Una donna serba, in attesa di giudizio, costretta a rispettare l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, anche gli oltre 90 giorni consentiti. L'interpretazione dalla Corte d'Appello, però, viene completamente ribaltata.
Mandato di arresto europeo pendente sulla sua testa, con un procedimento da portare a conclusione. Eppure, nonostante l'attesa per la sentenza sulla richiesta di consegna, non può essere prolungato eccezionalmente il ricorso alle misure cautelari.Chiara la posizione assunta dalla Corte di Cassazione - con sentenza numero 38144/2011, Sezione Feriale Penale, depositata ieri -, che ribalta completamente la decisione assunta dalla Corte d'Appello.Mandato d'arresto. Tutta la vicenda nasce dall'emissione di un mandato di arresto europeo nei confronti di una donna serba. Che, una volta arrestata, viene prima portata in carcere, per poi concederle gli arresti domiciliari, e, infine, la misura dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Tutto finalizzato, ovviamente, a garantire la possibilità di eseguire il mandato d'arresto europeo.Misure cautelari. A finire sotto i riflettori, però, è la gestione delle misure cautelari nei confronti della donna. Quest'ultima, difatti, richiede la revoca dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, ma la risposta della Corte d'Appello è negativa.Questo è il casus belli, che spinge la donna a presentare ricorso per cassazione. Elemento centrale è la valutazione dei limiti massimi per l'applicazione delle misure cautelari, ovvero il termine di 60 giorni, maggiorato dalla proroga di giorni 30, ivi stabilito per l'efficacia della misura, ove non sopraggiunga, in tale termine, la sentenza sulla richiesta di consegna , tenendo presente e ricordando la piena equiparazione di trattamento delle misure detentive alle altre .Secondo la ricorrente, il termine fissato è perentorio , quindi va rispettato sempre. Anche laddove il procedimento per la sentenza sulla consegna al Paese che ha emesso il mandato d'arresto è ancora in fieri Interpretazione da correggere. Il principio fissato dalla legge è chiaro, ovvero esiste un termine di efficacia alle restrizioni imposte dall'applicazione delle misure cautelari e si prevede che la persona ricercata sia posta in libertà una volta superato quel termine. Tutto ciò senza immaginare una visione diversa per l'applicazione di una misura alternativa alla detenzione .Eppure, ai giudici della Cassazione viene proposta in un'ottica critica l'interpretazione fornita dalla Corte d'Appello, che ha ritenuto di poter fare riferimento ai termini più lunghi previsti per le misure coercitive diverse dalla custodia cautelare .Come valutare questa interpretazione? Per il Palazzaccio essa va corretta, soprattutto alla luce di alcune chiavi di lettura innanzitutto, la norma impone di porre l'interessato immediatamente in libertà allo scadere dei termini , e non vi è dubbio che non si faccia riferimento solo alle misure più restrittive e peraltro anche le misure coercitive minori producono limitazioni alla libertà eppoi, si prevede l'eventualità di una durata della procedura di consegna maggiore dei 90 giorni come un'assoluta eccezione e si afferma, comunque, che allo scadere di tale termine, ferma restando la possibilità di concludere il procedimento per la consegna, deve in ogni caso essere disposta la cessazione di qualsiasi misura cautelare adottata per garantire la materiale consegna della persona richiesta .A questo quadro, poi, i giudici di piazza Cavour aggiungono un altro elemento la dilatazione dei termini , proposta dalla Corte d'Appello, rischia di condurre a un paradosso, ovvero attribuire efficacia alle misure cautelari per un tempo massimo quantificabile in 90 più 180 giorni , quindi di gran lunga superiore, in astratto, alla pena che potrebbe eseguirsi all'estero, poiché può farsi ricorso alla richiesta di mandato d'arresto europeo anche per dare esecuzione a sanzioni pari a 4 mesi di reclusione .Alla luce di questi elementi, la misura coercitiva applicata nei confronti della donna viene dichiarata inefficace, al pari dell'ordinanza della Corte d'Appello.
Corte di Cassazione, sez. Feriale Penale, sentenza 25 agosto - 21 ottobre 2011, numero 38144Presidente Esposito - Relatore PetruzzellisRitenuto in fatto1. V. V. propone ricorso avverso l'ordinanza emessa nel corso del procedimento instaurato a seguito dell'emissione di un mandato di arresto europeo, con la quale la Corte d'appello di Milano il 21/7/2011 ha respinto la richiesta di revoca della misura dell'obbligo di presentazione alla p.g Si rileva violazione delle norme di cui aqli articolo 17 comma 2 e 21 l. 22 aprile 2005 numero 69 nonché dell'articolo 282 c.p.p. non essendo stato rispettato il termine di sessanta giorni, maggiorato della proroga di giorni trenta, ivi stabilito per l'efficacia della misura, ove non sopraggiunga in tale termine la sentenza sulla richiesta di consegna.In fatto si rileva che l'arresto venne eseguito il 19/4/2011, e successivamente vennero concessi gli arresti domiciliari, cui venne sostituita la misura alternativa il 12/7, mentre i 60 gg., prorogati di trenta giorni, fissati dalla legge quale termine massimo, scadevano il 18/7 successivo.Richiamate le disposizioni che impongono la cessazione di efficacia delle misure cautelari alla scadenza del termine, nonché la piena equiparazione di trattamento delle misure detentive alle altre indicate n'elle disposizioni di cui agli articolo 280 e segg., si ritiene di non poter desumere la presenza di una diversa determinazione nella norma speciale contenuta nell'articolo 21 l. cit.La natura perentoria del termine non permette, secondo il ricorrente, che la disposizione di cui all'articolo 39 l. cit. legittimi l'applicazione dell'articolo 308 c.p.p. in tema di durata delle misure diverse dalla custodia cautelare.Considerato in diritto1. Il ricorso è fondato.La disposizione di cui all'articolo 21 l. 22 aprile 2005 numero 69 pone un termine di efficacia alle restrizioni imposte dall'applicazione delle misure cautelari previste dalla normativa, disponendo che la persona ricercata sia posta in libertà, senza distinguere tra le misure limitative applicate, e il principio di stretta interpretazione, che si impone in materie quali quelle incidenti sulla libertà delle persone, non consente di escluderne l'operatività nell'ipotesi in cui sia applicata una misura alternativa alla detenzione.L'interpretazione seguita dal giudice di merito, che ha ritenuto di poter fare riferimento ai termini più lunghi previsti dall'articolo 308 c.p.p. per le misure coercitive diverse dalla custodia cautelare, che sarebbe sorretta dal richiamo contenuto nell'articolo 39 l. cit. alle norme del codice di procedura penale, in quanto compatibili, non risulta legittimata dal testo della disposizione, e rivela delle insuperabili difficoltà di concreta applicazione.Deve in primo luogo rilevarsi che la previsione di cui all'articolo 21 non è imposta dalla decisione quadro, di cui la normativa interna costituisce applicazione, posto che il termine di 90 gg. indicato nella norma internazionale è attinente solo alla decisione, e la giurisprudenza ha chiarito che tale termine non assume effetto perentorio, realizzando esclusivamente un'occasione di verifica dell'effettività della collaborazione tra gli Stati, che assume conseguenze sul piano diplomatico e politico. La previsione della disciplina interna di perenzione della misura quindi realizza l'esigenza primaria di riconoscere un termine massimo di efficacia delle misure restrittive, in ragione dell'impossibilità di mutuare, con il richiamo normativa alle disposizioni del codice di procedura interno, quelle generali nei procedimenti applicabili nei procedimenti penali sottoposti alla cognizione del giudice italiano, che non sono trasponibili nella diversa procedura, per la loro particolare scansione per fasi, non adattabili, quindi a procedimenti con diverse cadenze procedimentali.A tale considerazione si deve aggiungere il richiamo testuale, di natura generale, contenuto nella disposizione di cui all'articolo 21, che impone di porre l'interessato immediatamente in libertà allo scadere dei termini, espressione che non sembra potersi riferire solo alle misure più restrittive, non essendovi dubbio che anche le misure coercitive minori producano delle limitazioni alla libertà.Il complesso degli elementi esposti induce quindi a ritenere, in linea con la ratio ispiratrice della decisione quadro, che prevede l'eventualità di una durata della procedura di consegna maggiore dei novanta giorni come un'assoluta eccezione, che allo scadere di tale termine, ferma restando la possibilità di concludere il procedimento per la consegna, deve in ogni caso essere disposta la cessaz1one di qualsiasi misura cautelare adottata per garantire la materiale consegna della persona richiesta.Da ultimo non risulta ultroneo osservare che la dilatazione dei termini di efficacia della misura che l'interpretazione svolta dalla Corte territoriale sembra suggerire, consentirebbe di attribuire efficacia alle misure cautelari per un tempo massimo ipoteticamente quantificabile in 90 gg. più 180 gg., di gran lunga superiore, in astratto, alla pena che potrebbe eseguirsi all'estero, poiché può farsi ricorso alla richiesta di mandato di arresto europeo, anche per dare esecuzione a sanzioni pari a quattro mesi di reclusione tale considerazione risulta ulteriormente evidenziare l'impossibilità di aderire all'interpretazione seguita dal giudice di merito.D'altro canto è indubbio che, anche nel procedimento in esame, debba garantirsi l'osservanza dei principi fondamentali del nostro ordinamento, tra cui quello dell'articolo 13 Cost. che prevede la natura strettamente funzionale al processo che deve essere riconosciuta alla custodia cautelare, che ne impongono la provvisorietà e, correlativamente, la durata in termini strettamente proporzionali alla finalità del procedimento, circostanza che rende necessaria, ai sensi dell'ultimo comma della disposizione citata, l'individuazione di un termine massimo di custodia anche per lo specifico procedimento.La lettura dell'art 21 l. 22 aprile 2005 numero 69 nel senso qui ritenuto è in linea con quanto valutato da questa Corte, nella sua composizione più autorevole Sez. U, Sentenza numero 41540 del 28/11/2006, dep. 8/12/2006, imp. Stosic, Rv. 234917 nel diverso procedimento di estradizione., che è ispirato ai medesimi principi, ove è previsto un termine massimo di custodia autonomo rispetto a quello dettato per i procedimenti di cognizione penali in quella sede si è ritenuto che la norma di chiusura che richiama le disposizioni codicistiche per quanto non specificamente previsto, non potesse riferirsi ad una materia, quale la libertà personale, tutelata dai principi fondamentali della Costituzione e dalle norme internazionali.A diversa conclusione non può pervenirsi con il richiamo all'oggettiva necessità di garantire efficacia alla procedura volta all'esecuzione delle pronunce giudiziarie straniere che deve essere perseguita con il rispetto dei principi fondamentali, esigendosi per realizzare l'obiettivo di efficacia, risposte legislative di natura diversa rispetto a quelle formulate, in assenza delle quali non può che operarsi una opzione di stretta interpretazione letterale, in linea con i principi fondamentali in materia richiamati.Ne consegue che, accertata la maturazione del termine massimo fissata dalla legge, debba disporsi l'annullamento dell'ordinanza impugnata, senza rinvio ex articolo 610 lett. I c.p.p, provvedendosi a dichiarare l'inefficacia della misura coercitiva in atto.P.Q.M.Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e dichiara l'inefficacia della misura coercitiva applicata nei confronti della ricorrente.