Cane ‘dimenticato’ nella pensione privata e pagamento della retta interrotto, nessuna ipotesi di abbandono

Azzerata completamente la pronuncia di condanna emessa dal Gup nei confronti di una donna, che non aveva ritirato l’animale nonostante le sollecitazioni della struttura. Bloccato anche il versamento della quota mensile. Ma il canile è comunque obbligato a garantire assistenza, cura e custodia all’animale.

Animale ‘dimenticato’ nell’albergo per cani, e pagamento della retta interrotto a metà situazione borderline, senza dubbio, ma nessuna possibilità di contestare il reato di abbandono. Soprattutto se la struttura di riferimento è «affidabile e professionale» Cassazione, sentenza numero 13338, sezione Terza Penale, depositata oggi . Affidamento a tempo indeterminato? Due animali affidati alla ‘pensione’ per cani, con tanto di retta da mensile, ma la proprietaria li ‘dimentica’ lì per tanto, troppo tempo e ciò nonostante le sollecitazioni ricevute dal responsabile della struttura. Ecco perché la donna viene condannata – dal giudice dell’udienza preliminare – per il reato di abbandono di animali, e obbligata a pagare 2mila euro di ammenda. Secondo il giudice, difatti, i cani «erano stati affidati ad un canile privato e non ad un canile municipale» e, quindi, «avrebbero potuto essere privati delle necessarie cura e custodia». Cure come da contratto. Ma la sanzione pecuniaria viene contestata dalla proprietaria dei due animali, che, tramite il proprio avvocato, presenta ricorso per cassazione, affermando che non si è verificato «un abbandono». Difatti, secondo la tesi difensiva, gli animali sono stati affidati «ad un canile», e anche la struttura privata è obbligata a garantire «la cura e la custodia, per contratto». Secondo la ricorrente, quindi, nessun addebito è possibile, in ambito penale, perché agli animali, comunque, la ‘pensione’ ha da assicurare, per forza di cose, assistenza adeguata. Nessun abbandono. Ebbene, la prospettiva tracciata dalla proprietaria sotto accusa finisce per essere condivisa dai giudici della Cassazione, i quali, alla luce della vicenda, riportano che la donna «aveva affidato due cani a una struttura privata, aveva pagato le prime mensilità contrattualmente previste e aveva sottoscritto apposita clausola con la quale autorizzava il canile, in caso di bisogno, ad intervenire e ad anticipare le spese per le prestazioni e i mezzi terapeutici», ma, poi, «aveva sospeso i pagamenti e non aveva risposto alle sollecitazioni» per il ritiro degli animali, e, allo stesso tempo, ricordano che, da giurisprudenza, l’ipotesi dell’abbandono si concretizza solo se non viene assicurato «il rispetto delle esigenze psico-fisiche dell’animale» e se quest’ultimo si trova «sprovvisto di custodia e cura» ed è «esposto a pericolo per la sua incolumità». Per la legge, però, il mancato pagamento della ‘retta’ da parte del proprietario dell’animale non autorizza la struttura – sia pubblica che privata – ad «abbandonare il cane», ad «interromperne la cura e la custodia» o a sopprimere l’animale. Ciò comporta che il proprietario dell’animale, in caso di «sospensione dei pagamenti» o di «mancato ritiro», può rispondere di inadempimento contrattuale, non di abbandono a patto che non sia «prevedibile, per l’inaffidabilità o la mancanza di professionalità del canile, l’abbandono del cane» da parte della struttura. Ma tale ipotesi non emerge in questa vicenda, ecco perché i giudici – accogliendo il ricorso presentato dalla donna – azzerano la pronuncia di condanna emessa dal Gup e chiudono la questione ritenendo non ravvisabile il reato di «abbandono di animali».

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 gennaio – 10 aprile 2012, numero 13338 Presidente Mannino – Relatore Franco Svolgimento del processo Con la sentenza in epigrafe il Gup del tribunale di Como dichiarò R.N. colpevole del reato di cui all’articolo 727 cod. penumero per avere abbandonato presso un allevamento pensione cui li aveva affidati due cani, in quanto, nonostante le sollecitazioni, non li aveva ritirati decorso il termine fissato, e la condannò alla pena di € 2.000,00 di ammenda. Osservò il giudice che il fatto integrava il reato contestato perché i cani erano stati affidati ad un canile privatio e non ad un canile municipale, quindi avrebbero potuto essere privati delle necessarie cura e custodia. L’imputata, a mezzo dell’avv. D.D., propone ricorso per cassazione - erroneamente qualificato come appello - deducendo che il fatto non integra il reato contestato. Osserva in particolare che il principio, affermato dalla giurisprudenza, che non si verifica un abbandono di animali e non è integrato il relativo reato quando i cani sono affidati ad un canile, deve riguardare sia le strutture pubbliche sia quelle private, perché anche in queste ultime sono garantite, per contratto, la cura e la custodia. Motivi della decisione Il ricorso è fondato perché la vicenda in esame riguarda in realtà solo una ipotesi di inadempimento contrattuale tra privati e perché la sentenza impugnata è frutto di una interpretazione distorta ed erronea della giurisprudenza di questa i Corte. Nella specie è stato accertato che l’imputata aveva affidato due cani di sua proprietà presso una struttura privata, aveva pagato le prime mensilità contrattualmente previste ed aveva sottoscritto apposita clausola contrattuale con la quale autorizzava il canile, in caso di bisogno, ad intervenire e ad anticipare le spese per le prestazioni ed i mezzi terapeutici. Era poi accaduto che l’imputata aveva sospeso i pagamenti e non aveva risposto alle sollecitazioni di ritirare il cane del canile, il cui responsabile la aveva quindi denunciata per il reato in questione. Ora, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’abbandono previsto e sanzionato dall’articolo 727 cod. penumero deve ravvisarsi quando l’animale, del quale l’agente abbia potere di disposizione, venga sottratto anche per mera colpa alle prestazioni idonee ad assicurare il rispetto delle esigenze psicofisiche specifiche di ogni animale, con la conseguenza che lo stesso si trovi sprovvisto di custodia e cura ed esposto a pericolo per la sua incolumità. E’ evidente che questa situazione di abbandono non può ravvisarsi nel solo comportamento del proprietario che affidi il suo cane ad una struttura o allevamento privato, il quale, sulla base di une specifico contratto oneroso, assuma verso il proprietario l’obbligazione di custodire e curare l’animale e di evitare i pericoli per la sua incolumità, provvedendo anche, in caso di bisogno, alle necessarie prestazioni sanitarie ed ai mezzi terapeutici. Né un comportamento di abbandono - nel senso indicato dalla norma incriminatrice - può ravvisarsi di per sé nel solo fatto di avere sospeso il pagamento del corrispettivo o nel non avere ritirato il cane, perché ciò configura appunto un inadempimento contrattuale ma non autorizza certamente la struttura o il canile affidatario ad abbandonare il cane a se stesso, ad interromperne la cura e la custodia o, addirittura, a sopprimerlo, comportamenti questi che, del resto, potrebbero a loro volta integrare il reato a carico del responsabile del canile. Costui, infatti, in una ipotesi del genere, oltre ad agire civilmente per il recupero del suo credito, potrà legalmente liberarsi del cane solo con le procedure previste dalla legge per l’affidamento dell’animale ad una struttura pubblica. Ne deriva che il proprietario che abbia affidato il cane ad un canile privato che si sia contrattualmente obbligato alla sua cura e custodia, potrà eventualmente rispondere di abbandono nel caso di sospensione dei pagamenti o di mancato ritiro solo quando sia concretamente prevedibile - per l’inaffidabilità o la mancanza di professionalità del canile affidatario - che questa situazione determini l’abbandono del cane da parte del canile. Nel caso di specie, però, non risulta dalla sentenza impugnata alcun elemento da cui possa ritenersi provata una situazione di questo genere ed anzi sembra che la stessa debba essere esclusa in quanto non risulta che il titolare del canile, che aveva sporto la denuncia, sia stato a sua volta incriminato per il reato di cui all’articolo 727 cod. penumero , dal che deve desumersi che in concreto i due cani non erano stati abbandonati. In questo senso è la concorde giurisprudenza di questa Corte, la quale ha sempre ritenuto che deve escludersi la configurabilità del reato di abbandono di animali in, caso di mancato ritiro di un cane dal canile cui era stato in precedenza affidato dal proprietario Sez. III, 21.2.2008, numero 14421, Bellino, numero 239969 o in caso di soggetto che abbia consegnato il suo cane ad un canile comunale dichiarando falsamente che era randagio Sez. III, 5.7 2001, numero 34396, Menchi, numero 220105 . Entrambe queste decisioni si riferiscono a casi di cani affidati ad un canile municipale e mettono in rilievo il fatto che gli animali ricoverati presso le strutture comunali non possono essere soppressi né destinati alla sperimentazione e agli stessi, nell’attesa della cessione a privati, vengono assicurate le necessarie prestazioni di cura e custodia. Il giudice a quo ha quindi ritenuto che la stessa soluzione non potesse applicarsi al caso in esame perché nella specie il cane era stato affidato ad una struttura privata e non ad un canile municipale. E’ però evidente che la ratio decidendi sulla quale si basano le suddette decisioni non si fonda certamente sul fatto che si trattava di canile municipale e non di canile privato bensì sul fatto che non poteva concretare abbandono la consegna del cane o il suo mancato ritiro da un luogo nel quale l’animale poteva ricevere le necessarie prestazioni di cura e custodia. Il fatto che nella specie si trattasse di canile privato era quindi irrilevante, a meno che non risultasse che tale canile non assicurava la necessaria cura e custodia e che di ciò l’imputata fosse stata consapevole o potesse essere consapevole con l’ordinaria diligenza. In conclusione, non essendo ravvisabile nei fatti emergenti dalla sentenza impugnata alcuna ipotesi di abbandono del cane, la sentenza impugnata deve, ai sensi dell’articolo 129 cod. proc. penumero , essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.