Il novellato articolo 275, comma 2 - bis, c.p.p., nella parte in cui stabilisce che non può essere applicata la misura della custodia cautelare in carcere ove il giudice ritenga che all’esito del giudizio la pena detentiva irrogata non sarà superiore ai tre anni, si applica solo a questa misura cautelare e non anche agli arresti domiciliari o alle altre più tenui misure coercitive, di cui agli articolo 281 ss. c.p.p Queste ultime possono quindi trovare applicazione anche nel caso in cui il giudice ritenga che sarà applicata una pena detentiva non superiore ai tre anni.
Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza numero 4418/15 depositata il 30 gennaio. Il caso. Il Tribunale del riesame di Genova, in parziale accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore Generale della Corte d’appello locale, aveva revocato la misura della custodia cautelare in carcere per l’imputato del reato di rapina aggravata, condannato alla pena di 3 anni di reclusione, applicando la meno gravosa misura dell’obbligo di presentazione quotidiana. L’imputato propone ricorso per cassazione, sostenendo la violazione dell’articolo 275/2 - bis c.p.p., in quanto il Tribunale avrebbe fondato la propria decisione sul presupposto della reclusione del soggetto in carcere, quando invece risultava soggetto alla misura degli arresti domiciliari. Pena prevedibile e misure cautelari. La Cassazione coglie l’occasione per chiarire l’ambito di operatività della novellata disposizione di cui all’ articolo 275/2 - bis c.p.p La norma citata prevede, da un lato, l’impossibilità per il giudice di disporre la custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari ove ritenga che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena. Il caso concreto esula però dall’ipotesi così disciplinata, essendo stato l’imputato condannato alla reclusione per 3 anni. Dall’altro lato, la norma penale richiamata dispone che, ove il giudice ritenga che all’esito del giudizio la pena detentiva irrogata non sarà superiore ai 3 anni, non potrà applicare la misura della custodia cautelare in carcere. Come dimostra il dato letterale, quest’ultima previsione non si estende alla misura degli arresti domiciliari. Tale omissione non è riconducibile ad una dimenticanza od omissione del legislatore, risultando perfettamente coerente con la disposizione dell’articolo 656 c.p.p. la quale consente al p.m. di sospendere l’esecuzione della pena detentiva non superiore ad anni 3, con efficacia immediata, per consentire all’imputato di ottenere dal Tribunale di sorveglianza la sostituzione con una misura alternativa alla detenzione. Se invece, riscontrandosi la medesima situazione, il condannato si trovi agli arresti domiciliari, il p.m. può ugualmente sospendere l’esecuzione della misura, ma finché il Tribunale di sorveglianza non si sia pronunciato permane lo stato detentivo. Misure alternative alla detenzione anche per condanne inferiori ai tre anni. Basandosi sull’apparato argomentativo così sviluppato, la Suprema Corte ribadisce che il novellato articolo 275/2 - bis c.p.p., nella parte in cui stabilisce che se il giudice ritiene che all’esito del giudizio la pena detentiva irrogata non sarà superiore ai tre anni, non può essere applicata la misura della custodia cautelare in carcere, si applica solo a questa misura cautelare e non anche agli arresti domiciliari o alle altre più tenui misure coercitive, di cui agli articolo 281 ss. c.p.p Queste ultime possono quindi trovare applicazione anche nel caso in cui il giudice ritenga che sarà applicata una pena detentiva non superiore ai tre anni. Ne consegue che, nel caso concreto, il Tribunale avrebbe ben potuto applicare la misura degli arresti domiciliari e dunque, a fortiori, l’applicazione della più blanda misura dell’obbligo di presentazione quotidiana deve sottrarsi a qualsivoglia censura. In conclusione, il ricorso viene rigettato con condanna al pagamento delle spese processuali.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 14 – 30 gennaio 2015, numero 4418 Presidente Casucci – Relatore Rago Fatto e diritto 1. Con ordinanza del 30/09/2014, il Tribunale del Riesame di Genova, in parziale accoglimento dell'appello proposto dal Procuratore Generale avverso l'ordinanza con la quale la Corte di Appello, in data 03/07/2014, aveva revocato la misura della custodia cautelare in carcere di A.Y. - imputato del reato di rapina aggravata per il quale era stato condannato dal tribunale alla pena di anni tre di reclusione oltre alla multa - applicava al suddetto imputato la misura dell'obbligo di presentazione quotidiana. 2. Avverso la suddetta ordinanza, l'imputato, in proprio, ha proposto ricorso per cassazione deducendo la VIOLAZIONE DELL'articolo 275/2 BIS COD. PROC. PEN. per avere il tribunale, aderendo all'appello proposto dal Procuratore Generale, fondato la propria decisione su un erroneo presupposto e cioè che esso ricorrente si trovava agli arresti domiciliari e non recluso presso la Casa Circondariale di Genova Marassi. 3. II ricorso, nei termini in cui è stato proposto è infondato per le ragioni di seguito indicate. 3.1. I fatti possono essere ricostruiti nei seguenti termini - l'imputato, venne condannato in stato di custodia cautelare in carcere per il reato di rapina aggravata, in primo grado, alla pena di anni tre di reclusione - proposto appello, ed essendo stato, nelle more, modificato dall'articolo 8 dei d.l. n° 92/2014, l'articolo 275/2 bis cod. proc. penumero , la Corte di Appello, rilevato che l'imputato era stato condannato ad una pena non superiore ad anni tre, ne ordinava la scarcerazione - il Procuratore Generale impugnava la suddetta decisione rilevando che il novellato l'articolo 275/2 bis cod. proc. penumero prevedeva solo il divieto della misura della custodia cautelare in carcere per chi fosse stato condannato ad una pena non superiore a tre anni la suddetta norma, però, non prevedeva uguale divieto per gli arresti domiciliari che, quindi, ben avrebbero potuto essere applicati in sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere - il Tribunale del Riesame ha condiviso quanto sostenuto dal Procuratore Generale ma ha ritenuto di applicare, invece che gli arresti domiciliari, la più blanda misura dell'obbligo di presentazione quotidiana. 3.2. In punto di diritto, la decisione del Tribunale deve ritenersi corretta. Il novellato articolo 275/2 bis cod. proc. penumero prevede a che non si possono applicare né la custodia cautelare in carcere né gli arresti domiciliari «se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena» la suddetta ipotesi, quindi, non è applicabile alla fattispecie in esame essendo stato l'imputato condannato alla pena di anni tre di reclusione b che non si può applicare la misura della custodia cautelare in carcere «se il giudice ritiene che, all'esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni» come si può notare, la suddetta disposizione, contrariamente a quella di cui al precedente punto sub a , nulla dispone in ordine agli arresti domiciliari. La suddetta omissione non è frutto di una mera dimenticanza o imprecisione del legislatore ma è perfettamente coerente con il disposto dell'articolo 656 cod. proc. penumero che, se al quinto comma dispone che «se la pena detentiva [ ] non è superiore ai tre anni [ .] il Pubblico Ministero [. ] ne sospende l'esecuzione» con efficacia immediata al fine di consentire al condannato di ottenere dal tribunale di Sorveglianza «la concessione di una delle misure alternative alla detenzione [ ] ovvero la sospensione dell'esecuzione della pena [ ]», al contrario, al comma decimo, dispone che se «nella situazione considerata dal comma quinto» il condannato si trova agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire non superi i limiti indicati dal comma quinto, il Pubblico Ministero sospende l'esecuzione della carcerazione, ma, finchè il Tribunale di Sorveglianza non decida sull'eventuale applicazione di misure alternative, «il condannato permane nello stato detentivo nel quale si trova [ .]» quindi, la sospensione, contrariamente a quanto previsto nel quinto comma per la custodia cautelare in carcere, non è immediatamente esecutiva . Di conseguenza, alla stregua delle suddette norme si spiega la ragione per cui il legislatore, novellando l'articolo 275/2 bis cod. proc. penumero , nell'ipotesi in cui «il giudice ritiene che, all'esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni» ha previsto il divieto di applicazione della misura custodiale solo per quella carceraria della quale, se applicata, ovviamente ne va disposta l'immediata revoca così come ha correttamente ordinato la Corte di Appello nel procedimento in esame e non per quella degli arresti domiciliari proprio perché, questi non sono sospesi neppure ove la sentenza sia passata in giudicato fintanto che non decida il tribunale di Sorveglianza. Precisato in punto di diritto quanto appena detto, ne consegue che se il tribunale, in accoglimento dell'appello del Procuratore Generale, ben avrebbe potuto applicare gli arresti domiciliari - in sostituzione della vietata custodia cautelare in carcere - a fortiori poteva disporre la più blanda misura dell'obbligo di presentazione quotidiana. Sul punto, va osservato che il ricorrente nulla ha dedotto avverso la decisione del tribunale sicchè, sotto questo ulteriore profilo la doglianza va ritenuta inammissibile. In conclusione, il ricorso va dichiarato infondato alla stregua del suddetto principio di diritto «il novellato articolo 275/2 bis cod. proc. penumero nella parte in cui stabilisce che se il giudice ritiene che, all'esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni non può essere applicata la misura della custodia cautelare in carcere, si applica solo a questa misura cautelare e non anche agli arresti domiciliari o alle altre più tenui misure coercitive di cui agli articolo 281 ss cod. proc. penumero che, quindi, ben possono essere applicate anche nel caso in cui il giudice ritenga che sarà applicata una pena detentiva non superiore a tre anni». In conclusione, l'impugnazione deve rigettarsi ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell'articolo 28 reg. es. cod. proc. penumero