L’avvocato concede un’intervista, ma attenzione alla pubblicità occulta

Intervista rilasciata da una avvocato, ma in realtà si tratta di una pubblicità allo studio. Anche se è stato abrogato il divieto per i legali, non è esclusa la sanzione disciplinare in caso di pubblicità occulta.

Lo hanno affermato le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza numero 10304/2013, depositata lo scorso 3 maggio. La fattispecie. «Tra Germania e Italia accompagnando clienti nella costituzione di joint venture e partnership all’estero». Questo il titolo di un articolo pubblicato su un periodico mensile allegato ad un quotidiano nazionale . Dei riferimenti alle problematiche connesse ai rapporti commerciali e societari, però, neanche l’ombra. Totalmente messa in luce, invece, l’attività professionale dell’avvocato che ha rilasciato l’intervista struttura dello studio, competenze e tutte le attività dello studio professionale, con numerose fotografie a corredo. Di conseguenza, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Brescia, ritenendo che l’intervista violasse le norme deontologiche in materia di pubblicità e informazione dell’attività professionale e che i chiarimenti forniti dall’avvocato non fossero sufficienti, applicava la sanzione dell’avvertimento. La professionista, dopo la conferma della sanzione da parte del CNF, presenta così ricorso per cassazione. La pubblicità del professionista non deve essere equivoca, ingannevole o denigratoria. Niente da fare però, anche i giudici di Cassazione ritengono illecito il comportamento tenuto dall’avvocato. Tant’è vero che lo stesso articolo 4, comma 2, d.p.r. numero 137/2012 statuisce che «la pubblicità informativa deve essere funzionale all’oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l’obbligo di segreto professionale e non deve essere equivoca, ingannevole o denigratoria» Cass. SSUU numero 19705/2012 . Pubblicità occulta? La S.C. sottolinea che, nella fattispecie, la pubblicità è stata svolta con modalità lesive della dignità e del decoro della professione. E, inoltre, forma e modalità dell’intervista «non consentivano al lettore di percepire con immediatezza di trovarsi al cospetto di una informazione pubblicitaria», che può definirsi – precisano gli Ermellini - «occulta». Superati i limiti deontologici. Anche perché, si legge nella sentenza delle Sezioni Unite, nel caso di specie, «non è in discussione il “diritto” al libero esercizio di una “pubblicità promozionale” dell’attività professionale, bensì esclusivamente la modalità secondo la quale detta pubblicità sia realizzabile nel doveroso rispetto di precisi e specifici limiti deontologici disciplinarmente rilevanti».

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 9 aprile – 3 maggio 2013, numero 10304 Presidente Preden – Relatore Botta Svolgimento del processo Nel settembre 2007 sul periodico mensile omissis , allegato al quotidiano omissis , era pubblicato il testo di una intervista rilasciata dall'avv. G.A. alla dott.ssa Go.El. , con il titolo Tra Germania e Italia accompagnando i clienti nella costituzione di joint venture e partnership all'estero. L'avv. Angela G.S. racconta la sua ventennale esperienza. L'impresa in primo piano . Il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Brescia, ritenendo che la predetta intervista implicasse una violazione delle norme deontologiche in materia di pubblicità e informazione dell'attività professionale, il 25 settembre 2007 chiedeva all'avv. G.A. , e al di lei fratello G.H. , di fornire opportuni chiarimenti, nell'ambito di un procedimento che era stato aperto d'ufficio. I chiarimenti erano forniti con lettera datata 27 settembre 2007, negando che nel contenuto dell'intervista potessero ravvisarsi violazioni della deontologia professionale del tipo di quelle sospettate dal COA di Brescia. Quest'ultimo, tuttavia, con delibera del 1 dicembre 2008, notificata il successivo giorno 11, procedeva all'incolpazione dei fratelli G. , contestando loro i seguenti addebiti “essere venuti meno ai doveri di lealtà, decoro e correttezza propri dell'esercizio della professione di avvocato, concordando e rilasciando - la sola G.A. - e comunque consentendo la pubblicazione - entrambi gli incolpati -, sul periodico omissis apparso nel settembre 2007 allegato al quotidiano omissis , di un'intervista, corredata da numerose fotografie a integrante mera pubblicità, ancorché, in apparenza, priva delle caratteristiche proprie della stessa - stante l'utilizzazione dello strumento dell'intervista -, così da trasmettere al lettore, anche in ragione dell'assenza di qualsivoglia esplicito riferimento alla reale natura dell'informazione, un messaggio pubblicitario occulto b dal contenuto non limitato alle sole indicazioni previste dall'articolo 17-bis del codice deontologico forense. Quanto sopra in violazione degli articolo 5, 6, 17, 17-bis e 18 del codice deontologico”. Disposto il rinvio a giudizio ed espletata l'udienza, il COA dichiarava a l'avv. G.H. non responsabile per non aver commesso il fatto, ritenendo non conseguita la prova del suo personale coinvolgimento nei fatti contestati b l'avv. G.A. responsabile dell'illecito disciplinare contestato e ritenuto assorbito il punto b della contestazione in quello di cui al punto a applicando la sanzione dell'avvertimento. Notificata la decisione il 9 novembre 2009, la stessa era impugnata dall'avv. G.A. con atto del 27 novembre 2009. L'impugnazione era respinta dal Consiglio Nazionale Forense con la sentenza in epigrafe, avverso la quale l'avv. G.A. propone ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con cinque motivi. Non si sono costituiti nel giudizio né il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Brescia, né il procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, ai quali l'impugnazione è stata notificata. Motivazione 1. Con i primi quattro motivi del ricorso, che possono essere valutati congiuntamente per ragioni di connessione logica, l'avv. G.A. contesta la sussistenza nella specie sia di un supporto normativo che legittimi l'addebito della condotta come formulata nell'incolpazione e nella motivazione della sentenza impugnata, sia i contenuti specifici della condotta stessa descritti dal COA, prima, e dal Consiglio Nazionale Forense, poi, il cui difetto sarebbe denunciato dallo stesso titolo della ed. intervista, laddove esso fosse stato letto e valutato nella sua integralità. 1.2. Le censure sono infondate. La giurisprudenza di queste Sezioni Unite ha già avuto modo di affermare che “in tema di responsabilità disciplinare degli avvocati, la pubblicità informativa che lede il decoro e la dignità professionale costituisce illecito, ai sensi dell'articolo 38 del r.d.l. 27 novembre 1933, numero 1578, poiché l'abrogazione del divieto di svolgere pubblicità informativa per le attività libero-professionali, stabilita dall'articolo 2 del d.l. 4 luglio 2006, numero 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, numero 248, non preclude all'organo professionale di sanzionare le modalità ed il contenuto del messaggio pubblicitario, quando non conforme a correttezza, in linea con quanto stabilito dagli articolo 17, 17-bis e 19 del codice deontologico forense, e tanto più che l'articolo 4 del d.P.R. 3 agosto 2012, numero 137, al comma secondo, statuisce che la pubblicità informativa deve essere funzionale all'oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l'obbligo di segreto professionale e non deve essere equivoca, ingannevole o denigratoria“ Cass. SU 13 novembre 2012, numero 19705 v. anche Cass. S.U. 10 agosto 2012, numero 14368 secondo la quale “In tema di responsabilità disciplinare degli avvocati, la pubblicità informativa finalizzata all'acquisizione della clientela costituisce illecito, ai sensi dell'articolo 38 del r.d.l. 27 novembre 1933, numero 1578, e degli articolo 17 e 17-bis del codice deontologico forense, ove venga svolta con modalità lesive del decoro e della dignità della professione. A tal fine, invero, resta irrilevante sia che il d.lgs. 2 agosto 2007, numero 145 abbia disciplinato esaustivamente la materia della pubblicità ingannevole e comparativa, attribuendo i poteri sanzionatori all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in quanto questi non attengono alle violazioni del codice di deontologia forense, sia che l'articolo 2, comma primo, lett. b , del d.l. 4 luglio 2006, numero 223, conv. dalla legge 4 agosto 2006, numero 248, consenta di svolgere pubblicità informativa, siccome la disposizione non incide sul rilievo disciplinare delle modalità e del contenuto con cui la pubblicità informativa è realizzata, sia, infine, che l'incolpato si sia immediatamente adeguato al modello comportamentale suggerito dall'incolpazione, giacché non esiste alcuna norma nel sistema disciplinare forense che escluda l'illecito in ragione del c.d. ravvedimento operoso” . 1.3. Orbene, emerge con chiarezza dalla motivazione della sentenza impugnata, che la condotta posta a base dell'incolpazione consiste esclusivamente nella circostanza che la pubblicità sia stata svolta con modalità lesive della dignità e del decoro della professione. 2. La sentenza impugnata sottolinea che il tipo di pubblicazione , il titolo dell'articolo - del quale è posto in evidenza proprio la parte, l'impresa in primo piano , che, in contraddizione con il reale contenuto dell'intervista, rivela una attitudine deviante - e la forma dell'intervista , costituivano, in una considerazione unitaria e nella loro contestualità, una modalità non consona, perché “non consentivano al lettore di percepire con immediatezza di trovarsi al cospetto di una informazione pubblicitaria”, che ben poteva, quindi, definirsi occulta . Una informazione pubblicitaria confezionata, cioè, sotto altre spoglie , senza dichiarare espressamente che effettivamente di pubblicità si tratta. 3. A tanto contribuiva, poi, in maniera determinante “il contenuto intrinseco dell'intervista che, lungi dal contenere riferimenti alle problematiche tecnico giuridiche sui rapporti commerciali e societari che ci si aspetterebbe chiamate in causa dal titolo, si sviluppa in quattro pagine attardandosi, invece, sulla struttura, le competenze e le attività dello studio professionale arricchito da numerose rappresentazioni fotografiche”. In proposito si deve osservare, poiché molte delle censure argomentate dal parte ricorrente sconfinano nel merito delle questioni, sollecitando un controllo sulla motivazione, che, secondo la giurisprudenza di queste Sezioni Unite, “nei procedimenti disciplinari a carico di avvocati, la concreta individuazione delle condotte costituenti illecito disciplinare definite dalla legge mediante una clausola generale abusi o mancanze nell'esercizio della professione o comunque fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale è rimessa all'Ordine professionale, ed il controllo di legittimità sull'applicazione di tali norme non consente alla Corte di cassazione di sostituirsi al Consiglio nazionale forense nell'enunciazione di ipotesi di illecito, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, che attiene non alla congruità della motivazione, ma alla individuazione del precetto e rileva, quindi, ex articolo 360, numero 3, cod. proc. civ.” Cass. SU 13 novembre 2012, numero 19705 v. anche SU 28 settembre 2007, numero 20360, secondo la quale “In materia di procedimento disciplinare a carico degli avvocati, con riguardo alla concreta individuazione delle condotte costituenti illecito disciplinare, il controllo di legittimità non consente alla Corte di Cassazione di sostituirsi al Consiglio Nazionale Forense nell'enunciazione di ipotesi di illecito nell'ambito della regola generale di riferimento, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, atteso che l'apprezzamento della rilevanza dei fatti rispetto alle incolpazioni appartiene alla esclusiva competenza dell'organo disciplinare” . 4. Con il quinto motivo di ricorso, la parte ricorrente denuncia il mancato rispetto della normativa Europea dalla quale deriverebbe il riconoscimento di un principio di libertà nella pubblicizzazione delle attività professionali, sollecitando la Corte a proporre, se del caso, questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia. 4.1. Si tratta di una prospettiva esegetica che non può essere condivisa. Si è già ricordato, come la giurisprudenza delle Sezioni Unite abbia posto in evidenza che le disposizioni di cui all'articolo 2 del D.L. numero 223 del 2006, convertito in legge numero 248 del 2006 - le quali delle norme comunitarie sulla libera concorrenza e sulla libertà di circolazione delle persone e dei servizi anche per quanto attiene alla materia delle professioni vuole essere concreta attuazione nell'ordinamento interno -, non incidono “sul rilievo disciplinare delle modalità e del contenuto con cui la pubblicità informativa è realizzata” Cass. S.U. 10 agosto 2012, numero 14368 . E nulla autorizza una lettura della normativa comunitaria nel senso che essa consenta la realizzazione della pubblicità professionale anche con modalità classificabili come pubblicità occulta o che siano lesive della dignità e del decoro della professione in verità, nel caso di specie, non è in discussione il diritto al libero esercizio di una pubblicità promozionale dell'attività professionale, bensì esclusivamente la modalità secondo la quale detta pubblicità sia realizzabile nel doveroso rispetto di precisi e specifici limiti deontologici disciplinarmente rilevanti. 5. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato. Non occorre provvedere sulle spese, stante la mancata costituzione della parte intimata. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione Rigetta il ricorso.