L'amministratore di condominio è legittimato a porre in essere le azioni di accertamento e di tutela dei diritti condominiali per agire in giudizio non occorre uno specifico mandato da parte di tutti i condomini, potendo l'amministratore agire autonomamente ai sensi degli articoli 1130 e 1131 c.c. Ciò, ovviamente, quando siano in gioco questioni che rientrino nelle sue specifiche competenze istituzionali, diversamente occorre sempre il benestare preventivo o successivo, tramite ratifica dell'assemblea.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 20816/15, depositata il 15 ottobre. Il caso in esame. Un condomino, in occasione di alcuni lavori di ristrutturazione, “ingloba” nella proprietà privata alcuni spazi condominiali della soffitta in particolare, un corridoio, un bagno ed un balcone sollevando, per ovvi motivi, le ire degli altri comproprietari. Sta di fatto che il condominio perde la pazienza e l'amministratore cita in giudizio il condomino-occupante chiedendo la riduzione in pristino. Il giudice riconosce le ragioni del condominio condannando la controparte alla riconsegna dei beni condominiali. La sentenza viene impugnata e la causa finisce sui banchi della Cassazione. Il condomino-occupante tenta il tutto per tutto sollevando la questione relativa alla legittimazione dell'amministratore. In tale prospettiva, sostiene che il mandato conferito all'avvocato del condominio non sarebbe del tutto legittimo in quanto l'amministratore, che aveva conferito l'incarico al legale, sarebbe carente dei necessari poteri non avendo preventivamente ottenuto un incarico specifico da parte di tutti i condomini. Il nodo che la Cassazione è chiamata a sciogliere, quindi, riguarda la legittimazione dell'amministratore del condominio. L’amministratore può far valere ogni interesse condominiale. La Cassazione, ancora una volta viene chiamata ad esprimersi su una serie di eccezioni che riguardano, in primo luogo, la legittimazione dell'amministratore del condominio. Sul punto, la Seconda Sezione Civile riconosce la legittimazione attiva e passiva dell'amministratore di condominio che sarebbe legittimato a porre in essere le azioni dirette a far valere «ogni interesse condominiale». Tale tesi troverebbe il proprio fondamento legislativo sull'articolo 1131 c.c. e la propria motivazione nella necessità di non ostacolare e rendere inutilmente più gravosa la tutela degli interessi del condominio e, parallelamente, dei terzi. Detto in altre parole, si tratta di semplificare le procedure e di economia processuale è superfluo richiedere che la citazione venga notificata a tutti i condomini e, parallelamente, inutile chiedere all'assemblea di conferire specifici poteri all'amministratore per poter agire a tutela degli interessi condominiali. Altrettanto inutile ricordare che l'amministratore può agire autonomamente solo per la tutela degli interessi che rientrano nelle sue normali attribuzioni mentre, nel caso in cui la questione non rientri nel novero dei suoi “poteri istituzionali”, sarà sempre necessario il preventivo placet da parte dell'assemblea ovvero la ratifica in occasione della prima assemblea utile. I poteri dell'amministratore di condominio. Anche in epoca pre riforma si è discusso in varie occasioni sulla legittimazione processuale attiva e passiva dell'amministratore di condominio per la tutela dei beni comuni. Come sempre, sono state portate avanti tesi contrastanti anche se, in linea di massima, sembra prevalere il principio che riconosce la legittimazione ad agire dell'amministratore, almeno in via teorica. In pratica, peraltro, la situazione è ben diversa in quanto le norme, pur non vietando all'amministratore di agire per la tutela dei diritti condominiali, non ne legittimano chiaramente la posizione, con la conseguenza che è difficile ipotizzare che l'amministratore sia disposto a rischiare in proprio proponendo un'azione giudiziaria autonoma e correndo il rischio che l'assemblea, chiamata a deliberare, non voglia concedere il proprio placet . In via di fatto, quindi, ogni iniziativa da parte dell'amministratore viene preclusa. In pratica, dunque, l'amministratore, per risolvere la situazione, ed anche per evitare facili critiche, preso atto di una violazione, procede alla diffida e, contestualmente, convoca un'assemblea di condominio chiamando a raccolta i fedeli condomini per invitarli a prendere posizione. Il parere della giurisprudenza sui margini di manovra dell’amministratore. Occorre dare atto che la giurisprudenza, in varie occasioni, ha riconosciuto un certo margine di manovra all'amministratore. La Seconda Sezione Civile della Cassazione, con la sentenza numero 4871/14 , ha riconosciuto la legittimazione passiva dell'amministratore del condominio relativamente ad una controversia sull'esistenza e l'estensione della servitù prediale. Con la sentenza numero 12220/14 , a proposito di una domanda di demolizione, gli Ermellini hanno riconosciuto la legittimazione ad agire in giudizio dell'amministratore nell'ambito delle attribuzioni conferitegli ex articolo 1130 c.c. anche senza una specifica autorizzazione. Solo quando la causa eccede i limiti previsti da tale norma, l'amministratore ha l'onere di premunirsi con una specifica delibera assembleare ovvero, alla prima occasione utile, deve ottenere la ratifica da parte dell'assemblea. In tema di legittimazione passiva, Piazza Cavour ha chiarito sentenze numero 18331/10 e numero 2179/11 che l'amministratore, citato in giudizio per una questione che eccede le proprie competenze, se non riesce a convocare l'assemblea in tempo utile, può costituirsi in giudizio ed impugnare la sentenza sfavorevole al condominio senza preventiva autorizzazione dell'assemblea, salvo successiva ratifica da parte di quest'ultima. All'amministratore, in sostanza, spetta la tutela in via d’urgenza delle ragioni del condominio, fermo restando che la legittimazione a stare in giudizio richiede la successiva ratifica da parte dell'assemblea che può essere richiesta anche dallo stesso giudice, nel corso della prima udienza.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 13 maggio – 15 ottobre 2015, numero 20816 Presidente Mazzacane – Relatore Falaschi Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 21 giugno 2005 il CONDOMINIO di OMISSIS evocava, dinanzi al Tribunale di Torino, la condomina C.S.M.D. esponendo che con contratto del 21.12.2001 quest'ultima aveva acquistato dalla società semplice QUARTEDIL le soffitte poste al quarto piano dello stabile condominale, unitamente al collegato balcone, il w.c. ed il corridoio di disimpegno dei predetti locali, inglobando il tutto nel corso della ristrutturazione dell'intero piano, così impedendo l'accesso agli altri condomini, per cui essendo il detto corridoio di proprietà comune, ne chiedeva la riduzione in pristino stato. Instaurato il contraddittorio, la convenuta nel resistere, oltre a chiarire che per un locale di proprietà condominiale era in corso altro giudizio introdotto dalla Quartedil per sentirne dichiarare l'intervenuto acquisto per usucapione, chiedeva di chiamare in garanzia per evizione la società venditrice, istanza che per ragioni processuali veniva respinta, per cui la convenuta provvedeva ad instaurare un autonomo giudizio nei confronti della sua dante causa, la QUARTEDIL, nonché di T.F. e della società semplice EDILTA, proponendo solo nei confronti della prima domanda di risoluzione del contratto di vendita, con restituzione del prezzo, oltre al risarcimento dei danni, non proposte domande nei confronti degli altri convenuti. In quest'ultimo giudizio si costituivano tutti i convenuti. I giudizi venivano riuniti ed esperita istruttoria, il giudice adito dichiarava la proprietà in capo al Condominio del corridoio di disimpegno fra le soffitte, posto al quarto piano quinto fuori terra , nonché del balcone prospiciente via XXXXXX e dell'annesso w.c., emanando i conseguenti ordini di rilascio e di rimessione in pristino respingeva le domande proposte dalla S.C. nei confronti della QUARTEDIL per avere la società fornito la prova di avere acquisito per usucapione la proprietà del vano in contestazione e quindi doveva ritenersi validamente trasferito alla acquirente. In virtù di rituale appello interposto da S.A. e F. , in qualità di eredi di S.C.M.D. , la Corte di appello di Torino, nella resistenza della QUARTEDIL, del T. e della EDILTA, che proponevano appello incidentale sulle spese, nonché del CONDOMINIO, respingeva il gravame principale ed accoglieva quello incidentale, con conseguente riforma della decisione di prime cure sul punto delle spese processuali. A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava la sussistenza della legitimatio ad processum dell'amministratore ai sensi dell'articolo 1131, comma 1, c.c., essendo sufficiente la maggioranza qualificata per la tutela delle cose comuni a fine recuperatorio, non richiesto l'acquisto o l'estensione del dominio. Né - per le medesime ragioni - erano fondate le critiche degli appellanti alla validità della delibera e del verbale di assemblea dell'11.2.2005. Aggiungeva che non poteva trovare accoglimento neanche l'eccezione di giudicato, giacché la causa promossa dalla QUARTEDIL nei confronti del Condominio aveva ad oggetto l'accertamento dell'avvenuta usucapione in favore della società della camera posta all'angolo sud-ovest del piano soffitte e confinante, all'esterno, con corso OMISSIS e piazza della OMISSIS e dunque un bene affatto distinto dalle porzioni di piano in contestazione nel giudizio de quo . Quanto alla domanda di garanzia per evizione, osservava che nel nostro ordinamento l'istituto prevedeva alla base una vendita di cosa altrui, strutturalmente valida e perfetta, ma inefficace rispetto all'effetto traslativo del diritto. La garanzia - che poteva essere fatta valere sia con la chiamata in causa ex articolo 1485 c.c. sia con autonoma azione ex articolo 1479 c.c. - nell'ultima ipotesi poteva determinare la soccombenza dell'acquirente sia di fronte al terzo vittorioso in rivendica, sia di fronte al venditore che aveva provato l'esistenza di un fatto sopravvenuto estintivo del diritto del terzo. Ciò che era accaduto nella specie, per non avere l'appellante rispetto al Condominio attore dato la prova del suo diritto dominicale sulle porzioni in contestazioni, accertamento non investito dall'appello, non sollevata tempestivamente eccezione di usucapione unendo il suo attuale possesso con quello del suo dante causa, mentre nel giudizio promosso dall'acquirente nei confronti della venditrice, quest'ultima aveva dimostrato - attraverso prove testimoniali - di avere usucapito le porzioni immobiliari de quibus per mezzo della detenzione dei propri conduttori, per cui avendo trasmesso all'acquirente una cosa propria, difettava l'inadempimento della società venditrice e per l'effetto risultavano irrilevanti i mezzi istruttori richiesti dagli appellanti. Puntualizzava che si trattava di giudizi che pur nell'identità delle questioni trattate, configuravano ipotesi di litisconsorzio facoltativo, con la conseguenza che essendo scindibili restavano distinti, senza che ne derivassero interferenze reciproche. La sentenza veniva, infine, parzialmente riformata in punto spese con applicazione del principio della soccombenza per il secondo giudizio e in entrambi i gradi. Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Torino hanno proposto ricorso per cassazione i S. , sulla base di sette motivi, al quale ha resistito il Condominio, non svolte difese in sede di legittimità dagli altri intimati. Il Condominio ha anche depositato memoria illustrativa in prossimità della pubblica udienza. Motivi della decisione Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1131 c.c. con conseguente nullità della sentenza, per essere stata pronunciata in situazione di carenza dei poteri di rappresentanza dei condomini in capo all'amministratore del Condominio ex articolo 77 c.p.c., da cui discenderebbe la nullità della procura conferita al difensore. In altri termini, la corte di merito avrebbe riconosciuto la legittimazione ad agire dell'Amministratore nonostante lo stesso avesse vantato pretese concernenti l'affermazione di diritti di proprietà, anche se avente ad oggetto beni comuni, per cui necessitava del mandato conferito da ciascuno dei condomini, non essendo sufficiente al riguardo il meccanismo deliberativo dell'assemblea condominiale, che vale ad attribuire la mera legittimazione processuale ex articolo 77 c.p.c., la quale presuppone comunque quella sostanziale. In sintesi, in assenza del potere rappresentativo in capo all'amministratore in relazione all'azione di rivendica esercitata, non vi sarebbe stata costituzione del rapporto processuale per difetto delle legittimazione processuale, inscindibilmente connessa al potere rappresentativo sostanziale mancante, che comportava la nullità della procura alle liti, di tutti gli atti compiuti e della sentenza impugnata. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell'articolo 77 c.p.c., nonché degli articolo 1704, 1392 e 1350 c.c., giacché seppure la conclusione della validità della delibera assembleare è coerente con quanto ritenuto dalla corte di appello, non sarebbe più condivisibile in ipotesi di accoglimento del primo mezzo laddove la forma scritta per conferire il mandato potrebbe essere integrata unicamente dalla sottoscrizione di tutti i mandanti. Con il terzo mezzo i ricorrenti deducono il vizio di omessa e/o insufficiente motivazione non avendo i giudici del merito considerato che comunque la delibera assembleare non risultava assunta all'unanimità - non essendo totalitaria l'assemblea - per essere stato il nome di un condomino aggiunto solo successivamente alla verbalizzazione. Il documento che comprovava detta circostanza era stato contraddistinto con il numero 14. I primi tre motivi di ricorso - da trattare unitariamente in quanto involgono la medesima questione della legittimazione dell'Amministratore a stare in giudizio - sono infondati. La tesi che con le tre censure viene complessivamente prospettata è priva di pregio. La questione posta con l'azione giudiziaria intrapresa dall'amministratore concerneva la occupazione in via esclusiva di spazi posti nel sottotetto da parte dei condomini convenuti, perché interessava beni condominiali. Occorre, allora, aver riguardo al combinato disposto degli articolo 1130 e 1131 c.c. La prima norma, al punto 4 - che viene in rilievo con il ricorso - fa obbligo all'amministratore di compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio . Nei limiti di questa attribuzione, l'amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi. Secondo l'interpretazione di questa Corte, il legislatore ha inteso riferirsi ai soli atti materiali riparazioni di muri portanti, di tetti e lastrici e giudiziali azioni contro comportamenti illeciti posti in essere da terzi necessari per la salvaguardia dell'integrità dell'immobile cfr Cass. numero 8233 del 2007 , cioè ad atti meramente conservativi. Resta esclusa la possibilità di esperimento di azioni reali contro i singoli condomini o contro terzi dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità o al contenuto di diritti su cose e parti dell'edificio Cass. numero 3044 del 2009 e Cass. numero 5147 del 2003 . Orbene, dalla sentenza impugnata emerge che nel caso di specie la domanda riguardava i lavori di ristrutturazione del piano soffitte eseguiti dalla C.S. , la quale nell'eseguire le opere aveva inglobato nella sua proprietà esclusiva il balcone, il w.c. ed il corridoio di disimpegno limitrofi ai propri locali, condotta che aveva comportato l'asserito impossessamento da parte della stessa di un'area condominiale. Il ricorso spiega che la pretesa concerne l'affermazione di diritti di proprietà, anche se comuni, per cui non si porrebbe una questione di semplice conservazione di diritti condominiali. Il controricorso nega, invece, che vi sia questione di ampliamento dei diritti dei condomini, ma semplicemente la difesa di una preesistente proprietà condominiale. Se così è, il giudice di merito non è incorso nel denunciato vizio di falsa applicazione di legge, avendo fatto corretta applicazione dell'articolo 1130, numero 4. Il Condominio ha, infatti, agito per difendere il mantenimento della disponibilità materiale di parte dell'area sottotetto, inglobata nella proprietà esclusiva dalla C.S. , con i lavori di ristrutturazione delle soffitte, dalla stessa acquistate dalla Quartedil. Per proporre tale azione, da definirsi quindi di accertamento dei diritti dominicali, non era necessario il mandato di tutti i condomini, potendo l'amministratore agire ex articolo 1130 c.c., numero 4, e articolo 1131 c.c. v. Cass. Sez. Unite numero 18331 del 2011 e più di recente, Cass. numero 28141 del 2013 . Qui, peraltro, occorre chiarire che il problema dell'integrità del contraddittorio non si pone neanche sotto altro profilo nelle difese della convenuta non si rinviene alcuna domanda in via riconvenzionale volta all'accertamento della proprietà esclusiva del sottotetto. Ed invero, se non si dubita che, dal lato attivo, non occorre la partecipazione di tutti i condomini nei giudizi promossi a tutela dell'utilizzazione e del godimento dei beni comuni articolo 1130 c.c., numero 4 , non diversamente deve ritenersi per quanto concerne la legittimazione passiva dell'amministratore, che è prevista dall'articolo 1131 c.c., comma 2, con specifica disposizione dettata in materia di condominio. Peraltro, tale legittimazione ha portata generale in quanto estesa a ogni interesse condominiale, essendo la ratio della norma diretta a evitare il gravoso onere a carico del terzo o del condomino, che intenda agire nei confronti del condominio, di evocare in giudizio tutti i condomini naturalmente, per le cause aventi a oggetto materie che eccedono le attribuzioni dell'amministratore, ai sensi del citato articolo 1131 c.c., comma 3, il potere di rappresentanza in giudizio dell'amministratore è subordinato alla autorizzazione a resistere o anche alla ratifica da parte dell'assemblea, alla quale l'amministratore è tenuto senza indugio a riferire Cass. Sez. U. numero 18331 del 2010 cit. Cass. numero 22294 del 2004 . Tale conclusione non è in contrasto con la recente decisione delle Sezioni Unite della Cassazione sent. numero 25454 del 2013 secondo cui, qualora un condomino agisca per l'accertamento della natura condominiale di un bene, non occorre integrare il contraddittorio nei riguardi degli altri condomini, se il convenuto eccepisca la proprietà esclusiva, senza formulare, tuttavia, un'apposita domanda riconvenzionale e, quindi, senza mettere in discussione - con finalità di ampliare il tema del decidere ed ottenere una pronuncia avente efficacia di giudicato - la comproprietà degli altri soggetti. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1485 c.c. per avere i giudici di merito mandato assolto la venditrice alla luce della seconda parte dell'articolo 1485, comma 1, c.c., senza considerare anche l'ipotesi in cui il diritto del terzo sia stato riconosciuto con sentenza passata in giudicato e nonostante detto punto avesse formato oggetto del secondo motivo di appello nei confronti della venditrice. In altri termini, la corte di appello ha ignorato del tutto che non vi era una sentenza passata in giudicato che riconoscesse i diritti del terzo, per cui non sussistevano i presupposti per l'applicazione della norma in questione. Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano ancora la violazione dell'articolo 1485 c.c. per erronea interpretazione della disposizione, in quanto pur avendo i giudici di merito accertato un risalente possesso, sin dal 1984, ad usucapionem della porzione immobiliare de qua da parte della venditrice, non avevano tenuto conto della circostanza. In particolare, per avere la corte di merito disatteso dette considerazioni limitandosi a definirle “oscure e contraddittorie”. Peraltro l'usucapione, quale acquisto a titolo originario, sarebbe maturata successivamente alla traditio da parte della dante causa, per cui al momento della conclusione del contratto non poteva certo avere trasferito all'acquirente la proprietà di detti beni, ma il solo possesso. In altri termini, ad avviso dei ricorrenti non sussisteva l'esimente di cui all'articolo 1485 c.c. in favore dell'alienante, questione mai affrontata dai giudici di merito. Né a tale fine poteva essere eccepito dall'acquirente nei confronti del terzo Condominio l'intervenuta usucapione, non concretando la mancata formulazione della stessa l'ipotesi di cui all'articolo 1485 c.c., per cui non era venuta meno l'obbligazione di garanzia. Con il sesto motivo i ricorrenti denunciano il vizio di omessa e/o contraddittoria motivazione ovvero il vizio di extrapetizione per avere la corte di merito ritenuto ai fini della prova del mancato inadempimento della venditrice, accertato l'intervenuta usucapione già al momento della compravendita de qua, mentre in altro passo della decisione sottolinea che sarebbe stata necessario sollevare tempestivamente l'eccezione di usucapione da parte dell'acquirente, unendo il suo possesso a quello del suo dante causa, per paralizzare la pretesa del Condominio. Neppure detti motivi, da esaminare congiuntamente perché tra loro connessi, trattando questioni interdipendenti, possono trovare accoglimento. Va osservato che la lettura della normativa di cui agli articolo 1485 c.c. proposta dai ricorrenti non è corretta, giacché riferendosi la norma al compratore convenuto nel caso in esame, l'acquirente convenuta era C.S.M.D. da un terzo che pretende di avere diritti sulla cosa venduta il Condominio , ha inteso attribuire al solo compratore convenuto il diritto di chiamare in giudizio il venditore dal quale pretende di essere garantito, ma non ha legittimato, ne tanto meno obbligato, chi propone l'azione di rivendica del diritto di proprietà ovvero l'azione di accertamento di usucapione a chiamare in giudizio il precedente venditore. In altri termini, la norma dell'articolo 1485 c.c. si limita ad onerare il compratore di chiamare in causa il venditore, chiamata in causa che nella specie non è avvenuta per ragioni processuali, ma a cui si è posto rimedio con la introduzione di un nuovo e diverso giudizio, poi riunito a quello pendente, i quali vengono a trovarsi - tra loro - per tutta la durata del giudizio in una situazione di litisconsorzio necessario per ragioni di solo ordine processuale a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale dedotto in giudizio , con la conseguenza che nelle successive fasi di gravame, ove questo non sia stato proposto nei confronti di tutte le parti, va ordinata d'ufficio, a pena di nullità, l'integrazione del contraddicono nei confronti di ciascuno di essi Cass. 19 novembre 2008 numero 27437 17 settembre 2008, numero 23765 17 ottobre 2007, numero 21832 28 ottobre 2004, numero 20874 28 novembre 2003, numero 18264 6 ottobre 1998, numero 9903 26 settembre 1996, numero 8492 . Il provvedimento di riunione, tuttavia, non determina la inscindibilità sostanziale delle domande proposte, che sotto il profilo della pronuncia e sua efficacia rimangono scindibili. L'ipotesi di inscindibilità, infatti, si verifica quando la necessità del litisconsorzio è espressamente prevista dalla legge o è dovuta al fatto che la sentenza, influendo su una situazione giuridica unica, sarebbe inutiliter data, qualora non fosse pronunziata nei confronti di tutti i soggetti interessati alla decisione ricorre, invece, l'ipotesi di dipendenza allorché la decisione di una controversia si estende necessariamente all'altra, costituendone il presupposto logico e giuridico imprescindibile, per il carattere di pregiudizialità o alternatività che le questioni oggetto dell'una hanno rispetto alle questioni trattate nell'altra. Entrambe queste situazioni sono palesemente estranee al caso in esame, perché le confliggenti istanze con cui il Condominio e la condomina, da una parte, e quest'ultima e la sua dante causa, dall'altra, hanno fatto valere contrapposte ragioni aventi titolo in vincoli di diversa natura, attengono non già a un rapporto unico e indivisibile, tale cioè che il giudice adito non potesse utilmente conoscerne se non nei confronti di tutti i suoi titolari, bensì a distinti e reciprocamente autonomi rapporti, ciascuno dei quali può avere una sorte processuale diversa da quella dell'altro. L'unica peculiarità risiede nel fatto che le contrapposte domande, potenzialmente suscettibili di dar luogo a separati procedimenti, sono state trattate congiuntamente in quanto tutte proponevano questioni attinenti al medesimo bene, il che da luogo propriamente a una situazione di litisconsorzio facoltativo improprio v. articolo 103, 274 c.p.c. , nel quale, pur nella predetta connessione e/o complementarietà di questioni, permane autonomia dei rispettivi titoli, dei rapporti giuridici e delle singole causae petendi con la duplice conseguenza che le cause, per loro natura scindibili come confermato dalle sopra citate norme, che espressamente prevedono la possibilità della separazione , restano distinte, con una propria individualità in relazione ai rispettivi legittimi contraddittori, e che la sentenza con cui vengono definite - sebbene formalmente unica - consta in realtà di tante pronunce quante sono le cause riunite. Queste ultime conservano la loro autonomia anche in sede di impugnazione, sicché le pronunce non impugnate o altrimenti risolte sotto il profilo processuale non possono produrre effetti preclusivi e limitativi sul giudizio in corso cfr., e plurimis, Cass. 6 luglio 2001 numero 9210 Cass. 7 aprile 2001 numero 5215 Cass. 19 luglio 2000 numero 9497 Cass. 22 dicembre 1999 numero 14436 Cass. 16 luglio 1999 numero 7517 Cass. 5 agosto 1996 numero 7119 Cass. 9 febbraio 1995 numero 1466, tra molte . Precisato ciò, il principio affermato della Corte di Appello è conforme ai principi affermati da questa Corte, secondo i quali, la parte che ha esercitato azione di garanzia per essere tenuta indenne dalle conseguenze eventualmente negative alle quali sia esposta a causa di rivendica esercitata nei suoi confronti, non può limitarsi a fare valere il suo diritto di garanzia, proponendo solo domanda nei confronti del chiamato, ma in coerenza con il carattere scindibile della causa principale e di quella di garanzia deve necessariamente proporre difese che comportino l'accoglimento, anche nei suoi confronti, delle eccezioni ovvero domande spiegate dal suo dante causa, giacché con la domanda di garanzia ella mira alla conservazione del bene nella propria sfera e tende, anche in appello, alla riforma della pronuncia che oltre ad investire il capo relativo alla domanda di garanzia, attenga anche alla domanda principale di rivendica, dovendo dare la prova del suo diritto dominicale sulle porzioni in contestazione, per cui avrebbe dovuto formare oggetto di impugnazione anche detta statuizione Cass. 23 settembre 2004 numero 19145 Cass. 1 luglio 2004 numero 12005 Cass. 10 marzo 2006 numero 5249 Cass. 17 giugno 2013 numero 15107 . Premesso che dalla sentenza risulta - diversamente da quanto asserito dai ricorrenti - che l'usucapione dei locali de quibus era maturata già prima dell'acquisto degli stessi da parte della C.S. , come provato dalle prove testimoniali assunte, secondo la Corte torinese è evidente che non può sussistere garanzia per evizione, in difetto di una domanda o eccezione riconvenzionale di usucapione da parte della originaria convenuta, che avrebbe spostato l'oggetto dell'indagine del giudice del merito dall'accertamento della titolarità del diritto di proprietà in capo all'attore, a quello dell'avvenuto maturarsi della prescrizione acquisitiva a favore della convenuta, accertamento, questo precluso per non avere la C.S. sollevato tempestivamente eccezione di usucapione, oltre a non avere formato oggetto di impugnazione. Alle considerazione di cui sopra cadono, palesando la loro inconsistenza, i rilievi critici svolti con i motivi in esame. Con il settimo ed ultimo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell'articolo 91 c.p.c. per avere posto a loro carico anche le spese del T. e della società semplice EDILTA, pur non essendo state svolte nei loro confronti domande. Anche quest'ultimo motivo è infondato. Va rilevato, infatti, come la giurisprudenza di legittimità sia consolidata nel ritenere che - attesa la lata accezione con cui il termine soccombenza è assunto nell'articolo 91 c.p.c. - il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell'attore, ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall'attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l'attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda, mentre il rimborso rimane a carico della parte che abbia chiamato o abbia fatto chiamare in causa il terzo qualora l'iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria tra le altre Cass. 14 maggio 2012 numero 7431, ovvero Cass. 10 giugno 2005, numero 12301, che ricollegano la condanna del chiamante al presupposto dell'arbitrarietà della chiamata, rinvenibile di certo nel caso di manifesta infondatezza della stessa . Ciò vale a maggiore ragione nell'ipotesi, come quella di specie, di espressa esclusione di qualsiasi domanda nei confronti del T. e della società semplice Edilta fin dal primo grado in termini v. Cass. 10 dicembre 2014 numero 26060 . Conclusivamente il ricorso va rigettato e le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie ed accessori come per legge.