La cartella è impugnabile solo per vizi propri

Nel processo tributario non è configurabile un rapporto di continenza, ex articolo 39, comma 2, c.p.c., tra le cause aventi ad oggetto l'impugnazione, rispettivamente, della cartella di pagamento e dell'avviso di accertamento, in quanto la cartella è impugnabile solo per vizi propri.

La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 4818 dell’11 marzo 2015, afferma che la cartella di pagamento è impugnabile solo per vizi propri, essendo precluso proporre, avverso la stessa, vizi di merito relativi all'avviso di accertamento, a loro volta proponibili soltanto nel diverso giudizio promosso per il suo annullamento. Il fatto. La CTR con sentenza del marzo 2013 , accoglieva l’appello proposto da un contribuente contro la cartella di pagamento relativa a ICI per l’anno 2002. Rilevava che il giudice di primo grado non aveva considerato la carenza di legittimazione della contribuente, risultando il terreno nel possesso della società che lo aveva acquisito a partire dal luglio 2002 e, poiché, da quella data il contribuente era stato spossessato dell’area ad opera della società che aveva realizzato l’interporto, detto cespite non aveva più generato redditi. Inoltre, in forza dell’articolo 20, d.p.r. numero 327/2001, l’atto di cessione volontaria avrebbe dovuto essere trascritto entro quindici giorni presso gli uffici immobiliari. Il Comune ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che a con il primo motivo si deduce la violazione dell’articolo 19, comma 3, d.lgs. numero 546/1992 il giudice della CTR aveva esaminato le lamentela riguardanti il merito della pretesa fiscale già esaminate dallo stesso giudice nel procedimento relativo all’accertamento pure impugnato dalla contribuente di conseguenza per il Comune ricorrente era inammissibile l’impugnazione che avrebbe potuto riguardare unicamente vizi propri della cartella b con il secondo motivo si deduce che l’atto di cessione era stato stipulato nel luglio 2002, ma trascritto soltanto nel luglio 2006. Aveva quindi errato la CTR nell’escludere la soggettività passiva del contribuente, costituendo la trascrizione l’unico elemento che l’amministrazione comunale avrebbe potuto esaminare per la conoscenza di variazioni nella titolarità del bene. Il Comune ritiene, infine, che nella sentenza dei giudici del merito di secondo grado, vi sia stata l’omessa insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza, al cui interno non era stato esaminato il fatto che l’alienazione dei terreni era avvenuta nel luglio 2002, dovendosi in ogni caso ritenere sussistente il presupposto impositivo per il periodo dell’anno 2002, anteriore alla cessione. Gli atti impugnabili Gli atti che possono essere oggetto di impugnazione dinanzi al giudice tributario sono normativamente definiti ad opera dell’articolo 19, d.lgs. numero 546/1992, che specifica quanto segue «Il ricorso può essere proposto avverso a l’avviso di accertamento del tributo b l’avviso di liquidazione del tributo c il provvedimento che irroga le sanzioni d il ruolo e la cartella di pagamento e l’avviso di mora e-bis l’iscrizione di ipoteca sugli immobili e-ter il fermo di beni mobili registrati f gli atti relativi alle operazioni catastali g il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti h il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari i ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l’autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarie». La Corte di Cassazione, con la sentenza 8137/2014, ha affermato che l'emissione della cartella di pagamento con le modalità previste dal d.p.r. numero 600/1973, articolo 36 bis, comma 3, in materia di tributi diretti e d.p.r. numero 633/1972, articolo 54 bis, comma 3, in materia di IVA non è condizionata dalla preventiva comunicazione dell'esito del controllo al contribuente, salvo che il controllo medesimo non riveli l'esistenza di errori essendovi, solo in tale ipotesi di irregolarità riscontrata nella dichiarazione, l'obbligo di comunicazione per la liquidazione d'imposta, contributi, premi e rimborsi. Richiamando un precedente orientamento i giudici evidenziano che è legittima la cartella di pagamento che non sia preceduta dalla comunicazione dell'esito della liquidazione, prevista dal d.p.r. numero 600/1973, articolo 36 bis, comma 3, sia perché la norma non prevede alcuna sanzione, in termini di nullità, per il suo inadempimento, sia purché tale comunicazione, avendo la funzione di evitare al contribuente la reiterazione di errori e di consentirgli la regolarizzazione di aspetti formali, è un adempimento rivolto esclusivamente ad orientare il comportamento futuro dell'interessato ed esula, quindi, dall'ambito dell'esercizio del diritto di difesa e di contraddittorio nei confronti dell'emittente cartella di pagamento. Per i giudici di legittimità l’elenco tassativo degli atti impugnabili, contenuto all’articolo 19 del d.lgs. numero 546/1992, non esclude che il contribuente possa impugnare anche gli atti diversi da quelli contemplati in tale elenco, sempre che siano inerenti a una compiuta pretesa tributaria in base a tale orientamento la conseguenze è che sono impugnabili immediatamente le comunicazioni di irregolarità, meglio conosciuti come gli avvisi bonari, ex articolo 36 bis, comma 3, d.p.r. numero 600/1973. La cartella di pagamento non può essere impugnata per vizi che attengono l’accertamento fiscale. I giudici di legittimità evidenziano che la giurisprudenza della Cassazione è consolidata nel ritenere che la cartella di pagamento non può essere impugnata per vizi che attengono l’accertamento fiscale, potendosi appuntare le doglianze della parte contribuente unicamente sui vizi propri dell’atto, a meno che l’atto stesso non abbia il contenuto sostanziale dell’accertamento e il contribuente sia venuto a conoscenza della pretesa impositiva, solo con la notificazione della cartella predetta. L’affermazione della parte controricorrente secondo la quale l’accoglimento dell’impugnazione proposta separatamente dalla parte contribuente, contro l’avviso di accertamento, avrebbe travolto la cartella non trova conforto nella sentenza impugnata, nella quale non vi è menzione alcuna dell’esito dell’ulteriore procedimento. I giudici di legittimità, in riferimento ai rapporti fra giudizio relativo all’accertamento e procedimento contro la cartella, ritengono che nel processo tributario, non è configurabile un rapporto di continenza, ex articolo 39, comma 2, c.p.c., tra le cause aventi ad oggetto l'impugnazione, rispettivamente, della cartella di pagamento e dell'avviso di accertamento, in quanto la cartella è impugnabile solo per vizi propri, essendo precluso proporre avverso la stessa vizi di merito relativi all'avviso di accertamento, a loro volta proponibili soltanto nel diverso giudizio promosso per il suo annullamento, si che sussiste tra le due cause diversità della “causa petendi” e, per l'effetto, del “thema decidendum” per i giudici di legittimità tra le due cause difetta, inoltre, l'identità anche parziale dei fatti costitutivi oggetto di accertamento, in presenza della quale è rinvenibile quel nesso di pregiudizialità logica e giuridica che giustifica, per effetto della continenza, lo spostamento di una causa da un giudice ad un altro in deroga alle ordinarie regole sulla competenza territoriale irrilevante, infine, per i giudici di legittimità , è la relazione che lega l'efficacia della cartella, quale atto esecutivo, al permanere in vita dell'avviso di accertamento, in quanto tale rapporto non scalfisce l'autonomia e l'indipendenza dei due giudizi, ma può soltanto portare ad affermare in capo al contribuente il diritto al rimborso di quanto versato, nel caso in cui il giudizio di accertamento porti ad un esito a lui favorevole e, proprio con riferimento ad accertamento ancora non definitivo, richiamando il contenuto dell’articolo 68, d.lgs. numero 546/1992.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza 5 febbraio – 11 marzo 2015, numero 4818 Presidente Cicala – Relatore Conti In fatto e in diritto La CTR di Napoli, con la sentenza numero 33/34/2013, depositata in 4.3.2013, accoglieva l’appello proposto da C.G. contro la cartella di pagamento relativa a ICI per l’anno 2002. Rilevava che il giudice di primo grado non aveva considerato la carenza di legittimazione della contribuente, risultando il terreno nel possesso della società I. Sud Europa spa a partire dal 25.7.2002. E poiché da quella data il contribuente era stato spossessato dell’area ad opera della società che aveva realizzato l’interporto, detto cespite non aveva più generato redditi. Inoltre, in forza dell’articolo 20 dpr numero 327/2001 l'atto di cessione volontaria avrebbe dovuto essere trascritto entro quindici giorni presso gli uffici immobiliari. Il Comune di Marcianise ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, ai quali ha resistito con controricorso la parte contribuente. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’articolo 19 comma 3 d.lgs. numero 546/1992. Il giudice di appello aveva esaminato doglianze attinenti al merito della pretesa fiscale già scrutinate dallo stesso giudice nel procedimento relativo all’accertamento pure impugnato dalla contribuente. Ne derivava l’inammissibilità dell’impugnazione che avrebbe potuto riguardare unicamente vizi propri della cartella. Con il secondo motivo si deduce la violazione del combinato disposto degli articolo 3 D.Lgs. numero 504/1992, 20 comma 10 dpr numero 327/2001, 2643 e 2644 cod.civ., nonché 10 D.Lgs. numero 504/1992. Deduce che l’atto di cessione era stato stipulato il 25 luglio 2002, ma trascritto soltanto il 25.7.2006. Aveva quindi errato la CTR nell’escludere la soggettività passiva del contribuente, costituendo la trascrizione l’unico elemento che l’amministrazione avrebbe potuto esaminare per la conoscenza di variazioni nella titolarità del bene. In ogni caso, la CTR non avrebbe potuto escludere detta soggettività almeno per il periodo anteriore all’atto di cessione volontaria. Ragion per cui era illegittimo l’annullamento dell’intero importo della cartella. Era comunque erroneo il convincimento del giudice di appello in ordine alla carenza di elementi dai quali desumere il valore venale del cespite, posto che quest’ultimo era stato determinato con perizia estimativa allegata all’atto impositivo, al cui interno risultavano indicati tutti gli elementi idonei a giustificare l’accertamento. Lamenta, col terzo motivo, la violazione dell’articolo 16 comma 2 d.lgs. numero 504/92 e, infine, con il quarto motivo l’omessa insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza, al cui interno non era stato esaminato il fatto che l’alienazione dei terreni era avvenuta il 25 luglio 2002, dovendosi in ogni caso ritenere sussistente il presupposto impositivo per il periodo dell’anno 2002 anteriore alla cessione. La parte contribuente, nel costituirsi con controricorso, ha eccepito l’infondatezza di tutti i profili censura, evidenziando quanto al primo che il giudice di appello era stato investito della medesima vicenda con altro procedimento relativo all’avviso di accertamento dal quale era derivata la cartella, sicché l’annullamento dell’avviso aveva travolto la cartella. Fermo restando la necessità di trattare simultaneamente i due procedimenti. Deduceva l’inconferenza della trascrizione ai fini dell’ICI dell’atto traslativo, adducendo poi che il tributo preteso dal comune era stato erroneamente calcolato sul valore venale del cespite e non su quello risultante dall’atto di cessione volontaria. Assumeva, in ogni caso, che doveva escludersi la debenza del tributo, essendo stato detto contribuente spogliato del possesso del bene nell’anno 2002 in forza dell’occupazione dello stesso da parte dell’ente espropriale. Aggiungeva che la perizia estimativa del Comune era illegittima. Osservava che l’articolo 16 d.lgs. numero 504/92 non consentiva la determinazione unilaterale dell'ICI per l'anno in cui era stata disposta l’espropriazione del bene da parte del comune prevedendo, semmai, un valore differenziato del fondo per gli anni precedenti all’esproprio. Assumeva, ancora, che la censura esposta nel quarto motivo era inammissibile, dovendo semmai prospettarsi come vizio alla stregua del numero 4 dell’articolo 360 comma 1 c.p.comma o, comunque, infondata nel merito. Chiedeva, infine, la riunione del procedimento all’altro relativo all’avviso di accertamento emesso nei confronti della stessa contribuente. Il primo motivo di ricorso è fondato. La giurisprudenza di questa Corte è pacifica nel senso che la cartella di pagamento non può essere impugnata per vizi che attengono l’accertamento fiscale, potendosi appuntare le doglianze della parte contribuente unicamente sui vizi propri dell’atto, a meno che l’atto stesso non abbia il contenuto sostanziale dell’accertamento e il contribuente era venuto a conoscenza della pretesa impositiva solo con la notificazione della cartella predetta - cfr, ex plurimis, Cass. numero 16641 del 29/07/2011, numero 1263 del 22/01/2014 - L’affermazione della parte controricorrente secondo la quale l’accoglimento dell’impugnazione proposta separatamente dalla parte contribuente contro l’avviso di accertamento avrebbe travolto la cartella non trova conforto nella sentenza impugnata, nella quale non vi è menzione alcuna dell’esito dell’ulteriore procedimento. Del resto, in ordine ai rapporti fra giudizio relativo all’accertamento e procedimento contro la cartella, questa Corte è ferma nel ritenere che nel processo tributano, non è configurabile un rapporto di continenza, ex articolo 39, comma 2, cod. procomma civ., tra le cause aventi ad oggetto l'impugnazione, rispettivamente, della cartella di pagamento e dell'avviso di accertamento, in quanto la cartella è impugnabile solo per vizi propri, essendo precluso proporre avverso la stessa vizi di mento relativi all'avviso di accertamento, a loro volta proponibili soltanto nel diverso giudizio promosso per il suo annullamento, si che sussiste tra le due cause diversità della causa petendi e, per l'effetto, del thema decidendum tra le due cause difetta inoltre l'identità anche parziale dei fatti costitutivi oggetto di accertamento, in presenza della quale è rinvenibile quel nesso di pregiudizialità logica e giuridica che giustifica, per effetto della continenza, lo spostamento di una causa da un giudice ad un altro in deroga alle ordinarie regole sulla competenza territoriale irrilevante, infine, è la relazione che lega l'efficacia della cartella, quale atto esecutivo, al permanere in vita dell'avviso di accertamento, in quanto tale rapporto non scalfisce l'autonomia e l'indipendenza dei due giudizi, ma può soltanto portare ad affermare in capo al contribuente il diritto al rimborso di quanto versato, nel caso in cui il giudizio di accertamento porti ad un esito a lui favorevole - Cass. numero 17726 del 30/07/2009 e, proprio con riferimento ad accertamento ancora non definitivo, richiamando il contenuto dell’articolo 68 d.lgs, numero 546/1002, Cass. numero 17937/2004. Non ricorrono, pertanto, i presupposti per la riunione dei due procedimenti che hanno oggetto radicalmente diverso. Sulla base di tali considerazioni, il primo motivo di ricorso merita di essere accolto, con assorbimento delle altre censure. La sentenza impugnata va cassata e la causa, non richiedendosi ulteriori accertamenti di fatto, va decisa con il rigetto del ricorso introduttivo. Le spese del giudizio di merito devono essere compensate mentre le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della parte controricorrente. P.Q.M. Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso della parte contribuente. Compensa le spese del giudizio di merito. Pone a carico della parte contribuente le spese del giudizio di legittimità liquidandole in favore del Comune di Marcianise in euro 1.500,00 per compensi, euro 100,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.