Viene considerata acclarata l’azione compiuta da una Regione, ossia aver impiegato un architetto per funzioni direttive senza adeguato riconoscimento economico e professionale. Ma l’inquadramento era rispettoso delle leggi e, comunque, il possesso del titolo di studio non conferisce il diritto al riconoscimento di determinate qualifiche e mansioni.
Laureata, ma insoddisfatta Non perché il mercato del lavoro offra pochi sbocchi, bensì perché il riconoscimento, professionale ed economico, ottenuto non è adeguato, sempre tenendo conto del titolo di studio. E tale situazione è resa ancor più delicata dalla collocazione all’interno della struttura – spesso elefantiaca – dell’amministrazione pubblica. Plausibile vedere uno squilibrio, in tale situazione, ma ciò non comporta automaticamente il diritto ad ottenere dall’ente pubblico il risarcimento dei danni Cassazione, sentenza numero 9240/2013, Terza Sezione Civile, depositata oggi . Forma e sostanza. Casus belli è l’impiego, da parte della Regione Campania, di una donna. Quest’ultima, architetto a tutti gli effetti, contesta l’operato della Regione per «il mancato riconoscimento del suo inquadramento lavorativo» la donna, difatti, sostiene di avere lavorato come architetto, ma con un inquadramento diverso, inferiore sia professionalmente che economicamente. Consequenziale è la richiesta di risarcimento, per «danni materiali e morali, diretti e indiretti», avanzata nei confronti della Regione. Richiesta fondata secondo il Tribunale, che riconosce alla donna oltre 46mila euro richiesta assolutamente illegittima secondo la Corte d’Appello, che azzera, ovviamente, l’onere economico a carico della Regione. Ciò soprattutto tenendo presente che, in realtà, la Regione aveva provveduto a un inquadramento ad hoc della donna, ma tali deliberazioni erano state annullate «dall’organo di controllo». Titolo di carta. E le pretese della donna vengono smentite, in via definitiva, anche dinanzi ai giudici della Cassazione, i quali, innanzitutto, chiariscono che «la responsabilità» in ballo è di tipo «extracontrattuale», perché «l’inquadramento non viene contestato sulla base delle previsioni contrattuali, bensì alla luce della sola qualificazione accademica rispetto alla quale il contratto stesso si pone come fatto ingiusto, generativo di responsabilità». Di conseguenza, è condivisa l’ottica dei giudici di Appello «non è stata provata l’antigiuridicità del fatto e la sussistenza della colpa in capo alla Regione Campania», che, peraltro, «ha tentato di attribuire» alla donna «un inquadramento superiore, non riuscendovi per l’annullamento dei relativi provvedimenti in quanto illegittimi». Per rendere il quadro ancora più chiaro, poi, i giudici della Cassazione sottolineano che «il possesso del titolo di laurea non conferisce, del resto, il diritto al riconoscimento di qualifiche né di assegnazione a mansioni diverse da quelle conseguite nell’ambito del legittimo espletamento delle procedure di assunzione e di eventuale successiva assegnazione a qualifiche e mansioni superiori», e aggiungono che «la qualifica accademica non può estendere il diritto all’inquadramento lavorativo al di là di quello contrattualmente previsto». Seguendo questa linea di pensiero, si può affermare che «non sussiste, in ogni caso, l’illegittimità del comportamento della Regione che avrebbe utilizzato» la donna «nello svolgimento di funzioni direttive, senza nulla riconoscerle, né in termini di inquadramento, né in termini economici». E, ancora, si può concludere, sempre secondo i giudici, che «se l’inquadramento era rispettoso delle leggi all’epoca in vigore», non vi è spazio «per un risarcimento del danno, pur se in ipotesi sussistente, perché tale danno non è contra jus».
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 12 febbraio – 17 aprile 2013, numero 9240 Presidente Berruti – Relatore D’Amico Svolgimento del processo G.I.A. convenne dinanzi aI Tribunale di Napoli il C.C.A.R.C. e la regione Campania per sentir dichiarare la responsabilità dei convenuti in ordine ai danni materiali e morali, diretti e indiretti che asseriva di aver subito a seguito del mancato riconoscimento del suo giusto inquadramento lavorativo. La regione Campania e il C.C.A.R.C.C. contestarono la domanda attrice e la prima in particolare dedusse che la I., dipendente dall'istituto Assistenza e Sviluppo del Mezzogiorno, era stata distaccata presso la suddetta regione sin dal 1972 e successivamente inquadrata dalla regione stessa. L'inquadramento, così come effettuato con ripetute deliberazioni della regione, era stato annullato dall'organo di controllo e pertanto il comportamento della stessa regione non era censurabile sotto alcun profilo. Il Tribunale di Napoli dichiarò la domanda inammissibile nei confronti del C.C.A.R.C. e la accolse nei confronti della regione Campania, condannandola al pagamento della somma di E 46.735,00 oltre accessori. Propose appello la regione Campania. Resistette G.I.I. che propose altresì appello incidentale. La Corte d'Appello di Napoli ha accolto l'appello principale e in integrale riforma della sentenza di primo grado ha rigettato la domanda di risarcimento danni proposta da G.I.I. nei confronti della regione Campania. Propone ricorso per cassazione G.I. Resiste con controricorso la regione Campania. Motivi della decisione Con il primo motivo parte ricorrente denuncia «Violazione ed errata applicazione degli articoli 115 e 116 cod. proc. civ. in relazione agli articoli 2699 e 2702 cod. civ. - Errata valutazione della prova documentale costituita dalle note della Regione Campania 13/12/89, 22/1/90, 6/9/91 con allegato verbale della Commissione Medica Regionale e dei referti del consulente di psicoterapia della Regione Campania Prof. D'Errico, della delibera di Giunta Regionale del 3/6/1991, numero 3589, della sentenza del TAR CAMPANIA numero 20/6/1997, tutti prodotti in atti». Sostiene la ricorrente che la mera richiesta di risarcimento del danno non appare sufficiente per definire la domanda risarcitoria come extracontrattuale e che la Corte d'Appello ha errato nella valutazione e nella interpretazione delle prove fornite dall'attrice. Il motivo è infondato. Ove il pubblico dipendente proponga, nei confronti dell'amministrazione datrice di lavoro, domanda di risarcimento danni per lesione dell'integrità psico-fisica, non rileva, ai fini dell'accertamento della natura giuridica dell'azione di. responsabilità proposta, la qualificazione formale data dal danneggiato in termini di responsabilità contrattuale o extracontrattuale, ovvero mediante il richiamo di norme di legge articolo 2043 e ss., 2087 c.c. , indizi di per sé non decisivi, essendo necessario considerare i tratti propri dell'elemento materiale dell'illecito posto a base della pretesa risarcitoria, onde stabilire se sia stata denunciata una condotta dell'amministrazione la cui idoneità lesiva possa esplicarsi, indifferentemente, nei confronti della generalità dei cittadini e nei confronti dei propri dipendenti, costituendo, in tal caso, il rapporto di lavoro mera occasione dell'evento dannoso oppure se la condotta lesiva dell'amministrazione presenti caratteri tali da escluderne qualsiasi incidenza nella sfera giuridica di soggetti ad essa non legati da rapporto d'impiego e le sia imputata la violazione di specifici obblighi di protezione dei lavoratori articolo 2087 c.c. , nel qual caso la responsabilità ha natura contrattuale conseguendo l'ingiustizia del danno alle violazioni di taluna delle situazioni giuridiche in cui il rapporto di lavoro si articola e sostanziandosi la condotta lesiva nelle specifiche modalità di gestione del rapporto di lavoro. Soltanto nel caso in cui, all'esito dell'indagine condotta secondo gli indicati criteri, non possa pervenirsi all'identificazione dell'azione proposta dal danneggiato, si deve qualificare l'azione come di responsabilità extracontrattuale Cass., Sez. unumero , 8 luglio 2008, numero 18623 . Correttamente, secondo l'impugnata sentenza la domanda della ricorrente non configura una responsabilità contrattuale ma extracontrattuale, perché l'inquadramento non viene contestato sulla base delle previsioni contrattuali, bensì alla luce della sola qualificazione accademica rispetto alla quale il contratto stesso si pone come fatto ingiusto, generativo di responsabilità. La natura extracontrattuale dell'azione risarcitoria trova conferma nella richiesta di danno biologico e morale e deve essere per santo applicato l'articolo 2043 c.c. Utilizzando tale disposizione la Corte territoriale ha respinto la domanda di risarcimento danni perché non è stata provata l'antigiuridicità del fatto e la sussistenza della colpa in capo alla regione Campania. Quest'ultima ha infatti tentato di attribuire alla I. un inquadramento superiore, non riuscendovi per l'annullamento dei relativi provvedimenti in quanto illegittimi. I possesso del titolo di laurea non conferisce del resto il diritto al riconoscimento di qualifiche né di assegnazione a mansioni diverse da quelle conseguite nell'ambito del legittimo espletamento delle procedure di assunzione e di eventuale successiva assegnazione a qualifiche e mansioni superiori. Peraltro la qualifica accademica non può estendere il diritto all'inquadramento lavorativo al di là di quello contrattualmente previsto. Con il secondo motivo si denuncia «Violazione ed errata applicazione dell'articolo 2043 del codice civile, dell'articolo 2697 del codice civile e dei principi in materia di onere della prova ». In particolare si lamenta la violazione dell'onere probatorio da parte della Regione perché non ha dimostrato di aver compiuto quanto era in suo potere per evitare il danno o limitarne gli effetti. In tal senso la ricorrente sostiene di aver fornito la prova a dell'esistenza della patologia b della dipendenza di tale patologia dal comportamento tenuto dalla P.A. nei suoi confronti attribuzione di funzioni e incarichi dirigenziali, sfruttamento delle capacità e competenze professionali proprie di un architetto, mentre era stata inquadrata nella carriera esecutiva a un livello più basso . Il motivo è infondato. È infatti giurisprudenza consolidata di questa Corte che il vizio della sentenza impugnata non può consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove effettuato dal giudice di merito, rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al Giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutarne le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno od all'altro mezzo di prova fra le t ante, Cass., 6 marzo 2008, numero 6064 . E comunque l'onere della prova in ordine agli elementi costitutivi dell'illecito incombeva esclusivamente sulla ricorrente che tenta invece di ottenere una nuova e diversa valutazione del materiale probatorio acquisito. Non sussiste in ogni caso l'illegittimità del comportamento della regione che avrebbe utilizzato la I. nella svolgimento di funzioni direttive, senza nulla riconoscerle, né in termini di inquadramento, né in termini economici. Senza tener conto che la sua vicenda era stata già sottoposta al vaglio del giudice amministrativo, all'epoca competente a conoscere del rapporto di pubblico impiego. Se quindi l'inquadramento del ricorrente era rispettoso delle leggi all'epoca in vigore e per consolidata giurisprudenza di questa Corte all'impiego pubblico non era applicabile l'articolo 2103 c.c. in materia di espletamento di mansioni superiori non residua spazio per un risarcimento del danno, pur se in ipotesi sussistente, perché tale danno non è contra jus. Con il terzo motivo si denuncia infine «Violazione ed errata applicazione degli articolo 1223, 2043 e 2056 codice civile». La ricorrente impugna la sentenza nella parte in cui ha rigettato l'appello incidentale in relazione alla corretta decorrenza degli interessi dovuti all'attrice. Il rigetto dei primi due motivi comporta l'assorbimento del terzo. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in E 6.200,00 di cui 6.000,00 per compensi, a favore della regione Campania, oltre accessori di legge.