Le scritture contabili hanno valore di prova legale?

Le scritture contabili, pur se regolarmente tenute, non hanno valore probatorio a favore dell’imprenditore che le ha redatte qualora egli intenda utilizzarle nei confronti dell’altra parte ex articolo 2770 c.c., le stesse scritture sono soggette al libero apprezzamento del giudice, al quale spetta stabilire – nei singoli casi – se e in quale misura siano attendibili e idonee, eventualmente in concorso con altre risultanze atte a dimostrare la fondatezza della pretesa.

Questo il principio indicato dalla Terza sezione Civile nella sentenza numero 13669/12 del 31 luglio. L’antefatto. La Curatela del fallimento di una s.r.l. conveniva in giudizio un s.numero c., chiedendo il pagamento di un’ingente somma. Il giudice di primo grado accoglieva la richiesta, mentre la Corte di Appello riformava il giudizio a questo punto la Curatela ricorreva per cassazione. Secondo l’impugnante, l’organo decidente avrebbe fatto cattivo uso del disposto dell’articolo 2709 c.c., a tenore del quale i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore. Parola alla Suprema Corte. È giurisprudenza consolidata che le scritture contabili, pur se regolarmente tenute, non hanno valore di prova legale a favore dell’imprenditore che le ha redatte qualora egli intenda utilizzarle nei confronti dell’altra parte ex articolo 2770 c.c., le stesse scritture sono soggette al libero apprezzamento del giudice, al quale spetta stabilire – nei singoli casi – se e in quale misura siano attendibili e idonee, eventualmente in concorso con altre risultanze atte a dimostrare la fondatezza della pretesa Cass. nnumero 105/2011 3188/2003 17151/2001 . Efficacia probatoria contro l’imprenditore. La regola posta dall’articolo 2709 c.c. che rappresenta un temperamento a quella dell’efficacia probatoria contro l’imprenditore delle scritture da lui tenute , costituisce applicazione del criterio di giudizio dettato dall’articolo 2734 in materia di confessione. Le dichiarazioni, in sostanza, fanno piena prova nella loro integrità se la controparte non contesta la verità dei fatti e delle circostanze aggiunte cioè si esige un comportamento asseverativo – espresso o tacito – riguardo le affermazioni del confitente, atteggiamento al quale «fa da pendant quello di volerne trarre vantaggio». Nella fattispecie in esame, invece, a volersi avvalere delle annotazioni contenute nelle scritture è il solo imprenditore obbligato a tenerle, in spregio ai principi di diritto sopra detti. Il ricorso finisce così per essere rigettato.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 2 – 31 luglio 2012, numero 13669 Presidente Massera – Relatore Amendola Svolgimento del processo La Curatela del Fallimento Panigan Sped s.r.l. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Firenze, sez. dist. Di Empoli, Alabastri Bavoni s.numero c, chiedendo il pagamento della complessiva somma di L. 69.091435. Nella contumacia della convenuta, il giudice adito accolse la domanda. Proposto gravame dalla soccombente, la Corte d'appello, in data 27 settembre 2007, in riforma della decisione impugnata, ha rigettato la domanda. Per la cassazione di detta pronuncia ricorre a questa Corte la Curatela, formulando due motivi. L'intimata non ha svolto alcuna attività difensiva. Motivi della decisione 1.1 Con il primo motivo l'impugnante lamenta violazione degli articolo 2709, 2214 e 2697 cod. civ., ex articolo 360, numero 3, cod. proc. civ Le critiche si appuntano contro l'affermazione del giudice di merito secondo cui dalla stessa documentazione fornita dalla procedura si evinceva che il credito azionato era, in realtà, già stato estinto dalla convenuta, di talché la pretesa attrice era destituita di fondamento. Secondo l'impugnante, così argomentando, il decidente avrebbe fatto malgoverno del disposto dell'articolo 2709 cod. civ., a tenor del quale i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l'imprenditore. Tuttavia chi vuoi trame vantaggio non può scinderne il contenuto. 1.2 Con il secondo mezzo la ricorrente denuncia vizi motivazionali, ex articolo 360, numero 5, cod. proc. civ. Secondo l'impugnante la Curia territoriale, dopo avere ritenuto probante il libro mastro con riferimento ai rapporti successivi al 1 gennaio 1996, aveva contraddittoriamente affermato che non vi era prova di quelli precedenti, con ciò irragionevolmente negando qualsivoglia valore all'appostazione in data 1 gennaio 1996, della somma di lire 88.219.410 a debito di Alabastri Bavoni. 2 I due motivi, che si prestano a essere esaminati congiuntamente per la loro intrinseca connessione, sono infondati. Valga al riguardo considerare che la società convenuta, condannata in primo grado al pagamento della somma richiesta dalla Curatela, ha dedotto in appello, che il Tribunale aveva erroneamente accolto la domanda perché la sua contumacia e la mancata risposta all'interrogatorio formale deferitole non potevano costituire prova del fondamento della pretesa azionata. Ha quindi versato in atti vari documenti dimostrativi, a suo dire, dell'avvenuta estinzione dell'obbligazione. La Corte territoriale ha tuttavia ritenuto inammissibile, perché tardiva, siffatta produzione. Nondimeno ha rigettato la domanda, rilevando che il credito di cui la Curatela aveva chiesto il pagamento risultava solo da appostazioni delle scritture contabili di Panigam Sped s.r.l., all'epoca in bonis scritture inidonee a provare il fatto costitutivo della pretesa azionata. 3 Ritiene il collegio che il giudice di merito abbia fatto coerente e corretta applicazione dei principi giuridici che governano la materia e che, conseguentemente, siano prive di pregio le critiche formulate dall'impugnante. È invero giurisprudenza consolidata di questa Corte Regolatrice che le scritture contabili, pur se regolarmente tenute, non hanno valore di prova legale a favore dell'imprenditore che le ha redatte, di talché, qualora egli intenda utilizzarle come mezzi di prova nei confronti della controparte ai sensi dell'articolo 2710 cod. civ., le scritture stesse sono soggette, come ogni altra prova, al libero apprezzamento del giudice, al quale spetta stabilire, nei singoli casi, se e in quale misura siano attendibili e idonee, eventualmente in concorso con altre risultanze probatorie, a dimostrare la fondatezza della pretesa o della eccezione della parte che le ha prodotte in giudizio Cass. civ. Cass. civ. 4 gennaio 2011, numero 105 Cass. civ. 4 marzo 2003, numero 3188 Cass. civ. 7 febbraio 2001, numero 1715 . Nel caso in esame, il giudice di appello, a fronte della semplice annotazione nelle scritture dell'impresa, e segnatamente nel libro mastro del 1996, di un credito di lire 88.219.410, relativo a rapporti commerciali intrattenuti con la società convenuta nell'anno precedente, ha ritenuto, nell'assenza di qualsiasi altro elemento probatorio e in piena aderenza, quindi, al principio innanzi richiamato, indimostrato il rapporto fondamentale, generatore della pretesa di pagamento fatta valere in giudizio. Né l'affermazione del giudice di merito, basata su accertamenti di fatto e valutazioni non sindacabili in questa sede di legittimità circa la predetta carenza probatoria, è stata validamente contrastata dalla Curatela, la quale si è limitata a contestare l'interpretazione degli articolo 2709 e 2710 cod. civ., accolta dal giudice di merito, assumendo, segnatamente, il malgoverno del principio per cui chi vuoi trarre vantaggio dalle scritture contabili non può scinderne il contenuto. La ricorrente ha così completamente ignorato che nella fattispecie la società convenuta non aveva mai affidato all'esito delle scritture la prova degli intervenuti pagamenti e che le risultanze dei libri contabili sarebbero in definitiva andate a vantaggio esclusivo dell'imprenditore che le aveva redatte. 4 In realtà, la regola posta dall'articolo 2709 cod. civ., che rappresenta un temperamento a quella dell'efficacia probatoria contro l'imprenditore delle scritture da lui tenute, costituisce applicazione del criterio di giudizio dettato dall'articolo 2734 cod. civ., in materia di confessione. Ma l'operatività del principio secondo cui quando alla dichiarazione della verità di fatti a sé sfavorevoli e favorevoli alla controparte, si accompagna quella di altri fatti o circostanze tendenti a infirmare l'efficacia del fatto confessato ovvero a modificarne o estinguerne gli effetti, le dichiarazioni fanno piena prova, nella loro integrità se l'altra parte non contesta la verità dei fatti e delle circostanze aggiunte, esige un comportamento della controparte asseverativo, espressamente o tacitamente, delle affermazioni del confitente, comportamento al quale, con riferimento alle scritture contabili, fa da pendant, quello, riferito anch'esso alla controparte, di volerne trarre vantaggio. Nella fattispecie, invece, a volersi avvalere delle annotazioni contenute nelle scritture è esclusivamente l'imprenditore obbligato a tenerle, in spregio ai principi di diritto innanzi enunciati. In definitiva il ricorso deve essere rigettato. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi , oltre IVA e CPA, come per legge.