potersi configurare questo specifico reato, infatti, è necessario, come si è visto, che vi sia la prova certa che il sodalizio sia concretamente finalizzato alla commissione di condotte in materia di materia di traffico di tabacco lavorato estero che prevedano sicuramente l'introduzione o il transito materiale del tabacco in Italia. Ora, sia dal capo di imputazione sia dalla ordinanza impugnata tale circostanza non emerge, dal momento che da tali atti sembra ricavarsi unicamente la previsione e la prova di una attività finalizzata al traffico di sigarette da Stati esteri verso altri Stati esteri, e segnatamente verso la Gran Bretagna, mentre non sono prospettati elementi da cui ricavare la prova certa delle destinazione all'ingresso in Italia del tabacco oggetto dei futuri traffici. Anche in questo caso l'ordinanza impugnata, evidentemente a causa dell'errore di diritto da cui è partita, ha omesso di accertare la sussistenza di tale indispensabile elemento del reato contestato. È bene precisare che, poiché il fatto costituisce contrabbando soltanto quando le attività indicate sono commesse nel territorio dello Stato, non è sufficiente per integrare lo speciale delitto associativo la generica previsione - indicata nel capo di imputazione - del “fine di commettere una serie indeterminata di delitti in materia di contrabbando di tabacchi lavorati esteri” ma occorre che la finalità riguardi delitti di cui all'articolo 191 bis d.p.r. 23 gennaio 1973, numero 43, ossia una delle condotte ivi indicate commesse nel territorio dello Stato. Anche in questo caso il Collegio ritiene, per le stesse ragioni dianzi indicate, che l'ordinanza impugnata debba sul punto essere annullata con rinvio per un nuovo esame al fine di accertare la configurabilità del delitto in questione. 8. Sembra opportuno rilevare anche l'erroneità della decisione in tema di valutazione delle esigenze cautelari. Il D.P. ha superato i 70 anni e quindi la difesa aveva chiesto l'applicazione dell'articolo 275, comma 4, cod. proc. penumero , il quale prevede che in tale ipotesi la custodia cautelare in carcere non può essere disposta, salvo sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Il tribunale del riesame non ha valutato la sussistenza di tali eccezionali esigenze cautelari perché ha invece ritenuto applicabile il comma 3 del medesimo articolo, secondo cui è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, nell'ipotesi della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, tra gli altri, dei delitti di cui all'articolo 51, commi 3 bis e 3 quater cod. proc. penumero , e quindi anche del delitto di cui all'articolo 291 quater d.p.r. 23 gennaio 1973, numero 43. Secondo l'ordinanza impugnata, infatti, la norma del comma 3 sarebbe speciale e quindi prevalente rispetto a quella del comma 4. Questo immotivato assunto è chiaramente non condivisibile. Ed invero - a parte ogni considerazione sui non manifestamente infondati dubbi di illegittimità costituzionale di una norma che si basa unicamente sulla generica natura as-sociativa del reato cfr. da ultimo la sentenza della Corte costituzionale numero 231 del 2011 - è sufficiente ricordare che, secondo la costante e pacifica giurisprudenza di questa Corte, “La presunzione di cui al terzo comma dell'articolo 275 cod. proc. penumero , che impone l'applicazione della custodia in carcere quando sussistano gravi indizi in ordine a determinati reati e non risultano acquisiti elementi di esclusione delle esigenze cautelari, è opposta a quella fissata dal quarto comma dell'articolo citato, che esclude l'applicabilità della custodia in carcere nei confronti di chi ha superato l'età di settanta anni, a prescindere dalle condizioni di salute in cui versa, salvo la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. La seconda presunzione, in bonam partem , prevale sulla prima in malam partem . Da ciò deriva che per mantenere lo stato di custodia carceraria di un ultrasettantenne, il giudice deve valutare come eccezionali le esigenze cautelari, anche quando sussistano gravi indizi in ordine ai reati di cui al terzo comma dell'articolo citato, dando specifica e adeguata motivazione, e che, nell'assenza di siffatte eccezionale esigenze, ossia in presenza di esigenze cautelari tipiche o normali, è potere-dovere del giudice disporre misure coercitive meno afflittive della custodia in carcere” Sez. VI, 3.11.1999, numero 3506, Motisi, m. 214949 Sez. VI, 21.10.1999, numero 3415, Alvaro, m. 214970 Sez. V, 25.11.1994, numero 4955, Mastrodonato, m. 200624 conf., da ultimo, Sez. I, 27.11.2008, numero 1438/09, Froncillo, m. 242742 . E si è altresì condivisibilmente specificato che “I divieti di applicazione della custodia cautelare in carcere stabiliti dai commi quarto e quarto bis dell'articolo 275 cod.proc.penumero non sono basati su presunzioni che si contrappongano a quella di adeguatezza esclusiva della medesima misura nei casi previsti dal comma terzo dello stesso articolo ben potendo riscontrarsi o presumersi la pericolosità, dal punto di vista criminologico, anche di soggetti che si trovino in taluna delle condizioni che danno luogo ai suindicati divieti , ma trovano fondamento nel giudizio di valore operato dal legislatore nel senso che sulla esigenza processuale e sociale della coercizione intramuraria debba prevalere la tutela di altri interessi, considerati poziori in quanto correlati ai fondamentali diritti della persona umana sanciti dall'articolo 2 della Costituzione, dei quali costituisce speciale esplicazione il diritto alla salute” Sez. I, 16.1.2008, numero 5840, Conigliaro, m. 235655 . L'ordinanza impugnata deve quindi essere annullata anche per avere totalmente omesso di valutare, dandone adeguata motivazione, la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. 9. In conclusione, l'ordinanza impugnata deve essere annullata sotto entrambi i profili, con rinvio per nuovo esame al tribunale di Venezia, che si uniformerà ai principi di diritto dianzi enunciati. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Venezia per nuovo esame. La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell'istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito dall'articolo 94, co. 1 ter, disp. att. cod. proc. penumero .