Deve ritenersi provata la sussistenza degli elementi soggettivo e oggettivo del delitto di maltrattamenti in famiglia in presenza della reiterazione di comportamenti sintomatici di un atteggiamento prevaricatorio, autoritario, irascibile, talora violento e privo di autocontrollo dell’imputato che abbia, durante tutto il periodo della convivenza matrimoniale, consapevolmente procurato alla moglie sofferenze fisiche e morali tali da rendere intollerabile la prosecuzione del rapporto, mortificandone la sua dignità di donna e di moglie.
Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 23238 dell’1 giugno 2016. La norma . L’articolo 572, comma 1, c.p. punisce, tra le altre condotte, quella di chi maltratta una persona della famiglia o comunque convivente . La pena prevista è, altresì, aumentata ove dal fatto derivi una lesione grave o gravissima o addirittura la morte. La disposizione in questione ha subito, più o meno recentemente, una modifica normativa tramite l'articolo 4, L. 1 ottobre 2012, numero 172 che, da un lato, ha inasprito le pene già previste in precedenza, aumentando da due a sei anni la fattispecie base e arrivando fino a ventiquattro anni per quelle aggravate e, dall’altro, ha modificato, compatibilmente con la linea riformatrice del nostro legislatore, la stessa rubrica da Maltrattamenti in famiglia e verso i fanciulli a Maltrattamenti contro familiari e conviventi , inserendo tale ultima categoria tra i possibili soggetti passivi del reato, prima, invece, esclusa. Ebbene, sul punto, i giudici di legittimità hanno evidenziato, in altri contesti, come l'estensione della tutela nei confronti di persone comunque conviventi, in una prospettiva orientata , per un verso, valorizza l'incidenza della relazione intersoggettiva nell'ambito di operatività della fattispecie , e, per altro verso, allarga anche ad un rapporto di mera convivenza - non necessariamente qualificato dalla particolare natura del legame che ha portato alla sua instaurazione - la rilevanza del rapporto familiare, ferme restando le altre relazioni di tipo non propriamente familiare, la cui elencazione è rimasta immutata così, Cass. 3 luglio 2013, numero 28603 . La condotta . L’elemento oggettivo del reato, come peraltro ricordato dalla sentenza in commento, consiste in una condotta abituale che si estrinseca con più atti che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, collegati da un nesso di abitualità e avvinti nel loro svolgimento da un’unica intenzione criminosa di ledere l’integrità fisica o morale del soggetto passivo infliggendogli abitualmente tali sofferenze. Trattasi di reato necessariamente abituale. Infatti, ai fini della sussistenza del delitto de quo non possono essere presi in considerazione singoli e sporadici episodi di percosse o lesioni , dato che tale fattispecie si caratterizza per la presenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali, isolatamente considerati, potrebbero anche essere non punibili atti di infedeltà, di umiliazione generica ecc , ma che acquistano rilevanza penale per la loro reiterazione nel tempo. Tali fatti, dunque, devono essere una componente della condotta che si caratterizza per la sua unitarietà e idoneità ad imporre un regime oggettivamente vessatorio, mortificante ed insostenibile alla vittima. L’elemento psicologico . Anche il dolo di tale delitto ha carattere unitario, conformemente alla condotta. Infatti, esso funge da elemento unificatore della pluralità di atti lesivi della personalità della vittima e si concretizza nell’inclinazione della volontà ad una condotta oppressiva e prevaricatoria che, nella reiterazione dei maltrattamenti, si va via via realizzando e confermando . Ai fini dell’integrazione del reato in questione, è necessaria la coscienza e la volontà dell’agente di sottoporre i soggetti passivi ad una serie di sofferenze fisiche o morali in modo continuativo ed abituale. Si ritiene, dunque, sufficiente, il dolo generico così, Cass. 18 marzo 2008, numero 27048 . In altre parole, come afferma la Corte, il colpevole accetta di compiere le singole sopraffazioni con la consapevolezza di persistere in un’attività illecita, posta in essere già altre volte.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 6 aprile – 1 giugno 2016, numero 23238 Presidente Ippolito – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 5 ottobre 2015 la Corte d'appello di Napoli, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Noia, ha ridotto ad anni uno e mesi quattro di reclusione la pena inflitta a G.C. per il reato di maltrattamenti in famiglia, commesso in Cercola sino al 4 settembre 2013 in danno della moglie L.B., confermando nel resto la sentenza di primo grado e condannandolo alla rifusione delle spese di parte civile. 2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, che ha dedotto quattro motivi di doglianza. 2.1. Con il primo motivo si deducono vizi della motivazione in ordine alla ricostruzione storica e cronologica della vicenda operata dalla difesa in appello la coppia, infatti, dopo due litigi risalenti al 1975 ed al 1977, per circa ventotto anni aveva avuto, salvo un ulteriore episodio verificatosi nel 2005-2006, una vita matrimoniale tranquilla sino ai fatti di cui alla denunzia del 2013. Non è stato ricostruito, in particolare, il contesto in cui le condotte riferite dalla parte civile si sarebbero verificate, né sono stati esaminati i motivi d'appello proposti riguardo alle testimonianze dei figli, che avallavano, al più, la ricostruzione di due episodi specifici, verificatisi durante la vita matrimoniale. I contenuti delle diverse testimonianze indicate dalla difesa, senza che siano stati smentiti in motivazione, ponevano in rilievo, del resto, la presenza di litigi all'interno di una coppia in crisi, ma comunque unita, con sporadici episodi legati sempre a presunti tradimenti e comportamenti aggressivi da parte del C 2.2. Con il secondo motivo si deduce la erronea applicazione dell'articolo 572 cod. penumero , in relazione alla ipotizzata ripetitività dei singoli episodi, per non avere la Corte d'appello argomentato riguardo alla ricostruzione del fatto tipico, e in particolare all'abitualità delle sofferenze e mortificazioni inflitte alla parte civile, sostanzialmente rinviando alla decisione di primo grado. In tal senso si sottolinea che i tre episodi di cui può ragionevolmente aversi traccia erano comunque collegati alla scoperta di presunti tradimenti. 2.3. Con il terzo motivo si deduce, inoltre, la erronea applicazione dell'articolo 42 cod. penumero , per non avere la Corte d'appello motivato circa la volontà del C. di imporre per anni un regime di vita mortificante e vessatorio, collegando tutti gli atti da lui realizzati nel tempo. 2.4. Con il quarto motivo, infine, si deducono violazioni di legge e vizi della motivazione con riferimento agli articolo 163 e 164 cod. penumero , per non avere la Corte d'appello motivato sulle ragioni del diniego dell'invocato beneficio, limitandosi a condividere per relationem il contenuto della decisione di primo grado, senza effettuare alcuna valutazione attuale della prognosi in tal senso richiesta al giudice. Considerato in diritto 1. Il ricorso è parzialmente fondato e deve pertanto accogliersi nei limiti e per gli effetti di seguito esposti e precisati. 2. Infondate, sin quasi a lambire la soglia della inammissibilità, devono ritenersi le prime tre censure difensive, poiché sostanzialmente orientate a sollecitare, sul duplice presupposto di una rilettura fattuale delle risultanze processuali e di una valutazione meramente alternativa delle fonti di prova, l'esercizio di uno scrutinio improponibile in questa Sede, a fronte della linearità e della logica conseguenzialità che caratterizzano i passaggi motivazionali della decisione impugnata. In relazione ai su illustrati profili di doglianza v., in narrativa, i parr. dal 2.1. al 2.3. , il ricorso non è volto a rilevare mancanze argomentative ed illogicità ictu oculi percepibili, sì da scardinare la tenuta logica e l'intima coerenza strutturale del discorso argomentativo delineato nella motivazione, bensì ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dalla Corte d'appello, che ha esaustivamente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento del correlativo tema d'accusa, confermando la rigorosa e penetrante analisi critica già svolta dal primo Giudice. Sulla base di emergenze probatorie analiticamente e globalmente valutate, le conformi decisioni di merito hanno ritenuto accertati una serie di comportamenti tenuti dall'imputato durante la convivenza matrimoniale, concretatisi nel ripetuto uso di epiteti offensivi della dignità personale, nel ricorso al turpiloquio ed alla bestemmia indirizzata anche alla defunta madre della moglie , nel danneggiamento di suppellettili, nel lancio di oggetti contundenti e taglienti, nell'aggressione fisica con schiaffi, spinte e pugni, nell'intrattenere numerose relazioni extraconiugali reagendo peraltro con violenza nei confronti della moglie, che lo richiamava ad una maggiore attenzione verso i doveri familiari e ad una più consapevole responsabilità , ed infine nel fare ricorso a minacce di morte, talora prospettate con riferimento all'impiego di un'arma da lui detenuta nell'abitazione. Un approfondito vaglio di attendibilità è stato dai Giudici di merito operato sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa, motivatamente ritenute credibili - anche sulle ragioni della scelta di non denunziare il marito, da lei tenuta ferma per molti anni al fine di tutelarne il buon nome e di preservare l'unità familiare - ed oggettivamente riscontrate, per gran parte degli episodi riferiti, dal sequestro della pistola e delle relative munizioni, dalle deposizioni dei figli, oltre che da quelle di alcuni testimoni che più da vicino avevano avuto modo di frequentare nel tempo la coppia. Al riguardo, inoltre, le decisioni di merito hanno posto in rilievo il fatto che le su indicate condotte, cumulandosi ovvero alternandosi fra loro, non hanno avuto un carattere sporadico ed isolato, né sono apparse concentrate in occasione di particolari momenti di crisi della convivenza, ma si sono sistematicamente protratte nell'intero corso della vita coniugale, dispiegandosi dai periodi immediatamente successivi al matrimonio e dalla prima gravidanza della persona offesa, fino all'epoca in cui i figli erano ancora minorenni, per arrivare ai gravi episodi di minaccia e violenza puntualmente descritti nella motivazione, e costituenti l'oggetto della denuncia da lei presentata nel 2013, da cui è scaturito il presente processo. 3. Secondo il costante insegnamento giurisprudenziale di questa Suprema Corte Sez. 1, numero 8618 del 12/02/1996, Adamo, Rv. 205754 , ai fini della configurabilità del reato di cui all'articolo 572 cod. penumero , la materialità dei fatto deve consistere in una condotta abituale che si estrinsechi con più atti che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un'unica intenzione criminosa di ledere l'integrità fisica o morale del soggetto passivo infliggendogli abitualmente tali sofferenze. Per ritenere raggiunta la prova dell'elemento materiale di tale reato, inoltre, non possono essere presi in considerazione singoli e sporadici episodi di percosse o lesioni, poiché trattasi di una ipotesi di reato necessariamente abituale, che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali, isolatamente considerati, potrebbero anche essere non punibili atti di infedeltà, di umiliazione generica, etc. , ovvero non perseguibili ingiurie, percosse o minacce lievi, procedibili solo a querela , ma acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo. Deve pertanto escludersi, entro tale prospettiva ermeneutica, che la compromissione dei bene giuridico protetto si verifichi in presenza di semplici fatti che ledono ovvero mettono in pericolo l'incolumità personale, la libertà o l'onore di una persona della famiglia, essendo necessario, per la configurabilità del reato, che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante ed insostenibile Sez. 6, numero 37019 del 27/05/2003, Caruso, Rv. 226794 Sez. 6, numero 7192 del 04/12/2003, dep. 2004, Camiscia, Rv. 228461 Sez. 6, numero 3570 dei 01/02/1999, Valente, Rv. 213516 . Occorre, in definitiva, che una serie di atti lesivi di diritti fondamentali della persona siano inquadrabili all'interno di una cornice unitaria caratterizzata dall'imposizione al soggetto passivo di un regime di vita oggettivamente vessatorio ed umiliante Sez. 6, numero 45037 del 02/12/2010, Dibra, Rv. 249036 . In tal senso si spiega, infatti, il carattere unitario del dolo nel delitto di maltrattamenti in famiglia Sez. 6, numero 6541 del 11/12/2003, dep. 2004, Bonsignore, Rv. 228276 Sez. 6, numero 25183 del 19/06/2012, R., Rv. 253042 , poichè esso funge da elemento unificatore della pluralità di atti lesivi della personalità della vittima e si concretizza nell'inclinazione della volontà ad una condotta oppressiva e prevaricatoria che, nella reiterazione dei maltrattamenti, si va via via realizzando e confermando, in modo che il colpevole accetta di compiere le singole sopraffazioni con la consapevolezza di persistere in una attività illecita, posta in essere già altre volte. A tale quadro di principii si è fedelmente attenuta la decisione impugnata, la cui motivazione, dopo aver puntualmente ripercorso ed esaminato i su indicati profili storico-fattuali della condotta delittuosa oggetto dei tema d'accusa, ne ha individuato gli elementi costitutivi, di tipo oggettivo e soggettivo, ponendo in evidenza la reiterazione di una serie di comportamenti sintomatici di un atteggiamento prevaricatorio, autoritario, irascibile, talora violento e privo di autocontrollo, il cui complessivo apprezzamento ha coerentemente indotto i Giudici di merito a concludere nel senso di ritenere provato che l'imputato ha consapevolmente procurato alla moglie, durante l'intero periodo della convivenza matrimoniale, sofferenze fisiche e morali tali da rendere intollerabile la prosecuzione del rapporto, mortificandone la sua dignità di donna e di moglie. 4. Fondato, di contro, deve ritenersi l'ultimo motivo di ricorso, poiché le ragioni del diniego dell'invocato beneficio della sospensione condizionale sono state illogicamente motivate attraverso il mero rinvio alla decisione sul punto espressa dal primo Giudice - che aveva fatto riferimento alla condotta tenuta dall'imputato nel solo periodo di applicazione della misura cautelare dei divieto di avvicinamento all'abitazione ed al luogo di lavoro della persona offesa - senza considerare, tuttavia, l'attualità dei suo comportamento ai fini della formulazione di un più ampio e completo giudizio prognostico sul pericolo di reiterazione. A tal fine rileva, infatti, non solo il riferimento al dato obiettivo della gravità del reato, dovendosi altresì indicare gli elementi di valutazione che fondano in concreto, ai sensi dell'articolo 133 cod. penumero , un giudizio prognostico ostativo al beneficio richiesto nonostante l'incensuratezza dell'imputato, che costituisce un elemento di indubbia valenza positiva ed esige, nell'ambito della fattispecie sottoposta al vaglio giudiziale in tutti i suoi profili soggettivi ed oggettivi, l'individuazione di uno o più elementi di segno contrario idonei a neutralizzarlo Sez. 4, numero 2773 del 27/11/2012, dep. 2013, Colò, Rv. 254969 . 5. S'impone, dunque, limitatamente al profilo ora evidenziato, l'annullamento con rinvio dell'impugnata sentenza, per un nuovo giudizio che dovrà colmare la su indicata lacuna della motivazione, uniformandosi al quadro dei principii di diritto in questa Sede stabiliti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla sospensione condizionale della pena e rinvia ad altra Sezione della Corte d'appello di Napoli per nuovo giudizio sul punto. Rigetta nel resto il ricorso.