L’articolo 58 l. numero 689/1981 conferisce al giudice un potere discrezionale di concedere o meno le sanzioni sostitutive della semidetenzione, della libertà controllata o della pena pecuniaria, previste dall’articolo 53 della medesima legge. Egli, in particolare, può sostituire la pena detentiva e tra quelle sostitutive scegliere quella più idonea al reinserimento sociale del condannato, avuto riguardo ai criteri di cui all’articolo 133 c.p. ed escluso il pericolo che il condannato non ottemperi alle prescrizioni impartite. Accertamento, questo, che certamente presuppone una valutazione da parte del Giudicante delle circostanze del fatto reato portato alla sua attenzione. Ne discende che l’accertamento della sussistenza delle condizioni che, ai sensi della c.d. Legge di depenalizzazione, consentono la sostituzione della pena detentiva con una delle sanzioni sostitutive previste dalla stessa Legge, costituisce accertamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità se motivato in modo non manifestamente illogico.
Nel dettare il predetto principio di diritto gli Ermellini, nella pronuncia numero 13920/15, depositata il 2 aprile, ribadiscono la necessità che dello strumento del ricorso per cassazione non si “abusi” per dedurre questioni che concernono accertamenti di fatto non sindacabili in sede di legittimità. Il caso. L’imputato, un cittadino extracomunitario, ricorre per cassazione, a mezzo del suo difensore, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Genova che, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, lo aveva assolto dalle contravvenzioni contestategli, confermando invece la condanna del primo giudice in ordine ai delitti di cui gli articolo 473, 474 e 648 c.p., commessi relativamente a merci con marchi contraffatti, e rideterminando la pena inflitta nei suoi confronti. Due i motivi di ricorso. Con il primo motivo, in particolare, si deduceva l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge, con riferimento al diniego della sostituzione della pena detentiva ai sensi degli articolo 53, 57 e 58 l. numero 689/1981 sul presupposto che i giudici del gravame avessero errato nel negare l’invocata sostituzione della pena detentiva, non avendo considerato i criteri indicati all’articolo 133 c.p. e non avendo verificato la sussistenza delle condizioni soggettive per concedere le pene sostitutive invocate. Con il secondo motivo di ricorso si deduceva, invece, l’inosservanza ed erronea applicazione delle legge per non avere il Giudice dell’Appello riformato la sentenza di primo grado nella parte in cui irrogava all’imputato la pena accessoria della pubblicazione della sentenza su un quotidiano locale piuttosto che sul sito internet del Ministero della Giustizia, come in effetti previsto dall’articolo 36 c.p. nel testo modificato ad opera della l. numero 111/2011. Quantunque solo l’ultimo dei motivi di ricorso proposti dalla difesa, abbia trovato accoglimento, la pronuncia resa dalla Suprema Corte di Cassazione si presenta quale assolutamente degna di nota in ragione di quanto affermato con riferimento alla prima delle violazioni dedotte. Nell’assumere la propria decisione, il Supremo Collegio afferma il seguente principio di diritto «l’accertamento della sussistenza delle condizioni che, ai sensi della c.d. Legge di depenalizzazione, consentono la sostituzione della pena detentiva con una delle sanzioni sostitutive previste dalla stessa Legge, costituisce “accertamento di fatto” non sindacabile in sede di legittimità se motivato in modo non manifestamente illogico». Stabilendo che, nell’esercizio del potere discrezionale in sede di sostituzione della pena, il giudice debba sempre motivare le proprie scelte attendendosi ai criteri dettati dall’articolo 133 c.p. il Legislatore ha inteso soddisfare, per un verso, una esigenza di garanzia, per altro verso una esigenza di controllo sulle determinazioni di volta in volta adottate dall’autorità giudiziaria. Non solo, nel dettare il predetto principio di diritto gli Ermellini ribadiscono la necessità che dello strumento del ricorso per cassazione non si “abusi” per dedurre questioni che concernono accertamenti di fatto non sindacabili in sede di legittimità. Le sanzioni sostitutive contemplate dalla Legge “depenalizzazioni” e il potere discrezionale del giudice – l’importanza dell’articolo 133 c.p Come è noto l’articolo 53 l. numero 689/1981 contempla un catalogo di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi la semilibertà, la libertà controllata e la pena pecuniaria. La norma sancisce la possibilità per il Giudice di sostituire la pena da infliggersi con quella della semidetenzione, della libertà controllata o con la corrispondente pena pecuniaria nel caso in cui ritenga di pronunciare una sentenza di condanna a pena detentiva non superiore, rispettivamente, a due anni, un anno o sei mesi. Si tratta di un potere che il Giudice esercita si discrezionalmente ma nei limiti fissati dalla legge. Egli, in particolare, può decidere se sostituire la pena detentiva, e tra quelle sostitutive scegliere quella più idonea al reinserimento sociale del condannato, avuto riguardo ai criteri di cui all’articolo 133 c.p. ed escluso il pericolo che il condannato non ottemperi alle prescrizioni impartite. A stabilirlo l’articolo 58 della medesima legge. Stabilendo che, nell’esercizio del potere discrezionale in sede di sostituzione della pena, il giudice debba sempre motivare le proprie scelte attendendosi ai criteri dettati dall’articolo 133 c.p. il Legislatore ha inteso soddisfare, per un verso, una esigenza di garanzia, per altro verso una esigenza di controllo sulle determinazioni di volta in volta adottate dall’autorità giudiziaria. Quello compiuto dal Giudicante è accertamento che certamente presuppone una valutazione da parte del Giudicante delle circostanze del fatto - reato portato alla sua attenzione. E’ solo prendendo in considerazione le caratteristiche del fatto reato attribuito all’imputato, il suo vissuto personale e l’esistenza di eventuali precedenti a carico del medesimo che il Giudicante possa orientarsi nella scelta tra le pene sostitutive od escludere il pericolo che il condannato si sottragga alle prescrizioni poste a suo carico. E’ quanto la Corte di Cassazione ha fatto nel caso che ci occupa laddove ha spiegato le ragioni per cui ha ritenuto di non poter provvedere alla sostituzione della pena detentiva richiamando, in particolare, il fatto che l’imputato fosse irregolare nel territorio italiano e che fosse stato identificato più volte per fatti analoghi fornendo diversi nomi. Da qui l’impossibilità per il condannato di servirsi dello strumento del ricorso per cassazione per lamentare la mancata concessione della pena sostitutiva eventualmente richiesta e non concessa al Giudice di merito. Evidente, infatti, per costrutto legislativo, che il Supremo Collegio non possa pronunciarsi che su quelle violazioni di legge e/o di carattere procedurale dettagliatamente delineate nell’articolo 606 del codice di rito, pena l’inammissibilità del ricorso eventualmente proposto. Ad affermarlo a gran voce gli Ermellini con il principio di diritto affermato. Evidente, infatti, che laddove viene affermato che «l’accertamento della sussistenza delle condizioni che, ai sensi della c.d. Legge di depenalizzazione, consentono la sostituzione della pena detentiva con una delle sanzioni sostitutive previste dalla stessa Legge, costituisce “accertamento di fatto” non sindacabile in sede di legittimità se motivato in modo non manifestamente illogico», si vogliono comunque ribadire le finalità che il Legislatore ha inteso perseguire con l’introduzione nel nostro codice di rito del ricorso per cassazione e la necessità che di tale strumento non ci si serva, indiscriminatamente e quantunque, potendo ciò costituire “abuso” del diritto con riferimento all’utilizzo dei mezzi di impugnazione.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 20 febbraio – 2 aprile 2015, numero 13920 Presidente Petti – Relatore Lombardo Ritenuto in fatto e diritto 1. D.M. ND D. ricorre per cassazione - a mezzo del suo difensore - avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova del 18.3.2013, che, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, lo ha assolto dalle contravvenzioni contestategli, confermando invece la condanna del primo giudice in ordine ai delitti di cui agli articolo 473-474 648 cod. penumero relativi a merci con marchi contraffatti e rideterminando la pena. 2. Propone diversi motivi di ricorso. 2.1. Col primo motivo di ricorso, deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione della legge, con riferimento al diniego della sostituzione della pena detentiva ai sensi degli articolo 53-57-58 legge numero 689/1981. Deduce, in particolare, che i giudici dei gravame avrebbero errato nel negare l'invocata sostituzione della pena detentiva, non avendo considerato i criteri indicati all'articolo 133 cod. penumero e non avendo verificato la sussistenza delle condizioni soggettive per concedere le pene sostitutive invocate. La censura è inammissibile. Va premesso che l'articolo 58 legge numero 689 del 1981 conferisce al giudice un potere discrezionale di concedere o meno le sanzioni sostitutive di cui all'articolo 53 stessa legge. In particolare, recita l'articolo 58 cit. commi 1 e 2 che «Il giudice, nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri indicati nell'articolo 133 del codice penale, può sostituire la pena detentiva e tra le pene sostitutive sceglie quella più idonea al reinserimento sociale del condannato. Non può tuttavia sostituire la pena detentiva quando presume che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato». La valutazione del giudice compiuta avuto riguardo ai criteri previsti dall'articolo 133 cod. penumero e in ordine al pericolo che le prescrizioni non vengano adempiute costituisce un accertamento di fatto , incensurabile in sede di legittimità, ove motivato in modo non manifestamente illogico. È per tali ragioni che questa Corte ha già affermato il principio secondo cui non è sindacabile in sede di legittimità la decisione del giudice di merito di non applicare, per la sussistenza di precedenti penali, una delle sanzioni sostitutive della pena detentiva breve di cui agli articolo 53 e segg. dei 24 dicembre 1981, numero 689 Sez. 2, numero 4564 del 09/02/1993 Rv. 194152 . Va affermato, pertanto, il seguente principio di diritto «L'accertamento della sussistenza delle condizioni che, ai sensi dell'articolo 58 legge numero 689 del 1981, consentono di far luogo alla sostituzione della pena detentiva con una delle sanzioni sostitutive di cui all'articolo 53 stessa legge costituisce un accertamento di fatto , non sindacabile in sede di legittimità se motivato in modo non manifestamente illogico». Nella specie, la Corte territoriale ha spiegato le ragioni per cui ha ritenuto non potesse provvedersi alla sostituzione della pena detentiva ha richiamato, in particolare, il fatto che l'imputato è irregolare nel territorio italiano e che è stato identificato più volte per fatti analoghi fornendo nomi diversi, dimodoché non è presumibile che lo stesso adempia alle prescrizioni che gli verrebbero imposte. La motivazione della Corte territoriale sul punto non è manifestamente illogica, risultando così insindacabile in sede di legittimità. 2.2. Col secondo motivo di ricorso, deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione della legge, per non avere la Corte territoriale riformato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha irrogato la pena accessoria della pubblicazione della sentenza sul quotidiano Il Secolo XIX , piuttosto che sul sito internet del Ministero della Giustizia, come previsto ora dal nuovo testo dell'articolo 36 cod. penumero Questa censura è fondata. In effetti, l'articolo 37 del D.L. numero 98 del 2011 cony., con modif., nella legge 15 luglio 2011 numero 111 , modificando l'articolo 36 cod. penumero , ha soppresso la possibilità che la pena accessoria della pubblicazione della sentenza penale di condanna sia eseguita su uno o più giornali indicati dal giudice, lasciando come unica modalità della pubblicazione quella sul sito internet del Ministero della Giustizia. Pertanto, la Corte di Appello avrebbe dovuto provvedere a riformare la sentenza di primo grado, adeguandola al nuovo dettato normativo. Ne consegue che la sentenza va annullata sul punto, dovendosi disporre che la pubblicazione della sentenza avvenga, piuttosto che sul quotidiano Il Secolo XIX , sul sito internet dei Ministero della Giustizia. P.Q M. La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pubblicazione della sentenza sul quotidiano Il Secolo XIX , che sostituisce con la pubblicazione sul sito internet del Ministero della Giustizia rigetta nel resto.