Guerra civile in un palazzo per una macchina parcheggiata in malo modo. Dal confronto verbale alla lite vera e propria il passo è breve Volano parole grosse, non proprio oxfordiane. Ma l’uomo, accusato di aver ingiuriato la propria vicina, viene assolto perché la sua è stata una reazione all’offesa costituita dall’essersi visto sbattere la porta in faccia.
Porta chiusa in faccia per ben due volte. E allora capita di perdere la testa e usare parole non proprio oxfordiane Lapalissiana e scontata la contestazione del reato di ingiuria, che però viene azzerata perché l’atteggiamento tenuto dai vicini – ossia, metaforicamente, il rifiuto del dialogo – rappresenta una offesa vera e propria Cassazione, sentenza numero 4691, Prima sezione Penale, depositata oggi . Parcheggio fatale. Diverbio tipicamente italico, quello che occupa la giustizia italiana da ben sette anni, e addirittura con alle spalle già un passaggio in Cassazione. Pomo della discordia l’amato-odiato parcheggio. Che scatena una vera e propria ‘guerra civile’ La vicenda è presto riassunta un uomo suona alla porta della vicina di casa «per chiedere di spostare un’autovettura mal parcheggiata che impediva il transito in prossimità del garage», ma il dialogo non comincia mai Ciò che ne vien fuori è un diverbio che coinvolge non solo l’uomo e la vicina, ma anche il compagno di quest’ultima i toni sono accesi, volano parole grosse, e ci scappa anche il contatto fisico. A finire sotto accusa è l’uomo, accusato di aver rivolto «minacce gravi» e «ingiurie non giustificate» nei confronti della donna. Per i giudici, però, non vi è prova delle minacce – come da testimonianze –, e le ingiurie sono da considerare come una reazione all’atteggiamento offensivo tenuto proprio dalla vicina. Modi inurbani. E proprio l’addebito mosso nei suoi confronti spinge la donna a proporre ricorso in Cassazione, affermando che è stato «letteralmente inventato un comportamento offensivo mai posto in essere» e che su questo elemento è stata erroneamente poggiata la pronunzia assolutoria nei confronti dell’uomo. Eppure, anche per i giudici di Cassazione, i modi inurbani della vicina e dell’uomo si annullano reciprocamente. Perché, dando per certe le «ingiurie» nei confronti della donna – «brutta st vaff » –, esse «sono state proferite da soggetto, portatore di una giusta richiesta di spostare l’auto che gli impediva l’accesso al garage , cui due volte era stata chiusa la porta in faccia». Quest’atteggiamento va visto come «offesa non verbale », cui è seguita la reazione, anch’essa assolutamente inurbana, dell’uomo. Per questo motivo, ossia per la «reciprocità» delle offese, è da confermare l’assoluzione dell’uomo dal reato di ingiuria.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 13 dicembre 2012 – 30 gennaio 2013, numero 4691 Presidente Giordano – Relatore Rombola Ritenuto in fatto Con sentenza 14/10/11, pronunciata su rinvio della Corte di Cassazione che il 4/3/11 aveva annullato precedente sentenza di assoluzione in appello del 25/1/10 dopo una pronuncia di condanna in primo grado del Tribunale di Roma del 17/5/06 la Corte di Appello di Roma assolveva A.A. dal reato di minaccia aggravata in danno di L.P. perché il fatto non sussiste e da quello di ingiuria nei confronti della stessa L. per reciprocità fatti avvenuti a Roma il 13/9/03 . La vicenda trovava origine in un diverbio inizialmente insorto tra l’A., vicino di casa della L. che aveva suonato alla porta del suo alloggio per chiedere di spostare un’autovettura mal parcheggiata che impediva il transito in prossimità del garage, e il compagno della donna, M.G. Il diverbio era proseguito con la stessa L., cui l’A. secondo l’accusa rivolgeva minacce gravi “ti sparo” e ingiurie non giustificate “sei una stronza” . Seguiva una colluttazione tra il M. e l’A., che finiva per cadere dalle scale riportando lesioni. Per questa parte pendeva altro procedimento a carico del M., mentre l’A. era già stato assolto, per insussistenza del fatto, dall’ulteriore reato ascrittogli di violazione di domicilio. Avverso la rinnovata assoluzione da minacce e ingiurie ricorreva per cassazione a mezzo del suo difensore ai soli effetti civili la parte civile L.P. Premesso il proprio interesse ad impugnare nonostante l’intervenuta prescrizione dei reati e riepilogato lo sviluppo della vicenda processuale, deduceva 1 vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento in capo all’imputato della responsabilità dei reati contestati di minaccia grave e di ingiuria quanto al primo reato era stata ritenuta decisiva la teste C., domestica della L. che non aveva udito minacce, a preferenza delle concordi testimonianze in senso opposto della L. stessa e del M. quanto al secondo reato la Corte di Appello, affermando che l’A. si era visto prima chiudere la porta in faccia dal M. ed era stato poi offeso dalla L., aveva letteralmente “inventato” un comportamento offensivo mai posto in essere dalla detta L. sotto altro profilo lamentava che il giudice del rinvio avesse esorbitato dall’effetto devolutivo dell’appello dopo l’annullamento della cassazione, per il quale avrebbe dovuto limitarsi alla verifica dell’attendibilità della parte lesa e dei testi M. e C. in ogni caso, in assenza di evidenze favorevoli all’imputato, il giudice avrebbe dovuto pronunciare la prescrizione dei reati contestati 2 violazione di legge in ordine alla ritenuta causa di non punibilità derivante dalla presunta reciprocità delle offese. Chiedeva l’annullamento della sentenza assolutoria impugnata. Con missiva 26/11/12 l’A. negava di avere mai offeso, ingiuriato e minacciato la L. che in altro procedimento era stata condannata insieme col M. con sentenza 8/7/10 del Tribunale di Roma per violenza privata e lesioni volontarie in suo danno e allegava la lettera di scuse inviatagli il 19/11/12 dalla stessa L. dopo la ritirata denuncia per un fatto analogo. Alla pubblica udienza fissata per la discussione il PG chiedeva l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Roma la difesa della ricorrente parte civile chiedeva l’accoglimento del ricorso depositava conclusioni scritte e nota spese la difesa dell’imputato chiedeva il rigetto del ricorso con la conferma dell’impugnata sentenza. Considerato in diritto Il ricorso, manifestamente infondato, è inammissibile articolo 606.3. cpp . Esso non individua errori di diritto, ma, con rilievi sostanzialmente di fatto come tali estranei al giudizio in sede di legittimità , tende a sovrapporre le proprie valutazioni a quelle espresse, con congrua e corretta motivazione, dal giudice di merito. La posizione in tema della giurisprudenza di legittimità è tradizionale e consolidata “Alla luce della nuova formulazione dell’articolo 606, co. 1, lett. e , cpp, dettata dalla L. numero 46 del 20/2/06, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia a “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata b non “manifestamente illogica”, ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica c non internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute d non logicamente “incompatibile” con altri atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione” così Cass., sez. VI, sent. numero 10951 dei 15/3/06, rv. 233708, imp. Casula . Il giudice di appello che in sede di rinvio ha motivato l’assoluzione non è incorso in alcuno dei suddetti vizi. La sua motivazione è stata effettiva, logica, non internamente né esternamente contraddittoria precise e convincenti le dichiarazioni della teste disinteressata A.C., che in dibattimento ha escluso di aver sentito l’imputato proferire minacce confermate invece le ingiurie a la L. “brutta stronza vaffanculo” , ma proferite da soggetto, portatore di una giusta richiesta di spostare l’auto che gli impediva l’accesso ai garage , cui due volte era stata chiusa la pota in faccia la prima dal M., la seconda dalla donna che, dopo aver riaperto, aveva cercato ancora di richiudere poi il definitivo intervento del M. e la colluttazione tra i due uomini . L’offesa non verbale della L. si esprime nel suo atteggiamento offensivo. Le censure della ricorrente sono dunque di fatto, tendendo a sovrapporre le proprie valutazioni a quelle debitamente espresse dal giudice del rinvio, che, posto dopo l’annullamento della S.C. negli stessi poteri del giudice della sentenza annullata, ha compiutamente esaminato sia pur sinteticamente la fattispecie, valutando in particolare gli apporti testimoniali tanto è vero che sulla base delle dichiarazioni della medesima teste C. ha ritenuto sussistenti, anche se non punibili, le ingiurie addebitate all’A. . Sono proprio le evidenze come sopra ritenute dal giudice che hanno escluso ai sensi dell’articolo 129 cpp una declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione diversamente maturata il 13/3/11 . Le considerazioni che precedono esauriscono entrambi i motivi di ricorso. Alla dichiarazione di inammissibilità segue per legge la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di un’adeguata sanzione pecuniaria articolo 616 cpp . P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del processo e della somma di euro 1.000 alla Cassa delle ammende.