In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, quand’anche nel capo di imputazione sia individuata anche la data della fine della condotta contestata, trattandosi di reato permanente, qualora emerga nel corso del giudizio che la condotta omissiva sia proseguita anche dopo l’esercizio dell’azione penale, il termine prescrizionale decorre dalla data di delibazione della sentenza di primo grado e non da quella di emissione del decreto di citazione.
La Sesta Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n.9880/2016, depositata il 9 marzo, ribadisce un principio ormai granitico nella giurisprudenza di legittimità in relazione al reato contemplato dall’articolo 570 c.p. e alla data di decorrenza del termine prescrizionale del medesimo. La quaestio. Il caso trae origine dalla sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Catania che confermava il provvedimento di condanna emesso dal Tribunale di Ragusa nei confronti di un uomo, accusato del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, perché ometteva il versamento dell’assegno di mantenimento pari ad euro 309,00 mensili in favore della moglie e della figlia minore, così come disposto dal Tribunale Civile di Ragusa, in tal modo facendo mancare loro i mezzi di sussistenza. L’imputato veniva condannato a mesi otto di reclusione e ad euro 800,00 di multa, oltre che al risarcimento del danno in favore delle costituite parte civili. Nel corso del giudizio veniva acclarato che la donna non riusciva a provvedere al sostentamento proprio e della figliola perché, a causa delle precarie condizioni di salute di quest’ultima, poteva solo effettuare lavori saltuari e mal pagati, tanto da dover ricorrere all’aiuto economico dei familiari in ragione della mancata corresponsione da parte del marito dell’assegno di mantenimento. Già in appello il difensore dell’imputato lamentava che il Giudice di prime cure non avesse tenuto conto dell’assolvimento, da parte sua esclusiva, dell’impegno debitorio per l’acquisto della casa coniugale, assegnata alla moglie, oltre che dell’intervenuta prescrizione del reato. Le doglianze difensive di terzo grado. La Corte territoriale sicula confermava la decisione di primo grado, avverso cui il difensore dell’imputato propone ricorso per Cassazione, lamentando l’apparenza della motivazione ed il travisamento della prova in ordine alla valutazione della condotta serbata dal prevenuto, nonché l’erronea applicazione degli articolo 157 e 158 c.p. per avere il giudice di seconde cure individuato la data di decorrenza del termine di prescrizione dalla data di emissione della sentenza di primo grado pur essendovi, nel capo d’imputazione, la data della fine della permanenza della condotta delittuosa rimproverata. Il ricorso è inammissibile. Secondo i Giudici della Suprema Corte le argomentazioni difensive sono tutte volte ad un riesame del materiale probatorio, attività preclusa alla Corte di legittimità. I motivi di ricorso risultano, altresì, manifestamente infondati. In particolare, in punto di dies a quo del termine prescrizionale, nella pronuncia in commento viene in rilievo la pacificità dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui la prescrizione del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, fattispecie permanente per eccellenza, inizia a decorrere dall’emissione del decreto di citazione a giudizio oppure dalla data di deliberazione della sentenza di primo grado. Quale il discrimen ? L’individuazione della data di cessazione della condotta contestata all’imputato. Se vi è una contestazione temporalmente aperta ovvero se nel corso del giudizio è emersa la prosecuzione dell’azione illecita anche successivamente all’esercizio dell’azione penale la data da cui decorre il termine di prescrizione del reato è da identificarsi con quella di emissione della sentenza di primo grado.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 16 febbraio – 9 marzo 2016, numero 9880 Presidente Conti – Relatore Criscuolo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 14/07/2014 la Corte di Appello di Catania ha confermato la sentenza emessa il 30/06/2010 dal Tribunale di Ragusa in composizione monocratica nei confronti di D.Q.G. , ritenuto colpevole del reato di cui all’articolo 570, secondo comma, cod. penumero perché ometteva il versamento dell’assegno di mantenimento di 309,87 euro mensili, come disposto dal Tribunale di Ragusa con provvedimento numero 15/02, a favore della moglie separata S.M. e della figlia minore L. , così facendo loro mancare i mezzi di sussistenza-, e per l’effetto condannato alla pena di mesi otto di reclusione ed euro 800,00 di multa oltre al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite. Nel giudizio di merito era stato accertato che l’imputato non aveva versato l’assegno mensile di euro 309,87, stabilito nella sentenza di separazione a titolo di mantenimento della moglie e della figlia minore, in quanto la prima aveva redditi saltuari, svolgendo lavori precari ed occasionali, e la minore versava in precarie condizioni di salute. L’inadempimento protratto per un lunghissimo periodo di tempo in danno della moglie e della figlia, mentre versavano in una situazione di assoluta indigenza, al punto da dover ricorrere all’aiuto dei familiari e dei servizi sociali del Comune di Ragusa, integrava il reato contestato. In sede di appello il difensore dell’imputato aveva dedotto la carenza di motivazione della sentenza di primo grado, lamentato la mancata valutazione dell’estinzione del debito gravante sulla casa familiare, eccepito la prescrizione del reato e contestato l’entità della pena inflitta. La Corte d’appello, ritenute infondate la prospettazione e le eccezioni difensive, aveva confermato la sentenza di primo grado. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello ricorre il difensore dell’imputato, che ne chiede l’annullamento per i seguenti motivi 2.1 motivazione apparente, erronea applicazione dell’articolo 570 cod. penumero e travisamento della prova il difensore deduce l’erroneità dell’impianto accusatorio, in quanto all’imputato si contesta di serbare una condotta contraria alla morale familiare, omettendo di versare l’assegno di mantenimento, dunque, con riferimento al primo comma dell’articolo 570 cod. penumero , senza che vi sia stata alcuna verifica della sussistenza dello stato di bisogno, essenziale per la configurabilità del reato, né accertamento sulla capacità economica dell’imputato. Contesta l’assenza di una rigorosa valutazione delle dichiarazioni della Spanò, stante l’esistenza di motivi di risentimento, riconosciuti nella sentenza di separazione contesta, altresì, la risposta apparente data a tali doglianze, dandosi per scontata la consapevolezza dello stato di bisogno della ex moglie e della figlia minore, senza indicare gli elementi dai quali si ricaverebbe tale consapevolezza. Deduce che vi è travisamento della prova in ordine alla capacità economica dell’imputato poiché l’estinzione del debito di 93 mila Euro, contratto per l’acquisto di un immobile, viene ritenuto indicativo della capacità economica dell’imputato, trascurando che tale debito gravava sull’abitazione familiare, occupata dalla ex moglie e dalla figlia, ed in percentuale minima gravava anche sulla S. , alla quale l’imputato aveva evitato il pignoramento peraltro, la Corte di appello ha trascurato la proposta dell’imputato di cedere alla figlia la nuda proprietà dell’appartamento 2.2 mancanza di motivazione in ordine al riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’articolo 62 numero 6 cod. penumero , non avendo la Corte spiegato la ragione per la quale il pagamento del debito relativo all’immobile, assegnato alla ex moglie, non integra l’attenuante 2.3 erronea applicazione degli articolo 81 cod. penumero e 157-158 cod. penumero per avere la Corte applicato l’aumento per la continuazione condotta in danno della minore e della madre , non contestata nel capo di imputazione errato nel determinare il termine di prescrizione, ritenendo il reato permanente e fissando la cessazione della permanenza alla data della sentenza di primo grado giugno 2010 a fronte del preciso termine finale di consumazione, indicato nell’imputazione, dal quale decorre il termine di prescrizione 2.4 mancanza di motivazione in relazione alle statuizioni civili, atteso che la condanna al risarcimento del danno non risulta giustificata, in quanto il danno è stato integralmente risarcito, sia con le elargizioni alla figlia che con il pagamento di 93 mila euro per l’estinzione del debito, gravante sull’abitazione coniugale, né risultano motivati i criteri di calcolo del danno materiale e morale. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. Premesso che il ricorso per cassazione è ammesso per vizi della motivazione riconducibili tassativamente soltanto alla motivazione totalmente mancante o apparente, manifestamente illogica o contraddittoria intrinsecamente o rispetto ad altri atti processuali specificamente indicati, resta estranea alla cognizione della Corte di cassazione la conoscenza del contenuto degli atti processuali per verificare l’adeguatezza della valutazione delle prove e sono, pertanto, irrilevanti tutte le deduzioni che introducano direttamente nel ricorso il materiale probatorio al fine di ottenerne una valutazione diversa da quella dei giudici di merito e conforme a quanto prospettato dal ricorrente Cass. penumero , Sez. 7, ordinanza numero 12406 del 19/02/2015, Rv. 262948 . I motivi di ricorso risultano una riproposizione dei motivi di appello, respinti con congrua motivazione nella sentenza impugnata, che si salda con quella di primo grado, e sono, comunque, manifestamente infondati. È infondata la censura circa il mancato accertamento dello stato di bisogno del coniuge separato e del figlio minore. È consolidato orientamento di legittimità quello secondo il quale, in materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la minore età dei discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenta in re ipsa una condizione soggettiva dello stato di bisogno, con il conseguente obbligo per i genitori di contribuire al loro mantenimento, assicurando ad essi detti mezzi di sussistenza Sez. 6, numero 53607 del 20/11/2014 Rv. 261871 e Sez. 6, numero 20636 del 02/05/2007 Rv. 236619 e che entrambi i genitori sono tenuti ad ovviare allo stato di bisogno del figlio che non sia in grado di procurarsi un proprio reddito. Ne consegue che il reato di cui all’articolo 570, comma secondo, cod. penumero , sussiste anche quando uno dei genitori ometta la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori o inabili, ed al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria l’altro genitore Sez. 6, numero 8912 del 04/02/2011, K., Rv. 249639 . Quanto al coniuge separato lo stato di bisogno si ricava dalle dichiarazioni rese dalla S. nel giudizio di primo grado, dalle quali risulta che la donna lavorava part-time presso una cooperativa, percependo 300,00 euro mensili, del tutto insufficienti al mantenimento proprio e della figlia, tanto da dover ricorrere all’aiuto dei familiari e dei servizi sociali per provvedere anche alle cure mediche per la figlia malata mai cercata dal padre, che ha negato di sapere della malattia della figlia -, e che, ad eccezione di dazioni sporadiche di poche centinaia di euro nel 2007, l’imputato non aveva mai ottemperato al versamento mensile, pur avendo provveduto ad estinguere il mutuo gravante sull’immobile in cui viveva con la figlia, già pignorato. La Corte ha, inoltre, valorizzato la circostanza che il Tribunale civile, alla luce delle dichiarazioni del D.Q. , aveva ritenuto che la somma di euro 309,87 da versare entro il quinto giorno di ogni mese, fosse necessaria ad evitare che mancassero i mezzi di sussistenza alla moglie e alla figlia minore. E la circostanza che gli aventi diritto ricevano assistenza da terzi non fa venir meno lo stato di bisogno e l’obbligo di contribuire al mantenimento, quantomeno dei figli minori. Anche la doglianza relativa al mancato accertamento della capacità economica dell’imputato è infondata, risultando logica la valutazione della Corte, che l’ha desunta dal consistente esborso sostenuto dall’imputato per sanare il debito gravante sulla casa familiare, di sua proprietà nella misura del 75%, assegnata in sede di separazione alla moglie ed alla figlia. Tale dato, valorizzato nella sentenza di primo grado quale elemento indicativo dell’intento dell’imputato di tutelare il proprio diritto di proprietà piuttosto che di assicurare tranquillità alla moglie ed alla figlia, è stato correttamente apprezzato dalla Corte quale indicatore della capacità reddituale dell’imputato, atteso che l’incapacità economica dell’obbligato, intesa come impossibilità di far fronte agli obblighi sanzionati dalla norma incriminatrice, deve essere assoluta e deve integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti v. Sez. 6, numero 33997 del 24/0672015 Rv. 264667-. Non risulta censurabile la decisione della Corte, che non ha ritenuto, diversamente da quanto prospettato dall’imputato, l’assolvimento di un onere economico incombente anche sulla moglie idoneo ad escludere la sussistenza del reato, atteso che il soggetto obbligato a fornire i mezzi di sussistenza non può opporre, a titolo di compensazione, un suo credito verso l’avente diritto v. Sez. 5 numero 9600 del 03/11/2011 Rv. 252002-. Né può attribuirsi rilevanza alla dedotta proposta, avanzata dall’imputato, di cedere, a fine transattivo, la nuda proprietà dell’appartamento alla figlia, quale elemento comprovante l’intenzione dello stesso di onorare i propri impegni, nonostante le difficoltà, atteso che quand’anche fosse stato effettivamente attribuito tale diritto reale alla minore, risulterebbe intatta la sussistenza del reato contestato, essendo la suddetta prestazione inidonea ad assicurare una rapida ed immediata disponibilità ad un soggetto, privo di autonoma capacità reddituale v. Sez. 6 numero 23599 del 23/04/2013 Rv. 256627-. 2. Coerente con tali premesse risulta l’implicita valutazione negativa della Corte quanto al richiesto riconoscimento dell’attenuante di cui all’articolo 62 numero 6 cod. penumero in mancanza di prova circa l’integralità del risarcimento in favore delle persone offese. 3. Infondato è anche il motivo relativo all’applicazione dell’aumento per la continuazione ed al termine di prescrizione. La continuazione è stata correttamente ritenuta, in quanto l’omessa somministrazione dei mezzi di sussistenza in danno di più componenti dello stesso nucleo familiare, come espressamente indicato nell’imputazione, integra una pluralità di reati in concorso formale o, ricorrendone i presupposti, in continuazione v. Sez. U. numero 8413 del 20/12/2007 Rv. 238468. Parimenti corretta la valutazione della Corte, che ha ritenuto cessata la permanenza dalla sentenza di primo grado in presenza di una contestazione aperta In Ragusa dal maggio 2005 ad oggi-. È pacifico che in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare quando la condotta è contestata con l’individuazione della sola data di inizio, il termine di prescrizione, trattandosi di reato permanente, decorre dalla data della sentenza di condanna di primo grado e non da quella di emissione del decreto di citazione, qualora sia emerso nel corso del giudizio che la condotta omissiva si è protratta anche dopo l’esercizio dell’azione penale v. Sez. 6 numero 33220 del 22/07/2015 Rv. 264429-. 4. Quanto all’ultimo motivo inerente l’omessa motivazione sulle statuizioni civili, oltre a rilevarsi che il ricorrente propone nuovamente la tesi dell’integrale risarcimento del danno in forza delle elargizioni alla figlia e del pagamento della somma di 93 mila euro per estinguere il debito gravante sulla casa coniugale, di proprietà anche della moglie, va evidenziato che nella sentenza di primo grado sono partitamente indicati gli importi liquidati per danno patrimoniale e danno morale spettante ad entrambe le persone offese. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo determinare in Euro 1.500,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.