Miscela cambiata e il caffè diventa carissimo... Risoluzione legittima se la ditta modifica l’oggetto della fornitura, nonostante la sua genericità

Pomo della discordia è la qualità del prodotto destinato a un esercizio commerciale. Nell’accordo si parla genericamente di ‘miscela bar’, ma la ditta è concessionaria di alcune specifiche marche, e sempre queste ha provveduto a fornire. Così il cambiamento della merce, ossia la fornitura di un caffè prodotto direttamente dalla ditta, rende assolutamente fondata la richiesta del commerciante di vedere risolto il rapporto contrattuale.

Quanto può costare un caffè? Dipende dalla qualità E questo ragionamento non vale solo se lo si prende al bar oppure al ristorante a fine cena, ma anche quando l’acquisto è più ‘corposo’, relativo cioè alla fornitura per il proprio esercizio commerciale. Così, variare la ‘marca’ del prodotto in ballo, da parte dell’azienda fornitrice, può comportare la legittimità della risoluzione del contratto messa in moto dal compratore Cassazione, sentenza numero 18587, seconda sezione civile, depositata oggi . Acquisto sospeso. A provocare la ‘guerra’ commerciale è la decisione di un commerciante di sospendere la ricezione della fornitura di caffè – qualità ‘miscela bar’ –, originariamente concordata con una ditta che si occupa di vendita all’ingrosso e funge da concessionaria per alcune specifiche marche. È una risoluzione illegittima, secondo la ditta, e soprattutto gravosa economicamente, soprattutto tenendo presente che la fornitura prevedeva l’acquisto, da parte del commerciante, di quasi 4mila chili di caffè «nell’arco di cinque anni». Tale visione viene condivisa dalla giustizia, ma solo in primo grado. Difatti, in Appello, la situazione viene ribaltata il motivo della risoluzione, da parte del commerciante, viene addebitato all’azione operata dalla ditta, ossia un «mutamento» dell’oggetto del contratto. Più precisamente, secondo i giudici, certo, «l’espressione ‘caffè miscela bar’ di per sé non era identificativa» ma «era documentalmente provato» che la ditta «era concessionaria» di determinati prodotti e che «aveva sempre fornito solo miscele delle marche in parola» sia «alla data della conclusione del contratto» sia «in epoca antecedente». Genericità superata. Appiglio decisivo, per la ditta, però, è la genericità dell’oggetto del contratto, ossia «fornitura di caffè ‘miscela bar’», senza «riferimenti ad una marca». E a questo appiglio si lega il ricorso proposto in Cassazione, finalizzato, ovviamente, a vedere rimessa in discussione la pronuncia dei giudici di Appello. Anche in terzo grado la premessa fondamentale è l’evoluzione del rapporto contrattuale, perché «non è contestato» che, d’un tratto, «le forniture abbiano riguardato una miscela diversa», tanto da spingere il commerciante a denunziare «la unilaterale sostituzione con miscele prodotte direttamente» dalla ditta. Ma ciò che risulta decisivo è che il rapporto tra ditta e commerciante, rapporto che «esisteva già da epoca anteriore alla stipulazione del contratto», era fondato sulla certezza che «la ditta era concessionaria di zona» dei prodotti di determinate marche e sulla consuetudine che, «anche in epoca antecedente il negozio», all’esercizio commerciale erano state fornite «solo miscele» delle marche ‘curate’ dalla ditta, per l’appunto. Quindi, nonostante il generico richiamo a una qualità di caffè «‘miscela bar’», è acclarata, per i giudici, la specificità dell’oggetto del contratto, e, di conseguenza, è certo il «mutamento dell’oggetto», deciso autonomamente dalla ditta ecco perché è da confermare in toto la decisione emessa in Appello, favorevole, come detto, al commerciante.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 19 settembre – 29 ottobre 2012, numero 18587 Presidente Rovelli – Relatore Correnti Svolgimento del processo Con citazione 31.3.1993 R.C. quale titolare della omonima ditta esercente la vendita all’ingrosso di caffè, verso la quale D.F.M. con contratto 1.10.1990 si era obbligato ad acquistare nell’arco di cinque anni Kg. 3900 di caffè nella specie miscela bar con obbligo del ritiro di Kg. 15 a settimana al prezzo di lire 16.500 al chilo, assumendo che il predetto D.F. si era limitato a ritirare solo kg. 512 di caffè ed aveva interrotto ogni rapporto dopo l’ultima consegna del 18.12.1992, lo conveniva davanti al Tribunale di Trani perché, previa risoluzione del contratto di somministrazione, fosse condannato alla penale del 20% del prezzo dei chilogrammi residui, aumentato di cinque, oltre accessori. Il convenuto contestava deducendo la unilaterale sostituzione con altra miscela e svolgeva riconvenzionale per la risoluzione ed i danni. Con sentenza 18.2.2003 la sezione stralcio accoglieva la domanda principale e rigettava la riconvenzionale, mentre la Corte di appello di Bari, con sentenza 31.1.2006 numero 49, accoglieva l’appello del D.F., rigettando la domanda attorea con condanna alla restituzione di quanto pagato in virtù della riformata sentenza ed alle spese del doppio grado. Punto nodale era l’individuazione dell’esatto oggetto del contratto ed, anche se l’espressione caffè miscela bar di per sé non era indicativa, era pacifico e documentalmente provato che, alla data della conclusione del contratto, l’appellata era concessionaria dei prodotti ‘‘Bei e Nannini’’. ‘‘Moca’’ e ‘‘Cimbali’’, ma anche in epoca antecedente aveva sempre fornito solo miscele delle marche in parole ed in particolare della prima. Si era realizzato un arbitrio mutamento dell’oggetto, donde la risoluzione, peraltro, chiesta da entrambe le parti. Ricorre R.C. & amp C. snc con due motivi, resiste D.F. Motivi della decisione Col primo motivo si denunziano violazione degli articolo 1362, 1363, 1371 cc ed omessa motivazione perché l’articolo 3 della scrittura riguardava genericamente la fornitura di caffè miscela bar, senza riferimenti ad una marca e col secondo si lamenta violazione dell’articolo 1178 cc per avere la Corte di appello ritenuto l’errore del primo giudice, posto che le parti tacitamente avevano fatto riferimento ad una miscela prodotto da una delle tre aziende di torrefazione di cui la R. era concessionaria ed una diversa interpretaziome comportava la nullità per indeterminatezza dell’oggetto. Le censure non meritano accoglimento. Premesso che i quesiti proposti non sono necessari, ratione temporis, trattandosi di sentenza depositata il 31.1.2006, la motivazione della sentenza impugnata appare corretta. Non è contestato che le successive forniture abbiano riguardato una miscela diversa da quelle precedenti e, come risulta dalla sentenza a pagina due, il convenuto aveva denunziato la unilaterale sostituzione con miscele prodotte direttamente dalla R. Il ricorrente non chiarisce che trattasi di miscela uguale o migliore per cui l’interpretazione resa dal giudice di merito del contratto resta insindacabile così come è logica e plausibile la deduzione che una diversa interpretazione avrebbe comportato l’indeterminatezza dell’oggetto del contratto. L’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato ai giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli articolo 1362 ss. CC, oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti. Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea - anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente - la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità e pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 numero 15381, 23.7.04 numero 13839. 21.7.04 numero 13579, 16.3.04 numero 5359, 19.1.04 numero 753 . Comunque, non si riporta analiticamente la clausola invocata e non si supera la deduzione della sentenza, pagina quattro, che ‘‘il rapporto tra la ditta R. ed D.F. esisteva già da epoca anteriore alla stipulazione del contratto per cui è controversia. Del pari pacifico e comunque documentalmente provato è non solo che tanto all’inizio del rapporto che alla data della conclusione del predetto contratto la ditta appellata era concessionaria di zona dei prodotti delle citate marche ‘‘Bei e Nannini’’, ‘‘Moca’’ e ‘‘Cimbali’’, ma anche che in epoca antecedente il negozio in parola la stessa aveva sempre fornito all’odierno appellante solo miscele delle marche in parola ed in particolare della prima’’. In definitiva il ricorso va rigettato, mentre la particolarità della vicenda ed il diverso esito dei due gradi di merito consigliano la compensazione delle spese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.