Autentica della firma falsificata? Il falso non è innocuo

Il falso innocuo determina un’alterazione irrilevante ai fini dell’interpretazione dell’atto, ma nel caso di specie è stata falsificata l’autentica della firma.

E’ quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione con la sentenza numero 28501/13, depositata il 2 luglio. La fattispecie. Un uomo e una donna venivano condannati per falsità in atto pubblico in relazione all’autentica delle proprie sottoscrizioni al verbale di assemblea ordinaria dei soci di una S.a.s., in qualità di socio accomandatario e socia accomandante. Dopo la conferma della condanna da parte dei giudici di appello, i due imputati presentano ricorso per cassazione. Ad essere penalmente rilevante non è lo scopo, ma il contenuto dell’atto. La S.C. ha, dunque, sottolineato che il «falso innocuo» sussiste quando la condotta, pur incidendo sul significato letterale di un atto falso ideologico o di un documento falso materiale , «non incide sul suo significato di comunicazione, così come esso si manifesta nel contesto, anche normativo, della formazione e dell’uso, effettivo o potenziale, dell’oggetto» Cass., numero 38720/2008 . Falso innocuo se l’alterazione è irrilevante. In altre parole, il «falso innocuo» ricorre quando «determina un’alterazione irrilevante ai fini dell’interpretazione dell’atto, non modificandone il senso». Ma nel caso di specie, secondo gli Ermellini, non si versa in tale situazione, visto che «non è stato falsificato il contenuto delle delibere, ma l’autentica della firma», e dunque la lesione del bene protetto dalla norma è evidente, in quanto – concludono i giudici - «l’autenticazione comporta un potenziamento della efficacia probatoria dell’atto, determinata dal fatto che un pubblico ufficiale attesti che quell’altro proviene da chi lo ha sottoscritto».

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 11 aprile – 2 luglio 2013, numero 28501 Presidente Zecca – Relatore Lignola Ritenuto in fatto 1. Con sentenza dell'8/6/2009 C.V. e D.M.N.A. erano condannati dal Tribunale di Catania per falsità materiale in atto pubblico in relazione all'autentica delle proprie sottoscrizioni in calce al verbale di assemblea ordinaria dei soci della COS. AP. di Catanzaro Vincenzo & amp C. s.a.s. in qualità di socio accomandatario e socia accomandante. Gli imputati presentarono appello articolando tre motivi. Con il primo si evidenziava la contraddittorietà della testimonianza del teste Ca. , impiegato del Comune di omissis municipalità, con facoltà di autenticare le sottoscrizioni apposte in calce ai documenti, in ordine alla custodia dei timbri, uno dei quali utilizzato per il falso, rispetto a quelle di altro teste suo collega di lavoro, F.A. e la circostanza della apposizione di marche autentiche del Comune di sull'atto falso, elementi che inducevano a ritenere insussistente il falso, oppure ad escluderne la commissione da parte degli imputati con il secondo motivo si evidenziava che ai fini dell'erogazione della prima quota di contributo dal Ministero delle attività produttive, pratica per la quale è stato utilizzato l'atto contestato, non vi era alcuna necessità di effettuare contraffazioni di documenti o falsificazioni di firme, poiché i verbali assembleari in questione non erano richiesti, sicché la falsità si è rilevata in concreto innocua con l'ultimo motivo si chiedeva una pena più mite, con il riconoscimento delle attenuanti generiche. Con sentenza del 16 aprile 2010 la Corte d'appello di Catania confermava la sentenza di primo grado, rilevando, quanto al primo motivo, che il reato era stato commesso verosimilmente in concorso con un dipendente del Comune, che aveva consentito l'accesso ai timbri dell’ufficio in assenza dei funzionari e che il reato poteva essere stato commesso solo dagli imputati, unici soggetti interessati alla falsificazione ed in possesso del documento. Quanto al secondo motivo, la Corte ha escluso l'inoffensività della condotta, poiché le delibere attestavano i presupposti della erogazione e la falsificazione non ha riguardato il contenuto delle delibere, ma l'autentica di firma. Anche il terzo motivo è stato rigettato, ritenendo congrua la pena. Con l'odierno ricorso, presentato separatamente dai due imputati, ma dall'uguale contenuto, si censura la sentenza di appello sotto due distinti profili a violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera E, per mancanza ed illogicità manifesta della motivazione ed omesso esame dei motivi d'appello. A giudizio del ricorrente la Corte territoriale non ha fornito logiche controdeduzioni a nessuno dei numerosi rilievi rappresentati nei motivi di appello con particolare riferimento alla indisponibilità dei timbri e delle marche , aggirando gli argomenti con il ricorso ad elementi mai emersi dal processo, quale la presenza di un complice nell'ufficio. Inoltre sarebbe stata trascurata la testimonianza del teste F. , che ha dichiarato di aver autenticato le firme in altra copia del medesimo atto, quella stessa mattina b violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera B ed E, in relazione agli articolo 476 e 482 c.p., per mancanza ed illogicità manifesta della motivazione, con riferimento alla sussistenza di un falso inutile il contributo fu ottenuto solo in base ad una polizza assicurativa e non anche grazie agli atti asseritamente falsi, inoltrati per mero errore di valutazione. Considerato in diritto 1.1 il primo motivo del ricorso è inammissibile, perché versato in fatto. Va ricordato che la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia logica e compatibile con il senso comune. L'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, dev'essere, inoltre, percepibile ictu oculi , dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze. Dunque, non è possibile per questa Corte procedere ad una ricostruzione alternativa dei fatti, sovrapponendo a quella compiuta dai giudici di merito una diversa valutazione del materiale istruttorio, se, come nel caso di specie, vi è congrua e logica motivazione nel provvedimento o, meglio, nei provvedimenti, dato che le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione cfr. Cassazione penale, sez. 2, 15 maggio 2008, numero 19947 . Peraltro il motivo articolato nel ricorso dell'avv. Floresta richiama un contrasto tra le deposizioni di Ca.Sa. e F.A. , entrambi funzionari del Comune di , in realtà solo apparente, perché le dichiarazione del secondo si riferiscono ad altra autentica, della quale non è contestata la falsità. Anche la verosimile complicità di altro funzionario non rappresenta un elemento desunto dagli atti, quanto piuttosto una spiegazione pienamente logica, non irrazionale né contraddetta dal alcun elemento, dell'accesso ai timbri del Ca. , custoditi in sua assenza in un cassetto. L'omessa pronuncia denunciata nel motivo deve escludersi, perché, sia pure sinteticamente, la Corte territoriale ha affrontato le censure proposte con l'appello, con motivazioni la verosimile presenza di un complice nell'ufficio che il ricorrente non condivide. In proposito va ricordato l'indirizzo consolidato della Corte, secondo cui il dovere di motivazione è adempiuto, ad opera del giudice del merito, attraverso la valutazione globale delle deduzioni delle parti e delle risultanze processuali, non essendo necessaria l'analisi approfondita e l'esame dettagliato delle predette ed è sufficiente che si spieghino le ragioni che hanno determinato il convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata Sez. 6, numero 20092 del 04/05/2011, Schowick, Rv. 250105 . 2. Anche il secondo motivo, relativo alla inutilità del falso, è inammissibile, perché manifestamente infondato. La giurisprudenza di questa Sezione, tradizionalmente, facendo applicazione dell'articolo 49 c.p., distingue, in tema di falso, l'inidoneità della azione, che ricorre nel cosiddetto falso grossolano , nel falso, cioè, che per essere macroscopicamente rilevabile, non è idoneo a trarre in inganno alcuno, dall'inesistenza dell'oggetto, che ricorre nel cosiddetto falso c.d. inutile , nel falso, cioè, che cade su un atto, o su una parte di esso assolutamente privo di valenza probatoria Sez. 5, numero 11498 del 05/07/1990, Casarola, Rv. 185132 . Più recentemente il secondo concetto è stato sviluppato, ritenendosi sussistere il falso innocuo o inutile o superfluo quando la condotta, pur incidendo sul significato letterale di un atto falso ideologico o di un documento falso materiale , non incide sul suo significato di comunicazione, così come esso si manifesta nel contesto, anche normativo, della formazione e dell'uso, effettivo o potenziale, dell'oggetto Sez. 5, numero 38720 del 19/06/2008, Rocca, Rv. 241936 . In altri termini, la punibilità del falso è esclusa, per inidoneità dell'azione, tutte le volte che l'alterazione appaia del tutto irrilevante ai fini dell'interpretazione dell'atto, perché non ne modifica il senso oppure si riveli in concreto inidonea a ledere l'interesse tutelato dalla genuinità del documento, cioè non abbia la capacità di conseguire uno scopo antigiuridico. Così, ad esempio, è stata esclusa la punibilità, per inidoneità dell'azione, della falsa attestazione - attuata mediante l'apposizione della firma di alcuni docenti universitari, componenti le commissioni esaminatrici, sui verbali di vari esami - che detti esami si erano svolti regolarmente con la partecipazione di tre commissari, mentre in realtà gli studenti erano stati esaminati da un solo professore la Suprema Corte, in proposito, ha ritenuto esenti da censura le argomentazioni della Corte di merito secondo cui, in particolare, nel caso di specie, né la prova d'esame, né il voto, potevano essere messi in discussione anche in presenza di un unico esaminatore o di commissioni formate da due, anziché da tre docenti, essendo quest'ultima composizione prevista, e neanche a pena di nullità, solo da norme regolamentari secondarie Sez. 1, numero 3134 del 13/11/1997, P.M. e Gargiulo, Rv. 210187 . Con riferimento specifico al c.d. falso innocuo , si è ancora precisato che esso ricorre quando determina un'alterazione irrilevante ai fini dell'interpretazione dell'atto, non modificandone il senso Sez. 5, numero 38720 del 19/06/2008, Rocca, Rv. 241936 o, in altri termini, quando l'infedele attestazione nel falso ideologico o l'alterazione nel falso materiale non esplicano effetti sulla funzione documentale dell'atto stesso di attestazione dei dati in esso indicati Sez. 5, numero 35076 del 21/04/2010, Immordino, Rv. 248395 . Dal che è agevole desumere che l'innocuità non deve essere valutata con riferimento all'uso che dell'atto falso venga fatto. Detta conclusione è ancora più chiara riflettendo sul fatto che, nella esegesi delle disposizioni che puniscono i falsi, è stato sempre usato come criterio discretivo il fatto che la condotta incriminata abbia o meno messo in pericolo il bene della pubblica fede, con particolare riferimento al dovere del privato di attestare al pubblico ufficiale la verità in ordine a fatti rilevanti dal punto di vista giuridico destinati ad essere documentati a fini probatori nell'atto pubblico. Nel caso in esame non si versa in una ipotesi di falso innocuo o inutile , poiché, come correttamente sostenuto dalla Corte territoriale, non è stato falsificato il contenuto delle delibere, ma l'autentica della firma, e dunque la lesione del bene protetto dalla norma è evidente, in quanto l'autenticazione comporta un potenziamento della efficacia probatoria dell'atto, determinata dal fatto che un pubblico ufficiale attesti che quell'atto proviene da chi lo ha sottoscritto Sez. 5, numero 6204 del 30/11/2010, Colla e altri, Rv. 249260 Sez. 5, numero 24872 del 31/01/2005, Sacchini, Rv. 231852 Sez. 5, numero 12693 del 10/02/2006, Perna, Rv. 234706 . Resta privo di valore il fatto che l'atto falso non fosse necessario per la concessione del contributo, perché ciò che rileva non è lo scopo ma il contenuto in sé dell'atto. 3. La rilevata inammissibilità dei ricorsi impedisce di rilevare la prescrizione, sollecitata con il secondo motivo, poiché verificatasi in epoca successiva alla pronuncia di appello del 16 aprile 2010 i fatti sono del 4 febbraio 2003, per cui, considerata la sospensione della prescrizione, appello, per 1 anno, 1 mese e 21 giorni, essa è compiuta il 25 settembre 201o . 4. In definitiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente cfr. Corte Costituzionale sent. numero 186 del 7-13 giugno 2000 al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti ciascuno al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della cassa delle ammende.