In tema di tentativo di violenza sessuale, ove la persona offesa renda una deposizione affetta da contraddizioni logiche e reticenze sulla propria condotta, il Giudice di merito dovrà compiere un’ulteriore valutazione delle condizioni psicologiche della vittima.
In particolare egli dovrà motivare meglio in ordine alla discrasia fra la tentata violenza sessuale e lo stato di lucidità e di padronanza della situazione dimostrato dalla persona offesa. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Terza sezione penale, con la sentenza numero 41704/12, depositata il 25 ottobre. Il caso. La pronuncia in esame trae origine da una sentenza di condanna confermata in appello di un medico ecografista per il reato di tentata violenza sessuale, previsto e punito dall’articolo 609 bis c.p Nello specifico, il ricorrente deduceva, fra gli altri motivi, l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’articolo 533 c.p.p., con specifico riguardo al principio del ragionevole dubbio. Per il medico, la Corte di Appello di Trieste non aveva valutato correttamente l’evidente contrasto fra le riferite violenze e l’atteggiamento di controllo emozionale della donna violentata che aveva addirittura fatto sì che la ragazza chiedesse allo stesso specialista di essere sottoposta ad un ulteriore esame ecografico . La testimonianza della persona offesa . Come è noto, in generale, nel nostro sistema processuale manca una specifica normativa dettata a tutela della vittima-testimone, la cui posizione viene sostanzialmente equiparata a quella di qualsiasi altro teste che debba essere escusso, e ciò ad eccezione delle sole regole dettate in tema di audizione del minore le quali, pertanto, possono ritenersi uniche eccezioni in materia. Tali regole, infatti, limitano, in considerazione della necessità di tutelare soggetti in condizioni di maggiore debolezza psichica, il diritto al pieno contraddittorio dell’imputato che, in sede dibattimentale, trova la sua espressione nella cross-examination di ciascuna fonte di prova orale. La decisività della deposizione dibattimentale, se da un lato esalta il principio del pieno contraddittorio nella formazione della prova dinanzi al Giudice, dall’altro espone la vittima del reato al pericolo di maggiori pressioni o sollecitazioni, al fine di ottenere una più o meno completa ritrattazione, aumentando così notevolmente la possibilità che, alle sofferenze patite al momento della consumazione dell’episodio delittuoso, ne seguano altre, ancor più penose, nel periodo antecedente l’audizione dibattimentale od anche in sede di incidente probatorio. deve essere scevra da contraddizioni logiche. Ciò premesso sul piano generale, ci si è chiesti se ed in che termini la testimonianza della persona offesa specie nel caso di delitti contro la libertà sessuale possa essere ritenuta attendibile e credibile, in particolare nelle ipotesi in cui si tratti dell’unica prova diretta della riferita violenza. Uno degli aspetti più rilevanti della riforma dei reati sessuali intervenuta con la legge numero 66/1996 è consistito nella eliminazione della distinzione tra violenza carnale ed atti di libidine a differenza di quanto avviene in altre legislazioni penali europee, fra cui - ad esempio - quella spagnola, che ancora distingue fra aggressioni, abusi e molestie sessuali , sicché l’ipotesi delittuosa di cui all’articolo 609 bis c.p. sussiste ogni qual volta che un qualunque atto di natura sessuale sia compiuto con violenza. L’unificazione delle fattispecie risponde a giustificazioni di carattere sia astratto che tecnico sotto il primo profilo, infatti, è rispondente all’esigenza di affermare il principio assoluto di inviolabilità del corpo umano e della pari gravità di ogni condotta lesiva del predetto bene, attribuendosi maggiore rilevanza alla dignità della persona, sicché la mutata oggettività giuridica del reato e l’unicità del bene giuridico protetto la libertà sessuale corollario del più ampio diritto alla libertà personale , impongono di riconoscere la natura illecita a qualunque violazione del diritto alla libera estrinsecazione della propria sessualità a prescindere dalle concrete modalità esecutive della condotta. Vi è, inoltre, una motivazione di carattere più propriamente tecnico e pratico, consistente nelle necessità di una maggiore semplificazione dell’accertamento del reato e di una più intensa tutela della dignità della persona offesa. Sul punto, l’orientamento dominante in giurisprudenza sostanzialmente confermato dalla sentenza in commento afferma che il diritto processuale penale non opera alcuna discriminazione sia in ordine alla capacità a testimoniare della persona offesa dal reato, sia in ordine alla valenza probatoria delle sue deposizioni rispetto a quelle di altre persone. Pertanto in caso di necessità, per essere la persona offesa l'unico testimone che abbia avuto percezione diretta del fatto da provare o, comunque, l'unico in grado di introdurre una tale percezione nel processo, anche la sola deposizione di essa può, nell'ambito del libero convincimento del giudice, essere posta a fondamento del giudizio di colpevolezza dell'imputato. In tal caso il giudice di merito deve valutare con particolare attenzione tutti gli elementi, sia di natura intrinseca che estrinseca, su cui ha basato il suo convincimento di attendibilità e veridicità delle deposizioni della persona offesa, dando conto di tale valutazione con motivazione dettagliata e rigorosa, specificamente riferita alla detta qualità Cass. numero 6930/1990 . Anche nella pronuncia in esame, la Cassazione conferma dunque che il controllo sulla psicologia della persona offesa-testimone va fatto con oculatezza, a maggior ragione nelle ipotesi in cui essa costituisce l’unico soggetto che può riferire circa il commesso reato.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 13 giugno – 25 ottobre 2012, numero 41704 Presidente De Maio – Relatore Savino Ritenuto in fatto R.E. , per il tramite del difensore di fiducia, proponeva ricorso per Cassazione, avverso la sentenza della Corte di Appello di Trieste emessa in data 17.4.08 a conferma della sentenza del GUP del Tribunale di Udine in data 17.4.08, con la quale il predetto era stato ritenuto responsabile del reato di cui agli articolo 56, 609 bis co 1 e 2 c.p. e 609 septies co 4 numero 3 perché, quale medico ecografista dell'ospedale di OMISSIS , nel corso di visita alla paziente Z.S. , il XXXXXX, compiva su costei atti idonei diretti in modo non univoco a compiere atti sessuali contro la sua volontà, e, ritenuta la continuazione, concessa la circostanza attenuante di cui all'articolo 609 bis ultimo comma cp, nonché le attenuanti generiche, ritenuto il carattere non aggravante della circostanza di cui all'articolo 609 septies numero 3 c.p., applicata la diminuente per la scelta del rito, era stato condannato alla pena di anni uno mesi quattro di reclusione oltre pene accessorie nonché al risarcimento del danno nei confronti della parte civile, liquidato in complessive Euro 10.000 oltre interessi. Secondo la ricostruzione dei fatti effettuata dai giudici di merito, la Z. si era recata il XXXXXX presso l'ospedale di OMISSIS per sottoporsi ad ecografia al seno. Al suo arrivo si erano presentati degli ostacoli di carattere amministrativo all'espletamento dell'esame in quanto la predetta non aveva l'impegnativa, né era possibile effettuare l'esame privatamente poiché non erano in qual momento reperibili medici operanti in regime intramoenia . Il personale sanitario, incaricatosi di cercare un medico disposto ad effettuare l'esame, riuscì a contattare il dott. R. , il quale, oltre a dichiararsi disposto ad eseguirlo, si offri di effettuarlo con la copertura del servizio sanitario nazionale incaricandosi di procurare alla Z. l'impegnativa che le avrebbe consentito di pagare solo il ticket. Nel corso dell'esame, secondo il racconto della parte offesa, il dott R. , dopo averle fatto strani discorsi sulla famiglia e sul lavoro, aveva manifestato apprezzamenti per la giovane dicendole sei una bella ragazza, hai due bei seni, potremmo trovarci fuori a bere qualcosa, ma sei libera di dirmi di no . Poi, mentre la Z. si rivestiva al termine dell'accertamento, lui si era avvicinato tentando di abbracciarla e di baciarla. Dopo essere stato respinto una prima volta, l'imputato si era nuovamente avvicinato a lei cingendola per i fianchi. Lei lo aveva allontanato e, richiesta la consegna del referto e l'ammontare dell'importo dovuto al CUP, era andata via. Fuori dalla stanza aveva subito riferito l'episodio agli infermieri presenti e, dietro loro consiglio, si era rivolta al direttore sanitario che l'aveva invitata a redigere una segnalazione scritta dell'accaduto al medesimo indirizzata. Sentita a sommarie informazioni dopo tre mesi circa dall'episodio, in data 16.6.06, la Z. aveva aggiunto che, terminato l'esame, il dott. R. , anziché limitarsi a porgere alla paziente la carta per ripulire dal gel adoperato la superficie mammaria sottoposta all'ecografia, aveva lui stesso intrapreso la detenzione con la carta in modo da palpeggiarle il seno, ma la giovane glielo aveva impedito dicendogli che lo avrebbe fatta lei che conosceva il dott R. in quanto egli aveva eseguito il precedente controllo ecografico al seno, in occasione del quale si era comportato in modo assolutamente corretto. L'indagato, con due scritti difensivi redatti in data 9.3.06 a distanza di pochi giorni dalla vicenda, e in data 29.3.06, nel respingere le accuse, aveva riferito della richiesta della Z. di altro esame ecografico alla colonna vertebrale per accertare la presenza di alcuni noduli. Il R. aveva acconsentito a tale richiesta effettuando l'esame senza tuttavia redigere referto stante l'esito negativo. La circostanza riferita dall'indagato di un'ulteriore ecografia alla schiena è stata confermata dalla produzione di due lastre ecografiche recanti l'orario delle 13.10 -13.11 mentre l'ecografia al seno è stata eseguita dalle 12,40 alle 13.00 dello stesso giorno , lastre che, secondo i ct del PM, non si riferiscono a tessuto mammario e sono compatibili con accertamento ecografico della colonna vertebrale. Solo in sede di interrogatorio reso alla PG su delega del PM nel giugno del 2007, il R. , oltre a ribadire il secondo accertamento ecografico effettuato alla schiena a distanza di dieci minuti da quello al seno, su richiesta dalla Z. , ha anche riferito, per la prima volta, di una richiesta fattale dalla predetta di redigere un certificato medico compiacente attestante un patologia della colonna vertebrale incompatibile con le mansioni di magazziniera da lei svolte presso l’impresa ove lavorava richiesta alla quale il R. si era opposto. La Z. , né nella originaria segnalazione diretta alla direzione sanitaria, né in sede di querela, neppure nelle sommarie informazioni rese il 16.6.06, a distanza di tre mesi dai fatti, aveva parlato della effettuazione, dietro sua richiesta, di una seconda ecografia alla schiena subito dopo quella del seno. Proprio a seguito della circostanza ripetutamente riferita dal R. , tesa a dimostrare, secondo il suo assunto difensivo, l'incompatibilità del comportamento della paziente che richiede altra ecografia accettando di prolungare la sua permanenza all'interno dell'ambulatorio e la denuncia di molestie sessuali ad opera del medico ecografista, è stato disposto nuovo esame della parte offesa, la quale, sentita dalla P.G. il 31.8.07, in risposta a specifica domanda rivoltale circa l'effettuazione del secondo accertamento ecografico, ha confermato la circostanza precisando di essere stata lei a richiederlo al medico. A sostegno del ricorso sono stati dedotti i seguenti motivi. 1-articolo 606 comma 1 lett B per inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 533 cpp in relazione al principio del ragionevole dubbio articolo 606 lett B per inosservanza ed erronea mancata applicazione dell'articolo 530 co 2 cpp, articolo 606 lett E per contraddittorietà della motivazione. 2-articolo 606 lett D per mancata assunzione di prova decisiva. 1- Il ricorrente, dopo aver fornito una definizione del criterio del superamento del ragionevole dubbio individuandolo, come presupposto necessario per fondare una sentenza di condanna, nella presenza di un alto tasso di credibilità razionale o di conferma dell'ipotesi di accusa, ravvisabile solo se le prove acquisite innalzino il verdetto di colpevolezza a quote elevatissime di probabilità assoluta confinanti con la certezza sia essa processuale, sia essa induttiva, pratica, umanamente ottenibile, rileva che il Giudice di Appello non ha seguito il percorso razionale per poter ritenere superato ogni ragionevole dubbio bensì si è limitato a seguire un percorso motivazionale indirizzato solo a sostenere la non inattendibilità della parte offesa. Premessa la ricostruzione delle argomentazioni della sentenza, volte a ritenere compatibile con le denunciate avances sessuali del medico la condotta della persona offesa, il ricorrente rileva che la spiegazione della logicità del comportamento della predetta si basa tutta su illazioni, su ipotesi del giudice senza alcun ancoraggio ad emergenze probatorie effettive . Evidenzia in proposito il ricorrente che le spiegazioni fornite dalla Corte Territoriale sulla richiesta di altro esame da parte della Z. nonostante le avances subite, presuppongano una persona tutt'altro che sconvolta che sia in grado di valutare la convenienza dell'altro esame, di richiederlo al medico, confidando evidentemente nella possibilità di evitare il ripetersi degli approcci erotici, sia perché da lei facilmente respinti ottenendo un'immediata desistenza da parte del medico, sia perché sapeva di poter contare su condizioni ambientali incompatibili con una deliberata riproposizione della avances, sia perché evidentemente faceva affidamento sull'etica professionale del dott. R. , già da lei conosciuto come professionista serio in occasione di un precedente accertamento. Se questa era la condizione psicologica della Z. , quale emerge dalla costruzione argomentativa della sentenza, la Corte avrebbe dovuto spiegare come si concilia tutto ciò con i successivi passaggi motivazionali, decisivi ai fini della condanna, che fondano la credibilità della Z. su uno stato emotivo di profondo turbamento e di agitazione all'uscita dell'ambulatorio . Discende da ciò che questo stato confusionale profondo, incompatibile con l'atteggiamento lucido tenuto dalla giovane nel corso degli esami, andava meglio indagato e provato al di là di ogni ragionevole dubbio . - Ma la motivazione del superamento del ragionevole dubbio manca anche con riguardo all'individuazione del contenuto effettivo degli atti posti in essere dall'imputato e alla sua qualificazione giuridica. Al riguardo la Corte di appello riconosce che non è stata compiuta una sufficiente indagine sulla condotta contestata poiché durante l'esame del giugno 2006 la PG avrebbe dovuto chiedere alla persona offesa una più dettagliata descrizione dei gesti posti in essere dal dott. R. al fine di delineare con la maggior precisione possibile gli atteggiamenti di costui. Né tale indagine è stata integrata in sede dibattimentale. Di conseguenza, ad avviso del ricorrente, in presenza di tale lacuna, l'illiceità degli atti posti in essere dall'imputato discende più dalla interpretazione che di questi ha dato la parte offesa che dalla inequivocità dei medesimi. Ciò posto, se la valutazione della condotta materiale è affidata alla percezione della parte offesa, rileva il ricorrente che non è dato comprendere, di fronte a dati oggettivamente non univoci, come mai non si sia ritenuto di configurare la condotta del medico come un tentativo di approcci ineleganti, inopportuni, deontologicamenti scorretti ma tali da non sconfinare nell'illecito penale. 2-articolo 606 lett D per mancata assunzione di una prova decisiva. Rileva il ricorrente che con la memoria del 2.5.011 veniva richiesta perizia tecnica volta ad accertare il contenuto delle immagini ecografiche numero 17 e 18, se la data e l'ora siano dati non modificabili a posteriori e dunque corrispondano al momento di effettuazione delle stesse lastre, previo esame della macchina con cui sono state prodotte. La corte di Appello ha respinto tale richiesta pur apparendo essa necessaria ai fini del decidere poiché la sentenza di primo grado aveva espresso delle riserve sulla parte del corpo oggetto dell'indagine ecografica, se si trattasse della schiena o di tessuto mammario, pur concordando che esse sono state effettuate 11 minuti dopo la prima ecografia. Considerato in diritto 1-La sentenza impugnata ha riconosciuto fondamentale importanza nel quadro degli elementi di conforto dell'attendibilità delle dichiarazioni accusatorie della parte offesa, allo stato di turbamento profondo presentato dalla Z. subito dopo l'accertamento ecografico ed ha desunto proprio da questa condizione psicologica, confermata dai testi escussi gli operatori sanitari che hanno raccolto lo sfogo della persona offesa ulteriore elemento di riscontro dell'accadimento e motivo idoneo a spiegare alcune lacune e contraddizioni rilevate nel raffronto fra i ripetuti racconti della vicenda fatti dalla vittima, prima con la segnalazione inoltrata alla direzione sanitaria lo stesso giorno dei fatti, poi con la querela, infine in sede di sommarie informazioni rese il 16.6.06 e il 31.8.07 nel corso delle indagini. Senonché mal si concilia con lo stato di agitazione manifestato dalla persona offesa nell'immediatezza dei fatti, all'uscita dall'ambulatorio la richiesta di un secondo esame alla colonna vertebrale rivolta allo stesso medico asserito autore delle molestie sessuali. È difficilmente spiegabile, sia sul piano logico sia su quello delle reazioni emotive, come mai la Z. , dopo essere stata sottoposta a ripetute avances da parte del dott. R. , gli abbia richiesto una seconda ecografia alla schiena. La logica e il buon senso avrebbero dovuto indurla a sottrarsi al più presto al contatto col medico per evitare il ripetersi delle molestie terminando l'esame ed andando via velocemente dopo aver ritirato il referto da lui redatto. Invece la giovane, benché già durante l'espletamento dell'esame al seno, avesse avuto modo di constatare quali fossero le sue intenzioni, in base agli apprezzamenti che il medico le rivolgeva ed ai tentativi di palpeggiarle il seno col pretesto di detergerlo con apposita carta dal gel utilizzato, gli ha chiesto un'estensione dell'ecografia ad altra parte del corpo. Tale iniziativa denota una padronanza della situazione, un controllo delle emozioni e una lucidità mentale che hanno consentito alla Z. , pur nel frangente delicato, di valutare ugualmente l'utilità pratica della richiesta al fine di procurarsi un accertamento ecografico da far eventualmente valere, se positivo, per un esonero dalle mansioni lavorative svolte, di formulare al medico tale richiesta accettando di sottoporsi al supplemento di ecografia e di soppesare il pericolo di una reiterazione della avances, accettando conseguentemente il relativo rischio. Non vi è dubbio che una siffatta capacità di controllo strida con gli accadimenti come descritti dalla persona offesa, in presenza dei quali sarebbe stato logico aspettarsi altre reazioni improntate al turbamento, all’agitazione e allo sdegno, comunque al rapido allontanamento da quello studio medico ove, insieme all’accertamento ecografico, si erano compiuti gli approcci erotici. La stessa agitazione che comprensibilmente sarebbe stato lecito aspettarsi al compiersi immediato delle molestie, la Z. l'ha invece manifestata all'uscita dall'ambulatorio allorché si è rivolta al personale sanitario denunciando l'accaduto e redigendo una nota scritta, su indicazione delle direttore sanitario che ha constatato direttamente, oltre ad alcuni infermieri, il turbamento della donna. Dunque, singolarmente, la vittima ha conservato la calma fino a quando è rimasta all'interno dello studio medico richiedendo e sottoponendosi ad una seconda indagine ecografica non prevista, quando almeno parte degli approcci sessuali si erano già consumati e poi, appena uscita dalla stanza, si è mostrata al personale sanitario in stato di evidente turbamento ed agitazione. È evidente che la condotta della vittima, nel rapido susseguirsi degli stati emozionali che l'hanno caratterizzata, non presenta alcuna omogeneità. In definitiva, o si ritiene che la Z. abbia riportato un forte turbamento dalle asserite avances del medico e in tal caso avrebbe dovuto allontanarsi subito dall'ambulatorio mostrandosi confusa e turbata, senza richiedere alcun altro esame ecografico, o che la Z. non abbia subito un turbamento, mantenendo la sua lucidità al punto tale da percorrere tutti quei passaggi logici e quelle valutazioni di opportunità che l'hanno portata a richiedere e a sottoporsi ad una seconda ecografia. Premessa questa disamina sulla condotta della parte offesa, va detto che la sentenza di appello fornisce una spiegazione del comportamento della predetta volta ad escludere qualsiasi contraddittorietà. A parere dei Giudici di seconde cure, non essendoci stato alcun dispiego di forza fisica da parte del medico nelle sue manifestazioni erotiche ed essendo stata in grado la Z. di contenere gli impulsi dell'uomo respingendolo con un semplice gesto senza che ciò avesse provocato alcuna manifestazione violenta da parte del predetto, considerato che il luogo in cui i due si trovavano, un ambulatorio medico in orario di visite, con presenza di personale sanitario e di pazienti, rendeva alquanto difficile una reiterazione delle attenzioni erotiche da parte dell'imputato, sol che si consideri che bastava un semplice grido della paziente ad attirare l'attenzione degli operatori, non è poi così peregrino ritenere che la Z. , nonostante fosse stata oggetto delle avances del medico, anziché andare subito via, gli abbia chiesto l'esecuzione di ulteriore esame ecografico alla schiena, spinta verosimilmente dall'utilità di procurarsi un accertamento medico ecografico in quella parte del corpo da poter utilmente far valere per le esigenze connesse allo svolgimento del suo lavoro di magazziniera. La circostanza che la richiesta di un ulteriore esame ecografico non sia stata fatta presente dalla parte offesa né in sede di querela, né durante il primo esame reso alla PG delegata non è ritenuta dai giudici di seconde cure ostativa alla valutazione di attendibilità della sua deposizione poiché è ben verosimile che tale circostanza non fosse stata ritenuta dalla Z. rilevante nel contesto dell'accaduto in base al rilievo che erano solo le condotte dell'imputato quelle che in sede processuale dovevano essere descritte dalla persona offesa. Così ricostruita la struttura argomentativa della sentenza impugnata, devesi rilevare che essa non fornisce una convincente spiegazione della contraddittorietà della condotta della persona offesa. La spiegazione della logicità del comportamento della persona offesa si basa tutta su illazioni, su considerazioni dei giudici di appello fondate su una ipotetica ricostruzione di quello che sarebbe stato il ragionamento seguito dalla Z. , non sorrette da alcun elemento fattuale e da alcun dato probatorio. Peraltro la sentenza impugnata, nel ritenere logicamente compatibile la richiesta di ulteriore ecografia da parte della paziente appena molestata, omette di effettuare un raccordo fra tale condotta, che sottende uno stato mentale di perdurante razionalità, e la condizione di agitazione e di turbamento manifestata dalla stessa vittima appena uscita dall'ambulatorio. I Giudici di appello si limitano a dare una spiegazione, in termini di logica compatibilità con gli approcci subiti, dell'iniziativa della Z. tesa a richiedere una seconda ecografia così prolungando la sua permanenza nell'ambulatorio, ma non forniscono alcuna plausibile spiegazione della conciliabilità di tale atteggiamento, fino ad allora tenuto dalla parte offesa, con lo stato di grave turbamento e confusione manifestato appena uscita dall'ambulatorio, che sicuramente sarebbe stato ostativo di qualsiasi ulteriore richiesta al medico. La carenza di argomentazioni sul punto assume non poco rilievo sol che si consideri la valenza probatoria attribuita dalla Corte territoriale alla condizione psicologica di grave prostrazione della Z. , confermata dai testi escussi il personale sanitario presente nella struttura ospedaliera , assunta come elemento di riscontro dell'attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa e, al tempo stesso, elemento idoneo a giustificare lacune e contraddizioni in cui è essa è incorsa durante le ripetute descrizioni dell’accaduto. In definitiva appaiono evidenti le contraddizioni della sentenza impugnata che, da una parte, fornisce una spiegazione della richiesta da parte della Z. del secondo esame peraltro sottaciuta nel corso del procedimento dalla stessa , in termini di razionale valutazione di utilità e convenienza, atteggiamento che esprime il mantenimento di uno stato di lucidità e di padronanza della situazione, e dall'altra fonda la credibilità della parte offesa sulla condizione di profondo turbamento ed agitazione manifestata all'uscita dallo studio medico, inconciliabile con i precedenti comportamenti. Al fine del superamento di tali discordanze, si impone l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Trieste, la quale, anche attraverso un'ulteriore valutazione delle condizioni psicologiche della vittima subito dopo i fatti denunciati, dovrà meglio motivare in ordine alla discrasia fra la tentata violenza sessuale e la richiesta di un secondo esame rivolta allo stesso medico resosi autore dei lamentati approcci sessuali. Il secondo motivo mancata assunzione di prova decisiva rimane assorbito dalle deduzioni sopra svolte. La Corte di Appello, in sede di rinvio, provvedere alla liquidazione delle spese della parte civile. P.Q.M. Annulla con rinvio, davanti ad altra sezione della Corte di appello di Trieste, la sentenza impugnata.