La sospensione della patente non contrasta con il diritto al lavoro

In riferimento all’applicazione della sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, con riguardo al criterio di ragionevolezza di cui all’articolo 3 Cost., per la mancata previsione da parte della normativa applicabile della possibilità per il giudice di regolamentare l’applicazione della sanzione stessa in modo tale da non ostacolare il lavoro del condannato, qualora la patente sia un requisito indispensabile allo svolgimento della sua attività lavorativa.

E’ quanto chiarito dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 19167/15 depositata l’8 maggio. Il caso. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere disponeva la sospensione della patente di guida per 7 mesi a carico di un imputato per il reato guida in stato d’ebbrezza di cui all’articolo 186, comma 2, lett. b , C.d.s Per la cassazione della predetta pronuncia propone ricorso l’imputato, tramite il proprio difensore. Il primo motivo di ricorso, che lamenta la violazione delle norme processuali per aver il giudice di merito emanato un’ordinanza laddove è prevista la pronuncia di una sentenza, è manifestamente infondato, posto che il provvedimento impugnato riveste comunque la forma di una sentenza ed i requisiti essenziali, anche in termini di garanzia del contraddittorio. Sospensione della patente e questione di incostituzionalità. Più interessante è il secondo profilo di doglianza con il quale il ricorrente prospetta l’incostituzionalità delle norme del codice della strada in tema di sospensione della patente e possibilità di concessione di limitati permessi orari di guida. La Corte di Cassazione, negando ogni fondamento alla prospettiva difensiva così articolata, ribadisce che, in riferimento all’applicazione della sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento al criterio di ragionevolezza di cui all’articolo 3 Cost., per la mancata previsione da parte della normativa applicabile della possibilità per il giudice di regolamentare l’applicazione della sanzione stessa in modo tale da non ostacolare il lavoro del condannato, qualora la patente sia un requisito indispensabile allo svolgimento della sua attività lavorativa. Nessun pregio merita la prospettata questione di legittimità costituzionale anche con riguardo al diritto fondamentale al lavoro, «rientrando nell’insindacabile discrezionalità del legislatore, ancora una volta, la tutela della pubblica incolumità anche con il sacrificio delle possibilità lavorative del condannato sul rilievo che le peculiarità insite in una attività lavorativa che comporti frequenti spostamenti [], in tanto possono trovare equilibrato soddisfacimento, in quanto le relative modalità attuative non finiscano per svuotare integralmente di contenuto la sanzione applicata». Per questi motivi la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 dicembre 2014 – 8 maggio 2015, numero 19167 Presidente Fiale – Relatore Di Nicola Ritenuto in fatto 1. P.M. ricorre per cassazione impugnando l'ordinanza del tribunale di Santa Maria Capua Vetere emessa in data 4 ottobre 2013 e con la quale disponeva la sospensione per il periodo di mesi sette della patente di guida rilasciata all'imputato ed a ciò provvedendo ad integrazione della sentenza emessa ex articolo 444 cod. proc. penumero il 15 dicembre 2010 dal predetto tribunale di applicazione su richiesta della pena di 8.700,00 di ammenda per il reato previsto dall'articolo 186, comma 2, lett. b , codice della strada, sentenza annullata dalla Corte di cassazione con rinvio limitatamente alla omessa applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida. 2. Per la cassazione dell'impugnata sentenza P.M. , tramite il difensore, affida il ricorso a tre motivi di gravame, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. cod. proc. penumero , nei limiti strettamente necessari per la motivazione. 2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l'inosservanza della legge penale articolo 606, comma 1, lett. b del codice di procedura penale con riferimento agli articoli 220, comma 2, 224, comma 1, codice della strada e 628 codice di procedura penale, assumendo che il giudice ha erroneamente adottato una ordinanza laddove la legge espressamente prevede che la sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida debba essere applicata con decreto o con sentenza, tanto che l'articolo 628 codice di procedura penale si riferisce esclusivamente alla sentenza. 2.2. Con il secondo motivo lamenta l'inosservanza della legge penale con riferimento agli articoli 1, 3, 4 e 27 della costituzione, eccependo la incostituzionalità degli articoli 218, comma 2, e 224 del codice della strada nella parte in cui riconoscono al solo prefetto, e soltanto per un tempo massimo di tre ore giornaliere, la possibilità di concedere a colui che viene colto dalla sanzione amministrativa della sospensione della patente permessi orari di guida. 2.3. Con il terzo motivo deduce difetto di motivazione per violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera e codice di procedura penale. Si sostiene che la motivazione in base alla quale il gip condannava il ricorrente a sette mesi di sospensione della patente di guida appare carente ed illogica in quanto la richiamata gravità del reato si atteggia come una mera clausola di stile non motivata in concreto, con la conseguenza che il tribunale avrebbe ben potuto applicare al ricorrente la sanzione accessoria nel minimo edittale previsto per legge. Peraltro il reato si era, nel frattempo estinto per non essere l'imputato incorso nel biennio in altri reati e tale circostanza non era stata affatto valutata dal giudice. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza. 2. Quanto al primo motivo, se è vero che il provvedimento impugnato è stato adottato con ordinanza, è di tutta evidenza come esso rivesta la forma della sentenza emessa secondo la sequenza procedimentale prevista dalla legge e con le garanzie del contraddittorio, con la conseguenza che, nel caso in cui il provvedimento terminativo del giudizio svoltosi, come nella specie, in camera di consiglio abbia assunto erroneamente la forma dell'ordinanza anziché quella della sentenza, della quale tuttavia contenga tutti i requisiti essenziali, non è ravvisabile alcuna nullità, sicché la doglianza deve ritenersi manifestamente infondata. 3. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato. Questa Corte, con orientamento condivisibile al quale occorre dare continuità, ha già affermato che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli articolo 218 e 224 cod. strad., sollevata con riferimento al criterio di ragionevolezza contenuto nell'articolo 3 Cost., nella parte in cui non prevedono - a differenza dell'articolo 63 legge numero 689 del 1981 - la possibilità per il giudice di regolamentare l'applicazione della sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida in modo tale da non ostacolare il lavoro del condannato, qualora la patente rappresenti un indispensabile requisito per lo svolgimento dell'attività lavorativa, rientrando nel potere discrezionale del legislatore la tutela della pubblica incolumità anche con il sacrificio delle possibilità lavorative del condannato Sez. 4, numero 3435 del 04/02/1997, Calandri, Rv. 207797 . Né la questione di costituzionalità ha, sulla base dell'eadem ratio in precedenza esposta, alcun fondamento in relazione alle norme costituzionali denunciate dal ricorrente articolo 1, 4 e 27 Cost. per la lesione del diritto fondamentale al lavoro quale ineludibile strumento di emenda con conseguenti riflessi sulla violazione del principio rieducativo della pena, rientrando nell'insindacabile discrezionalità del legislatore, ancora una volta, la tutela della pubblica incolumità anche con il sacrificio delle possibilità lavorative del condannato sul rilievo che le peculiarità insite in una attività lavorativa che comporti frequenti spostamenti nel caso di specie si assume trattarsi di una agente di commercio , in tanto possono trovare equilibrato soddisfacimento, in quanto le relative modalità attuative non finiscano per svuotare integralmente di contenuto la sanzione applicata. 4. inammissibile è anche il terzo motivo, dovendosi ritenere sufficiente il richiamo ad opera del giudice al criterio della gravità del reato, posto che la sanzione è stata determinata in prossimità del minimo edittale, mentre è di tutta evidenza che, in base al principio della formazione progressiva del giudicato ove l’impugnazione della sentenza sia avvenuta esclusivamente per contestare, come nella specie, l'omessa statuizione delle sanzioni amministrative accessorie con conseguente passaggio in giudicato del capo relativo all'accertamento della responsabilità penale, le cause estintive del reato maturatasi nelle more del giudizio rescissorio non impediscono l’applicazione delle indicate sanzioni. 5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. penumero , di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, numero 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.