Decreto ingiuntivo in favore dell’avvocato, ma a carico di chi?

L’incarico professionale conferito nell’interesse della società dal legale rappresentante non può essere considerato assegnato in nome proprio da quest’ultimo, con inevitabili conseguenze sul piano debitorio.

In questo senso l’ordinanza numero 15604/12 della Sesta sezione civile della Cassazione. Il caso. Due avvocati ottenevano l’emissione di un decreto ingiuntivo a carico di un socio e del liquidatore di una società, per la somma dovuta in ragione delle loro prestazioni personali. In primo grado il Tribunale revocava il decreto, mentre la Corte d’appello riformava poi la decisione e condannava i debitori al pagamento. Costoro ricorrono infine per cassazione. La Suprema Corte, con ordinanza, ordina l’integrazione del contraddittorio dato che solo uno dei due debitori ingiunti aveva promosso il ricorso, salvo poi – nell’ambito del rito in camera di consiglio – revoca re tale ordinanza non ritenendo sussistente il litisconsorzio necessario. Incarico professionale e carico debitorioPunto centrale del ricorso risulta essere il conferimento dell’incarico professionale e il conseguente addebito del costo della prestazione. La Corte territoriale aveva ritenuto sussistente la responsabilità debitoria dell’opponente - ricorrente in cassazione – sulla base del fatto che questi aveva inviato ad uno dei professionisti intimanti una lettera mediante la quale conferiva l’incarico, firmandola però come legale rappresentante della società. le parole sono importanti. La Cassazione, che accoglie il ricorso, rileva l’illogicità della motivazione sul punto. Invero, la sentenza impugnata non deduce in maniera puntuale e convincente come mai l’incarico professionale sarebbe stato conferito in nome proprio dal debitore e non nell’interesse della società dal suo legale rappresentante, come in effetti si può concludere facendo riferimento al dato letterale della missiva. In più, a ben vedere, la lettera non aveva nemmeno il tenore di un espresso conferimento di incarico, dato che era volta a verificare l’avvenuto passaggio di documenti dal precedente studio legale al nuovo. Mandato ad litem. Non trova accoglimento, invece, il motivo di ricorso inerente la produzione del mandato ad litem. Infatti, argomenta la Corte, nei casi in cui l’incarico professionale venga conferito al difensore da un terzo – nel caso di specie nell’interesse della società – non è necessario la consegna di un incarico scritto da parte del conferente, soggetto che non può nemmeno sottoscrivere la procura in luogo dell’interessato. Per tali motivi la Cassazione rinvia la sentenza impugnata alla Corte d’appello di provenienza per un nuovo esame delle parti prive di adeguata e logica motivazione.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile-2, ordinanza 6 luglio – 17 settembre 2012, numero 15604 Presidente Goldoni – Relatore D’Ascola Fatto e diritto 1 Il tribunale di Firenze con sentenza numero 1501/06 revocava il decreto ingiuntivo relativo a compenso per prestazioni professionali emesso in favore degli avvocati A L. e S.L. , a carico dei signori P.C.R. e F.S. , già rispettivamente socio e liquidatore della Toscanabagni srl. La Corte d'appello di Firenze il 17 settembre 2009 riformava la decisione e, contumace il F. , condannava P.C.R. al pagamento di Euro 16.214,93 in favore dei due professionisti. Il soccombente ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 25 marzo 2010 ai due professionisti appellanti, i quali sono rimasti intimati. Con ordinanza 12 gennaio 2012, la Corte ha ordinato di integrare il contraddittorio con l'altro debitore ingiunto, F.S. , provvedendo ai sensi dell'articolo 331 cpc. Parte ricorrente ha depositato atto di integrazione del contraddittorio. Il giudice relatore ha nuovamente avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio. 2 Preliminarmente va revocata l'ordinanza 338/12, relativa all'integrazione del contraddittorio. Dalla sentenza d'appello emerge infatti che gli appellanti L. e S. in quella sede avevano formulato conclusioni soltanto nei confronti del P.C. , senza insistere nella pretesa creditoria contro il F. , il quale aveva vittoriosamente impugnato l'ingiunzione. Non sussiste litisconsorzio necessario, poiché l'appello nei confronti del F. non è stato coltivato e le posizioni debitorie sono scindibili. 3 Il ricorso è fondato. Come ha rilevato la relazione preliminare, la Corte d'appello ha giudicato sussistente la personale responsabilità debitoria dell'opponente, in quanto avrebbe conferito ai due legali l'incarico professionale, che, si è detto, può anche essere dato in favore di un terzo, come nel caso in cui l'incarico venga attribuito in favore di una società di capitali da chi rivesta un ruolo sociale nella società stessa. Per la prova di ciò, nella specie, la Corte di appello ha ritenuto sufficiente l'esistenza di una lettera indirizzata all'avv. L. dal C. , il quale però firmava in qualità di legale rappresentante della ditta Dino Chiappini srl . 3.1 Il primo motivo di ricorso censura la decisione per violazione dell'articolo 2697 c.c. e vizi di motivazione circa il conferimento dell'incarico in proprio e nell'interesse di società terza . Il motivo, dedotto in relazione all'articolo 360 numero 3 e 5 c.p.c., consta di due profili. Si conclude con un quesito di diritto , che contiene sufficiente sintesi delle questioni esposte. Il primo profilo, sebbene deduca anche la violazione dell'articolo 2697 c.c., si risolve esclusivamente nella denuncia di un vizio di motivazione, poiché lamenta l'insufficienza di essa a quanto alla prova della provenienza dell'incarico professionale da parte del P.C. personalmente b quanto alla portata della lettera del ricorrente, non idonea al conferimento di incarico alcuno e comunque destinata ad uno solo dei professionisti ingiungenti. La doglianza è fondata. Essa rileva puntualmente l'illogicità della deduzione, in alcun altro modo argomentata, che l'incarico professionale in favore della Toscanabagni fosse stato conferito dal Chiappini in proprio, sebbene questi avesse firmato la lettera esprimendosi con la prima persona plurale e firmandosi quale responsabile legale di una srl. La sentenza avrebbe dovuto spiegare perché, nonostante avesse speso il nome della società rappresentata, in realtà l'amministratore intendesse conferire personalmente l'incarico, assumendo il relativo impegno di spesa. Poiché nulla di tutto ciò emerge dalla sentenza impugnata, il vizio motivazionale sussiste. Il vizio è ancor più chiaro in considerazione della circostanza - evidenziata sub b - che la stessa lettera alla quale si è fatto riferimento per addebitare al P.C. l'onere del pagamento delle competenze professionali, non aveva il tenore di un espresso conferimento di incarico, ma solo di richiesta di verifica dell'avvenuto passaggio di documenti dal precedente studio legale avv. U. al nuovo. Dunque si inseriva nell'ambito di precedente contatto tra la società e l'unico professionista in indirizzo, l’avv. L. . È pertanto manifestamente illogico, e va nuovamente motivato, se possibile, il perché sia desumibile da siffatta corrispondenza l'attribuzione a entrambi i professionisti di un incarico personale - e non quale rappresentante della società - proveniente dal P.C. . Il secondo profilo di censura contenuto nel primo motivo attiene alla attività difensiva svolta in sede giudiziaria dai professionisti, sempre nell'interesse della società come si trae dalle premesse in fatto del ricorso . Il ricorrente sostiene che al fine di ottenere il compenso per attività svolta in tal sede, i professionisti avrebbero dovuto produrre indispensabilmente il mandato ad litem rilasciato dall'ingiunto. Questo profilo di doglianza non coglie nel segno, poiché è ben possibile la esistenza di un incarico professionale conferito al difensore da un terzo, nell'interesse della parte che si deve costituire in giudizio e che deve quindi rilasciare il mandato al difensore stesso Cass. 4959/12 . In tali casi, secondo la legislazione al tempo vigente, non era necessario il conferimento di incarico scritto da parte del conferente l'incarico e tantomeno poteva essere questi a sottoscrivere la procura ad litem in luogo della parte del giudizio cfr utilmente Cass. 24010/04 . Resta assorbito il secondo motivo, relativo alla non configurabilità, per impossibilità dell'oggetto, di un incarico professionale - pur se proveniente da un terzo - in favore di società già cessata. Altrettanto accade per il terzo motivo, attinente il difetto di motivazione circa l'effettivo svolgimento dell'attività professionale oggetto del contendere, questione che rileva solo se si afferma definitivamente la imputabilità al ricorrente del relativo incarico. Discende da quanto esposto l'accoglimento del primo profilo del primo motivo di ricorso e il rigetto del secondo. La sentenza impugnata va cassata per difetto di motivazione e la cognizione rimessa ad altra sezione della Corte di appello di Firenze, che in sede di rinvio liquiderà anche le spese di questo giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie primo profilo del primo motivo di ricorso e rigetta il secondo. Assorbiti secondo e terzo motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Firenze, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.