Ius aedificandi: i limiti precisi per la compressione

La delibera del Consiglio comunale di reiterazione dei vincoli urbanistici non può limitarsi a dettare una prescrizione omnicomprensiva, volta a reiterare i vincoli scaduti. Il provvedimento per essere legittimo deve essere motivato da elementi ulteriori diversi dalla constatazione dell’avvenuta scadenza degli stessi e da generiche esigenze del territorio comunale.

Nella sentenza numero 3365/12 del Consiglio di Stato depositata il 7 giugno , la Quinta Sezione accoglie l'appello della Società che si era vista revocare la concessione edilizia e contraddice, quindi, le conclusioni alle quali era giunto il giudice di primo grado il quale aveva ritenuto che la scelta dell’Amministrazione di adottare una delibera di reiterazione dei vincoli prima dell’avvio della procedura di revisione generale del PRG non si poneva in contrasto con alcuna norma in materia. La norma e l’orientamento del Consiglio. Osserva il Collegio che l’articolo 2 l. numero 1187/68 – che consentiva la reiterazione dei vincoli scaduti – così disponeva «le indicazioni di piano regolatore generale, nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione o a vincoli comportanti l'inedificabilità, perdono ogni efficacia qualora entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati o autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati. L'efficacia dei vincoli predetti non può essere protratta oltre il termine di attuazione dei piani particolareggiati e di lottizzazione». La tradizionale opzione ermeneutica della giurisprudenza amministrativa è stata stabilmente orientata nell’affermare che la motivazione sottesa alla reiterazione potesse anche consistere in generiche considerazioni omnicomprensive dell’intero territorio comunale. Si era perciò affermato, Consiglio Stato, sez. IV, numero 305/96 che «in sede di reiterazione dei vincoli scaduti per decorrenza del quinquennio, nel caso in cui l'amministrazione intenda procedere alla reiterazione totale dei vincoli, la documentazione dell'esistenza dei problemi di ordine generale che incidono in senso negativo sulle condizioni di vita dell'intera cittadinanza, non risolti o addirittura medio tempore aggravatisi, è sufficiente a legittimare la suddetta reiterazione totale, senza bisogno di una rinnovata indagine condotta sulle singole aree, onde accertare la persistente necessità di disporre di esse, al fine di soddisfare quelle esigenze, in quanto il giudizio in ordine all'attualità dei bisogni reca in sé quello sulla persistente attualità ed idoneità delle soluzioni a suo tempo prefigurate per soddisfarli. Viceversa, nel caso in cui il procedimento reiterativo del vincolo abbia un oggetto circoscritto, l'amministrazione è tenuta a supportarlo con una specifica ed esauriente motivazione, in quanto, avendo essa omesso di attivare con tempestività il procedimento ablatorio, potrebbe aver ingenerato nel privato proprietario il convincimento che non sussista più un effettivo e concreto interesse pubblico da tutelare». Cambio di indirizzo la reiterazione motivata. Più di recente, tuttavia, rileva il Collegio, anche a seguito del decisivo impulso fornito dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale sentenza numero 179/99 , è stato affermato il principio secondo cui la reiterazione dei vincoli di piano regolatore a contenuto espropriativo scaduti deve essere accompagnata dalla previsione di un indennizzo. Si è assistito ad una decisa correzione di rotta che ha indotto la giurisprudenza ad affermare che «la legittimità della reiterazione non poteva prescindere dal positivo riscontro di una duplice condizione per un verso, che l’accantonamento delle somme necessarie per il pagamento dell’indennità di espropriazione è condizione di legittimità del provvedimento di reiterazione dei vincoli scaduti ai sensi dell’articolo 2 l. numero 1187 del 1968, sebbene puntualmente motivato e giustificato da un evidente interesse pubblico» Consiglio Stato, sez. IV, numero 4019/05 . Sotto altro profilo, si è evidenziato che la reiterazione dei vincoli urbanistici scaduti oggi rientrante nella previsione ex articolo 9 d.p.r. numero 327/01 non può disporsi senza svolgere una specifica indagine concreta relativa alle singole aree finalizzata a modulare le differenti esigenze, pubbliche e private. L'amministrazione nel reiterare i vincoli scaduti è tenuta ad accertare che l'interesse pubblico sia ancora attuale e non possa essere soddisfatto con soluzioni alternative. Poi deve indicare le concrete iniziative assunte o di prossima attuazione per soddisfarlo, nonché disporre l'accantonamento delle somme necessarie per il pagamento dell'indennità di espropriazione. Si è rilevato che «l'obbligo di motivazione in materia di reiterazione dei vincoli urbanistici scaduti sussiste anche quando la reiterazione del vincolo sia disposta in occasione dell'adozione di variante generale al p.r.g. » Consiglio Stato, sez. IV, numero 2706/00 . La Sezione ritiene utile, a tale proposito, richiamare la motivazione della decisione del 2000, laddove si era affermato che circa l'insussistenza di un siffatto obbligo di motivazione quando la reiterazione dei vincoli di inedificabilità sia inserita all'interno di una variante c.d. generale non puntuale e specifica, basta osservare che ciò che conta è il tipo di determinazione adottata reiterazione di vincolo scaduto , e non l'ambito territoriale oggetto della complessiva disciplina in cui si inserisce, anche, la determinazione reiterativa. La gravosità e la operatività sostanzialmente espropriativa incidente in tal modo su singoli proprietari non sono attenuate o mutate dalla natura generale della variante reiterativa, per cui nessun riflesso tale natura esplica sull'esigenza di motivazione. Sarebbe troppo eludibile, osservava il Consiglio di Stato, la salvaguardia consistente nella motivazione è in effetti, null'altro che l'ostensione di una riflessione che deve essere ponderata e razionale circa il regime specifico delle aree vincolate. L'obbligo di motivazione. In sede di variante generale, quando investa le reiterazioni vincolistiche , non risulta snaturare la funzione programmatoria dello strumento urbanistico, poiché la specificità e globalità delle giustificazioni legittimamente adducibili per sostenere il complesso delle sue previsioni appaiono compatibili con l'ostensione specifica relativa a singole aree su cui incidano i vincoli scaduti e reiterati. La specificità di motivazione è, in tale ipotesi, connessa alla peculiarità della fattispecie, ove con la quale non viene esercitata la normale potestà programmatoria, il cui peso è insito nel regime della proprietà e, quindi, nella configurazione ordinaria del relativo diritto , ma incide sul contenuto naturale costituzionalmente garantito di quest'ultimo, ancorché appunto «in occasione dell'esercizio di un potere programmatorio che coesiste, però, con un'ulteriore determinazione di natura espropriativa. Certamente il modus della motivazione risente del carattere generale della variante adottata e, quindi, deve riflettere il probabile fenomeno dell'interdipendenza delle situazioni fattuali e degli obiettivi considerati nell'adozione. Le implicazioni concrete di un quadro composto e più ampio vanno esplicitate sì da evidenziare la coerenza e l'opportunità della soluzione adottata in relazione al quadro territoriale oggetto di programmazione. Non basta enunciare la necessità di apportare modifiche ed integrazioni alle previsioni del previgente strumento urbanistico nel senso di modificare zonizzazioni per coordinare organicamente certe destinazioni a servizi con la connessa innovazione alla normativa tecnica di attuazione , né basta affermare la generica necessità di colmare il vuoto di disciplina dovuto alla decadenza di pregressi vincoli a carattere espropriativi. La enunciazione in sé del vuoto di disciplina e delle esigenze pubblicistiche surriferite può solo costituire una premessa ma non l'intero svolgimento motivazionale della reiterazione. Per conferire alla valutazione di imposizione di vincoli scaduti e alla conseguente motivazione un grado di concretezza sufficiente, occorre che si proceda secondo uno schema logico minimo composto essenzialmente a ricognizione del perdurante bisogno di realizzare un certo assetto urbanistico di interesse della collettività e della portata, dimensione e priorità di tale interesse in relazione alla situazione attuale ed alle risorse disponibili b accertamento che la realizzazione di tale assetto possa implicare il coinvolgimento necessario ed attuale dell'area di proprietà privata già oggetto di vincolo c dimostrazione che eventuali soluzioni alternative siano impraticabili o eccessivamente onerose in base a criteri oggettivi di comparazione che tengano, però, anche conto del necessario bilanciamento tra costo dell'intervento pubblico e sacrificio imposto al privato. La concessione contesa. Quasi allo spirare decennale del vincolo, l’appellante chiese la concessione edilizia per realizzarvi un edificio ad uso produttivo rilascio dell’istanza il 2 maggio 1997 in precedenza con delibera consiliare del maggio 1996 erano state approvate le linee guida per l’impostazione della variante al PRG il 31 ottobre 1997 venne emessa la delibera numero 133 con la quale vennero reiterati i vincoli scaduti, e nel novembre 1997 venne notificato all’appellante l’atto di ritiro della concessione rilasciatagli. In riferimento a tale iter cronologico il Collegio ritiene condivisibile la critica appellatoria secondo cui la impugnata delibera numero 133 del 31.10.1997 di reiterazione dei vincoli meriti censura per il solo fatto di essere esclusivamente rivolta ad affermare la reieterazione. Il collegamento teleologico della stessa con la deliberazione del C.C. numero 50 del 6.5.1996 di approvazione delle linee guida per la stesura della variante generale al PRG, e l’assenza di previsione normativa che prescriva obbligatoriamente – e contestualmente, come prospettato da parte appellante – la reiterazione del vincolo accompagnata alla “nuova” formazione del territorio, costituiscono elementi per cui il Collegio condivide la tesi dell’appellante l’assenza di procedimentalizzazione e la circostanza che essa non abbia seguito l’ iter della variante urbanistica connotano la detta delibera di illegittimità. Ciò in quanto è proprio il supposto collegamento della delibera di reiterazione alle linee-guida della variante delibera numero 50/1996 a non essere sussistente in concreto, posto che, mentre la delibera in ultimo citata preconizzava una futura ed accurata ponderazione, nulla di tutto ciò si rinviene nella delibera reiterativa numero 133. La procedimentalizzazione dei vincoli . Il Collegio aderisce alla tesi della giurisprudenza amministrativa per cui «l'obbligo di provvedere alla rideterminazione urbanistica di un'area, in relazione alla quale sono decaduti i vincoli espropriativi precedentemente in vigore, non comporta che essa riceva una destinazione urbanistica edificatoria o nel senso voluto dal privato, essendo in ogni caso rimessa al potere discrezionale dell'Amministrazione comunale la verifica e la scelta della destinazione che, in coerenza con la più generale disciplina urbanistica del territorio, risulti più idonea e più adeguata in relazione all'interesse pubblico al corretto e armonico utilizzo del territorio, potendo anche ammettersi la reiterazione degli stessi vincoli scaduti, sebbene nei limiti di una congrua e specifica motivazione sulla perdurante attualità della previsione, comparata con gli interessi privati» Consiglio di Stato, Quarta Sezione, numero 2262/10 . Del resto, la necessaria “procedimentalizzazione” della scelta reiterativa dei vincoli scaduti ha ricevuto di recente autorevole avallo dalla Corte Costituzionale ha di recente affermato, in relazione a questo aspetto, che è necessaria «la procedimentalizzazione della verifica, caso per caso, della persistente attualità dell'interesse allo sviluppo industriale in rapporto all'interesse dei proprietari» Corte Costituzionale, numero 314/07 . In caso contrario, infatti, la destinazione azzonante impressa dell’amministrazione comunale sfuggirebbe alla maggiormente garantita procedura che prevede oltre all’intervento dei destinatari ultimi della reiterazione, in sede di predisposizione delle osservazioni la doppia verifica degli Enti preposti alla programmazione dell’assetto territoriale attraverso il duplice momento della adozione e della approvazione della normativa relativa all’assetto territoriale.

Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 15 maggio – 7 giugno 2012, numero 3365 Presidente Giaccardi – Relatore Taormina Fatto Con il ricorso di primo grado e con successivi motivi aggiunti era stato chiesto dagli odierni appellati Quintino Pelligrò in proprio e Società Costruzioni Pelligrò Quintino e Francesco, l’annullamento del provvedimento del Sindaco del Comune di Samarate numero 162 del 3.11.1997 di annullamento della concessione edilizia numero 312 del 1997 rilasciata in data 11 luglio 1997, della deliberazione del C.C. numero 50 del 6.5.1996 di approvazione delle linee guida per la stesura della variante generale al PRG, nonché della deliberazione del C.C. numero 133 del 31.10.1997 di reiterazione dei vincoli e di ogni altro atto connesso, preordinato o conseguente. L’atto di ritiro della concessione era stato motivato dall’amministrazione comunale appellata facendo riferimento alla circostanza che con deliberazione di C.C. numero 50 del 6.5.96 erano state approvate le linee guida della variante generale al PRG vigente e con la deliberazione numero 133 del 31.10.1997, immediatamente eseguibile, il Consiglio Comunale aveva reiterato i vincoli del PRG vigente. Sull’area non risultava avviata alcuna opera finalizzata alla predisposizione di cantiere per dar corso alla C.E. rilasciata e pertanto per effetto della delibera consiliare succitata la C.E. numero 312/96 aveva perso efficacia. Gli originarii ricorrenti erano insorti avvero l’atto di ritiro prospettando, con numerosi ed articolati motivi,l’illegittimità della delibera di reiterazione dei vincoli, in quanto adottata indipendentemente da un provvedimento di revisione del PRG e priva di puntuale motivazione, dall’altro l’illegittimità del provvedimento di annullamento, quale atto conseguente alla suddetta delibera, nonchè la violazione dell’art 7 L. 241/90. Essi avevano poi espressamente gravato le delibere consiliari nnumero 50/97 e 133/97. Il primo giudice ha analiticamente esaminato le doglianze dedotte ed ha in primo luogo respinto quelle mosse avverso le delibere consiliari atti presupposti del provvedimento di annullamento per violazione delle disposizioni in materia di poteri pianificatori del Comune. Secondo la tesi esposta nella impugnazione, era illegittimo che la reiterazione dei vincoli non fosse stata adottata in concomitanza all’adozione di una variante procedimento, questo, che l’Amministrazione si era riservata di avviare in un secondo tempo . Ad avviso del Tribunale amministrativo della Lombardia, invece, una volta scaduto il vincolo decorso cioè il termine quinquennale di cui all’art 2, l. 19 novembre 1968 numero 1187 , l’Amministrazione restava tenuta ad adottare il provvedimento di reiterazione se ciò rispondeva ad un interesse pubblico ancora attuale mentre nessuna disposizione imponeva che la reiterazione fosse concomitante alla revisione dello strumento urbanistico, in quanto i due procedimenti, di reiterazione dei vincoli e di revisione del PRG, potevano essere temporalmente differenziati. La scelta dell’Amministrazione di adottare una delibera di reiterazione dei vincoli prima dell’avvio della procedura di revisione generale del PRG non si poneva quindi in contrasto con alcuna disposizione in materia. Del pari è stata respinta la doglianza incentrata sulla omissione, nelle suindicate delibere, di una puntuale motivazione sulla scelta di reiterazione del vincolo, sulla attualità della previsione, in comparazione con l’interesse dei privati, e sulla omessa indicazione della misura dell’indennizzo per il sacrificio imposto. Il primo giudice ha a tal proposito rimarcato che la delibera numero 133/97 era stata adottata antecedentemente alla sentenza della Corte Costituzionale numero 179/99 al momento dell’adozione della stessa, quindi, l’Amministrazione non era tenuta a prevedere un indennizzo, ma unicamente ad esternare una motivazione sulla attualità dell'interesse pubblico da soddisfare, correlato al mantenimento del vincolo. Detta motivazione era certamente rinvenibile l’Amministrazione aveva preso atto dello sviluppo nella direttrice nord-sud e della concentrazione di aree a standard nelle zone centrali, quindi aveva richiamato le linee guida approvate nella precedente delibera 50/96, ribadendo la necessità di mantenere le aree a standard di notevole dimensione, stante la loro funzione significativa nella strategia della pianificazione . L’area normata risultava inclusa in una “zona per insediamenti pubblici e per interesse comunale” destinata in via preminente alla realizzazione di opere di urbanizzazione secondaria, necessarie all'adeguamento degli standards riferiti al tessuto edilizio esistente. Di tale necessità l’amministrazione comunale aveva dato atto seppure con riferimento alla totalità delle aree a standard e non all’area specifica di pertinenza dell’odierna appellante nel suddetto atto deliberativo. Dalle superiori considerazioni discendeva l’infondatezza delle censure, proposte con i motivi aggiunti, contestanti la asserita contraddittorietà tra le due delibere e la mancata valutazione dell’interesse dei privati, in quanto nelle linee guida il Consiglio Comunale aveva rimarcato la necessità da un lato di reperire nuove aree a standard “ di acquisire aree commisurando l’interesse pubblico alle legittime aspettative dei privati, reperire nuove aree anche contestualmente all’attivazione dei piani esecutivi” , e di una “migliore gestione” delle attuali dotazioni, con particolare riguardo alla riqualificazione ed integrazione dell’esistente. La reiterazione del vincolo sulle aree destinate a servizi rispondeva quindi alle finalità compiutamente espresse nelle linee guida. Così respinte le censure avverso le delibere quali atti presupposti del ritiro, il primo giudice ha preso in esame –respingendole le doglianze volte a prospettare la illegittimità del provvedimento di revoca per invalidità derivata. Ha quindi preso in esame il motivo incentrato sulla tesi secondo cui l’adozione di una delibera di reiterazione dei vincoli e di una delibera meramente programmatica della futura pianificazione non potevano costituire una causa di annullamento di una concessione edilizia già rilasciata e ne ha dichiarato la infondatezza alla stregua di quanto disposto dall’articolo 31 comma 10 della legge 1150/1942 e nella constatazione che la delibera numero 133/97 avesse confermato un vincolo preespropriativo, essendo l’area destinata ad insediamenti pubblici, al fine di reperire standard . Da ciò discendeva anche la infondatezza del motivo incentrato sulla mancata comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di un atto vincolato, per il quale l’apporto partecipativo era ritenuto irrilevante. L’originaria parte ricorrente rimasta soccombente ha appellato la sentenza in epigrafe criticandola sotto tutti i versanti motivazionali suindicati e chiedendone la riforma. Ha ricostruito la cronologia degli accadimenti facendo presente che la concessione edilizia numero 312 del 1996 venne rilasciata in favore di Pelligrò Quintino e Pelligrò Francesco in data 11 luglio 1997 venne volturata in favore della Società Costruzioni Pelligrò Quintino SAS e vennero pagati gli oneri di urbanizzazione, ed in data 3 novembre 1997 venne notificata la statuizione revocatoria del titolo abilitativo gravata in primo grado in relazione agli atti consiliari numero 50/1996 e 183/1997 con i quali si era deliberato di reiterare tutti i vincoli scaduti per decorso del termine di cui all’articolo 2 della legge 1168/1997. Ha sostenuto che la delibera numero 133 del 1997 con la quale si era unicamente stabilito di reiterare tutti i vincoli decaduti violava il principio di tipicità e nominatività dei provvedimenti urbanistici contenuto nella legge numero 1150/1942 e violava altresì l’art 2, della l. 19 novembre 1968 numero 1187. Ha per altro verso rimarcato che la legge della Regione Lombardia numero 51/1975 non prevedeva che la reiterazione di un vincolo potesse avvenire mercè l’adozione di una singola delibera ed ha altresì invocato la decisione della Corte Costituzionale numero 314 del 20 luglio 2007 che aveva affermato il principio della procedimentalizzazione della verifica. Con il secondo motivo di gravame è stata ribadita la carenza di istruttoria e motivazione della cennata delibera, la omessa previsione di alcun indennizzo, e la contrarietà della stessa con la precedente delibera numero 50/1996 contenente le linee-guida per il PRG, ribadendo che la omessa differenziazione tra aree piccole e grandi viziava irrimediabilmente la detta reiterazione. La necessità di prevedere un indennizzo, riaffermata dalla decisione della Corte Costituzionale numero 179/1999 trovava spunto nella precedente decisione della Corte Costituzionale numero 155/1968 ed era stata ribadita nelle decisioni numero 82/1982 e numero 575/1989. Ha poi evidenziato che la impugnata decisione era viziata ex articolo 112 del codice di procedura civile in quanto il primo giudice non aveva preso in esame il vizio di difetto di motivazione della impugnata delibera che si riferiva illegittimamente ad una asserita esigenza di attuare “l’indirizzo politico amministrativo consiliare”. Al momento del rilascio della concessione edilizia la variante al PRG non era stata neppure adottata, ma erano state soltanto adottate le linee-guida del 6 maggio 1996 non poteva quindi applicarsi l’articolo 31 della legge numero 1150/1942, che presupponeva la vigenza “la entrata in vigore” di norme urbanistiche incompatibili con il titolo abilitativo edilizio rilasciato a parte appellante numero 312 del 1997 in data 11 luglio 1997. Con il quarto motivo di censura si è ribadita la violazione dell’articolo 7 della legge 7 agosto 1990 numero 241 né l’omesso avviso della revoca della concessione poteva essere dequotato ex articolo 21 octies della predetta legge numero 241/1990, non trattandosi di atto vincolato. Infine, la statuizione del primo giudice meritava riforma anche in punto di condanna alle spese del giudizio di primo grado inflitte all’odierna appellante. Con successivo atto a seguito del fallimento Società Costruzioni Pelligrò Quintino SAS si è costituita in giudizio la curatela fallimentare che ha depositato una articolata memoria chiedendo l’accoglimento del gravame. L’amministrazione comunale appellata ha depositato due articolate memorie evidenziando che a seguito della futura approvazione del nuovo piano regolatore comunale in corso di adozione l’area in esame sarebbe stata gratificata dall’attribuzione di quote volumetriche maggiori di quelle assentite con la concessione originariamente rilasciata ed annullata, il che privava di interesse parte appellante alla prosecuzione dell’odierno giudizio. Nel merito, comunque, la impugnata decisione era immune da censure e l’appellante non aveva chiarito la propria legittimazione alla proposizione del ricorso di primo grado e dell’appello Alla odierna pubblica udienza del 15 maggio 2012 la causa è stata posta in decisione. Diritto 1.L’appello è fondato e merita di essere accolto nei termini di cui alla motivazione che segue, con conseguente riforma della impugnata decisione, accoglimento del ricorso di primo grado ed annullamento degli atti impugnati, ad esclusione della delibera numero 50/1996, non direttamente attinta da censure ma assunta quale parametro dimostrativo dei vizi attingenti l’azione amministrativa. 1.1. La prima questione da esaminare riposa nella paventata sopravvenuta carenza di interesse a coltivare l’odierno gravame in capo all’appellante. La detta eccezione proposta dal Comune di Samarate non può essere accolta in quanto consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale afferma che “il requisito dell'attualità dell'interesse non sussiste quando il pregiudizio derivante dall'atto amministrativo è meramente eventuale, e cioè quando l'emanazione del provvedimento non sia di per sé in grado di arrecare una lesione nella sfera giuridica del soggetto né sia certo che una siffatta lesione comunque si realizzerà in un secondo tempo pertanto, è inammissibile il ricorso che tende ad ottenere una pronuncia di principio, che possa essere fatta valere in un futuro giudizio con riferimento a successivi comportamenti dell'amministrazione, atteso che la tutela di un interesse strumentale deve aderire in modo rigoroso all'oggetto del giudizio, con carattere diretto ed attuale.” Consiglio Stato , sez. IV, 19 giugno 2006, numero 3656 . Nel caso di specie l’avversato annullamento del titolo concessorio ha già prodotto i propri effetti il futuro PRG e le prescrizioni maggiormente favorevoli alla parte appellante asseritamente ivi contenute non erano ancora state approvate né adottate al momento della proposizione del gravame come non lo sono tuttora , il che impedisce di prendere positivamente in considerazione la dedotta eccezione e costituisce questione di merito eventuale, non delibabile in questa sede in assenza di domanda risarcitoria, l’effettiva brevità del lasso temporale tra rilascio della concessione e ritiro della stessa e la circostanza che mai vennero iniziati i lavori . Al contempo, la circostanza che la parte ricorrente di primo grado fosse la detentrice, a seguito di volturazione, del titolo abilitativo edilizio “ritirato”, non può ingenerare dubbio alcuno in ordine alla legittimazione di questa ad impugnare gli atti incidenti in senso negativo sul predetto titolo abilitativo la relativa eccezione ma meglio sarebbe dire la “perplessità” in quanto formulata in termini dubitativi dell’amministrazione comunale non ha ragion d’essere. 2. Nel merito, e quanto ai primi due motivi di censura prospettati, ed al quinto motivo, che per la loro intima connessione possono essere esaminati congiuntamente, rammenta il Collegio, al fine di far precedere il più puntuale esame delle doglianze da alcune considerazioni generali di natura riepilogativa, che l’art 2, l. 19 novembre 1968 numero 1187 che consentiva la reiterazione dei vincoli scaduti così disponeva “Le indicazioni di piano regolatore generale, nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione od a vincoli che comportino l'inedificabilità, perdono ogni efficacia qualora entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati. L'efficacia dei vincoli predetti non può essere protratta oltre il termine di attuazione dei piani particolareggiati e di lottizzazione. Per i piani regolatori generali approvati prima della data di entrata in vigore della presente legge, il termine di cinque anni di cui al precedente comma decorre dalla predetta data. ”. Si evidenzia in proposito che per lungo tempo la tradizionale opzione ermeneutica della giurisprudenza amministrativa è stata stabilmente orientata nell’affermare che la motivazione sottesa alla reiterazione potesse anche consistere in generiche considerazioni omnicomprensive dell’intero territorio comunale, soprattutto allorchè come nel caso in esame, venissero reiterati i vincoli afferenti l’intero territorio comunale si è pertanto affermato, in passato, che ”in sede di reiterazione dei vincoli scaduti per decorrenza del quinquennio, nel caso in cui l'amministrazione intenda procedere alla reiterazione totale dei vincoli , la documentazione dell'esistenza dei problemi di ordine generale che incidono in senso negativo sulle condizioni di vita dell'intera cittadinanza, non risolti o addirittura medio tempore aggravatisi, è sufficiente a legittimare la suddetta reiterazione totale, senza bisogno di una rinnovata indagine condotta sulle singole aree, onde accertare la persistente necessità di disporre di esse, al fine di soddisfare quelle esigenze, in quanto il giudizio in ordine all'attualità dei bisogni reca in sé quello sulla persistente attualità ed idoneità delle soluzioni a suo tempo prefigurate per soddisfarli. Viceversa, nel caso in cui il procedimento reiterativo del vincolo abbia un oggetto circoscritto, l'amministrazione è tenuta a supportarlo con una specifica ed esauriente motivazione, in quanto, avendo essa omesso di attivare con tempestività il procedimento ablatorio, potrebbe aver ingenerato nel privato proprietario il convincimento che non sussista più un effettivo e concreto interesse pubblico da tutelare.” Consiglio Stato , sez. IV, 12 marzo 1996 , numero 305 . Più di recente, tuttavia, anche a seguito del decisivo impulso fornito dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale si rimarca in proposito che la Corte Costituzionale con la sentenza numero 179 del 1999, ha affermato il principio secondo cui la reiterazione dei vincoli di piano regolatore a contenuto espropriativo scaduti deve essere accompagnata dalla previsione di un indennizzo si è assistito ad una decisa correzione di rotta che ha indotto la giurisprudenza ad affermare che la legittimità della reiterazione non poteva prescindere dal positivo riscontro di una duplice condizione si è pertanto affermato, per un verso, che “l’accantonamento delle somme necessarie per il pagamento dell’indennità di espropriazione è condizione di legittimità del provvedimento di reiterazione dei vincoli scaduti ai sensi dell’articolo 2 l. numero 1187 del 1968. sebbene puntualmente motivato e giustificato da un evidente interesse pubblico.” Consiglio Stato , sez. IV, 28 luglio 2005 , numero 4019 . Sotto altro profilo, si è evidenziato che la reiterazione dei vincoli urbanistici scaduti oggi rientrante nella previsione di cui all'articolo 9 d.P.R. 8 giugno 2001 numero 327 non può disporsi senza svolgere una specifica indagine concreta relativa alle singole aree finalizzata a modulare e considerare le differenti esigenze, pubbliche e private, in quanto l'amministrazione nel reiterare i vincoli scaduti è tenuta ad accertare che l'interesse pubblico sia ancora attuale e non possa essere soddisfatto con soluzioni alternative e deve indicare le concrete iniziative assunte o di prossima attuazione per soddisfarlo, nonché disporre l'accantonamento delle somme necessarie per il pagamento dell'indennità di espropriazione. Si è rilevato, in particolare, che “ l'obbligo di motivazione in materia di reiterazione dei vincoli urbanistici scaduti sussiste anche quando la reiterazione del vincolo sia disposta in occasione dell'adozione di variante generale al p.r.g. “ Consiglio Stato , sez. IV, 15 maggio 2000 , numero 2706 . Appare significativo riportare un breve stralcio della motivazione della decisione in ultimo citata, laddove si è affermato che “Circa l'insussistenza di un siffatto obbligo di motivazione laddove la reiterazione dei vincoli di inedificabilità sia inserita all'interno di una variante c.d. generale non puntuale e specifica, basta osservare che quello che conta è il tipo determinazione adottata reiterazione di vicolo scaduto , e non l'ambito territoriale più o meno ampio oggetto della complessiva disciplina in cui si inserisce, anche, la determinazione reiterativa. La gravosità e la operatività sostanzialmente espropriativa incidente in tal modo su singoli proprietari non sono attenuate o mutate dalla natura generale della variante reiterativa, per cui nessun riflesso tale natura esplica sull'esigenza di motivazione. Sarebbe sin troppo eludibile la salvaguardia consistente nella motivazione, che è poi, in effetti, null'altro che l'ostensione di una riflessione che deve essere ponderata e razionale circa il regime specifico delle aree vincolate, sorretta da un'effettiva ricognizione delle esigenze e delle reali caratteristiche del substrato urbanistico da disciplinare, se la sola generalità della variante o, comunque, dello strumento urbanistico, potesse riassorbirla, in omaggio ad un formalismo legato ad un aspetto la estensione del territorio comunale regolato non idoneo a influire sulla capacità lesiva ed espropriativa della reiterazione. L'obbligo di motivazione in sede di variante generale, quando investa le reiterazioni vincolistiche non risulta, invece, snaturare la funzione programmatoria dello strumento urbanistico, poiché la specificità e globalità delle giustificazioni legittimamente adducibili per sostenere il complesso delle sue previsioni, non tali cioè da dover indicare la ratio variandi di ogni singola precedente previsione appaiono compatibili con l'ostensione specifica ed esauriente relativa a singole aree su cui incidano i vincoli scaduti e reiterati. La specificità di motivazione è, infatti, in tale ipotesi, connessa alla peculiarità della fattispecie, ove con la quale non viene esercitata la normale potestà programmatoria, il cui peso è insito nel regime della proprietà e, quindi, nella configurazione ordinaria del relativo diritto , ma si incide sul contenuto naturale costituzionalmente garantito di quest'ultimo, ancorché appunto «in occasione dell'esercizio di un potere programmatorio che coesiste , però, con un'ulteriore determinazione di natura espropriativa. Certamente il modus della motivazione non può non risentire del carattere generale della variante adottata e, quindi, non può non riflettere il probabile fenomeno dell'interdipendenza delle situazioni fattuali e degli obiettivi considerati nell'adottare la variante medesima. Le implicazioni concrete di un quadro composto e più ampio, e cioè il modo in cui le scelte e le esigenze di assetto del territorio, nella sua più vasta articolazione, impongono sulla disciplina di una singola area in esso collocata, vanno esplicitate si da evidenziare la coerenza e l'opportunità della soluzione adottata in relazione al quadro territoriale oggetto di programmazione. Non basta a tal fine enunziare la necessità di apportare modifiche ed integrazioni alle previsioni del previdente strumento urbanistico nel senso di modificare zonizzazioni per coordinare organicamente certe destinazioni a servizi con la connessa innovazione alla normativa tecnica di attuazione , né basta enunciare la generica necessità di colmare il vuoto di disciplina dovuto alla decadenza di pregressi vincoli a carattere espropriativi. La enunciazione in sé del vuoto di disciplina e delle esigenze pubblicistiche surriferite può solo costituire una premessa ma non l'intero svolgimento motivazionale della reiterazione, come giustamente ha rilevato il giudice di prime cure. Per conferire alla valutazione di imposizione di vincoli scaduti ed alla conseguente motivazione un grado di concretezza sufficiente occorre che si proceda secondo uno schema logico minimo composto essenzialmente a dalla ricognizione del perdurante bisogno di realizzare un certo assetto urbanistico di interesse della collettività e della portata, dimensione e priorità di tale interesse in relazione alla situazione attuale ed alle risorse disponibili b dall'accertamento che la realizzazione di tale assetto possa implicare il coinvolgimento necessario ed attuale dell'are di proprietà privata già oggetto di vincolo c dalla dimostrazione che eventuali soluzioni alternative siano impraticabili o eccessivamente onerose in base a criteri oggettivi di comparazione che tengano, però, anche conto del necessario bilanciamento tra costo dell'intervento pubblico e sacrificio imposto al privato ciò in guisa che la minimizzazione di quest'ultimo può rendere praticabili anche soluzioni in sé più costose , entro limiti di ragionevolezza obiettiva emergenti dalla considerazione della priorità e delle dimensioni dell'intervento nonché delle risorse disponibili.”. 2.1. Alla stregua dei condivisibili principi sinora enunciati verranno esaminate le due macrocensure proposte dall’appellante, premettendo che non v’è controversia, tra le parti, in ordine alla cronologia degli accadimenti, che qui di seguito sinteticamente si rievocano l’area di pertinenza dell’appellante interessata dalla concessione edilizia poi revocata era originariamente normata dal PRG del comune di Samarate adottato con delibera numero 153/1983 ed approvato con delibera della Giunta Regionale della Lombardia numero 29304/1998 quale destinata ad insediamenti pubblici e di interesse comune. Quasi allo spirare decennale del vincolo, l’appellante chiese la concessione edilizia per realizzarvi un edificio ad uso produttivo istanza del 19 aprile 1997,rilascio del 2 maggio 1997 in precedenza con delibera consiliare numero 50 del 6 maggio 1996 erano state approvate le linee guida per l’impostazione della variante al PRG il 31 ottobre 1997 venne emessa la delibera numero 133 con la quale vennero reiterati i vincoli scaduti, ed il 3 novembre 1997 venne notificato all’appellante l’atto di ritiro della concessione rilasciatagli. 2.2. Così riassunto l’iter cronologico della vicenda, passando all’esame della doglianza, di natura “procedimentale e formale”, e pertanto rivestente portata preliminare, prospettata nel primo motivo di censura pare al Collegio sia condivisibile la critica appellatoria secondo cui la impugnata delibera numero 133 del 31.10.1997 di reiterazione dei vincoli meriti censura per il solo fatto di essere esclusivamente rivolta ad affermare la detta reieterazione. Il collegamento teleologico della stessa con la deliberazione del C.C. numero 50 del 6.5.1996 di approvazione delle linee guida per la stesura della variante generale al PRG, e l’assenza di alcuna previsione normativa che prescriva che obbligatoriamente – e contestualmente, come prospettato da parte appellante la reiterazione del vincolo debba accompagnarsi alla “nuova” formazione del territorio, costituiscono elementi che, ad una accurata ponderazione, non paiono militare in senso decisivo per la reiezione della doglianza Il Collegio condivide infatti la tesi dell’appellante secondo cui l’assenza di procedimentalizzazione e la circostanza che essa non abbia seguito l’iter della variante urbanistica connotino la detta delibera di illegittimità peraltro, ad avviso del Collegio , in concreto è proprio il supposto collegamento della stessa alle linee-guida della variante di cui alla precedente delibera numero 50/1996 a non essere sussistente in concreto, posto che, mentre la delibera in ultimo citata preconizzava una futura ed accurata ponderazione, nulla di tutto ciò si rinviene nella delibera reiterativa numero 133. Il Collegio aderisce alla tesi della giurisprudenza amministrativa per cui “ l'obbligo di provvedere alla rideterminazione urbanistica di un'area, in relazione alla quale sono decaduti i vincoli espropriativi precedentemente in vigore, non comporta che essa riceva una destinazione urbanistica edificatoria o nel senso voluto dal privato, essendo in ogni caso rimessa al potere discrezionale dell'Amministrazione comunale la verifica e la scelta della destinazione che, in coerenza con la più generale disciplina urbanistica del territorio, risulti più idonea e più adeguata in relazione all'interesse pubblico al corretto e armonico utilizzo del territorio, potendo anche ammettersi la reiterazione degli stessi vincoli scaduti, sebbene nei limiti di una congrua e specifica motivazione sulla perdurante attualità della previsione, comparata con gli interessi privati.” Consiglio di Stato, Quarta Sezione, numero 2262 del 21 aprile 2010 . Rammenta peraltro che la tesi contenuta nell’appello relativa alla necessaria “procedimentalizzazione” della scelta reiterativa dei vincoli scaduti ha ricevuto di recente autorevole avallo dalla Corte Costituzionale, che ha di recente affermato che, in punto di reiterazione dei vincoli, è necessaria “la procedimentalizzazione della verifica, caso per caso, della persistente attualità dell'interesse allo sviluppo industriale in rapporto all'interesse dei proprietari.” Corte costituzionale, 20 luglio 2007 , numero 314 . Ciò perché, altrimenti argomentando la destinazione azzonante impressa dell’amministrazione comunale sfuggirebbe alla maggiormente garantita procedura che prevede oltre all’intervento dei destinatari ultimi della reiterazione, in sede di predisposizione delle osservazioni la doppia verifica degli Enti preposti alla programmazione dell’assetto territoriale attraverso il duplice momento della adozione e della approvazione della normativa relativa all’assetto territoriale. La delibera numero 133/1997 adottata dall’amministrazione comunale all’evidenza, incide su tale profilo e ritiene il Collegio ne debba essere dichiarata la illegittimità. 3. Ad analogo convincimento di fondatezza delle dedotte censure si perviene peraltro allorchè si affronta il problema centrale della causa, rappresentato dalla esigenza di verificare se la delibera reiterativa fosse – o meno sufficientemente motivata con riferimento all’assetto del territorio e se la necessaria reiterazione della compressione del ius aedificandi spettante al privato fosse assistita da quel grado di ponderazione esplicativa che si è visto essere condicio sine qua non della legittimità della previsione predetta e che, in fondo, era stata postulata dalla stessa amministrazione comunale allorchè adottò la delibera numero 50/1996 predisponendo le linee-guida per il nuovo Prg . Non ritiene il Collegio che nel caso di specie l’avversato provvedimento fosse assistito dai detti requisiti motivazionali. Invero è agevole riscontrare che – come segnalato dall’appellante nel proprio articolato gravame l’amministrazione comunale si è limitata a dettare una prescrizione omnicomprensiva, volta a reiterare i vincoli scaduti, senza fare alcuna distinzione fondata sulla ampiezza delle aree, e senza supportare detta reiterazione da ulteriori apporti motivazionali diversi dalla constatazione dell’avvenuta scadenza degli stessi e da generiche esigenze del territorio comunale. Simile approccio non poteva giustificare – come si è chiarito in precedenza, allorchè sono stati esposti gli orientamenti giurisprudenziali sul punto il prolungarsi del sacrificio alle aspirazioni edificatorie dei privati incisi, proprio perché risultava carente la contemporanei triplice condizione riposante nella ricognizione del perdurante bisogno di realizzare un certo assetto urbanistico di interesse della collettività e della portata, dimensione e priorità di tale interesse in relazione alla situazione attuale ed alle risorse disponibili l'accertamento che la realizzazione di tale assetto possa implicare il coinvolgimento necessario ed attuale dell'are di proprietà privata già oggetto di vincolo e, soprattutto, la dimostrazione che eventuali soluzioni alternative siano impraticabili o eccessivamente onerose in base a criteri oggettivi di comparazione che tengano, però, anche conto del necessario bilanciamento tra costo dell'intervento pubblico e sacrificio imposto al privato”. Per altro verso, gli stessi scritti difensivi di parte appellata danno atto della circostanza che non vi fu nessuna specifica ponderazione con riferimento all’area di pertinenza di parte appellante ciò in contrasto con il principio enucleato dalla più avveduta giurisprudenza ed oggi ribadito ai sensi dell'articolo 9 d.P.R. 8 giugno 2001 numero 327 secondo cui la reiterazione dei vincoli urbanistici scaduti non può essere disposta, senza svolgere una specifica indagine concreta relativa alle singole aree finalizzata a modulare e considerare le differenti esigenze, pubbliche e private, in quanto l'amministrazione nel reiterare i vincoli scaduti è tenuta ad accertare che l'interesse pubblico sia ancora attuale e non possa essere soddisfatto con soluzioni alternative. L’appello merita di essere pertanto accolto anche con riguardo a tale profilo. Ciò consentirebbe già di pervenire all’annullamento della gravata delibera reiterativa e della conseguenziale revoca della concessione , previo assorbimento delle ulteriori censure. 3. Ritiene tuttavia il Collegio, per completezza, di esaminare alcuni ulteriori profili segnalati dell’appellante. 3.1.Con un ulteriore motivo di censura, rubricato al numero 3 dell’appello, si evidenzia la contraddittorietà della impugnata sentenza facendo presente che al momento del rilascio della concessione edilizia la variante al PRG non era stata neppure adottata, ma erano state soltanto adottate le linee-guida del 6 maggio 1996 non poteva quindi applicarsi l’articolo 31 della legge numero 1150/1942, che presupponeva la vigenza “la entrata in vigore” di norme urbanistiche incompatibili con il titolo abilitativo edilizio rilasciato a parte appellante numero 312 del 1997 in data 11 luglio 1997. Il primo giudice, allorchè aveva “salvato” la delibera di reiterazione dei vincoli aveva ritenuto legittimo che si disponesse la reiterazione di tutti i vincoli con apposita delibera ad hoc e senza adottare la procedimentalizzazione richiesta dalla legge urbanistica contraddittoriamente, poi, aveva ritenuto applicabile alla fattispecie il disposto dell’articolo l’articolo 31 comma X della legge numero 1150/1942 ratione temporis vigente che però presupponeva la “entrata in vigore di nuove previsioni urbanistiche” . 3.2. Anche in questo caso l’appello coglie nel segno, e la sentenza appare contraddittoria laddove ha prima sostanzialmente affermato la non necessità di una procedimentalizzazione “urbanistica” della reiterazione dei vincoli, per poi considerare decaduta la concessione a cagione di una “vigente” determinazione di natura urbanistica, senza avvedersi che né le linee guida in quanto non approvate né la delibera numero 133, potevano integrare tale condizione. Appare invece inaccoglibile la tesi appellatoria incentrata sulla pretesa sussistenza di un vizio di legittimità riposante nella omessa previsione dell’indennizzo, posto che la avversata delibera ha preceduto l’innovativo arresto della Corte Costituzionale numero 179/1999 in materia di indennizzabilità dei vincoli. 4. Conclusivamente, alla stregua delle superiori motivazioni ed assorbite le ulteriori censure prospettate, l’appello merita accoglimento e pertanto, in riforma della appellata decisione, deve essere accolto il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento, per quanto di ragione e precisato in motivazione, degli impugnati provvedimenti. 5. La complessità delle questioni prospettate, e la circostanza che medio tempore sono intervenute rilevanti decisioni della Corte Costituzionale che hanno modificato l’impostazione dell’attività di amministrazione attiva in subiecta materia, legittima la integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta definitivamente pronunciando sull'appello, numero di registro generale 7881 del 2008 come in epigrafe proposto,lo accoglie nei termini di cui alla motivazione che precede e, per l’effetto, in riforma della impugnata decisione accoglie il ricorso di primo grado ed annulla gli atti impugnati. Spese processuali compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.