“Ti faccio sparire...”, plausibile la contestazione del reato di minaccia

Rissa verbale fra due uomini. Chiusura con una ‘promessa’ poco piacevole. La persona destinataria delle frasi incriminate non pare particolarmente colpita, ma ciò non rende meno grave il valore delle parole utilizzate.

“Io ti faccio sparire ”. A parlare però non è un mago, bensì un uomo che si rivolge così al ‘nemico’ con cui ha appena finito di litigare. Cambia, di conseguenza, la lettura di quelle parole, valutabili come minaccia. Ciò a prescindere dalla reazione della persona destinataria dello sfogo verbale Cassazione, sentenza numero 34215, sez. I Penale, depositata oggi . Lite. Assolutamente sorprendente, però, la valutazione compiuta dal gdp, il quale ritiene non vi siano i presupposti per contestare il «reato di minaccia». Come si spiega questa decisione? Per il giudice di merito, in sostanza, le «parole» utilizzate a conclusione della lite tra due uomini – “So io come farti sparire io ti faccio sparire, non devi più passare da queste parti ” – non hanno avuto un «effetto intimidatorio», tale provocare «timore» e tale da «turbare la libertà psichica» dell’uomo a cui quelle frasi erano rivolte. Decisive, in questa ottica, paradossalmente, proprio la «testimonianza» della persona offesa, e quella del suo «medico di fiducia», il quale aveva visto l’uomo «molto provato e ipereccitato», in conseguenza della «lite», ma certo non «intimorito». Timore. Ora, però, la visione tracciata dal Giudice di pace viene demolita dalla Cassazione, laddove i giudici evidenziano l’errore compiuto, cioè l’aver ritenuto «decisiva la circostanza che la persona offesa non fosse stata effettivamente intimidita». Errore reso ancora più evidente, peraltro, dal responso del «medico curante» della persona offesa. Ma ciò che conta davvero, chiariscono i giudici del ‘Palazzaccio’, è la consapevolezza che per potersi parlare di «reato di minaccia» non è necessario che «la persona offesa si senta intimidita». Di conseguenza, in questa vicenda, è plausibile pensare che le parole utilizzate – “Ti faccio sparire” – possano essere valutate come «minaccia idonea» potenzialmente «a cagionare effetti intimidatori». E proprio in questa ottica dovrà ragionare ora il gdp, obbligato a confrontarsi nuovamente con la vicenda.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 4 giugno – 5 agosto 2015, numero 34215 Presidente Cortese – Relatore Rocchi Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il Giudice di Pace di Città della Pieve, in sede di rinvio a seguito di annullamento di precedente sentenza da parte di questa Corte, assolveva R.G. dal reato di minaccia ai danni di B.F. perché il fatto non costituisce reato. Secondo il Giudice, non risultava dagli atti che le parole pronunciate dall'imputato so io come farti sparire io ti faccio sparire, non devi più passare da queste parti avessero avuto un effetto intimidatorio sulla persona offesa né che avessero ingenerato sulla stessa un timore tale da turbarne o diminuirne la libertà psichica ciò emergeva dalla stessa testimonianza resa da Bruschini. Il medico di fiducia della persona offesa lo aveva visto molto provato e ipereccitato , stato che non corrispondeva ad intimorito e che, comunque, era conseguenza della lite avuta poco prima. 2. Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dì Terni, deducendo violazione ed erronea applicazione dell'articolo 612 cod. penumero . Atteso che la minaccia è reato di pericolo, è sufficiente l'idoneità della condotta a produrre un effettivo turbamento o una diminuzione della libertà morale del soggetto, ma non occorre che questi effetti si siano verificati. L'idoneità della minaccia deve essere valutata ex ante. La violazione della costante giurisprudenza di questa Corte, secondo il ricorrente, è palese. In un secondo motivo, il ricorrente deduce violazione dell'articolo 627 cod. proc. penumero . La sentenza di annullamento di questa Corte era motivata sulla base del travisamento delle prove da parte del Giudice di Pace di Orvieto la Corte aveva disposto che le prove testimoniali fossero approfondite il Giudice di Pace di Città della Pieve aveva mutato del tutto l'impostazione della decisione, tralasciando le direttive della Corte. In un terzo motivo, il ricorrente deduce violazione dell'articolo 192 cod. proc. penumero e vizio della motivazione. Il Giudice aveva compiuto una valutazione parcellizzata della prova, senza tenere conto dell'oggettiva idoneità intimidatrice della frase e della circostanza che l'ipereccitazione e la prostrazione della persona offesa derivavano dalla lite durante la quale erano state pronunciate le frasi minacciose. Il ricorrente conclude per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. Considerato in diritto II ricorso è fondato. La giurisprudenza costante di questa Corte insegna che, poiché quello di minaccia è reato di pericolo, è necessario che la minaccia - da valutarsi con criterio medio ed in relazione alle concrete circostanze del fatto - sia idonea a cagionare effetti intimidatori sul soggetto passivo, ancorché il turbamento psichico non si verifichi in concreto Sez. 5, numero 644 del 06/11/2013 - dep. 10/01/2014, P.C. in proc. B, Rv. 257951 non è, pertanto, necessario che la persona offesa si senta intimidita Sez. 5, numero 45502 del 22/04/2014 - dep. 04/11/2014, Scognamillo, Rv. 261678 è irrilevante anche l'indeterminatezza del male minacciato, purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente Sez. 5, numero 21601 del 12/05/2010 - dep. 07/06/2010, Pmt in proc. Pagano, Rv. 247762 . Come emerge con evidenza dalla motivazione della sentenza impugnata, il Giudice di Pace, al contrario, ha ritenuto decisiva la circostanza che la persona offesa non fosse stata effettivamente intimidita affermazione, per la verità, contraddittoria con lo stato descritto dal Giudice immediatamente dopo, riportando la testimonianza del medico curante ha, quindi, applicato erroneamente l'articolo 612 cod. penumero , considerando la minaccia un reato di evento. La sentenza impugnata deve, quindi, essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al Giudice di Pace della Città della Pieve che, valorizzando le prove così come richiesto dalla precedente sentenza di annullamento, applicherà i principi di diritto sopra enunciati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Giudice di Pace di Città della Pieve.