Basta un giorno di ritardo per essere un evasore

Il ritardo nella presentazione del DM/10, anche di un solo giorno, configura una fattispecie di «evasione» contributiva, per la quale era prevista una sanzione pecuniaria una tantum che poteva essere evitata denunciando spontaneamente il proprio debito entro i 6 mesi successivi al termine previsto per il pagamento dei contributi ed a condizione che il relativo versamento fosse effettuato entro i 30 giorni successivi alla denuncia.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione nella sentenza numero 20822, depositata il 2 ottobre 2014. Il caso. La Corte d’Appello di Brescia, confermando la pronuncia di primo grado, rigettava l’opposizione proposta da una società avverso – in estrema sintesi – il diniego ricevuto dall’INPS sulla richiesta di conguaglio tra quanto versato a titolo di sanzione una tantum ex articolo 1, comma 217, l. numero 662/1996 i.e. la previgente disciplina in tema di omissione/evasione contributiva e quanto dovuto ex articolo 116, comma 18, l. numero 388/2000, in relazione al ritardo nell’invio del modello DM/10. In particolare, i Giudici di Appello ritenevano irrilevante che la presentazione del DM/10 fosse avvenuta con un solo giorno di ritardo, atteso che in ogni caso non era stato effettuato il pagamento di quanto dovuto nei 30 giorni successivi alla autodenuncia, elemento – quest’ultimo – necessario ai fini del perfezionamento del «ravvedimento operoso». Contro tale sentenza la società proponeva ricorso alla Corte di Cassazione. L’evasione è tale anche se dura un giorno. Con un primo motivo la ricorrente lamentava la violazione, da parte della sentenza impugnata, dell’articolo 1, comma 217, l. numero 662/1996, nella parte in cui affermava che la tardiva presentazione del DM/10 costituiva un’ipotesi di «evasione» contributiva, fattispecie per la quale sarebbe invece richiesto un quid pluris , consistente nella omessa e/o inveritiera dichiarazione della realtà dei fatti. Motivo che tuttavia non viene condiviso dalla Cassazione la quale, affermando il principio esposto in massima e richiamando numerosi suoi precedenti, afferma che i Giudici di merito avevano fatto «buon governo» dei principi che regolano la materia. In particolare, era corretta – secondo la stessa Corte – la statuizione con la quale avevano ritenuto non configurabile la fattispecie del ravvedimento operoso, che presupponeva il pagamento di quanto dovuto entro i 30 giorni successivi alla spontanea denuncia del proprio inadempimento. La legge applicabile rimane quella vigente ratione temporis. Con un secondo motivo, la società lamentava il mancato riconoscimento del «meccanismo di conguaglio» - previsto dall’articolo 166, comma 18, l. numero 388/2000 - a favore del datore di lavoro che abbia pagato le sanzioni civili prima del 30 settembre 2000. Anche questo profilo non viene tuttavia condiviso dalla Corte in quanto, secondo il suo condivisibile avviso, tale meccanismo avrebbe potuto trovare applicazione solo se la ricorrente avesse dimostrato «l’avvenuto adempimento delle obbligazioni contributive e delle sanzioni con riferimento ai casi pregressi accertati al 30 settembre 2000 e non ancora esauriti». Prova che, nella specie, non era stata fornita.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 luglio – 2 ottobre 2014, numero 20822 Presidente Stile – Relatore De Renzis Ritenuti in fatto e diritto 1. Con ricorso, depositato il 12.07.2006, S.A.T.E., SOCIETA' ANONIMA TIPOGRAFICA EDITORIALE S.r.l conveniva in giudizio 'INPS per sentirlo condannare alla restituzione della somma di € 28.533,21, pagata come sanzione una tantum in relazione alla ritardata presentazione del modello DM10 relativo al mese di novembre 1998. La ricorrente deduceva l'illegittima applicazione della sanzione, configurandosi nella fattispecie tutt'al più l’ipotesi dell’omissione contributiva e non quella dell'evasione, essendo stato presentato il mod. DM10 con un solo giorno di ritardo. 2. II Tribunale di Bergamo con sentenza numero 616 del 20 rigettava il ricorso anche con riguardo al profilo del conguaglio di quanto versato a titolo di sanzione una tantum ex articolo 1, comma 217, legge numero 662 del 1996 con quello dovuto ex articolo 116, comma 18, della legge numero 388 del 2000. 3. Tale decisione, impugnata dalla SATE è stata confermata dalla Corte di Appello di Brescia numero 199 del 2008, la quale ha ritenuto sussistenti nella fattispecie, in conformità a quanto sostenuto dal primo giudice, i presupposti della evasione di cui all'articolo 1, comma 217, della legge 217 lett. b e non della omissione contributiva lett. a , aggiungendo che con la legge numero 388 del 2000 all'articolo 116, comma 8, era stato confermata la distinzione tra le due ipotesi. La Corte ha osservato che, pur avendo la società diritto in conformità ad un indirizzo giurisprudenziale a rientrare nell'ipotesi sub b in relazione alla presentazione della denuncia con un solo giorno di riardo qualificabile come ravvedimento operoso , non aveva effettuato il pagamento di quanto dovuto entro trenta giorni dalla denuncia, elemento quest'ultimo indispensabile ai fini del perfezionamento della stessa ipotesi. La Corte ha ritenuto poi non applicabile al caso di specie l'invocato articolo 116, comma 12, della legge numero 388 del 2000 riguardante l'abrogazione delle sanzioni amministrative, atteso che per consolidato orientamento giurisprudenziale l'abrogazione non riguarda gli inadempimenti pregressi, stante la non retroattività della citata disposizione normativa, come fatto palese tra l'altro dall'articolo 116 anzidetto, comma 18, il quale non esime dall'applicazione delle sanzioni previcï'.enti per i crediti dell'INPS in essere ed accertati al 30 settembre 2000. E nel caso di specie, conclude il giudice di appello, i crediti risultavano accertati a tale data. 4. La SATE ricorre per cassazione affidandosi a due motivi. L'INPS resiste con controricorso. 5. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 1, comma 217, lett. a e lett. b della legge 662 del 1996 in relazione alle nozioni di omissione ed evasione contributiva, nonché dell'articolo 12 disp. prel. al Codice Civile e dell'articolo 3 della Costituzione. Sostiene al riguardo che la tardiva presentazione del modello DM/10 non configura una ipotesi di evasione contributiva, per la quale si richiede non la mera inosservanza delle modalità e dei termini di adempimento delle dichiarazioni e comunicazioni imposti ai datori di lavoro, ma un quid pluris, ossia l'omessa e/o la difformità di tali dichiarazioni alla realtà delle cose il che non si riscontrava nel caso di specie Il motivo è infondato. Questa Corte cfr Cass. numero 7991 del 2013 Cass. numero 24284 del 2008 Cass. SU 4808 del 2005 Cass. numero 5836 del 2003 ha precisato che la mancata presentazione del modello DM/10 recante la dettagliata indicazione dei contributi previdenziali da versare configura la fattispecie della evasione e non già della semplice omissione contributiva ricadente nella previsione della legge numero 662 del 1996, articolo 1, comma 217, Jett. B , che commina una sanzione una tantum, il cui pagamento alla stregua della modifica apportata al richiamato comma 217, dall'articolo 59, comma 22, della legge numero 449 del 1997 può essere evitato effettuando la denuncia della situazione debitoria spontaneamente ossia prima di contestazioni o richiese dell'ente previdenziale e comunque entro sei mesi dal temine stabilito per il pagamento dei contributi, purché il versamento degli stessi sia effettuato entro trenta giorni dalla denuncia c.d. ravvedimento operoso . Orbene la Corte territoriale ha fatto buongoverno di tali principi osservando con valutazione in fatto, adeguatamente e coerentemente motivata, che nel caso di specie non si ravvisava l'ipotesi del ravvedimento operoso e quindi non sussisteva la possibilità per la società di fruire dei benefici ad esso connessi, non essendo intervenuto il pagamento di quanto dovuto entro 30 giorni della denuncia. Nella situazione così delineata non coglie nel segno il rilievo della ricorrente con riferimento alla violazione dei criteri di interpretazione della normativa in esame con riferimento all'articolo 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, avendo il giudice di appello interpretato la normativa in questione alla luce anche dei citati arresti giurisprudenziali. Né poi sono fondati i rilievi di carattere costituzionale, con riguardo all'asserita violazione del principio di uguaglianza, in quanto la fattispecie in esame ha una sua precisa caratterizzazione e si distingue da quella di chi nulla paga, autonomamente disciplinata. 6. Con il secondo del ricorso la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'articolo 116, comma 18, della legge numero 388 del 2000 sul mancato riconoscimento del meccanismo di conguaglio a favore del datore di lavoro che abbia pagato le sanzioni civili prima del 30 settembre 2000. II motivo è infondato. Invero l'invocata norma avrebbe potuto trovare applicazione al caso di specie, se la società avesse dimostrato l'avvenuto adempimento delle obbligazioni contributive e delle sanzioni con riferimento ai casi pregressi accertati al 30 settembre 2000 e non ancora esauriti cfr Cass. numero 17099 del 2010 Cass. numero 22414 del 2009 Cass. numero 13794 del 2007 Cass. numero 23615 del 2004 , ma essa si è limitata ad affermare di avere provveduto al pagamento rateale dei contributi nel termine dilatorio concesso, senza peraltro indicare il contenuto degli atti e dei documenti dimostrativi di tale pagamento e della sua data , con violazione quindi del principio di autosufficienza . 7. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato. Le spese del presente giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 100,00 per esborsi ed € 3.500,00 per compensi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15 %