Macchina in comproprietà tra marito, moglie e cognato. Ma senza dimostrazione dell’accordo è legittima la vendita in solitaria

Nessun addebito è possibile nei confronti dell’ex marito, che risulta, almeno da un punto di vista formale, intestatario della vettura. Può agire per la vendita e tenere per sé il ricavato. Cadono le accuse di appropriazione indebita mossegli dall’ex moglie.

Sciolto il vincolo matrimoniale, diventa complicato gestire non solo i rapporti personali ma anche quelli economici. Finanche la proprietà di un’automobile può diventare casus belli A maggior ragione se l’accordo che aveva portato all’acquisto, col legame ufficialmente ancora in corso, non è dimostrato in maniera chiara Cassazione, sentenza numero 22275, Sesta sezione Penale, depositata oggi . Quattro ruote. A scatenare la guerra, tra due coniugi separati, è una vecchia Opel Agila, che il marito decide di vendere, ricavandone 1.500 euro. Pochi soldi? Difficile dirlo di questi tempi Comunque, il vero problema è rappresentato dall’azione repentina compiuta dall’uomo, azione che viene contestata, in un’aula di giustizia, dall’ex moglie, la quale accusa l’ex marito di «appropriazione indebita», perché la vettura, afferma, le appartiene per il 65 per cento col coinvolgimento di suo fratello , e di «calunnia», perché l’uomo aveva sostenuto «di esserne il vero proprietario e che il coniuge si rifiutava di restituirglielo». Ma la tesi della donna viene respinta. Almeno dal Giudice dell’udienza preliminare, il quale assolve l’uomo riconoscendone la «buonafede» e attribuendogli solo «un errore di diritto sulla proprietà effettiva dell’autovettura». A ribaltare parzialmente la prospettiva è la Corte d’Appello, che - decidendo sulle impugnazioni del Pubblico Ministero e della donna - addebita all’uomo non l’appropriazione indebita dell’autovettura ma l’appropriazione della «somma di denaro ricavata dalla vendita» e, allo stesso tempo, il reato di calunnia nei confronti dell’ex moglie. Accordo fantasma. Controversia chiusa? Assolutamente no. Perché per l’uomo la pronuncia emessa in Appello è, come evidenzia il legale che lo rappresenta, contraddittoria e illogica, soprattutto perché «non si comprende se l’appropriazione abbia riguardato l’autovettura ovvero la somma ottenuta dalla vendita». Eppoi, essendo stato riconosciuto che «i due terzi del prezzo dell’autovettura furono pagati dal fratello» della ex moglie, com’è possibile considerare acclarato il reato di appropriazione indebita ai danni della donna? Per sciogliere ogni nodo, però, va considerato concretamente il titolo di proprietà sull’automobile. Ebbene, da questo punto di vista, l’ex marito è risultato essere il «proprietario», almeno formalmente, essendo a lui intestata, per ragioni fiscali, la vettura. Ma ciò che pone fine a ogni discussione, concludono i giudici – i quali sigillano il contenzioso ‘salvando’ l’uomo e considerato i fatti come non sussistenti –, è la mancata dimostrazione della «natura» e del «contenuto» del presunto «accordo economico intercorso tra l’uomo, il coniuge e il cognato» circa «l’acquisto e l’effettivo utilizzo dell’autovettura».

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 29 marzo – 8 giugno 2012, numero 22275 Presidente Di Virginio – Relatore Fidelbo Ritenuto in fatto e Considerato in diritto 1. – R.B. è stato rinviato a giudizio per i seguenti reati a articolo 81 e 646 c.p. perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, si appropriava indebitamente del veicolo Opel Agila che era per il 65% di proprietà del coniuge separato V.P. e di cui era il formale intestatario solo per ragioni fiscali, vendendolo a C.S. e ricavando la somma di euro 1.500,00 b articolo 368 c.p. perché, con querela del 10.9.2004, incolpava falsamente la ex moglie, V.P., del reato di appropriazione indebita del veicolo Opel Agila, affermando di esserne il reale proprietario e che il coniuge si rifiutava di restituirglielo. Con sentenza dell’8 giugno 2007 il G.u.p. del Tribunale di Trieste, all’esito del giudizio abbreviato, assolveva l’imputato dai reati contestati, escludendo sia l’appropriazione indebita, sia la calunnia, ritenendo in entrambi i casi la buona fede del B., incorso in un errore di diritto sulla proprietà effettiva dell’autovettura. Sulle impugnazioni del pubblico ministero e della parte civile, la Corte d’appello di Trieste, con la sentenza in epigrafe, ha riformato la prima decisione, confermando l’assoluzione del B. per il reato di appropriazione indebita dell’autovettura, ma ritenendolo colpevole in relazione ai residui reati di appropriazione della somma di denaro ricavata dalla vendita e di calunnia, reati che ha escluso dal vincolo della continuazione, pervenendo così alla pena complessiva di due anni e due mesi di reclusione ed euro 100,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile, liquidati in complessivi euro 6.500,00, con la pena interamente condonata. 2. - L’imputato ha proposto ricorso per cassazione personalmente, deducendo i motivi di seguito indicati - erronea applicazione della legge penale, in relazione alla mancata considerazione dell’elemento soggettivo dei reati e, in particolare, della calunnia - contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in quanto la sentenza, pur riconoscendo che i due terzi del prezzo dell’autovettura furono pagati dal fratello della P., ha comunque ritenuto sussistente anche il reato di appropriazione indebita a danno di quest’ultima, che tra l’altro non era legittimata né a proporre querela né a costituirsi parte civile. Inoltre, i giudici d’appello hanno considerato l’appropriazione della sola somma di denaro, ma in maniera del tutto illogica hanno riconosciuto a titolo di danno patrimoniale la somma di euro 2.500,00 in quanto corrispondente al valore dei due terzi dell’autovettura, sicché appare contraddittoria la sentenza perché non si comprende se l’appropriazione abbia riguardato l’autovettura ovvero la somma ottenuta dalla vendita - erronea applicazione dell’articolo 133 c.p., per avere applicato una pena base oltre il minimo edittale senza giustificare in maniera adeguata tale scelta. 3. - Il ricorso è fondato. La Corte d’appello non supera le obiezioni contenute nella sentenza di primo grado rispetto all’ipotesi accusatoria. Anche a prescindere dalla considerazione che, almeno dal punto di vista formale, l’imputato è risultato essere proprietario dell’autovettura, essendo questa a lui intestata, si deve riconoscere che, come ha correttamente ritenuto il primo giudice, non essendosi dimostrata la natura e il contenuto dell’accordo economico intercorso tra l’imputato, il coniuge V.P. e il cognato F.P. , circa l’acquisto e l’effettivo utilizzo dell’autovettura, non può neppure ravvisarsi in capo al B. la responsabilità per il reato di calunnia al di là di ogni ragionevole dubbio. Non sussiste neppure il reato di appropriazione della somma ricavata dalla vendita dell’autovettura. La Corte territoriale ritiene consumato il reato di cui all’articolo 646 c.p. per avere l’imputato trattenuto l’intero importo della vendita del mezzo, omettendo di offrirne una parte alla ex moglie ovvero al cognato. Anche in questo caso la mancata dimostrazione dell’accordo intervenuto tra le parti impedisce di ritenere che l’aver semplicemente trattenuto la somma configuri una interversione del possesso. Pertanto la sentenza deve essere annullata senza rinvio perché i fatti non sussistono. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché i fatti non sussistono.