La liquidazione in sede giudiziale della parcella del legale, in caso di processo per equa riparazione, deve essere effettuata sulla base della Tabella A Avvocati richiamata dall’articolo 11 d.m. numero 140/2012 individuando lo scaglione di riferimento, ed in caso di complessità minima della controversia, secondo quanto stabilito all’articolo 4 d.m. numero 140/2012, va applicata la diminuzione massima indicata all’interno di detto scaglione per ciascuna fase e ridotto il compenso risultante del 50% ai sensi dell’articolo 9 d.m. numero 140/2012.
Con la sentenza numero 8953, depositata il 5 maggio 2015, la sez. VI della Corte di Cassazione si pronuncia sul tema delle spese legali liquidate in sede di equa riparazione per irragionevole durata del processo, nell’ipotesi di parziale accoglimento della domanda risarcitoria. Il fatto. Il ricorrente chiedeva che la Corte d’appello, ai sensi e per gli effetti della l. numero 89/2001 nonché dell’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, condannasse il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento del danno morale da lui patito per l’irragionevole durata di un giudizio svoltosi dinanzi alla Corte dei Conti. Tale processo, durato complessivamente quattro anni, e conclusosi con il rigetto del ricorso, era stato promosso dall’Inpdap in suo danno per la restituzione di un presunto indebito pensionistico. Il ricorrente eccepiva che la durata del giudizio era stata superiore di due anni al limite di ragionevolezza fissato, di differente avviso il Ministero resistente che, invece, riteneva congruo il tempo di quattro anni anche in ragione della complessità del caso trattato. La causa si concludeva con la condanna del Ministero al pagamento della somma di € 1.000,00, inferire a quella richiesta in ricorso, nonché con la compensazione delle spese di lite nella misura del 50%, di cui la metà poste a carico del Ministero medesimo. Lo scaglione per la liquidazione delle spese tiene conto dell’importo della condanna. La parte vittoriosa ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c., dell’articolo 2233 c.c. in ordine alla liquidazione dei compenso ex d.m. numero 140/2012 che sarebbe stato determinato, in misura inferiore a quella minima di legge, pur considerando la riduzione ex articolo 9 d.m. numero 140/2012 nonché quella della compensazione delle spese al 50%. Gli Ermellini respingevano il ricorso richiamando il proprio pacifico orientamento secondo cui, in caso di parziale accoglimento della domanda, si debba tener conto dell’importo della condanna, e non già della richiesta formulata dalla parte, ai fini della liquidazione delle spese di lite. In altri termini è il reale valore della condanna a determinare lo scaglione di riferimento per la liquidazione delle spese di causa, indipendentemente, quindi, dalla misura richiesta dalla parte con il ricorso. Doppia decurtazione dei compensi per il giudizio di equa riparazione e per la semplicità della controversia. Inoltre, evidenziavano i Giudici di legittimità che la Corte di appello avesse fatto buon governo delle regole dettate dal d.m. numero 140/2012 in caso di liquidazione delle spese per il giudizio di equa riparazione. L’articolo 11 del decreto ministeriale conferiva al Giudice il potere di diminuire o aumentare la liquidazione in considerazione delle circostanze concrete e nella misura di quanto stabilito dalla tabella A, allegata al decreto. Allo stesso tempo l’articolo 9 del decreto ministeriale prevedeva che, in caso di giudizio per equa riparazione, il compenso potesse essere ridotto fino alla metà. Sicché, nel caso di specie il compenso era stato determinato dalla Corte di appello applicando la doppia decurtazione dei compensi nel pieno rispetto delle regole testé illustrate e nei margini del minimo indicato dalla legge. Conseguentemente il ricorso era respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, sentenza 5 marzo – 5 maggio 2015, numero 8953 Presidente Bianchini – Relatore Scalisi Svolgimento del processo G.A. con ricorso del 2 febbraio 2011 proponeva domanda nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze per ottenere l'equa riparazione di cui alla legge numero 89 del 2001 e ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, lamentando di aver subito un danno morale, quantificato nella complessiva somma di Euro. 2,500,00 o nella diversa misura ritenuta equa e giusta, per effetto della durata eccessiva e non ragionevole del giudizio dallo stesso instaurato con ricorso depositato nel settembre 2006 davanti alla Corte dei Conti e avente ad oggetto l'annullamento del provvedimento con il quale nel luglio 2006 INPDAP gli aveva richiesto la restituzione di una somma a seguito di asserito credito per indebito pensionistico dallo stesso percepito. L'udienza relativa alla discussione era stata fissata il 22 giugno 2010 ed il giudizio veniva deciso all'udienza del 29 settembre 2010 con il rigetto del ricorso. Pertanto, eccepiva il ricorrente il giudizio di cui si dice si era protratto per un periodo di tempo superiore al limite di una durata ragionevole, pari a due anni. Si costituiva il Ministero dell'Economia e delle Finanze deducendo come il giudizio davanti alla corte dei Conti si era sviluppato per un periodo del tutto ragionevole, tenuto conto della particolare complessità del giudizio che aveva reso necessario un'attività istruttoria disposta con apposita ordinanza, così che il complessivo termine di durata pari a circa quattro anni doveva ritenersi assolutamente congrue Chiedeva, pertanto, il rigetto del ricorso. La Corte di appello di Perugia con decreto numero 1434 del 2013 accoglieva il ricorso e condannava il Ministero dell'Economia e delle Finanze a pagare in favore di G.A. la somma di Euro 1.000,00 oltre gli interessi legali dalla domanda al soddisfo. Dichiarava compensate le spese di lite fra le parti nella misura del 50% e poneva la restante parte a carico del Ministero. Secondo la Corte di Perugia la durata ragionevole del giudizio presupposto, secondo gli standard fissati dalla CEDU e dalla Corte di Cassazione, deve essere stimata in tre anni. Ne discendeva, pertanto, che l'eccedenza imputabile alle disfunzioni del sistema giudiziario amministrativo era di circa un anno e mezzo. Alla luce della somma liquidata rispetto a quella richiesta le spese giudiziali potevano essere compensate nella misura del 50%. La cassazione di questo decreto è stata chiesta da G.A. con ricorso affidato ad un motivo, illustrato con memoria. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso. Nonostante viene indicato nel controricorso che sarebbe stato formulato ricorso incidentale, non risulta dedotto alcun motivo di ricorso. Motivi della decisione 1.- Con l'unico motivo di ricorso G.A. lamenta la violazione e/o falsa applicazione di legge, articolo 91 cpc, articolo 2233, secondo comma, cc, liquidazione compensi ex DM numero 140 del 2012. Secondo il ricorrente la Corte di Perugia avrebbe errato nel liquidare il compenso professionale dato che applicando, come dovrebbe essere, la tabella A3.a del D 140 del 2012 i compensi minimi avrebbero dovuto essere Euro. 330 per la fase dello studio Euro. 180 per la fase introduttiva Euro 198,00 per la fase istruttoria Euro 420 per la fase decisoria e, dunque, complessivamente Euro 1.128,00 e pur riducendo ai sensi dell'articolo 9 del DM numero 140 del 2012 applicato concretamente dal decreto impugnato, l'importo minimo sarebbe stato pari ad Euro 564 in luogo dei soli Euro 465 liquidati a titolo di compensi e poi diminuiti per la disposta compensazione del 50%. 1.1.- Il motivo è infondato. È orientamento pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che i fini della condanna al rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, il valore della controversia di cui alle Tariffe forensi va fissato sulla base del disputatum ossia di quanto richiesto dalla parte attrice nell'atto introduttivo del giudizio , tenendo però conto che, in caso di accoglimento solo parziale della domanda, il giudice deve considerare il contenuto effettivo della sua decisione criterio del decisum , cioè deve proporzionare le spese legali all'importo monetario realmente ottenuto dalla parte vittoriosa, a prescindere dalla superiore entità del valore delle richieste versate in ricorso. Pertanto, nel caso in esame, alla luce di questo principio la Corte di Perugia correttamente, nel determinare la spese di lite, ha tenuto conto dell'importo monetario realmente ottenuto dalla parte vittoriosa. Ciò posto, va evidenziato che la liquidazione, in sede giudiziale, della parcella del legale in caso di processo per equa riparazione, deve essere effettuata sulla base della Tabella A-Avvocati richiamata dall'articolo 11 del Dm. 140/2012 individuando lo scaglione di riferimento, ed in caso di complessità minima della controversia, secondo quanto stabilito all'articolo 4 del Dm. 140/2012, va applicata la diminuzione massima indicata all'interno di detto scaglione per ciascuna fase e ridotto il compenso così risultante del50% ai sensi dell'articolo 9 del Dm. 140/2012. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dal rincorerete, nel caso in esame, tenuto conto che il compenso determinato secondo la tabella A del DM 140 del 2012, era soggetto alla decurtazione del 50% essendo minima la complessità della controversia e di ancora 50% ai sensi dell'articolo 9 dello stesso DM. la liquidazione effettuata dalla Corte distrettuale rientra entro i margini del minimo normativamente indicato. In definitiva il ricorso va rigettato e il ricorrente in ragione del principio della soccombenza ex articolo 91 cpc, condannato al pagamento delle spese del presente giudizio i cassazione che verranno liquidato con il dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida a favore del Ministero dell'Economia e delle Finanze che liquida in Euro 560,00, oltre le spese prenotate a debito.